30.6.07

Innamorati altrove

Un altro mondo, un altro tempo. Una mano nell'altra, un passo dopo l'altro. Parole e sorrisi, momenti dolci che si ripetono da sempre. Niente esiste tranne quella vibrazione che li rende visibili, che li rende perfetti, umani, belli. Si muovono in spazi aperti, sotto il sole, in armonia. Un'altra dimensione, dove tutto quello che serve è sentire l'altro respirare e sentirsi pieni di quel respiro. Dove nulla importa tranne la felicità dell'altro. Dove non c'è bisogno di mentire, perchè si è quel che si è. Non ci sono strategie di conquista, non c'è smania di possesso, non c'è la prigione di un ruolo, nè la paura di perdersi.
Si svegliano uno accanto all'altra e sorridono anche solo perchè ci sono. Perchè possono ancora darsi qualcosa, perchè si sono dati molto e perchè amano ogni attimo che hanno trascorso insieme. Perchè ogni attimo ha un significato profondo. Ogni attimo ha in sè qualcosa di eterno e allo stesso tempo irripetibile. Un'opera d'arte è l'amore.
Quella vibrazione che parte dallo stomaco, che illumina la pelle e colora il mondo intero. Quella che permea ogni angolo del cielo, che rende vivo il pianeta, l'universo. Ti permette di vivere, di carezzare un viso, di baciare labbra e di credere.
Ti rende felice anche solo sentire che c'è, che ne fai parte e che non ti lascerà mai. Tutto quello che dai non ti lascia mai veramente. Ti riempie, ti dà una forza incredibile, ti nutre.
Non c'è dolore che possa distruggerti, perchè tutto è libertà, non hai bisogno di regole e di leggi assurde. Hai bisogno solo del tuo stomaco, della luce che emani e dell'amore che sai dare...
Certo, è un altro mondo.
Perchè qui, adesso, è tutto più complicato. Ci sono regole, ci sono cose che ci impediscono di dare senza ricevere, ci sono paure e giochi di ruolo. Il desiderio di mantenere intatta nel tempo l'istantanea di un momento che è stato importante, la paura che quel momento non torni più, che una volta lasciato andare la memoria lo perderà per sempre.
Ci sono schemi che ci tengono nell'ignoranza, che imbrattano l'idea stessa di amore, rendendola un gretto affare commerciale. Ci sono insicurezze che ci rendono fragili e che ci spingono a renderci oggetti acquistati per motivi estetici, che ci fanno sentire usa & getta come se davvero si potesse acquistare l'anima di un essere umano.
Qui si studiano strategie, si elaborano vendette, si creano alibi quando le regole stanno strette. Si crede di poter dare un senso alla vita solo imbalsamandola. Si crea un mondo di se e allora, che ci imprigiona e che rende l'amore una stupida recita di fine anno.
Ci sono momenti in cui l'altrove è meglio del reale. Amare in quell'altra dimensione è certo più difficile, ma molto più sincero. Parola di alieno...

28.6.07

Clara e le emozioni

Non c'è dubbio: Clara è una persona complessa. Fin da piccola era portata per gli eccessi, non solo nel volere o non volere qualcosa, ma anche per quello che riguardava le emozioni.
Per sua natura era predisposta a "sentire", dotata di una sorta di luccicanza (e citare Stephen King è d'obbligo in questi casi) per cui spesso sentiva oltre. Quando diceva di sentire i fantasmi, potete giurare che li sentiva davvero. Che ci crediate o no. Così come spesso le succedeva di sognare fatti che sarebbero poi successi o di essere tesa per qualcosa proprio in giorni in cui qualcosa di improvviso capitava.
Clara riusciva a sentire su di se le cose che gli altri raccontavano, tanto che spesso spiegava meglio lei la situazione che il narratore stesso. Certo, finchè non era coinvolta emotivamente con le persone in questione non c'erano grossi problemi. I guai seri venivano quando qualcuno cui era legata soffriva per qualcosa. Allora anche lei stava male, anche fisicamente in certi episodi.
In più, per una sua insana attitudine, Clara legava spesso con persone fortemente depresse o al limite del patologico, tanto che molti dei suoi amici e conoscenti sono morti giovani in modo più o meno creativo. Questo la portava a soffrire le pene dell'inferno ogni volta che cercava di aiutare qualcuno, anche solo ascoltandolo. Qualche volta anche solo passare accanto ad una ambulanza occupata le faceva venire su quella strana sensazione di dolore che ormai conosceva bene.
Col tempo, Clara ha imparato a controllare buona parte di queste emozioni di rimbalzo, ha anche imparato che è inutile trattenerle troppo a lungo in sè.
Ovvio che, con una sensibilità del genere, ogni piccola cosa per lei era enorme. Lo è ancora. Quando Clara prova qualche sensazione è quasi sicuro che la prova fino nelle ossa. Quando capisce che qualcosa la lega in modo speciale ad un'altra persona, lei sarà sempre con quella persona, anche non vedendola per anni. Spesso sentirà quasi i suoi pensieri, comunque gli stati d'animo, anche a distanza.
Questo accade anche con le emozioni negative. Spesso, un tempo, a chi le faceva del male capitava qualche strano incidente. Non cose gravi, ma bizzarre perlopiù. Se Clara arriva ad odiare qualcuno lo fa con tutta la sua forza. Per fortuna Clara non odia quasi nessuno e non ha odiato molti quanto ha odiato se stessa (in passato).
Clara è come una spugna che assorbe gli stati d'animo altrui, il che l'aiuta a comprendere le persone che ha intorno. Il fatto che spesso abbia un umorismo lugubre, o un cinismo sarcastico, un modo di far sembrare ogni cosa priva di peso non significa che lei non viva un profondo disagio ogni volta che osserva la realtà e la vede piena di sofferenze. Negli anni ha capito, però, che le cose accadono per un motivo e forse anche tutta la sofferenza di questo mondo ha un senso o lo avrà un giorno.
Clara crede nel lasciar scorrere le emozioni, nel viverle profondamente, intensamente e nel ricordarle quando passano. Ma non nel trattenerle. Forse perchè in lei hanno una forza enorme. Crede che la vita sia fatta di queste cose, belle e brutte, perchè alla fine sono queste emozioni che la fanno sentire viva. Crede che alcune cose non possano essere evitate, che molte non dipendano da lei, che tutte siano necessarie anche quando fanno male. Clara crede nel sentire, perchè a questo è abituata...

Dice il saggio: "Quando non sai dove andare, resta dove sei." (inauguro così la rubrica Nick Carter)

Il mostro dal buio


20.6.07

Onnipotenza

Viene un momento nella vita in cui non ti senti più il brutto anatroccolo. I brufoli non ti perseguitano, i seni crescono, cominci ad essere interessante per l'altro sesso.
Quello, soprattutto,ti dà la sensazione di avere potere. Scegliere come trattare ciascuno, ad esempio. Decidere con chi giocare e con chi fare sul serio. Il potere che dà il sesso è infinito.
Il desiderio rende schiavi e quando si è abbastanza sicure di sè si comincia a prenderci gusto. Diventa talmente bello giocare con gli altri, che spesso ti dimentichi di essere adolescente. Di non avere esperienza, di avere ancora bisogno di qualcuno che ti protegga.
Ti senti forte, furba, già abbastanza adulta. E abbassi la guardia.
Capita allora che quando meno te lo aspetti, il senso di onnipotenza che prende tra i 16 e i 20 anni (o più in alcuni casi) ti frega. Ti fa andare oltre, ti fa fidare di persone di cui non dovresti e finisci per scottarti. Possono succedere milioni di cose. Quando va bene ti limiti a tornare a casa ubriaca e ti vomiti l'anima per ore. Quando va male ti tocca archiviare al serata "sotto altra voce" e cercare di dimenticare, prima che l'esperienza cominci a bruciare davvero. Perchè poi brucerà.
Il tuo senso di onnipotenza ti fa credere di poter controllare tutto e tutti, che basti una tua parola ed il mondo si fermerà ai tuoi piedi. Purtroppo non si ferma mai quando dovrebbe e di solito nemmeno ai tuoi piedi.
Certe volte dire no non basta. Può funzionare qualche volta, ma ci sarà sempre una volta in cui non funzionerà e allora saranno guai. Perchè a quel punto ti accorgerai di essere stretta in un angolo e di non avere più una via di fuga. Qualche volta te la cavi anche, ma prima o poi viene il momento in cui davvero non hai via d'uscita. E in quei momenti sei tutto tranne che onnipotente.
Sentirsi forti e sicuri non è come esserlo sul serio. Le persone che ti sono attorno lo sanno e possono approfittare di ogni piccolo spiraglio che lasci loro aperto. Perchè ognuno pensa per se, principalmente.
Avere 17 anni è grandioso, davvero. Ti sembra di poter fare qualsiasi cosa. Ti convinci che sia vero e ti ritrovi a cercare di capire cosa hai sbagliato e quando.
Bisogna fare molta attenzione, bisogna ascoltare chi ci mette in guardia, bisogna pensare a noi stessi come a Cappuccetto Rosso, ma senza il cacciatore... Solo nelle favole i buoni vincono sempre e la cavalleria arriva in tempo. Nella vita reale ti ritrovi sola e spaventata, magari confusa, umiliata, malmenata, derubata, stuprata. E finisci anche per sentirti in colpa, per giustificare chi t'ha ferita e per punirti tutto il tempo perchè non sei stata abbastanza attenta.
Avere 17 anni è bello, lo sarà sempre. Tantovale sentirseli e dimenticare a casa il proprio potere, perchè quel potere renderà schiavi i nostri corteggiatori, ma ci annebbia la vista... E finisce per rovinarci almeno qualche anno di vita.

19.6.07

Nel verde indiano


India

Ci sono luoghi che ci appartengono. Luoghi che ci entrano nell'anima al primo respiro, che non lasciano più il nostro modo di vedere la vita. Luoghi cui, senza volerlo, pensiamo sentendoci liberi. L'India, per me, è uno di quei luoghi.
Lo è stato fin da piccola, quando annusavo le casse di oggetti che arrivavano da lì. Lo è stato dalla prima volta che vi ho messo piede, a dieci anni. Mi ha spaventata, certo. Un mondo così crudo, così terribilmente severo, così disperante. Così pieno di vita...
Ne ho amato i colori, ne ho imparato gli odori, la luce, i suoni. I sorrisi, gli occhi scuri e quell'aria di pace. Quella strana sensazione che tutto debba essere così. Che sia perfetto.
Ci son tornata altre volte e, sebbene fossi cresciuta, la sensazione di quiete mi torna ogni volta.
La sensazione di essere a posto, di esserne parte, di respirarla come ossigeno.
L'India è ipnotica. Lo sono i suoi silenzi ed i suoi rumori. I suoi canti fatti di vocali, le note scivolose e vellutate che risuonano ovunque. Lo è il viaggiare coi suoi mezzi, disastrosi e puzzolenti, lenti e caldi sotto il sole. Lo è nelle grida dei ragazzi in una corsa improvvisata tra autobus, nel sorpasso bizzarro e tremolante.
Lo è nel modo in cui gli indiani viaggiano in città, caotico e incomprensibilmente fluido. Lo è nella morbidezza dei movimenti, nelle pieghe dei vestiti, nella calma sapiente dei saggi.
Ti cattura nonostante tutto. Anche quando ti sorprendi a contare sei dita in un piede o in una mano, anche quando vedi deformità spaventose, quando senti odori che a casa non tollereresti.
Ti cattura con la sua lentezza elefantina, con le sue donne colorate, con quell'assurdo contrattare per ogni cosa.
Ti inonda con i suoi odori, alcuni terribili, altri più appetitosi. Ti riempie coi sapori, con il mangiare con le mani, col perdere lentamente il senso di civiltà che ti soffoca. E acquisirne un altro. Più armonioso.
L'India ti affascina perchè è vera, è lì. Ti sorprende perchè lascia morire chi lo deve fare, perchè non cerca di porre rimedio a tutto nonostante tutto. Ti sorprende perchè è naturale.
Lì tutto è vero e naturale, tutto lo sembra, almeno, anche quando è dilaniante.
L'India è un posto in cui ti senti a casa, ti senti libero e umano. Perchè lì non hai scuse, lì non hai bisogno di maschere o di simboli. Lì sei quello che sei.
Vedere l'India, sentirne i suoni, osservarne le immagini mi dà quel senso di quiete dell'anima che niente altro al mondo mi dà.

17.6.07

La rotta

Sono il tuo porto sicuro. Sono il posto dove trovi riparo quando fuori non ti piace il vento. Tra le mie braccia troverai la calma ogni volta che vorrai, sulle mie labbra troverai riposo. Nasconderò il tuo vascello nelle mie acque, i tuoi segreti saranno custoditi.
Con me puoi lasciarti andare, qui sei al sicuro. Non ti puoi incagliare nelle mie acque, sono profonde e scure e sanno di libertà.
Sono la casa a cui torni quando hai bisogno di riposare, il tuo giardino segreto.
Sono il tuo rifugio, la capanna sull'albero. Dentro di me puoi lasciare di tutto, lo ritroverai al tuo ritorno. Sono il posto dove ami tornare, il corpo che ami stringere. Puoi passare quando vuoi. La mia porta è sempre aperta. Ti darò ristoro, ti darò quiete, ti darò quello che cerchi.
Non mi interessa il possesso, non voglio rubarti niente, non voglio chiedere.
Questo è il modo che ho di amarti, il modo che ho di amare, se vuoi. Non ho bisogno di averti accanto, non ho bisogno di avere per essere felice.
Vorrei che le mie braccia ti dessero conforto, le mie labbra un morbido cuscino per le tue. Vorrei cullarti e darti il calore per passare la notte, darti la mia forza per affrontare un nuovo giorno.
Ovunque sarai, quando vorrai, troverai la rotta. Come hai sempre fatto. Tutti questi anni.

Lover


Clara e il ritorno di Nino

Ad un certo punto, quell'anno, Clara cominciò a pensare intensamente a Nino.
Lui era un ex fidanzato della mamma, un uomo intelligente, creativo, dalle mille risorse. Clara lo aveva conosciuto alle elementari, anche se la storia con sua madre risaliva ai tempi in cui lei aveva 18 anni. Nino era molto più grande della mamma, contro tutto e tutti avevano avuto la loro relazione, poi lei era stata costretta a tornare a casa. Ma il legame tra loro aveva resistito, evidentemente.
Quando Clara era alle elementari, Nino riapparve con suo figlio Antonio. I due bambini avevano la stessa età, o pochissima differenza. A forza di frequentarsi cominciarono a pensare che da grandi si sarebbero sposati. Lui era un bel rosso, con le lentiggini, Clara lo adorava. Nino aiutò Clara a dipingere il suo armadio, disegnando i volti dei protagonisti di Guerre Stellari, uno per anta. Era un bravo pittore, dote che per Clara era ispiratrice.
Tutti e quattro progettavano di trasferirsi nella terra di Nino, al sud della Spagna, dove avrebbero costruito la loro casa. Fecero un modellino in legno, una volta. Una casa quadrata, con un porticato ed un cortile interno, con tanto di alberi. Tutto su un piano e a pochi metri dalla spiaggia. Nino aveva il terreno e costruire una casa non era così difficile. Lo aveva già fatto insieme alla mamma di Clara, a Corio, vicino a Torino. La casa c'era ancora, in legno, pietra e vetro con un grande camino centrale e una vista eccezionale.
Clara ci andava spesso, allora, con Nino e Antonio. Lì aveva sparato i primi colpi col fucile, lì aveva spaccato il ghiaccio nel pozzo per lavarsi il viso, lì aveva mangiato la neve con lo sciroppo al ribes e letto le avventure di Tin Tin.
Poi, ad un certo punto, Nino e Antonio erano spariti. Clara non sapeva perchè, ma essendo piccola non se ne fece un problema.
Così, nell'estate '87, quando niente al mondo poteva distrarla dalla sua "missione", Clara cominciò a pensare a Nino.
E Nino arrivò.
Un pomeriggio qualcuno suonò. Una volta uscite, Clara e sua mamma si ritrovarono davanti il vecchio amico. Sicuramente cambiato, più curvo e triste, scalzo alla giuda della sua giardinetta. Suo figlio non era più con lui, la madre lo aveva preso con sè e portato in Francia. Non lo vedeva spesso e forse non tutto gli stava andando bene.
Parlarono a lungo, anche se rimasero fuori tutto il tempo. Clara sapeva che il fatto di pensare a lui e di vederlo comparire improvvisamente non era una coincidenza. Le capitava spesso.
Dopo quel giorno Nino scomparve dinuovo e nonostante Clara abbia pensato a lui qualche volta, non è mai tornato.
L'idea di una casa sul mare, in Spagna, con una famiglia stravagante di artisti le era rimasta in mente. Non importava che non fosse la sua famiglia originale. Le tornò la nostalgia del suo amico rosso, dei progetti di vivere insieme, di volersi bene per sempre.
Clara sviluppò un legame particolare con la Spagna, che resta il posto dove vorrebbe scappare ogni volta che le cose si fanno difficili. Il posto dove perdersi e vivere libera, il posto da cui veniva quell'uomo misterioso e in cui G.P. spesso spariva, il posto dove altri avrebbero deciso di vivere e altri di morire.

Da ascoltare:"Si tu non vuelves" di Miguel Bosè e Shakira

16.6.07

Sogni d'acqua

Acqua, acqua ferma, di smeraldo. Mi contiene. Acqua abitata da enormi esseri, fallici amanti infetti. Che mi avvolge, mi lusinga e mi cambia il mondo.
Acqua, melmosa, arrabbiata, mi travolge. Acqua che mi ricopre, mi inghiotte, mi soffoca. Acqua che non desidero, che rifiuto, che tengo dietro ad un vetro.
Acqua, bianca di schiuma e forte. Mi cerca. Mi lambisce, mi insegue, mi bagna. Acqua dai cui schizzi, dalla cui vita cerco di tenermi lontana.
Acqua, acqua di torrente, acqua trasparente, invade la mia casa. Mi fa fuggire, mi spinge a proteggere e mi fa arrabbiare. Acqua che distrugge la mia casa, che la inonda e la viola.
Terremoto di mare vicino, minaccia le mie cose. Acqua in colonne, in muri che cadono addosso, in oggetti che rovinerà. Acqua che tengo fuori, che non mi tocca, che non mi avrà mai.
Ancora acqua, acqua alla gola. Mi sorprende. Mi lega e mi blocca in piedi in cerca di equilibrio. Acqua che mi spaventa ma che non mi uccide, che mi lascia sopravvivere.
Acqua lenta di laguna e morte, mi provoca. Acqua di una piscina sporca che fa spettacolo e merce di corpi nudi. Acqua che mi fa osare, che mi scatena l'istinto e mi mette nei guai.
Acqua diamante del mattino e culla d'ardore. Acqua dei delfini, dei mille riflessi e dell'amore appena nato. Acqua che aspetta al fondo del baratro, affamata.
Acqua che colma la bacinella per lavare il sangue. Sempre più rossa, sempre meno pura lava pareti bianche. Acqua che non dimentica, che non perdona e porta con sè il dolore.
Acqua azzurra e tropicale culla il morto. Acqua che risuona nelle sue orecchie, che racconta le storie del mondo e che non mantiene il segreto. Acqua che porta amore, che grida di gioia, che riempie l'anima.
Acqua che dà la vita, che dà la morte, che cambia ogni cosa. Acqua che invade, che tocca, che inghiotte e soffoca, che ammicca sensuale. Acqua che mi perseguita come un amante respinto; l'orgasmo è acqua.

14.6.07

Clara e due nuove teorie

Dopo anni passati ad ascoltare le teorie più strambe da tutte le sue conoscenze, Clara cominciò a formulare le sue personali, con tanto di titolo. Una di queste, una delle prime è: tre giustificazioni sono una scusa.
Clara si era accorta che spesso, rifiutando un invito, le persone trovavano più di una motivazione. Il numero delle giustificazioni era sempre maggiore in quelle persone che non sapevano dire di no e che dovevano inventare qualcosa pur di evitarsi un evento indesiderato.
Secondo Clara, quindi, una persona che comincia ad elencare i motivi per cui non può partecipare a una festa (ad esempio) e che ne trova tre o più, semplicemente non ha voglia di andare alla festa e non sa come dirlo.
Un problema di eccesso di formalità o di scarsa sincerità. Un senso di colpa che si impossessa di chi si trova a mentire, per cui deve per forza inventare qualcosa oltre alla prima scusa, aggiungere sempre una sfilza di validi motivi.
Clara ha sempre preferito declinare un invito con una singola scusa o con la verità, evitando di sentirsi in colpa. Lei credeva fosse meglio risultare antipatiche piuttosto che rassicurare gli altri. Di certo non godeva delle simpatie generali, al di fuori della scuola di danza.
Un'altra delle sue teorie è: fai quello che vuoi ma non scordarti chi sei.
Questa era stata creata per Gabriella, perchè spesso si trovavano in disaccordo. Quando erano insieme, infatti, si divertivano moltissimo a fare le cretine, a provocare, a scherzare con chiunque. Clara aveva un suo autocontrollo, per cui nel momento in cui si trovava sola sapeva quasi sempre dove bisognava fermarsi. Gabriella si lasciava trasportare dal suo personaggio, per cui alla fine le persone che la conoscevano pensavano di trovarsi davanti ad una persona che lei non era. Certo, Gabriella era influenzabile ed aveva una certa propensione alla zoccolaggine, cosa che anche a Clara non mancava. Le capitava spesso di scimmiottare gli adulti, spinta anche dal senso di onnipotenza adolescenziale, per cui credeva di poter controllare tutto e tutti. Clara cercava sempre di farle capire che ad un certo punto bisogna fermarsi e tornare ad essere quello che si è, o si rischiano delle grosse delusioni. Come minimo ci si trova a portare una maschera tutto il tempo, ma ci sono anche cose peggiori. Gabriella fingeva così spesso che alla fine non si sapeva più quando era sincera. Fingeva coi suoi, con gli amici, coi fidanzati, con gli estranei. Spesso si lamentava di dover seguire le scelte che qualcun'altro faceva per lei. Ma quando si trattava di reagire a quello che non voleva, lei fingeva dinuovo. Clara aveva paura che a forza di obbedire sempre fingendo di farlo senza sforzo Gabriella avrebbe perso se stessa.
Clara non smise più di inventarsi teorie nuove, col tempo tra i suoi modi di dire e le sue teorie avrebbe costruito una nuova se stessa...

Da ascoltare: "The policy of truth" dei Depeche Mode

Prove di ballo


Sogno

Chiudo gli occhi, solo un attimo. Mi basta così poco per andarmene via.
Ho sognato una casa sul mare, con una grande terrazza immersa nel verde e nel rosso del tramonto. In quella casa io ci vivo da sempre. Tutto è mio, anche l'aria.
Davanti alla casa si apre un viale e al fondo di esso c'è un piccolo molo in legno. Il mare è tranquillo ed io sto aspettando. Intanto dipingo e guardo il cielo e la meraviglia di quello che mi circonda. Il vento mi scompiglia i capelli ed io sto così bene...
Mi sento rilassata come non mai.
Le stanze della casa sono preparate per gli ospiti. Ho messo lenzuola pulite e dato aria ai materassi, ho pulito tutto ed ho preparato del cibo. Sono stata precisa, come sempre. Ci sono dolci per la colazione, cose fresche per il pranzo e calde per la cena.
Ci sono cuscini morbidi su cui accomodarsi, acqua in cui rinfrescarsi dopo il viaggio. Tutto è pronto ed io sono tranquilla. Perchè tra poco arriverà la barca che sto aspettando e il tempo si fermerà. I giorni sembreranno settimane e la mia casa accoglierà, coccolerà ed amerà.
I riflessi sull'acqua giocano con l'oro del sole, il ritmo del mare che si arrampica sulla spiaggia e poi se ne va, l'aria che sembra esplodere, gli uccelli, gli alberi, la vita.
Tutto questo è perfetto, come un'opera d'arte il cui creatore è la vita stessa. La vita che insegna, unisce, distrugge e ricostruisce sempre.
Riapro gli occhi, sono sveglia. La sensazione resta la stessa, piacevole, delicata, dolce. Sono ancora rilassata e sento il mare, sento il vento, sento la vita...

13.6.07

Letterina di Natale 2002

Caro Papà,
ho pensato a lungo e so cosa voglio per Natale.

Mi viene da dire che vorrei indietro i miei sedici anni.
Credo che ognuno di noi sia la somma dei suoi anni, delle sue esperienze e delle sue fantasie.
Mi piacerebbe rifare le cose che ho fatto con più convinzione e senza combattere contro i mulini a vento dell’approvazione o della dimostrazione di potere.
Mi piacerebbe vederti a tutti i miei saggi e spettacoli, contento come una pasqua di avere la tua bambina sul palcoscenico. Mi piacerebbe sentire i tuoi applausi e i tuoi commenti a mio favore. Averti accanto in ogni momento, sapere che sei con me sempre, qualsiasi cosa io voglia fare della mia vita. Mi piacerebbe vederti contento delle mie scelte, anche se non le condividi.
Mi piacerebbe davvero poter arrivare da te, dirti che Tony mi ha offerto lezioni gratuite di danza, canto e recitazione, perchè secondo lui io posso diventare una professionista valida, perchè secondo lui il mio impegno, la mia costanza, la mia serietà e la mia passione fanno di me una persona che ce la può fare. A quel punto ti chiederei se posso andare, se sei d’accordo a darmi il tuo sostegno morale e... A quel punto tu potresti dirmi di si.
Lo so che è solo colpa mia se ho smesso a pochi passi dalla prima piccola vittoria. Lo so che nessuno mi ha obbligata a lasciar perdere. È che dentro di me c’è una bambina impaurita che ha bisogno di continue conferme, che ha bisogno di sentirsi dire che è amata, che è brava e che tutto andrà bene. Ne ha bisogno come dell’aria e per quanto io provi a nasconderla dietro ad una insopportabile, egoista e arrogante adolescente... quella bambina è sempre lì, e sta ancora gridando per la paura.
Per piacere, per Natale vorrei che tu potessi capire almeno quanto ho amato la danza, quanto ho desiderato il tuo appoggio incondizionato, quanto avrei voluto averti accanto anche quando non eri d’accordo con me, perchè averti accanto allora avrebbe significato una enorme conferma del tuo amore per me.
Lo so che non si torna indietro, sarebbe stupido anche solo pensarlo.
Ma con la fantasia, per una volta sola, facciamo finta che io stia arrivando da te per chiederti se posso partire per la Germania e inseguire il mio sogno. Facciamo finta che non sia passato un giorno dal momento in cui ho capito che amavo la danza più di ogni altra cosa. Vuoi aiutare questa bambina?
Ti voglio un mondo di bene, perdonami se delle volte sono tragica...
A presto.
Paola

12.6.07

Clara e il ballare sempre

Ben lungi dal porsi il problema di essere esibizionista, Clara amava ballare ovunque. Ballava a scuola e in discoteca, alle feste, in casa.
Ballava sotto i portici di Corso Vittorio Emanuele, andando a scuola. Nel bar in via Bellini, sul treno, in tram.
Una volta lei e le sue compagne, tra cui Nadia, improvvisarono una lezione di danza classica in un tram, tornando da un pomeriggio alle giostre, usando "gli appositi sostegni" come sbarre. Tutti i passeggeri erano divertiti quanto loro, anche se inizialmente avevano storto il naso.
Clara ballava ogni volta che sentiva musica, ovunque fosse e comunque la guardassero.
Ballava come era capace, disinvolta e sinuosa.
Tanto che ad alcune amiche non ballerine la cosa dava fastidio. Si vergognavano a ballare vicino a lei, che si faceva notare così tanto. In molte glielo facevano notare spesso e volentieri, così Clara cercava di trattenersi e di lasciare spazio anche a loro.
Ma sentirsi limitata non le piaceva affatto, così scelse di ballare sempre. Ogni volta che lo desiderava, ovunque fosse. E rideva così tanto nel farlo...
Più avanti, Clara avrebbe cominciato a ballare anche nel tempio dei breakers dell'epoca, sotto i portici del Regio, poi anche nei cortili delle scuole. Non poteva farne a meno.
Ballava in bagno, in camera, in cucina ed in salotto. In giardino.
Lo faceva dal momento in cui si alzava fino a quando le luci della discoteca venivano spente, per lasciar posto al personale che puliva.
Sembrava caricarsi con la fatica, con i movimenti cercava di esprimersi, perchè parlare era difficile, a volte.
Clara non amava altro che ballare, non c'era niente, nessuno, che valesse più del danzare.
Nessuno, o quasi, lo capiva.
I fidanzati cercavano sempre di fermarla, le promettevano qualsiasi cosa avrebbe funzionato con una ragazza normale. Solo che con lei non funzionava.
Così anche la sua famiglia paterna. Cercavano di calmarla con proposte, promesse vantaggiose. Volevano comprarla e farla ragionare a modo loro.
Clara è sempre stata una testa dura, un'ostinata passionale. Nulla la fermava quando voleva davvero qualcosa. La passione oltre tutto. Avrebbe ucciso pur di continuare sempre a farlo. A vederla così, Clara non avrebbe mai potuto smettere.
Aveva ballato fin dal seggiolone, in realtà. E, anche se negli anni le è capitato di non farlo per qualche periodo, Clara balla tuttora ovunque si trovi. Tram, bar, lavoro, casa... Come se le servisse per respirare quando la vita la schiaccia un po'.


Da vedere: "The Rocky Horror Picture Show" di Jim Sharman

10.6.07

La creatura

La creatura si muove
nella sua gabbia di vetro,
cerca tra la gente
uno sguardo amico.
Com'è sola la creatura,
ora che l'avete messa in gabbia
e al mondo non c'è creatura
che abbia le sembianze di questa,
che nella gabbia trema.
Quanta paura ha la creatura,
paura di voi che la guardate,
la giudicate e la isolate
solo perché la sua pelle è diversa,
perché i suoi occhi sono diversi,
perché la sua mente è diversa.
Prima trema, poi comprende
e si mostra come un pavone
a chi la guarda,
dimostrando una sicurezza che non ha.
E torna ad essere insicura
e trema ancora di paura.
La creatura soffre nella sua gabbia
dalle pareti di vetro,
dietro le quali voi state
e la fissate.
Non sapete quanto male
le state facendo.
Non ha un attimo di tregua,
è sempre osservata,
a volte è derisa
perché la sua pelle è blu.
Non siete capaci, voi,
di accettare ciò che è diverso
senza isolarlo completamente,
ma per questa vostra incapacità

ora la creatura muore...

7.6.07

Da su


Clara e il suo show

Il momento era arrivato.
Era il 4/6/1987, il giorno del debutto di Clara come cantante. Aveva accettato senza pensarci su, in fondo canticchiava da quando era piccola. Non aveva valutato l'impatto del pubblico, pensava di esserci abituata, pensava che non sarebbe stato difficile, nemmeno un po'.
Aveva preparato tutto, con cura e attenzione. Aveva indossato il suo costume e si preparava a cantare le canzoni di Madonna. Ma dentro cominciava ad avere paura.
Nei camerini tutto sembrava più difficile. Le ragazze che l'aiutavano erano pronte e un po' agitate. Loro non avevano mai ballato in pubblico. Avevano i loro costumi turchesi, cuciti con Clara e fatti su misura. Si erano truccate ed aspettavano che fosse il momento giusto.
Mentre si truccava, Clara ripassava mentalmente i passi del balletto che avrebbe fatto su "Holiday". Aveva montato la coreografia in poco più di una settimana, nei ritagli di tempo. C'erano dei punti che non le venivano ancora naturalmente.
Chiese un whisky. Lo trangugiò prima di salire sul palco, poi tutto cominciò.
La base di "Like a Virgin" fatta dal gruppo di Claudio era la prima. Clara attaccò al momento giusto, anche se le tremava un po' la voce. Con la coda dell'occhio controllava che le ragazze non si perdessero. Era pronta a suggerire loro i passi, ma preferiva non farlo.
La sala davanti a lei sembrava piena, la gente con cui di solito ballava era ammassata intorno al piano rialzato che fungeva da palco. Alcuni erano seduti sui bordi, altri arrampicati su tutto ciò che trovavano. Un ragazzo che Clara conosceva bene era sulle spalle di qualcun'altro. Tutti vociavano, ma non si capiva molto di ciò che dicevano. E non era così importante saperlo.
Clara indossava le sue onnipresenti calze nere strappate, una minigonna in raso a balze, un body nero a canottiera ed il gilet con gli specchietti che le era servito al saggio di danza classica del Teatro Nuovo. Ai suoi piedi un paio di stivaletti di pelle nera, stile punk, pieni di fibbie.
Cantò tutta la prima canzone attentissima ai particolari. Cercava gli occhi di Claudio, che era venuto apposta per lei. Lui, però, l'ascoltava dalla cabina dei d.j. come un vip.
Partì "La isla bonita", una canzone semplice quanto la precedente. Le ragazze confusero un paio di passi, ma niente di grave. Clara, microfono tenuto come una professionista, controllava davvero tutto. Suggeriva, ballava, cantava e osservava. La voce cominciava a funzionare bene, come lei era abituata a sentire.
"Live to tell" era quella che Clara temeva di più, quella che aveva provato meno e che aveva qualche basso in più. Le ragazze scesero dal palco per lasciarle il campo libero. Non c'era un balletto per quel lento. Clara continuò. Il pubblico cominciava a spazientirsi un po'. In discoteca tutto deve essere veloce, perchè la gente vuole ballare.
Clara fece finta di niente e continuò per la sua strada. Forse non era eccezionale, ma era certa di aver fatto un lavoro migliore di altri che aveva sentito. In fondo anche il lento non era eterno.
Così arrivò il momento di ballare. Clara approfittò del microfono per ringraziare tutti.
Poi lo lasciò e si mise in posizione per la sua ultima fatica. Ballare era più facile. Lo faceva da sempre e da sempre in pubblico.
Non sembrava nemmeno stanca. Il balletto scorreva senza grossi intoppi. In ogni caso nessuno se ne sarebbe accorto, tranne Anita.
Anche il balletto finì, con una serie di spaccate ed un inchino.
Poi ci fu la premiazione per la serata, ed una targa andò a Clara e alle sue amiche per il lavoro fatto. Era a posto. Aveva fatto tutto. Si rifugiò nei camerini con Claudio, a farsi rassicurare.
Lui fu carino come sempre e le tirò su il morale. Ogni volta che finiva qualcosa, Clara pensava di poter fare di meglio, quindi non era abituata a godersi semplicemente il momento.
Andarono a ballare i lenti. Dal bordo pista, il ragazzo col cappello la guardava ballare con Claudio e la detestava un po', anche se era finita.
A fine serata, dopo i lenti e la chiusura, Clara prese i suoi soldi dal proprietario del locale, si fece una birra con lui e i d.j. mentre il personale ritirava tutto, poi tornò a casa con mammà.
La sua serata era passata, l'occasione sfruttata. Il futuro là che l'aspettava...

Da ascoltare: "I want you" di Madonna

6.6.07

La rinuncia

Ho fatto della rinuncia il mio stile di vita.
Ho imparato a perdere le cose, ho imparato a vivere anche senza. A dare ad ogni cosa il giusto valore. A non considerare niente davvero necessario.
Ho vissuto con poco, ma non mi dispiace. Non ho fatto viaggi, non ho visto concerti, non ho fatto grandi cose. Sono sopravvissuta ad ogni perdita. Economica, emotiva, affettiva.
Ho pensato, per un po', di aver perso tutto perchè me lo meritavo.
Pensavo di essere un mostro di persona, di non meritare niente di buono, nessuna gratificazione.
Mi sono negata anche la percezione dei miei stessi sensi, tanto che mi si poteva toccare senza che io sentissi nulla. Mi si poteva avere senza che io provassi anche solo l'ombra del piacere.
Mi sono tolta amici, ho rinunciato a cose e persone cui tenevo. Sono stata la mia stessa carceriera.
Ora io non ho paura di perdere qualcosa. So che vivrei comunque.
Non sono più molto sicura di non meritarmi le gioie e le piccole soddisfazioni che la vita offre.
Non credo di voler rinunciare ancora a vivere, per quanto in certi momenti la vita sembri spietata e ingiusta.
Come mi sono imprigionata, io voglio uscire.
Voglio rinunciare a punirmi, voglio smettere di pensare male di me. Smettere di prendermi troppo sul serio.
Sono solo un insulso ammasso di cellule, nell'economia di questo universo. Non voglio arrabbiarmi, non voglio dare peso alle mie paranoie. Voglio ridere, voglio che le persone accanto a me mi scoprano, e che ridano con me.
Voglio volare...

5.6.07

Lo strappo

Io ne ho di pazienza. Sopporto qualsiasi cosa senza sforzo apparente. Perdono, lascio passare, non reagisco. Sembra che tutto mi scivoli addosso come pioggia su un impermeabile.
Eppure la delusione mi corrode, volta dopo volta.
Sono capace di dare molto, ma a volte chiedo molto in cambio. Chiedo dedizione, ascolto, amore. Affetto, carezze, baci. Sincerità, memoria e rispetto.
Chiedo di non essere invisibile, di non essere scontata, di non essere lasciata in un angolo a piangere. Che non mi si ferisca, non mi si umilii, che non mi si annulli.
Basta così poco a tradire la mia fiducia.
Ed io accetto tutto o così sembra, finchè la carne non si lacera. Ma non dimentico mai una ferita. Me le ricordo tutte e tutte bruciano più dell'inferno. Tutte insieme pulsano insistentemente.
Ci vuole poco per tagliare quel filo che corre lungo la lama. Ci vuole poco affinchè la delusione diventi rancore, o peggio, freddo.
Lo strappo nel mio cuore non si richiude più. Come una piaga incurabile, resta aperta e mi impedisce di dare nuovamente fiducia. Senza fiducia non c'è amore.
Io credo nell'amore. Sopra ad ogni altra cosa.
Credo sia forte, indomabile, terribile. Credo sia eterno, anche se le relazioni spesso non lo sono. Credo sia un'espressione naturale, un dono che non tutti hanno. Credo che sia dare, nonostante tutto, fino in fondo.
Ma giunti allo strappo, là, in fondo, non c'è più molto da dare.

3.6.07

Cercandoti

Poesia contenuta in "Parole d'amore insano".

Dedicata in parte alla musica, in parte all'amore.