30.4.12

Citazione da scrittore...

"Non correggo mai nulla e non torno indietro a quello che ho scritto, tranne alla fine dell’ultima pagina per vedere dove devo andare. Se vi guardate indietro una volta, siete finiti. Come ho potuto scrivere questo schifo? Come ho potuto usare “terribile” sei volte in una pagina? E così via. Se si interrompe la scrittura di narrativa veloce con troppa introspezione e auto-critica, sarete fortunati se scriverete 500 parole al giorno e sarete disgustati di esse. Seguendo la mia formula, scriverete 2000 parole al giorno e non sarete disgustati fino a quando il libro non è finito, che sarà nel giro di sei settimane."

(Ian Fleming)

25.4.12

Piccolo esperimento


Quando siete pronti cliccate per avviare il video e preparatevi a imaginare quel che segue, leggendolo piano, con la musica.
Immaginate il buio, la notte in una città enorme. Immaginate le scene rallentate, colori freddi perlopiù. Neri, grigi, blu e qualche tocco di colore più vivace. Neon, maniglie, una H dipinta sul tetto di un grattacielo. Un elicottero scuro si avvicina, resta sospeso sulla H, poi si posa delicatamente.
Uomini in uniforme scendono dall'elicottero. Sono in tenuta da combattimento nera, con armi pronte alla mano. Si sparpagliano sul tetto, entrano uno a uno dall'unica porta visibile. Scendono le scale attenti a coprirsi l'un l'altro.
Contemporaneamente una seconda squadra smonta da un paio di furgoni scuri nella strada sottostante. Stesso abbigliamento, stesse armi. Salgono le scale. Luce pallida che illumina ogni piano.
Le due squadre si incontrano allo stesso pianerottolo e lanciano fumogeni attraverso una porta prima di irrompere nel locale della festa. Scatta l'allarme antincendio. Viene dato il segnale. Gli uomini entrano.
Tutto è bianco.
Nella confusione si vede gente smettere di ballare, ci sono camerieri che lasciano cadere i loro vassoi e tavoli imbanditi sul fondo della sala. Uomini e donne si fermano spaventati.
La gente tossisce confusa e chiede aiuto agli uomini vestiti di nero che sembrano essere giunti apposta per salvarli. Uno ad uno vengono controllati e fatti uscire, mentre parte della squadra prosegue nei corridoi.
Il fumo sembra tinto d'ambra mentre gli uomini raggiungono il fondo di un corridoio.
Un uomo li dirige, correndo avanti con loro, mitraglietta alla mano. Ha i capelli corti e scuri ma si vede comunque che sono mossi, il viso ovale, la barba incolta e gli occhi verdi che scandagliano il corridoio.
Mentre la squadra entra nell'ultima sala il fumo si dirada lentamente.
Una massa di figure scure sta al centro della sala, apparentemente senza interesse per i nuovi venuti. Guardano tutti verso il centro della stanza, mentre tutto intorno a loro ci sono persone immobili. Chi sui divanetti, chi sul pavimento, alcuni riversi su di un tavolo da biliardo. Non propriamente privi di coscienza.
Lo sguardo del capo della squadra segue la scena così come la stanno vedendo i mostri davanti a loro.
Essi sono tutti egualmente calvi e pallidi, magri tanto da sembrare teschi. Indossano una specie di abito nero a metà tra il pigiama e l'uniforme. Hanno occhi animali, neri e privi di ciglia. Solo quello al centro sembra differente, quello che guardano tutti.
Ha una bella camicia aperta sul petto muscoloso, capelli neri folti e lunghi che gli incorniciano il volto, un colorito roseo e normalissimi occhi umani.
Tra le sue braccia tiene una vittima, dolcemente ma con fermezza.
Una ragazza con lunghi capelli castani si dimena per liberarsi dalla presa dell'uomo. Lotta mentre tutte le creature presenti cominciano a muoversi per scappare o per difendersi.
I soldati ingaggiano battaglia con i mostri.
Finalmente l'uomo al centro della sala alza gli occhi dalla donna che cerca di tenere con se e fa una smorfia. Perde la presa. Lei si libera e cade a terra scalciando. Si allontana come può, senza voltare le spalle all'uomo che la teneva. Usa le gambe per spingersi sul pavimento mentre le mani fanno presa sulla moquette dietro di lei. Non riesce a smettere di guardarlo. Non grida nemmeno. L'uomo praticamente svanisce nel caos.
Arrivata a una distanza accettabile da dove era caduta tenta di alzarsi, ma non ce la fa. Crolla a ogni tentativo.
Uno dei soldati la soccorre e le inietta una sostanza nel collo mentre attorno a loro alcuni uomini combattono con gli esseri che occupavano la stanza. La ragazza sviene e resta sul pavimento. Nessuno la calpesta.
Nè i soldati, nè i mostri.
Questi ultimi sono in fuga, rapidi. Quelli che non ci riescono cadono al suolo sotto i colpi degli uomini.
Dopo aver impartito gli ordini alla squadra, il loro comandante si inginocchia accanto alla ragazza e la sostiene con il braccio sinistro, ripone l'arma nella fondina e usa la mano libera per controllarle il battito. Poco dopo lei apre gli occhi e incrocia quelli di lui. Sono occhi limpidi, quelli di lei. Confusi e spaventati, ma limpidi. Non si parlano.
Lui la solleva lentamente e la porta fuori dalla stanza mentre alle loro spalle divampa l'incendio. Quello vero.

Se siete riusciti ad andare abbastanza piano, se avete osservato i dettagli pur senza conoscerli, se sentite l'odore del fumo che sale nella vostra stanza... Allora vedete quello che vedo io.

18.4.12

Magia

Credo nella magia delle parole.
Nel modo in cui suonano e si amalgamano in certi testi, per come ti catturano e ti portano altrove.
Come un mantra, un brano ben scritto riesce a creare una connessione tra l'anima e il mondo. Quello creato dall'autore, quello inimmaginabilmente vero. La perfetta sequenza, un vocabolo dietro l'altro, solo chi conosce la magia può arrivare a tanto, solo pochi eletti.
Questo è quello che inseguo.
Niente più. Come se non dovesse esserci altro modo.

16.4.12

Foglia

Ho, nel tempo, costruito un'immagine di me.
Scavando nel peggio del peggio mi sono rispecchiata, ammirata come fossi mostro. Ho dato i lineamenti al mio dolore e ho lasciato che il mondo mi guardasse come un piccolo Frankenstein, accozzaglia di pezzi senza un senso compiuto.
Ho pensato che tutto quello che mostravo fosse vero. Ho creduto alla mia stessa favola temendo l'ombra dei miei pensieri, sacrificandomi a ogni carnefice che volesse una vittima, lasciando che amore mi consumasse la vita. Come una sanguisuga ho lasciato che mi si attaccasse e prosciugasse ogni anima che ho amato.
Ho avvertito chiunque di non starmi vicino.
Così con l'amore ho distribuito distruzione e con le lacrime il sangue. Senza volerlo ho percorso le strade dell'inferno dandomi colpe che non ho mai avuto, sollevando i colpevoli dal loro delitto e infierendo su di me, penitente e immonda creatura.
Lo specchio non mi ha dato tregua. A ogni sguardo vedevo una cosa nemmeno più umana, indegna d'amore e di felicità alcuna.
Ma un giorno ho alzato lo sguardo e dentro allo specchio ho visto un'altra donna. Quella che non mi somigliava affatto e che invece ero sempre stata. Non quella che avevo dipinto.
Quella donna, ormai adulta, ormai disillusa, ormai consumata; quella mi ha portata qui.
Qui, oggi. Con un aspetto diverso che pare addirittura più giovane di prima, con una leggerezza di spirito mai avuta pur conservando una profondità che non m'è mai mancata. Con qualche sorriso in più, ma non più sarcastico, non caustico. Libero.
Perché libera mi sento e libera lo sono davvero. Anche da tutte le cose che dovrei fare e che tardo, anche da quel romanzo che vorrei pubblicare e da quello che vorrei finire.
La vita mi ha portata fin qui su di una foglia, in mezzo a una corrente che non avrei potuto risalire. Su quella foglia il viaggio è stato lungo, agitato e calmo allo stesso tempo. Su quella foglia arriverò alla fine del viaggio facendo quel che devo e quel che so. Quando sarà il momento tutto andrà veloce e bene. Pubblicherò, finirò libri, ne scriverò mille altri. Devo solo lasciarmi andare.

15.4.12

Buio

Nel buio della notte mi piaceva guardare fuori dalla finestra, nella mia camera da letto al piano di sopra.
Quando dormivo lì era difficile che avessi voglia di buio totale come invece mi capitava sotto. Dal letto accanto alla finestra vedevo il cielo che quando andava bene era cosparso di puntini luminosi e brillanti, mentre quando il tempo non era dei migliori aveva un colore cupo tra il grigio plumbeo e il blu scuro.
Guardando fuori, proprio sopra alla cima degli alberi che segnavano il confine tra la nostra terra e quella del vicino, potevo osservare la luce del faro andare e venire in circolo finché non mi addormentavo.
Il faro del parco della Rimembranza, in cima alla collina, mi teneva compagnia ogni notte insieme alla musica della radio. Allora una radio senza speakers in cui si susseguivano brani interrotti solo dall'annuncio secco di titolo e interprete. Osservavo le cime ondeggiare quando c'era vento e tentavo di indovinare l'arrivo della luce senza prendere riferimenti.
In quegli istanti il cielo diventava più chiaro, da destra verso sinistra, poi la luce svaniva e lasciava lo spazio al colore naturale della notte.
Sotto a quel faro sarei andata a ballare più volte, negli anni a venire, quando una discoteca con pista all'aperto e dondoli bianchi e gialli andava di moda. Ci andavo accompagnata, vista l'età, ma già allora non scendevo di pista un attimo. Scivolavo sicura sulle piastrelle chiare mentre quella che al tempo non era ancora mia sorella (ma lo sarebbe stata per poi non esserlo più) guardava i videoclip seduta sul bordo tondo della pista. All'interno, gli zombie di Thriller ghignavano coi loro denti marci e con gli abiti a brandelli.
Anche lì guardavo il cielo in attesa di vedere passare quella luce, confusa dai faretti della discoteca e dalle stroboscopiche in sala.
Il faro era la mia guida, allora. Finché c'era la luce ero al sicuro.
Ancora mentre rientravamo dall'ultima casa di mia madre, due anni fa, puntavo gli occhi sulla collina e cercavo il faro, certa che lì sotto ci fosse ancora quella casa in cui ero stata felice. In cui ero stata anche triste, disperata, arrabbiata, sola. Ma felice. La casa coi fantasmi, quella in cui i ricordi mi riportano sempre.
Niente come quella casa mi è rimasto incollato addosso. Niente come la sensazione di essere sola al mondo in mezzo ad alberi e cielo mi ha mai fatto sentire più in pace.
Il vento nel silenzio, la luce del faro e, davanti, tutta la città a splendere di mille lampadine colorate quasi fosse un albero di Natale perennemente montato.
Niente come il buio mi cattura lo sguardo.

8.4.12

In the mood for...

In questi ultimi mesi non sogno più le solite cose.
Bene, mi direte voi, visto che di solito sogno omicidi, squartamenti, mostri, guerre e tanto sangue. Invece no. Queste cose mi mancano moltissimo, soprattutto ora che sto riprendendo la scrittura di quel fantahorror che mi complica la vita da un po' e che, guarda caso, nasce da un sogno. O due pezzi di sogni diversi, ma in qualche modo con lo stesso mood.
In uno il mio alter ego (essendo la protagonista del sogno è ovvio che fosse una qualche versione di me), vestita di una tuta molto aderente e scura, con una lunga coda di cavallo castana a imprigionarle i capelli, alzava lo sguardo sentendo arrivare qualcuno. Era qualcuno che amava, di sicuro, ma in qualche modo non era più lui. Aveva gli occhi coperti di quel velo lattiginoso che a volte hanno i morti. Ma era vivo e le diceva di andarsene prima che fosse tardi. E lei non riusciva a far altro che chiamarlo, Jack, anche indietreggiando per scappare.
Il secondo sogno vede di nuovo una ragazza che entra in una stanza in cui le persone cambiano forma continuamente, passando dal normale all'orrendo. Poi il freddo e palazzi grigio-blu, un uomo che si nasconde e che vuole arrivare in un posto senza essere preso.
Bene, insomma. Tutto questo ha un mood suo particolare che musicalmente suona come Pink Floyd, Linkin Park, Massive Attack, qualche brano un po' più pop e un tocco della musica di Prem Joshua.
Il problema principale é che quel mood in questo periodo non è il mio. Un po' perchè non sogno, un po' perché mi sento diversa, forse più combattiva che cupa, forse più viva che morta. Ma questo romanzo lo voglio finire perché è bello. Non solo piace a me (che, vi assicuro, non è facile), ma anche a chi di questo genere non legge mai nulla e che quindi è più propenso alla critica spassionata. A rileggerlo, cosa che sto facendo ora, sembra quasi pronto, senza grosse correzioni da fare, poche ripetizioni, qualche termine da ricontrollare. Niente di più. Scorre, cambia, si evolve, ha una serie di personaggi tutti ben studiati e approfonditi, ha una trama complessa e un finale che è già chiaro nella mia testa e che devo solo scrivere. Solo, appunto.
Che di quel mood lì ho bisogno assolutamente per farlo e non mi viene. Accidenti.

5.4.12

Idee balzane

Tipo far diventare le "Parole d'amore insano" una cosa diversa...
Sto coinvolgendo amici e conoscenti per portare in giro il mio libro con accompagnamento musicale, ogni volta diverso. Ogni volta nuovo.
L'idea è quella mentre per i soliti scherzi del destino solo gente che vuole scroccarmi denaro mi contatta per il romanzo. Ma ce la farò, io non mollo. E non pago. Il mio lavoro merita un po' di rispetto e io sono disposta a molti altri sacrifici e fatiche inumane per farlo funzionare e vendere. Solo non voglio che qualcuno ne approfitti.
Così sarà un altro no che pronuncio io, meglio di un no di altri. Meglio pensare a serate poetiche e piene di note soffuse e non.
Ne vedrete delle belle, qui non ci si ferma.

2.4.12

Metti un weekend a Rieti

Quelle cose che aspetti da tempo, rivedere amici e posti.
Trascorrere due notti a casa dell'amica soprano, nella stanza ricavata dal negozio con il manichino a tenerti compagnia. Tavolate di mangioni, torte di ogni genere, sorrisi, tanti abbracci. Qualche nota di chitarra, due passi lungo il fiume sotto al sole.
L'amico poeta motociclista rock che vuole sapere cosa penso dei suoi ultimi lavori. L'erborista scontenta che progetta film horror da vedere in compagnia per ridere come pazzi fino alle quattro del mattino. Donne che arrivano da ogni dove, cani che convivono quasi in pace e gatti che osservano gonfi e curvi.
Collezionisti di soldatini, donne che vivono in auto con figlie danzerine. Bar dove accettano i cani per far colazione, una partita al biliardino nel cuore della notte (quasi) e tanta, tanta pace. Lo stare davvero bene, l'emozionarsi insieme, andare in là cantando a squarciagola e tornare quasi in silenzio discutendo di bellezza e di evoluzione spirituale.
Tornare, sì. Senza alcun desiderio di farlo, se non per la comodità di stare a casa propria con tutto il prorpio mondo intorno. In attesa del prossimo giro o della prossima visita per ricambiare l'ospitalità.