22.12.08

Signora al tiggì

...
"Io voglio essere regalata un anello, col brillante. Ma non so se mi arriva quest'anno. Magari il prossimo."
...

Serve un commento?

18.12.08

Usanze natalizie che non uso

Come moltissime altre persone trovo che questo periodo di festa sia deprimente. Non per il freddo e le giornate corte, non perché segretamente depressa, ma perché trovo il Natale estremamente stancante. In generale.
Anche da piccola, eccezion fatta per i primi anni, la festa non ha riscosso un grande entusiasmo. Sono figlia di separati e da sempre Natale significa doppia festa. Cioè la vigilia con mamma e famiglia di mamma, il 25 con papà e tutto il mondo intorno alla famiglia.
Se da una parte il nucleo era ristretto e accogliente, persone con cui vivevo a stretto contatto ogni giorno tutto l'anno; dall'altra era il caos. Nonni, zii, cugini, zii dei nonni, nonni acquisiti, nipoti dei nonni acquisiti, un clan al completo. Di cui per tutto l'anno non avevo notizie, tranne di qualcuno.
Lungi dal credere a Babbo Natale, sapevo bene dove trovare i miei regali anche quando mi dicevano che non era il momento. L'unico regalo che mi ha meravigliata è stato un peluche enorme, un leone, che ho trovato sotto l'albero quando nemmeno facevo le elementari. Ovviamente era l'albero a casa della nonna materna, nel salotto col bovindo di via Collegno. Il salotto col lampadario a gocce, col televisore in bianco e nero enorme in un angolo. Casa mia.
Poi altri natali in collina, guardando la neve scendere da dietro ai vetri. Tutto nella calma e con musica classica di sottofondo, la tovaglia ricamata e i piatti belli. E i miei nonni.
Il pranzo di Natale del ramo paterno raccoglieva persone a decine, tavolo dei grandi e tavolo dei bambini, portate su portate, rumore, conversazioni fatte a volte ad alta voce, altre volte mascherando l'argomento dietro a una lingua straniera. Il disagio di dover ricordare ogni anno chi io fossi ai parenti dei parenti. Le lettere a Babbo Natale (dicesi liste dei desideri) mai rispettate. Chiedi una cosa e arriva automaticamente un'altra. Che non ti interessa, che non volevi e che abbandonerai entro 10 minuti dall'arrivo a casa. Il disagio di stare a tavola con coetanei, mai piaciuti. Mondi diversi che non potevano coesistere nemmeno allora.
Una festa lunga, senza magia, senza il calore che avrei voluto da loro. Il regalo, il dono, tutto perfetto, ma non soddisfacente. Io ero avida di altre cose. E le canzoncine cantate a forza con il cugino che suonava l'organo Bontempi (quello arancione, sì), giusto per far vedere che bella vocina avevo e quanto era bravo il cugino a suonare.
Il Natale col menu ricco, quello stupefacente, quello che viene servito con tutti i crismi come in un buon ristorante. Etichetta rispettata e bon ton assicurato. E nessuna voglia di festeggiare.
Anzi.
Proprio a Natale mi saliva quella rabbia sorda, ma manco tanto sorda, e la cattiveria, e la voglia di esplodere e prendere tutti a parolacce. Niente vestitini carini, niente sorrisi, niente regali. Niente auguri, solo veleno in libera uscita. E liberazione.
Invece fingevo, da brava bambina. Sorrisi, baci, auguri e frasi di circostanza. Finché non sono stata abbastanza grande, quando ho smesso di andare alla farsa.
Da una parte le cose sono cambiate. Non c'è più il clan, non c'è l'obbligo. Vigilia con mamma e sorella, Natale con papà e famiglia. Un tavolo accogliente, caldo. C'è la famiglia. In entrambe le occasioni.
Dall'altra Natale è lo stress delle luci due mesi prima, degli acquisti obbligati, della gente impazzita che riempie i negozi anche quando non ha soldi. Quelli che fanno andare le carte di credito come se non pagassero loro. Quelli che devono essere buoni.
Io ho deciso che no. Che faccio in un altro modo.
Evitando gli eccessi, le spese assurde per i regali; salmone, caviale e champagne in tavola; quei piatti cui non si può rinunciare (come le lenticchie a capodanno...); l'albero, il presepe, le lucine e tutti sti Babbi appesi ai balconi brutti come impiccati. Insomma, se il Natale ha un senso - io non sono credente quindi non avrei nemmeno da festeggiare - non credo sia questo.
Quindi festeggio a modo mio.

13.12.08

Alle superiori, ultimo anno

Il professore di Italiano finisce di dettare la lezione su Moravia…
“…un’apatica sensazione.”
Dal primo banco, una alunna dai lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri, alza la mano sorridendo. Ha l’espressione gioiosa dei diciott’anni, dei pensieri felici che fanno volare via le giornate.
“Professore, ma cosa significa patica?”
Lui la guarda, indeciso. Poi risponde:
“Al tuo paese non so, ma in italiano non vuol dire nulla…”
Lei, espressione di vuoto mentale, riguarda il quaderno. E non capisce.

11.12.08

Aspettative

Come anche per altri argomenti, mi tocca cominciare con un "non so perché".
Io scateno aspettative. Sempre fatto.
In un modo o nell'altro, fin dai primi passi, gli altri si aspettano cose da me. Normale, dite.
Mia nonna mi ha insegnato a scrivere (con la mano giusta, che io di natura sarei mancina), a tenere un pennello in mano, a scatenare la mia fantasia. Forse si aspettava che diventassi una artista in tenera età. In effetti... (alle elementari ho scritto un tema in versi e sono un tipo creativo). I genitori, ovvio, avevano le loro. Più o meno pressanti.
Gli insegnanti a scuola volevano che io fossi la migliore sempre, mentre io volevo solo essere normale. Evitare i compiti, le interrogazioni, i pomeriggi a studiare. Avrei voluto divertirmi, ad esempio. Non trovarmi perennemente come termine di paragone per le compagne di classe che già non mi cagavano manco di striscio. Gli insegnanti si aspettavano che io mi comportassi da prima della classe, che avessi a cuore una carriera scolastica da 10/60/110 e lode. Invece a me non poteva importare di meno.
Quando facevo danza molti si aspettavano che io mi mettessi in competizione con le mie colleghe, mentre a me bastava poter ballare, imparare tutte le coreografie possibili, poter salire su un palco. Uno solo tra i miei insegnanti lo ha capito. Uno solo mi ha detto che sarei stata una buona ballerina professionista. Non una star, non l'etoile. Nemmeno una prima ballerina. Ma una professionista. Lui si aspettava da me solo quello che potevo dargli. L'unico.
I miei fidanzati/innamorati/amanti/storie da una sera/baci rubati, tutti e **, mi hanno guardata e hanno visto qualcun altra... Non ero io.
Vi pare, ad esempio, che una aspirante ballerina con un buon Q.I. e una discreta educazione/cultura avrebbe potuto sposare a 15 anni un aiuto cuoco? (Scaricato al volo dopo la richiesta) Certo che no.
Ma non è solo questione di richieste impossibili, no. La questione è che nessuno ha mai preso in considerazione la persona che sono. Vedevano in me quello che volevano loro. Un giocattolino, una che si può e deve manovrare, una che può essere solo felice ad avere un futuro qualunque.
Ce l'avevo già un futuro qualunque. Anche da sola.
Tutti a decidere cosa e come e perché dovevo fare. Con chi dovevo parlare, con che abbigliamento dovevo uscire, quali progetti portare avanti, quali speranze coltivare. Quanto dovevo mangiare, cosa dovevo scrivere nelle mie lettere, quando dovevo reagire e quando no. Tutti a pensare al sistema migliore per togliermi la vita. La libertà. I sogni. La dignità. Tutti a cercare di farmi sentire una merda, perché loro avevano voglia di gestirmi come gli pareva. Se io non ero d'accordo, se non stavo bene, se chiedevo qualcosa di più o di diverso, se manifestavo lati del carattere, non obbedivo, non mi accontentavo... così non andavo bene.
E giù mazzate. Commenti, cattiverie, battute. Qualche schiaffo, piccole vendette.
Va bene, io sono un tipo accomodante. Faccio poche richieste e cerco di non avere da discutere ogni volta. Di solito amo chiedere le cose una volta sola. Mi piace che le persone mi ascoltino quando parlo e che capiscano quando chiedo qualcosa.
Anche al lavoro, stessa storia. Io mi assumo le mie responsabilità, ma quando chiedo qualcosa si tergiversa sempre. Che sia l'istruzione data alla nuova arrivata, che sia evitare un discorso inutile, che sia la richiesta di un piccolo aumento. Si fa finta di niente. Perché tanto io sono buona. Tanto non reagisco, tanto non creo problemi.
Quanto vorrei un machete!

6.12.08

Guida al sonno per pazzi scatenati

Non so come possa succedere, ma fin da piccola in certi momenti ho potere sui miei sogni. Non su tutti, purtroppo. Sono nota per i miei incubi.
Ad esempio, da piccola sapevo che se mi addormentavo ascoltando i battiti del mio cuore avrei avuto un incubo. Succedeva ogni volta. Incubi da bambini, con personaggi molto simili a quelli dei cartoni animati o dei fumetti. Niente di troppo complicato.
Poi sono arrivati gli incidenti automobilistici. Quello più ricorrente era l'investimento di un bambino che correva in strada per prendere la palla, vicino ai giardini. Si ripeteva anche più volte a settimana, con il sangue e poltiglia non ben identificata sparsa sull'asfalto. Al risveglio avevo un sapore terribile in bocca e spesso la nausea.
Così ho cominciato a pilotare i sogni. Dopo essermi sdraiata e rilassata un pochino, formavo l'immagine di un posto (anche sconosciuto), vedevo dei personaggi, insomma mi facevo le prime scene di un film personale. Da lì, il sogno partiva facilmente e quasi sempre le cose andavano per il verso giusto. Cose pacifiche, storie d'amore (rigorosamente platonico, ero troppo piccola per altro), avventure nello spazio, amicizie che nascevano e si sviluppavano in situazioni mai complesse.
Capitava spesso, anche, che io riuscissi a "svegliare" una parte di me quando il sogno prendeva una brutta piega e lo riprendevo da un punto già sognato per dirigerlo verso un finale migliore. Il bello è che mi ricordavo tutto, al risveglio. E se volevo, la sera dopo potevo riprendere la storia da dove l'avevo lasciata.
Questa capacità è andata scemando dopo i 12 anni, circa. Il mio rapporto con il mondo onirico, però, è sempre rimasto particolare.
Gli incubi sono sempre rimasti parte integrante del mio sonno, anche se raramente mi spaventano davvero. Ho avuto sogni strani, anche alcuni premonitori.
La mia mente riesce a sognare anche quando sono sveglia, in certi momenti. Il che è un vantaggio enorme quando magari ho da fare un lavoro noioso e ripetitivo. Almeno le mie mani lavorano in automatico e io mi vivo altre storie. Storie che poi riesco a sviluppare e scrivere in modo comprensibile. Mi piace molto questa capacità.
L'unico difetto è che spesso la parte immaginativa ha il sopravvento e in certi momenti mi ritrovo a vivere emozioni inaspettate mentre magari sto andando a lavorare a piedi col mio i-pod nelle orecchie. Un brano, delle immagini si formano immediate e magari mi trovo commossa fino alle lacrime nel bel mezzo di Corso Vinzaglio, o sul tram, con la gente che mi guarda e non capisce perché sono così sconvolta.
Quando va bene ho al massimo la pelle d'oca, mi sento la pelle delle guance paralizzata e tutto torna a posto in pochi istanti. Tempo di riprendere il controllo. Quando sono un po' più tesa, magari non riesco a controllarmi e qualche lacrima scende.
Sono emotivamente instabile, già lo so. Non mi preoccupa nemmeno, meglio che essere priva di sensazioni come mi è capitato tra i 21 e i 27. Allora non c'ero, ma non c'ero davvero.
Però, quando vado a letto, non ho nemmeno più bisogno di cominciare io i miei sogni. Sono quasi sempre belli, magari strani, ma belli. Spesso misteriosi, magici o dolci.
E molto spesso volo, la notte, tra gli alberi. Mi piace da impazzire l'aria sul viso, la luce della luna piena che mi guida. Un fuoco lontano.
So quando è la notte giusta per un bel sogno: un bel bacio della buonanotte mi coglie di sorpresa quando sono lì lì per addormentarmi. Un bacio avvolgente, caldo e pieno di amore, che mi smuove le viscere e mi trascina nel sonno. Non ho nemmeno bisogno di sapere chi me lo da. Non è importante.
L'importante viene dopo.

Da ascoltare: "the clockwise witness" dei Devotchka

27.11.08

Ma tu guarda, la vita...

Da quando l'ho letto Twilight (e almeno uno dei seguenti libri) mi è rimasto impresso. Sono romantica, a volte troppo, amo le emozioni, le sensazioni forti e tutte 'ste cose da ragazzina.
Sono sempre stata una amante dei vampiri, di questa commistione di sangue, sensualità, morte. Della loro non-vita. Del loro essere blasfemi nel non rispettare le regole della vita.
Così, la storia d'amore tra Bella ed Edward mi sembrava fantastica, meravigliosa. Mi riempiva lo stomaco, mi saziava con quel senso di amore forte ed eterno che tutti, un po', vorremmo. Se non fosse che poi, con l'uscita del film e la conseguente sovraesposizione di qualsiasi cosa abbia a che fare con esso, ho cominciato a leggere alcune recensioni.
Su questo amore puro, casto per ovvii motivi, trattenuto fino all'esasperazione per paura delle conseguenze. Sul fatto che sia questo il tipo di romanticismo che le ragazze cercano.
Già leggendo Eclypse, poi New Moon, il personaggio di Edward, così bello, così dolce, perfetto in ogni sua minima espressione (che essendo morto, tra l'altro, non ha nemmeno più l'inconveniente di lasciare alzata la tavoletta o di scorreggiare liberamente mentre guarda la tv), così premuroso, pronto a sacrificarsi, a stare lontano dalla sua amata per non metterla in pericolo... beh, un po' di nausea me l'ha data. Per carità, avercelo uno strafigo che ti adora anche se sei supernormale (anzi pure un po' troppo imbranata), però...
Mentre il piccolo Jacob, colui che arde di lupesca febbre, ha cominciato a far breccia nel mio cuore. Lui si, disposto a qualsiasi cosa ma non a rinunciare, nonostante tutto. Lui che sa stare vicino, che protegge senza avere dalla sua parte l'immortalità, che non chiede molto e che sa accettare le decisioni altrui. Lui che anche soffrendo è sempre disponibile a dare qualcosa in più. E penso che l'amore con un licantropo sia energia, istinto, una esplosione non senza rischi, ma ugualmente eccitante. Niente di trattenuto, di ragionato.
Non è che cominciano a piacermi i lupi mannari?
Perché sarebbe grave, davvero.

22.11.08

Sono le quattro e tutto va bene

La decisione è presa.
Si svolta comunque. Anche se non nella direzione prevista. C'è una storiella che racconta che la strada migliore è quella più difficile, quella meno trafficata. Me la ricordo raccontata dalla mitica insegnante di "Fame- Saranno Famosi", Lydia Grant (interpretata da Debbie Allen), quando parlava della scelta fatta a suo tempo tra l'essere una ballerina o una insegnante.
Beh, no, non voglio insegnare a scrivere, anche se avrei un diploma che potrebbe qualificarmi per tale arduo compito.
No, voglio cambiare io, cambiare testa, cambiare modo, riconquistarmi un diritto che ora avrei pagando (e se pago che diritto è?).
Quindi, bando alle ciance, si cambia...

17.11.08

Dubbio amletico

Capita oggi che mi domandi: ma io, dico io, voglio continuare a vita a cucire biancheria per il Giorgietto per due lire o voglio concludere altro nella vita?
Per meglio spiegare la situazione, ammetto di aver mandato per la prima volta delle mie "creature" a un editore e annuncio che l'editore in questione mi ha fatto un'offerta che potrei anche rifiutare, ma...
Ecco, io mi chiedo cosa voglio fare oggi e da oggi in poi.
E odio pormi delle domande così difficili.

14.11.08

I perché della sleppa

Si sa, la sleppa ha i suoi perché. Inutile negare.
E per sleppa non intendo uno schiaffone come si intende in qualche dialetto del norditalia... No, no. Oramai per me la sleppa è un bel salamone dalle giuste dimensioni.
Ma che avete capito!
Un salame di cioccolato, suvvia.

Per la mia sleppa occorrono: 2 tuorli d'uovo, 2 cucchiai di zucchero, 2 cucchiai di cacao amaro, 150 grammi di burro o margarina o quello che usate di solito, un bicchierino di caffè amaro o di liquore, circa 200 grammi di biscotti secchi.
Far sciogliere il burro a bagnomaria, nel mentre sbattere i tuorli con lo zucchero finchè non diventano una spuma chiara. Aggiungere lentamente il caffè, il cacao e il burro, sempre mescolando. Sbriciolare i biscotti in pezzi piccoli ma non troppo e mescolare finchè il tutto non diventa corposo e difficile da mescolare. Non lasciare che ci sia troppo liquido, altrimenti anche se solidifica non verrà della giusta consistenza. Versare il tutto su un foglio di stagnola o su carta forno e dare la forma al salame arrotolandolo. Mettere in frigo e servire affettato...
Ho dinuovo l'acquolina...

10.11.08

Curiosità

Ho sentito alla radio che non è possibile fare la pubblicità a medicinali omeopatici, in Italia.
Però a quelli normali, che abbiano o no effetti collaterali gravi, la pubblicità la fanno. E agli alcoolici, a tutti i dolci possibili (che tanto al massimo poi ci vendono gli integratori per dimagrire), alle cliniche di chirurgia estetica.
E al superenalotto. Perché non bastano i servizi al telegiornale.
Chissà che cosa c'è dietro?

Ombre

Non siamo altro che ombre...
Fingiamo ogni giorno, a favore di chi, poi? Come se fossero in tanti a guardarci negli occhi, a prestarci attenzione, a sentirci davvero. Una recita stanca che mostra tutti i suoi trucchi eppure continua. Sempre, a lungo, indifferente.
Non sentiamo i segnali, non guardiamo lo specchio negli occhi. Non ci troveremmo noi stessi, ma un altro che non sappiamo più chi sia. Lasciamo che il personaggio prenda la nostra vita e la riduca a brandelli.
Inseguiamo i nostri desideri senza fermarci a guardare quello che ci circonda. Quello che abbiamo non basta mai, chiunque ci guardi è una minaccia, siamo avidi di cose che non abbiamo.
Imprigionati da ogni scelta che ci preclude altre vie, vogliamo l'impossibile. Cerchiamo il tutto e non teniamo a niente. Accumuliamo cose, amori, ricordi, immagini, dolori, ma nessuno ci sembra quello buono. Siamo impazienti, non c'è mai tempo a sufficienza per respirare a fondo e pensare a cos'è vita.
Questa non lo è.
Spinti come pecore a comportamenti uguali. Privi di personalità e illusi di averne troppa. Modellati a uso e consumo di giochi più grandi di noi. Non abbiamo scelta, non perché non ce ne lascino, ma perché siamo noi stessi a non vederne. Incapaci di dire di no. Di scegliere che cosa ci appartiene e che cosa ci è alieno. Troppo preoccupati a mantenere stretta la morsa su tutto per accorgerci che tutto ci sfugge. Il senso vero delle cose, non le parole che ci danno un senso.
La filosofia è cosa da libri, la vita è altro. La letteratura insegna cose che solo chi è pronto riesce a capire. Chi non lo è recita a caso citazioni senza averle vissute e pensando di avere il mondo in pugno. Non c'è istruzione senza l'amore. Non c'è comprensione, non c'è passione, vita stessa.
Noi non esistiamo. Siamo solo le ombre di ciò che potremmo essere e abbiamo ogni scusa possibile per non diventare. Privi di nervi, di spina dorsale. Vermi che si accontentano di avvinghiarsi l'uno all'altro in un secchio, aspettando la fine.
Non apriamo gli occhi, non siamo in grado di vedere altro che ciò che ci mostrano. Non alziamo gli occhi più di tanto, che vedere qualsiasi cosa potrebbe sconvolgerci la quiete in cui ci siamo immersi. A pancia piena, in attesa che ci macellino senza farci sentire dolore.
Lasciamo che la smania ci guidi. Vogliamo il potere, il riconoscimento. E per averlo siamo disposti a tutto. Ad annullarci, a rinunciare a quella luce che ci farebbe brillare come tante stelle.
E non pensiamo. Non pensiamo. Non pensiamo.
Matrix è qui e adesso e noi abbiamo scelto la pillola sbagliata.

6.11.08

Rika di "Amazzoni"


"Rika"
matita su carta semplice

Dove

Questa poesia è contenuta nella mia raccolta "Parole d'amore insano".

La domanda è: "l'amore finisce davvero?"
Non è forse possibile che si scambi il fatto di essere lasciati liberi per il termine di una relazione? Che l'amare diventi qualcosa di diverso da ciò cui siamo abituati?

31.10.08

S3M4T4RY, ovvero il mio 2 Novembre

Quando ero più piccola e vivevo in quel buco fuori dal mondo di un paese sperso nella nebbia, quando volevo starmene in pace la sera andavo al cimitero. Nel vialetto alberato, al buio, con vista sui lumini, mi sedevo su un angolo del monumento a qualcosa che non ricordo e pensavo ai fatti miei. Almeno finchè non arrivava qualche coppietta in auto... Che poi, appartarsi al cimitero, ce ne va di fantasia macabra. Non che non l'abbia fatto nelle vicinanze, ma proprio nel vialetto davanti al cancello no. Non per paura, nè per rispetto. Forse per troppa compagnia.
Visito volentieri i cimiteri monumentali. Viaggiando in macchina l'occhio individua sempre i cimiteri che incontriamo, li seguo, mi piace guardare i lumini accesi. Mi piace la calma che si respira quasi. Quel senso di tempo immobile. La pace, lo scorrere della vita. Anche nella morte.
Ma...
Il culto dei morti non mi appartiene. Forse perchè non ho paura, o perchè accetto che le cose finiscano, o perchè mi porto dietro i miei fantasmi. Perchè per me, anche se un corpo è sepolto da qualche parte, finchè mi ricordo della persona che se n'è andata è come se fosse viva.
L'amica Loretta direbbe che sono i 40 che incombono, io invece so che fin da piccola ho avuto uno strano rapporto con la morte e con le cose che la riguardano.
L'unico ceffone che mi ha dato mia nonna l'ho preso a 10 anni, poco dopo che era morto suo marito. Io la vedevo piangere e la sentivo ripetere "povero nonno". E non ci credevo. Lui non era povero, era solo morto. Stava meglio di noi, di sicuro. Certo, detta così suona male, ma avevo 10 anni, magari con le parole non ci sapevo fare. Ceffone.
Eppure non lo dicevo per cattiveria o perchè non capivo il senso della morte. Sapevo cosa voleva dire. Ma lo trovavo così naturale che vedere mia nonna piangere disperata mi spiazzava. Come poteva non capire, lei che mi aveva insegnato tanto?
Crescendo ho mantenuto la mia idea e spesso l'ho ridiscussa con altre persone. Per capire. Per spiegarmi. Per aiutare le persone che incontravo e che vivevano nel terrore della morte loro e dei loro cari. Perchè vivere così è come non vivere affatto.
Negli anni, le persone mi hanno detto: "dici così perchè non hai mai perso nessuno".
Insomma...
Una bisnonna (ebbene sì, l'ho conosciuta ed era fantastica), quattro nonni canonici, uno zio, altri 3 nonni acquisiti, un patrigno (o simili), dieci amici ed amiche (dai 14 anni in su), un fidanzato (quando si dice ex...), un suocero e svariati conoscenti. La maggiorparte di loro è mancata prima che io compissi i 30 anni. Devo dire, non è abbastanza?
Non è che non abbia sofferto per la perdita, che non abbia pianto, che non abbia pensato almeno una volta che mi mancavano, ma non sono andata quasi mai al cimitero a trovarli. Perchè io li sento con me come se fossero ancora vivi. Semplicemente non li incontro più.
Se poi vi sembro pazza, amen.

30.10.08

Periodi no, ma anche si

Ecco, ci sono quei momenti in cui ti metteresti con la testa nel wc e tireresti l'acqua. Un po' per annegare e un po' perchè ti senti una merda.
Non in senso di stronza. No, ma una cosa di consistenza molliccia che non riesce a fare nulla.
Tipo una torta. Nella tua testa hai un'idea meravigliosa (che niente ha a che fare con Cesare Ragazzi) e cominci a svilupparla chiedendoti come fare ogni passaggio. Quando pensi di esserci arrivata fai il tuo tentativo. E compri una cosa semilavorata per facilitarti le cose.
Così spadelli, la sera prima di una cena, fino a tardi. Tagli, sistemi, fai andare in padella col brandy le pesche, poi cerchi di mettere in pratica la tua idea con la tua busta di torta. Inforni e, quando tutto ti sembra andare per il meglio, ti rendi conto che si, magari 'sta cosa che è venuta fuori è mangiabile... ma non la faresti vedere a nessuno sul pianeta. Figuriamoci assaggiare.
Così, la sera stessa della cena ti ritrovi a fare una semplice torta al cioccolato, cui aggiungi un po' di cocco, per farla diversa. Di corsa, manco ben cresciuta.
Ed è giusto una settimana in cui tutto ti viene così, nonostante gli sforzi.
Non riesci a trovare le parole, non azzecchi i tempi, non comunichi in modo comprensibile. Hai paura di urtare, non vuoi disturbare, vorresti un po' sparire.
Essere diversa e dinuovo essere perfetta. Cosa che non sei e che normalmente non ti passa nemmeno per la testa di essere.
Poi incontri i tuoi amici. Tutti un po' stanchi, impegnatissimi, ma ci sono.
E ti ritrovi a ridere, a mangiare assieme e a sentirti a posto in ogni caso. Perchè il periodo no è tutto nella tua testa. Nel voler fare anche quando sei stanca e hai mille cose per la testa.
Quando non ti concentri su nulla per più di un millisecondo e ti accorgi sempre un istante troppo tardi che è troppo tardi.
Quei periodi no, che sono anche i periodi in cui avere intorno altre persone ti trasforma.

23.10.08

Avanzato Stato di decomposizione

Ecco, io la realtà dei nostri giorni la descriverei così. Siamo vagamente putrefatti.
Oramai facciamo solo gas e vermi.
Non sono mai stata una entusiasta, una partecipativa. Non ho mai creduto nella lotta.
Ora sono nauseata, stufa, ma non per questo più reattiva, anzi.
Spengo tutto.
Da quest'anno vivo di sogni e di fantasie.

14.10.08

Ancora sui marciapiedi

Camminavo tranquilla sulla strada di casa con la spesa in mano, sabato. Il carrellino da pensionata rotolava dietro di me, carico a sufficienza. Passo da un marciapiedi all'altro e, tra una cacca e l'altra ne trovo una col cartello.
Si, una cacca col cartello.
C'era scritto: Merda, ma non di cane.
Bene, nel pestarla mi accorgerò della differenza? Porta bene anche la merda non di cane, o ha qualche specifica controindicazione? Oltre alla puzza, si intende.
E per quale motivo uno deve anche metterci un cartello? Tanto gli incivili mica sono i cani che la fanno sui marciapiedi! Sono sempre i padroni, anche se non specificano l'appartenenza del dono marrone a una razza o ad un altra. Quindi perchè specificare? Sempre della stessa merda si tratta, lasciata da chi ha mani e cervello per non lasciarla.
Ma si, in fondo, l'idea del cartello potrebbe essere una novità, una certificazione di origine controllata. Dal produttore al pestatore.
Ecco, che so. Uno con l'alano può scrivere: "Merda di alano". Uno lo sa e la pesta più volentieri della merda di un carlino. O che so, uno sceglie la merda di rottweiler per l'aroma intenso. Insomma, spunterà una figura di intenditore tipo Michele, che decanterà le caratteristiche di una o dell'altra...
Così il cartello potrà darci indicazioni sul proprietario, forse. E per quelle non di cane, chissà. Ci sarà uno spazio per i consumatori di cacca umana? D'accordo che siamo ormai coprofagi, ci mangiamo qualsiasi stronzata, ma da qui a lasciare la propria traccia sul marciapiedi con tanto di cartello...
No! Ci sono! Era una cacca di artista, solo non in scatola. Espressione di quanto velocemente si consuma l'arte in questo mondo che ha fretta. Osservando il lento decrescere dell'escremento, il suo logorarsi e consumarsi fino a diventare una strana macchia sul pavimento si può giungere a una metafora del nostro umano divenire. Merda siamo e merda restiamo.
E perchè usare una scatola, un museo. No, ci vuole un posto speciale, dove sia impossibile non notare l'opera d'arte. E la firma dell'artista, per ora sconosciuto ai più. Un madonnaro che usa la cacca al posto dei gessi. Meravigliosa metafora della lotta al consumismo, della sintonia con l'ambiente. Solo il cartello a proteggere l'Opera dal passante distratto, di fretta, poco interessato all'arte. Geniale!
In fondo a cosa servono i marciapiedi?
Mah?

10.10.08

Una cosa che non faccio, di solito

Ascolta, ti ricordi quando venne
la nave del fenicio a portar via
me, con tutta la voglia di cantare
gli uomini, il mondo, e farne poesia...
con l'occhio azzurro io ti salutavo,
con quello blu io già ti rimpiangevo,
e l'albero tremava e vidi terra,
i Greci, i fuochi e l'infinita guerra.
Li vidi ad uno ad uno
mentre aprivano la mano
e mi mostravano la sorte
come a dire "noi scegliamo,
non c'è un dio che sia più forte"
e l'ombra nera che passò,
ridendo ripeteva no...
...
...
E ho visto tra le lampade un amore
e lui che fece stendere sul letto
l'amico con due spade dentro al cuore
e gli baciò piangendo il viso e il petto...
e son tornato per vederti andare
e mentre parti e mi saluti in fretta
fra tutte le parole che puoi dire
mi chiedi "me la dai una sigaretta?"
Io di Muratti mi dispiace, non ne ho
il marciapiede per Torino, si lo so;
ma un conto è stare a farti un po' di compagnia,
altro aspettare che il treno vada via.
Perchè t'aiuto io ad andare non lo sai,
si, questo a chi si lascia non succede mai
ma non ti ho mai considerata roba mia,
io ho le mie favole, e tu una storia tua.
Ma tu non mi parlavi e le mie idee come ramarri
ritiravano la testa
dentro il muro, quando è tardi,
perchè è freddo, perchè è scuro...
E ancora solitudini,
e buchi per nascondersi.
E non si è soli quando un altro ti ha lasciato,
si è soli se qualcuno non è mai venuto
però scendendo perdo i pezzi per le scale
e chi ci passa su non sa di farmi male.
Ma non venite a dirmi adesso lascia stare
o che la lotta deve continuare,
perchè se questa storia fosse una canzone
con una fine mia, tu non andresti via...

Oggi pensavo a un amico che parte e queste parole di Vecchioni mi son venute in mente. Non è mai stato tra le mie citazioni, è una canzone che non ascolto da tempo. L'ultimo spettacolo.
Buon viaggio!

18.9.08

Citazione colta 2

"Chi non avesse capito, alzasse la mano".

Maestra elementare, 1993.

"Questo compito vuole rifatto."

Maestra elementare, Modena.

13.9.08

Tocco orientale

Stasera in cucina avevo voglia di sperimentare...
Quindi, petto di pollo alla mano, ho improvvisato una ricettuzza coi peperoni. La prima volta che ho del vitello provo anche con quello che mi sa che va anche molto bene.
Ma, bando alle ciance, vado ad introdurvi in una nuova atmosfera...

Serve: petto di pollo tagliato a strisciuzze, peperoni, cipolla, aglio, salsa di soia, olio, sale, pepe, maizena. Le quantità non sono indicabili, fatevi le dosi. Io ho usato 4 etti di pollo, 3 peperoni, 1 cipolla, 1 spicchio d'aglio e ce n'era per tre persone circa.

In un piatto, lasciate a marinare il pollo in una salsina fatta con olio, salsa di soia, sale e pepe. Dopo aver lavato e pulito per benino i peperoni, pulite e affettate una cipolla, fatela soffriggere in una padella con dell'olio e unite i peperoni a pezzetti. Aggiungete un briciolo d'acqua, una spruzzata abbondante di salsa di soia e insaporite con un po' di sale, o dado vegetale, o simili. Coprite e lasciate cuocere per una mezz'oretta, tre quarti d'ora a seconda della quantità di cibo da cuocere. Quando i peperoni saranno cotti toglieteli dalla padella lasciando più sughetto possibile nella padella e sistemateli in un piatto da portata.
Nel liquido di cottura fate cuocere le strisciuzze di pollo, che essendo sottili non avranno bisogno di tempi lunghi. Non appena saranno cotte, adagiatele sopra ai peperoni, tenendo il liquido che avanza da parte.
Nella stessa padella versate un filo d'olio e fate soffriggere uno spicchio d'aglio finchè non sarà dorato. Poi toglietelo e versate il liquido di cottura nella padella, aggiungete un po' d'acqua e un po' di salsa di soia a seconda di quanto sughetto volete ottenere. Quando sarà ben caldo, aggiungete un cucchiaino o due di maizena e mescolate in modo che non si formino grumi. Appena il sugo si addenserà, potete versarlo sul pollo coi peperoni e servire in tavola, aggiungendo pepe a piacimento.
Il risultato è ottimo e fa molto etnico. Ci si può stupire gli ospiti senza fare niente di speciale...

P.S: Se accompagnate con riso bianco bollito va ancora meglio.

11.9.08

Crisalide

Se cerco di capire il senso delle cose non faccio altro che allontanarmi dal loro cuore. Non è importante che io, piccola particella dell'universo, comprenda tutto e anche di più. E' importante che io viva questo tutto più che posso, senza aspettare, programmare, analizzare.
Non c'è niente che mi dia più pace del guardare il cielo e sapere che non valgo niente, nella mia importanza. Un granello di polvere in un mondo immenso, in una catena di forze che sono enormi e che non potrò nè comprendere, nè governare. A quel punto, sentendomi nulla, mi sento parte di tutto. Di qualcosa di infinitamente potente e bello, di incomprensibile, imprevedibile, crudele, dolce, entusiasmante. E vorrei farne parte ancora di più, vorrei fondermi in questa energia fino ad annullarmi e a splendere di riflessi dorati.
Tutto quello che io sono, quello che sono stata, quello che sono diventata col tempo. Le occasioni perdute, le gioie e le sofferenze che ho vissuto, ciò che ho avuto e ciò che ho perso, ciò che ho dato. La mia vita lunga e breve. Ferite e vittorie. Cicatrici che posso portare con orgoglio. Non c'è cosa che non rifarei, ci sono cose che avrei voluto fare meglio, ma alla fine posso dirmi contenta delle scelte che ho fatto.
Se davvero volessi fare ancora tante cose le starei già facendo e non perderei tempo a sognarle, pianificarle, pregustarle. Lotterei con tutta me stessa come ho fatto un tempo.
Ma il fatto che non ci sia niente di così importante da farmi correre in lungo e in largo piena di folle energia non fa di me una persona senza passione. Ho solo trovato che ci si può appassionare anche alle piccole cose, senza cercare l'evento. Che si può rinunciare senza sentire un peso, si può vivere senza riempirsi necessariamente gli spazi vuoti. Si può amare senza morire ogni volta.
Ho capito che ho troppo rispetto a ciò che mi serve davvero e che quel troppo può bastarmi, che ogni attimo che perdo a seguire una falsa necessità è un attimo che rubo a me stessa. Che forse non riuscirò a trasmettere un solo pensiero al mondo, ma che sono felice dei miei pensieri anche quando non sono felici. Che non posso salvare nessuno e che chi non vuole essere salvato può vivere la vita che ha scelto senza che io mi senta in colpa.
Che quello che sono ora non è che un anticipo di ciò che sarò, ma che non mi spaventa il fatto di doverci arrivare. La trasformazione è un fatto naturale...

4.9.08

Comportamenti bizzarri

Qualcuno entra nel posto in cui lavoro con una collega. Ci guarda nemmeno troppo bene e non saluta. Aspetta la nostra titolare. Resta nella stessa nostra stanza per almeno dieci minuti e si comporta come se non esistessimo.
Qualcuno ordina delle cose scegliendo tessuti, modelli e colori. Poi riporta la sua merce un mese dopo, già lavata, dicendo che non le piace.
Qualcuno ci riporta le cose a lavare, dopo averle usate, ma non siamo una tintoria.
Qualcuno gira per il negozio guardando capo per capo, dicendo di ognuno che fa schifo e lamentandosi che non c'è niente da comprare.
Altri ordinano rivestimenti su misura per tavoli che il falegname non ha ancora finito, per poi riportarli ad aggiustare, perchè il falegname ha cambiato misure all'ultimo momento.
Altri ancora portano tende ad accorciare dopo averle tenute appese in casa almeno un anno, senza lavarle, con tanto di insetti vivi e di pisciate di cane.
Qualcuno dà consigli su come lavare la merce che ci hanno portato a lavare. (Ma se son capaci di farlo, perchè non lo fanno loro?)
Altri tengono le tovaglie usate nel cesto del bucato per un mese prima di portarcele a lavare, ma continuiamo a non essere una lavanderia.
A questo punto mi sorge un dubbio...
Cosa succederebbe se io entrassi in un negozio e ordinassi qualcosa fatto apposta per me, se lo riportassi usato e dicessi che non mi piace? E chiedendo di avere un cambio merce, tra l'altro...
Se dovessi fare l'orlo ai pantaloni, ma prima di portarli alla sarta li usassi un paio di settimane? Se spiegassi al cuoco del ristorante come farmi la pasta alla carbonara? Se dicessi ad un artigiano che i suoi lavori fanno schifo? Se mi facessi fare una gonna lunga al ginocchio e poi la volessi a metà polpaccio? Se considerassi solo il proprietario del supermercato e non calcolassi le banconiste che mi servono perchè non sono nessuno?
Quanti calci nel sedere riceverei? Quanti sputi nel piatto?
Ma soprattutto, mi verrebbe mai in mente di comportarmi così?

30.8.08

Ciao

Mi perdo nelle note di questo lento, mentre lui mi stringe tra le braccia. Mi piace sapere che c'è, che è mio. Mi fa battere il cuore. Non so se c'entra la musica, nella mia vita la musica c'entra sempre... Non so se sono le sue note che mi fanno star bene, se è questa canzone che sembra scritta per noi o se è davvero il suo odore. Non so se è quello che è o quello che fa, ciò che mi lega a lui. La sua dolcezza, le sue mani sulla chitarra, la voce con cui canta le sue canzoni... Le buffe smorfie del suo viso quando suona.
Poco fa mi ha baciata, con uno stupido stratagemma. Mi ha fatta voltare per guardare una ragazza e mi ha baciata. La cosa più dolce del mondo. Non per come l'ha fatto, ma per quello che lui scatena in me.
Prima ancora mi stava guardando mentre mi esibivo, una settimana fa mi ha aiutata con le basi per questa serata. E io già lo adoravo. Mi piaceva la sua aria da bravo ragazzo, il modo in cui parlava di sua madre, dei suoi compagni di avventura. Mi piaceva tutta la dolcezza che metteva in ciò che diceva. I suoi ricci scuri, come gli occhi, le mani lunghe. La delicatezza.
Ed ora sono qui, tra le sue braccia, e Vasco canta la nostra canzone.
Balliamo, tranquilli. Solo una punta di dolore quando ti vedo.
Tu ci stai guardando, al bordo della pista. Mi ero dimenticata della tua presenza, del fatto che non ti fossi arreso. In qualche modo vederti mi ferisce. Perchè so che stai male e che guardandoci così non puoi certo star meglio. Eppure non posso fare altro che farti un cenno per salutarti.
Perchè tra le sue braccia io mi sento bene.
Non durerà molto. Ma non importa. Ci saranno le solite difficoltà, la distanza, il mio bisogno di averlo sempre presente, amici e amiche si intrometteranno. Ci diranno che non è possibile, che anche volendo potremmo vederci solo poche volte, che sarebbe folle, che staremo male.
Ce lo ripeteranno talmente spesso che finiremo per crederci e per arrenderci in breve tempo. Nonostante tutto. Anche se ci sentiremo spesso, anche se la mancanza ci farà star male ogni volta che penseremo l'uno all'altra, a lungo. E piangerò, tanto. E conserverò il ricordo anche quando il sentimento per qualcun altro avrà il sopravvento. Il ricordo sarà dolce e forte, non mi ferirà.
Io ho amato, ho vissuto. Nient'altro conta, al mondo.
Clara 4/6/1987

27.8.08

Anima

Questa poesia è contenuta nella mia raccolta "Parole d'amore insano".

12.8.08

Istinto omicida


Ecco, io per uno così potrei uccidere. Perdonatemi. Ma con delle labbra del genere non re-sis-to!
N.B: L'immagine è presa dal web, in caso di problemi la tolgo, giuro.

10.8.08

Perché?

Questa poesia è contenuta nella mia raccolta di poesie "Parole d'amore insano".

E' dedicata a un amore finito, forse sbagliato, se si può sbagliare ad amare...

7.8.08

Va bene

Visto che ci sono state richieste multiple, mi accingo a raccontare della mia crema pasticcera al cioccolato. Che si può usare per farcire una millefoglie, ma anche mangiare così, in coppa. Come si dice... al cucchiaio.

Dosi per 6 persone...
6 tuorli, 150 gr. di zucchero, 40 gr. di farina, 1/2 litro di latte, 1 etto di cioccolata fondente.

Mentre tritate il cioccolato, mettete sul fuoco il latte e portatelo ad ebollizione (per chi gradisce, si può aromatizzare con una stecca di vaniglia o con della cannella).
In un tegame sbattete i tuorli con lo zucchero, aggiungete la farina e senza smettere di mescolare il latte a filo.
Mettete il tegame sul fuoco (basso) e portate ad ebollizione sempre mescolando con un cucchiaio di legno o con una frusta. Lasciatelo bollire a fuoco basso per 7-8 minuti, poi spegnete il fuoco e incorporate il cioccolato tritato. Mai smettere di mescolare, ovvio.
Lasciate riposare mescolando ogni tanto per amalgamare bene, poi usate la crema come vi pare, in coppetta o come farcitura...

Adesso non è più un segreto.

3.8.08

Prodotto del caldo

"Qashqai, e mi feci male!".
"Chi non risika, gioca a Monopoli".
"Tanto va l'impresa di pulizia che ti sposta lo zerbino"

"Meglio pedofila o pirofila?"
Scusate, ma il caldo mi dà alla testa. O forse è l'età.

21.7.08

Perfetto

Ti sento gemere sotto di me.
Continuo a muovermi, voglio terminare la mia opera, renderla perfetta. Il tuo corpo è così caldo... il respiro affannato e gli occhi socchiusi, come in un sogno.
Mi stai vedendo? Ti piaccio ancora?
Ti sei avvicinato piano, questa sera. Il tuo corteggiarmi discreto. Eppure sapevo cosa volevi da me, lo vogliono tutti.
Ho sentito il tuo odore, sfiorato la tua pelle liscia e morbida mentre ballavamo stretti. Non mi divertivo così da molto tempo. Bello vedere il desiderio nei tuoi occhi; la cosa che più mi piace è sentire gli occhi addosso e sapere che con la mente stai già andando oltre. Molto oltre, ma non quanto sto andando io.
Perchè tu non te lo aspetti.
Non immaginavi nemmeno di riuscirci così in fretta. Anche se un po' con te ci ho giocato. Dartela vinta subito sarebbe stato poco romantico ed io adoro le storie romantiche.
Così ci siamo appartati qui, non lontano da dove abbiamo ballato, da dove ti ho conosciuto. Un posto buio dove nessuno ci può vedere.
Tu mi hai sfiorato tutta la pelle e ti sei chiesto se avevo freddo o se era il tuo tocco magico che mi faceva effetto. Le tue carezze mi piacciono, si. La dolcezza è meglio, fa sembrare tutto più bello, più lungo e duraturo. Lascio che tu faccia quel che vuoi, il mio corpo è tuo.
Tu vuoi essere sicuro che questa sia una gran serata. Vuoi divertirti al massimo.
Bene, anche io.
Non ti rendi conto, non sai chi sono. Non senti che ti sto prendendo sempre di più? Ti lasci andare come se mi amassi davvero. Io lo so che non è così.
Ti muovi in me come un esperto, questo si. Certo fai di tutto per vedermi cedere. Con sempre meno vestiti addosso restiamo nel buio, attenti solo a come ci muoviamo. Non hai mai provato niente del genere, nessuna a cui piacesse così tanto.
Il tuo collo, il corpo atletico e sano, le tue mani, le cosce...
Il trucco è muoversi piano, succhiare lentamente, non stancarti subito. Se tutto va bene può durare ore. Ore in cui piano piano scivoli in un sogno. Ore in cui hai tutto ciò che volevi.
Ore in cui godere del tuo corpo, del tuo calore, del contatto umido delle nostre lingue.
Non te ne accorgerai nemmeno.
Dopo che avrò finito di riempirmi la bocca del calore del tuo sangue non avrai più la forza di reagire. Se sarai forte diventerai uno di noi.
Ci vuole una gran volontà. Fa molto male e i più non resistono. Ma tu sei perfetto per questo scopo. Un poco di sofferenza non ti rovinerà il viso a lungo.
Sarai solo un po' più freddo...

19.7.08

Eccomi qui


Questa è la foto della mia nascita.
Mi direte: "non si vede un tubo, ma il naso dov'è?"
Non è un'ecografia... Su, dai!
E' divertente scoprire chi sono da questi pochi segni in un cerchio che mi racchiude...

10.7.08

Peripatetici e very patetici

Io ho una serie di difetti che certo non mi metterò a negare. Sono molto intollerante, pur dando a ciascuno l'opportunità di esprimersi e gestirsi come gli pare. Sono abituata ad azzeccare quasi al primo sguardo il tipo di persona che ho davanti, per poi darle comunque l'opportunità di farsi conoscere, senza formulare un giudizio immutabile. Nella scelta sembro non esserlo, ma sono molto esigente.
Ho sempre odiato la scuola. Non per i classici motivi. Non avevo paura delle interrogazioni, non mi fregava molto dei compiti, non era tanto un problema di riuscita. Odiavo l'intervallo, i giochi, il dover per forza seguire un orario, uno schema.
A scuola mi annoiavo molto. C'erano magari molte cose che avrei voluto chiedere se non fossi stata timidissima. La mia idea di scuola si avvicina ai peripatetici, che camminando disquisivano di vari argomenti. Ecco, se avessi potuto scegliermi una scuola fatta su misura, avrei voluto un insegnante, pochi compagni affini al mio modo di imparare, sondare, sentire, uno spazio in cui passare il tempo senza orario e senza programmi.
L'insegnante, che è la parte fondamentale, per me ha delle caratteristiche precise. Io non riesco ad imparare da qualcuno che non stimo. So che si impara da chiunque, ma detesto le persone che si fingono altro da quello che sono e se ne becco una, allora la mia stima precipita e io non riesco più a credere ad una sola parola. Voglio dire, la mia insegnante può anche aver fatto la prostituta, mi va bene, basta che non faccia finta di essere una suora. Meglio una persona imperfetta ma consapevole dei propri limiti che una che si spaccia per perfetta e ti delude ogni giorno di più.
Di questi personaggi ne ho incontrati molti nel mio percorso scolastico strampalato. Lo so che alcuni prof sono durati il tempo di un esame da privatista, ma davvero se qualcuno era ok, la maggiorparte era composta da personaggi patetici da far venire il vomito.
Come uno dei prof di filosofia, che essendo biondiccio e con occhi azzurri pensava di far colpo su ogni femmina della scuola. Uno che si permette di buttare un libro che avevo sul banco (chiuso ed appena restituitomi da un compagno) nel cestino, solo perchè non era una lettura degna di una sua allieva. Uno che ha mollato moglie e figlio piccolo per scappare dalla sua vecchiaia patetica con una allieva molto più giovane e magari anche non troppo furba.
Come i prof all'università, non tutti certo, che pensano di avere la scienza infusa e di trasmettere grandi verità, con cui non puoi avere un dialogo e che ti trattano come se fossi lobotomizzata se hai una idea diversa dalla loro, senza spiegarti per quale oscuro motivo dovresti pensare esattamente come loro.
Professori che ti lasciano ore ad aspettarli davanti all'ufficio in orario di ricevimento, che fanno fare frequenza obbligatoria ad un corso per poi parlare di calcio, che facilitano studenti del sesso opposto, che pretendono una lezione imparata a memoria, che ti fanno aspettare di dare un esame a luglio tutta la mattina all'ultimo piano di un palazzo bollente, che si trombano non sai quante allieve all'anno sulla scrivania dell'ufficio.
Insomma, incontri come questi ti fanno passare un po' la voglia di studiare, o almeno di perdere tempo con qualcuno che non può insegnarti altro che mediocrità.

5.7.08

Questa casa... è un albergo

Una decina d'anni fa, quando ancora dividevo l'affitto con mammà ed eravamo entrambe donne impegnate, abbiamo avuto un periodo di intensa ospitalità.
Mangiavamo spesso dopo le 22 e ancor più spesso, le persone che passavano da casa nostra si fermavano a cena. O addirittura telefonavano per chiedere se avevamo già mangiato e aggiungersi alla nostra tavola.
Un poco mi manca, quel tipo di frequentazione mangereccia e informale. Devo dire che mi ha anche abituata a tirare fuori dell'inventiva culinaria, costringendomi a creare ricette nuove e semplici utilizzando quel che trovavo in frigo.

Ecco dunque un paio di cosine veloci.

1) Antipasto/stuzzichino:
Uno o due wuster piccoli a testa (ma viene da dio pure con quelli grossi se utilizzati come secondo), aperti a metà nel senso della lunghezza, farciti con una strisciolina di formaggio (fontina, sottiletta, emmenthal, gorgonzola, galbanino... fate voi), avvolti una volta richiusi in una fetta di pancetta coppata e dorati in forno finchè la pancetta non crocca e il formaggio è fuso.
Gnam, si mangian caldi.

2) Sughetto:
Mentre fate la pasta, in un pentolino fate dorare cipolla o scalogno, versate la giusta quantità di passata di pomodoro e fatela bollire. Ogni tanto aggiungete qualcosa, capperi, olive ad esempio. Appena prima di scolare la pasta aggiungete un cucchiaio di panna da cucina ed una scatoletta di tonno da 80 grammi. Versate sulla pasta, ovvio, prima di mangiarlo.

3) Secondo veloce:
Un tot di fette di tacchino arrosto, da accompagnare con salsina fatta con maionese, cipolla bianca o dorata tritata finemente, parmigiano o grana grattugiato, il tutto rigorosamente comprato (che manco la maionese va fatta in casa per questa cosa)

4) Dessert:
Mascarpone con cacao o con polvere di caffè, mescolato abilmente. Un paio di cucchiai vi nauseano per una vita (scherzo, ma essendo sostanzioso e grasso ne basta poco per dare soddisfazioni...)

Questo è solo un esempio, ovvio.

2.7.08

Chez Gupta

Il secondo fornitore a Moradabad era tale Gupta, un signore molto ricco con una bella casa solida e ben tenuta. Lui ci avrebbe ospitati per tutta la nostra permanenza nella sua cittadina.
Gupta era un signore sovrappeso, dal colorito cappuccino tipico degli indiani del nord, con una serie di tic ed il rutto facile. La casa di Gupta era davvero all'avanguardia, se consideriamo che era il 1979. L'elettricità se la faceva col letame dei maiali. Li allevava apposta. Sì, un po' puzzava, ma era una buona idea in un posto dove niente funziona a dovere.
Tutta la casa era una meraviglia. Aveva una piscina, marmo chiaro sui pavimenti, mobili ben rifiniti, personale, operai. Quasi un benefattore.

Ci aveva offerto due stanze. In una avrei dormito io con mamma e nell'altra Gianni e Shomir avrebbero trascorso le loro due notti in città.
La cena ci fu servita dalla moglie di Gupta (o dalle mogli, non si capiva bene), che dopo aver riempito i nostri piatti con prelibatezze vegetariane se ne spariva in cucina con tutte le altre donne. Sì, che in certe famiglie quando c'erano ospiti importanti le donne se ne stavano altrove e mia madre era una delle eccezioni, tollerata a tavola solo perchè era con lei che si facevano gli affari.
Gupta sedeva capotavola, decisamente accaldato. Al suo fianco Gianni e Shomir, più in là mamma ed io. La sala da pranzo era sfavillante, molto ricca. Anche Gupta brillava di gioielli.
Gianni, che in vita sua non era mai stato serio un istante, cominciò ben presto a imitare i tic del nostro ospite, provocandomi delle crisi di riso spaventose. Non riusciva a smettere ed io pure.
Mamma cercava in ogni modo di fare qualcosa, non riuscendoci nemmeno lei.
Per dimostrare di aver gradito il pasto, Gupta si esibì in una serie di rutti da competizione, cosa che è uso comune. Poi si asciugò il sudore nel tovagliolo, ci si soffiò il naso e lo rimise al suo posto sulle gambe. Con somma gioia dello schizzinoso Gianni. Aspettammo la frutta ed un'altra serie di rutti.
Mentre mamma discuteva dei suoi affari con il suo fornitore e si ocupava di cose da imprenditori, io fui accompagnata in camera e mi trovai in compagnia di un geco. Ecco, io non amavo molto l'idea di trovarmelo nel letto, quindi rimasi sveglia fino all'arrivo di mammà per poi fare un cambio stanza con Gianni e Shomir. Nella nuova stanza dormii come una pasqua.
Lo stesso non si può dire per gli uomini, visto che Shomir (che doveva esserci abituato ai gechi) si era fatto un paio di numeri per cui Gianni l'avrebbe preso in giro in eterno...
Fatto sta che al mattino, cioè all'alba, veniamo svegliati dal muezzin che richiamava la gente alla preghiera. Nessun geco nei dintorni, tutto tranquillo.
Colazione e tour della fabbrica di Gupta, i suoi articoli in ottone, gli oggetti e gli ormai usuali regali. Mai ricevuto tanti doni come in quel viaggio, il che mi faceva amare ancor di più la mia pelle chiarissima e i capelli biondi che avevo. Il suo regalo per me fu la copia di un medaglione di mia mamma, in ottone. Poi una lanterna ad olio che ancora tengo in casa senza averla mai accesa. Una cosa che sa di antico. Storta come molte cose indiane.
Si arriva al pranzo e...
Ecco, io non ne potevo più delle delizie vegetariane, della roba piccante e delle macedonie che non potevamo mangiare senza rischi per motivi igienici. Così comunicai un desiderio a mammà, che lo comunicò a Gupta, che lo comunicò a sua moglie.
Un uovo al tegamino al posto di qualsiasi altra cosa.
Si poteva fare, solo che la signora Gupta non aveva ovviamente idea di che cosa fosse un uovo al tegamino. Così, mamma ed io ci rechiamo in cucina, poi in una cucinina, poi su un terrazzo dove si poteva cuocere su di un fornellino. Ci danno una padella, al posto del burro o dell'olio c'era un grasso diverso ma efficace. Mamma chiede un uovo fresco. Gliene portano uno, prova ad aprirlo... è sodo. Riformula la richiesta. Un uovo fresco... fresco.
Ci riproviamo, dinuovo sodo. Al che, dopo il terzo uovo fresco sodo, ci sorge il dubbio che le galline di Moradabad facciano le uova direttamente sode, il che sarebbe un vantaggio per il commercio, ma non per chi delle uova vuole farne un uso differente.
Ma no, ci sbagliamo, perchè il quarto o quinto uovo è davvero fresco! Così mi posso godere una delizia europea per una volta, cucinata dalla mamma. Le signore indiane intorno a noi che ci guardano stupite mentre puccio il naan nel rosso morbido del mio uovo al tegamino.
La seconda notte non fu disturbata dal geco, che forse era al bar dei gechi a sfottere Shomir come Gianni faceva continuamente. La cena fu una ripetizione della cena precedente, con tutte le imitazioni di Gianni sempre lì lì per farsi beccare da Gupta.
Io ero felice.
Il giorno dopo tornammo in auto col nostro bell'autista, che non so dove abbia dormito quelle due notti, probabilmente in auto come fanno quasi tutti. O nel magazzino degli oggetti in ottone del nostro ospite simpatico. Lì avevo intravisto una brandina...
L'avventura dell'uovo sodo si era conclusa. Dopo Moradabad non me ne capitarono più.
Ancora oggi guardo le uova con sospetto, aspettandomi nell'aprirle di trovarle sode...

28.6.08

Il destino nel nome

Ho conosciuto Bruno, ed è biondo. Così anche Bruna.
Le Chiara che conosco hanno tutte capelli scuri. Dubito che Fulvio e Fulvia abbiano capelli rossi.
Paolo non è affatto piccolo, e nemmeno io lo sono. Cristiana è buddista, Benedetto era un transessuale che lavorava vicino a dove lavoro io, Cristina non è una suora, Barbara parla più lingue, Valentina non è vigorosa.
Mah...

24.6.08

Stupefatti e trendy

Ci sono variabili infinite per cui noi esseri umani siamo diversi tra noi. Le stesse variabili ci suggeriscono che, come non tutte le medicine funzionano allo stesso modo su tutti, anche in fatto di estetica non c'è una regola che valga per tutti.
Invece no.
Qui ci si guarda attorno e ci si rende conto che alla maggior parte delle persone basta adeguarsi alle regole comuni, ai canoni, alla moda. Non si guardano nemmeno allo specchio, basta che abbiano fatto quello che fan tutti.
Esiste un vestito adatto a ciascun fisico; io capisco il desiderio di essere alla moda, ma certe volte si rischia di essere notati ed indimenticabili per il motivo sbagliato.
C'è sicuramente uno stile sufficientemente trendy senza esporre se stessi al ridicolo.

Lo stesso discorso vale per ciò che ci si combina in faccia.
Parlando con la mia amica Cri, abbiamo concordato sul fatto che ormai il disegno delle sopracciglia è uniforme. Dona a tutte quell'espressione stupefatta di chi si ritrova qualcosa nel sedere senza averlo previsto. Una faccia alla Betty Boop, che però è un fumetto.
Non discuto sul fatto che ad alcune donne tale sfoltimento dona, ma non a tutte. Certe ragazze starebbero molto meglio con un minimo di sopracciglia, curate, ben delineate, ma presenti.
Invece di fare da sè, basterebbe fare un giro, uno, da una estetista o da una truccatrice per capire cosa si adatta di più al proprio viso. Il risultato è garantito e certo non ridicolo. Poi, non è che la ricrescita non si nota... Purtroppo crea quella orribile ombra scura e puntinata che dà l'impressione di barba da fare. Abbiamo le sopracciglia? Tantovale conviverci.
Ma ciò che più ci turba, e lo so che siamo un po' invecchiate e che non comprendiamo i nuovi canoni, sono i ragazzi.
Passino i colpi di sole (oddio, no, però li posso ancora accettare), passino i tagli più assurdi (figuriamoci, io volevo la cresta punk, capisco tutto), insomma passi tutto...
Ma gli stupefatti trendy no!
Capisco che lo stile neanderthal non favorisca la socializzazione, il sopracciglio unico non è sexy. Passi se uno si toglie qualche pelo qua e la, ma l'uomo con il sopracciglio ad ala di gabbiano non è sexy esattamente come non lo è il neanderthal. Mi fa paura. Terrore. Un po' schifo.
Già una si trova con davanti un giovane uomo lampadato, depilato, possibilmente con mutanda esposta, con occhiale da sole che copre mezza faccia... e oooh! Quell'aria stupefatta.
Davvero no. Per favore.
Non dico che ci fossero ragazzi migliori anni fa. Solo che non gli si potevano contare i peli del sedere se non ci si usciva almeno qualche volta. Ora sono esposti, col divisorio, in modo che uno già sappia che ci sono. E se il sedere femminile risulta anche gradevole alla vista il più delle volte, quello maschile lo è un po' meno.
Ragazzi! La parte bella del culo non è quella. La parte bella è quella che nascondete in quel pantalone vuoto e inquietante, quello che sembra un pannolone pieno di cacca. Non che si pretenda l'uomo in calzamaglia, sarebbe peggio, come nemmeno con il pantalone ascellare anni '80 che sì, il culo lo mostrava, ma probabilmente stringeva anche troppo il tutto. E' che va bene la moda, insomma,va bene un po' tutto, ma di vedervi le mutande firmate possiamo fare a meno. E pure di ammirare il cespugliame che ne vien fuori. Giuro.

La noiosa Clara

Io non disturbo.
Sono beneducata, nessuno si può lamentare di me. Non interrompo, non alzo mai la voce, non dico mai di no. Io sono utile.
Ogni volta mi offro di aiutare, ogni volta ascolto e ascolto, e ascolto. Perchè lo so che chi mi parla ha bisogno che io lo faccia. Io li capisco i bisogni degli altri e sono sempre pronta a fare il mio dovere.
Una ragazza beneducata non risponde mai male. Sa sempre cosa dire e come muoversi senza essere notata. Sa essere discreta. Ed io lo sono.
Io sorrido quando saluto, anche se non mi va di salutare. Mangio tutto quello che ho nel piatto senza lamentarmi, anche se mi fa schifo. Perchè chi ha cucinato potrebbe offendersi.
Le ragazze educate non offendono mai un ospite. Fanno quello che devono fare, sempre la cosa giusta. Mai una sbavatura.
Io non ho bisogni.
Se non ho bisogni non posso disturbare gli altri con richieste stupide. Non mi serve aiuto, io me la cavo. Io sono quella che sistema tutto, non quella che crea problemi.
Non sono come le altre bambine, non lo sono mai stata e mi distinguerò sempre da loro. E se sarò sempre così beneducata, se farò sempre la cosa giusta, se non mi farò sviare dalle mie paure, dalle mie ragioni, dalla mia voglia di indipendenza, dalla mia sete di giustizia, di libertà, di vita vera...
Se sarò sempre perfetta, tutti mi ameranno...

(Per le altre personalità rivolgersi qui e qui)

Camicia


"Camiciangela"
matita e matite colorate su carta da disegno

22.6.08

19.6.08

Me... me tocca!

Ecco, è la prima catenaccia umanoide che mi tocca fare.
Va bene, ma avverto, la faccio a modo mio, aggiungendo a casaccio quel che mi viene in mente così imparate a non provocare mai!
Cominciamo bene:
Cinque film importanti per me. Troppo pochi. Ne indico alcuni, quelli che mi hanno lasciata in sospeso a camminare in un sogno per lungo tempo dopo la visione...
1 - Donnie Darko, di Richard Kelly


2 - Blade Runner, di Ridley Scott


3 - Lucia y el Sexo, di Julio Medem

4 - American beauty, di Sam Mendes

5 - The Gift, di Sam Raimi
6 - Il Corvo, di Alex Proyas

7 - Monsoon Wedding, di Mira Nair
8 - La Sconosciuta, di Tornatore
Non sono 5? Pazienza.
Cinque libri: indico quelli che, appena finiti, ho riaperto più volte per rileggerne alcuni passi
1 - Il signore degli anelli, di Tolkien
2 - 1984, di Orwell
3 - La sfera del buio, di Stephen King
4 - Rose Madder, idem
5 - Twilight, di Stephenie Meyer
6 - White Oleander, di Janet Fitch
7 - Il signore delle mosche, di William Golding
8 - Il dio delle piccole cose, di Arundathy Roy
Cinque canzoni:
1 - World in my eyes, Depeche Mode
2 - Eurasian eyes, Corey Heart
3 - Mad world, Tears for fears
4 - Original Sin, INXS
5 - La leva calcistica del 68, Francesco De Gregori
6 - Creep, Radiohead
7 - Lithium, Nirvana
8 - Qualcosa che non c'è, Elisa
Ma aggiungo di testa mia:
Cinque uomini:
1 - Gary Oldman, attore
2 - Eric Close, attore
3 - Jensen Ackles, attore
4 - Michael Hutchence, cantante
5 - Jaye Davidson, attore trans (prima che me lo diciate voi, ve lo dico io...)
Cinque donne per par condicio...
1 - Kate Winslet, attrice
2 - Jennifer Connolly - attrice
3 - Gwen Stefani, cantante
4 - Charlize Theron, attrice
5 - Angelina Jolie, attrice...
Mancano le foto? C'è Google apposta...

13.6.08

Psico-pato-peda-gothico!

Ho un diploma che attesta che sono maestra elementare. Non ho mai dato l'esame di stato perchè sono prevenuta nei confronti del sistema pedagogico-educativo, quindi non mi è mai interessato andare a rovinare il cranio di bimbi altrui come penso si faccia spesso a scuola.
Io avevo una maestra grandiosa, alle elementari: Marilde G.
Quella donna con la sua vocina flebile ed il suo carattere deciso mi ha insegnato moltissimo. Tra l'altro è stata anche l'unica per cui io abbia mai studiato. Ho finito di farlo in quinta elementare e per molti versi vivo ancora di rendita da allora.
Nel corso dei miei "studi" ho incontrato insegnanti buoni e validi e una moltitudine di gente che non mi ha dato niente di niente. Ho avuto compagni di classe, alle superiori, che non riuscivano nemmeno a prendere gli appunti quando il prof. li dettava. Scrivere in italiano era complicato, comprendere un concetto impensabile. Ad alcune di queste persone è stato consigliato di dichiarare, in sede di maturità, che non avrebbero proseguito gli studi e che avrebbero sposato il fidanzato e si sarebbero messe a fare le casalinghe. Questo perchè altrimenti non avrebbero mai avuto un diploma in mano. Queste persone sono maestre come me, anzi, magari loro l'esame di stato l'hanno dato e passato.
Al tirocinio ho visto cose che non mi piacevano, compresa la maestra delle materie scientifiche che strafalcionava un italiano misto dialetto, che persino i bambini di quarta le ridevano dietro. E non solo. Mi sembrava che non ci fosse spazio per una soluzione creativa. Problemi di matematica in fotocopia con solo le operazioni da fare (a noi insegnavano a ragionare e trovare un procedimento di testa nostra), come a dire che lo schema è quello, hai solo da imparare e non chiederti mai se c'è un altro modo.
C'erano bambini chiusi in classe mattino e pomeriggio, esclusa la ricreazione. Se io fossi alle elementari oggi, sarei già impazzita per il senso di prigionia, per il non avere uno spazio mio in cui esprimermi liberamente.
E mi fanno ridere quelli che dicono che i bambini hanno comportamenti strani perchè i cartoni giapponesi sono violenti. Io li guardavo, da piccola. Certo, non erano gli stessi di oggi. Ma oggi i bambini vedono i telegiornali in cui mostrano gli orsi ingabbiati dai cinesi per l'estrazione della bile che tentano il suicidio per non stare in gabbia. Vedono rivolte, guerra, effetti delle bombe. Che saranno mai i cartoni giapponesi...
Io guardavo Goldrake e Jeeg e non mi è mai venuto in mente di lanciarmi dalla finestra perchè potevo volare. Non ho mai pensato di prendere a randellate mia madre con una fantomatica alabarda spaziale perchè l'ho visto fare in tv. Non ho mai preso sul serio quello che vedevo in tv.
Forse anche perchè avevo una mamma vicina, una nonna materna artista, forse perchè qualcuno mi ha fatto capire che un film è un film, un libro è un libro, la vita è un'altra cosa.
Inoltre sono dell'idea che i bambini non abbiano lo stesso concetto di violenza che abbiamo noi adulti. Io leggevo Asterix e mi divertiva vedere Obelix col cinghiale in spalla. Mica mi veniva in mente che il cinghiale era morto preso a botte dall'energumeno... Perchè, la matrigna che manda il cacciatore ad uccidere la figliastra e si fa portare il cuore? La strega che cade nel burrone scappando? Le continue angherie delle sorellastre di Cenerentola? (Io, poi, le fiabe le odio)
Avevo incubi terribili prima ancora di vedere i film di fantascienza e dell'orrore. Non mi hanno spaventata di più, quando li ho visti.
Spesso credo che siano gli adulti a sbagliare, con i loro preconcetti e la loro visione del mondo. Non è che i bambini sono puri ed innocenti. Ci sono bambini crudeli esattamente come ci sono adulti crudeli. L'unica cosa che contraddistingue gli uni dagli altri è un minimo di istruzione e l'esperienza della vita.
Io non so se sarei in grado di allevare un bambino in questa società dove tutte le cose che contano sono legate all'apparenza, all'appartenenza, alla proprietà. Io non ce la farei a dare un modulo prestampato passandolo per istruzione. Non riuscirei a trasmettere nozioni senza dare modo a chi ascolta di formarsi un giudizio suo, magari bizzarro e sbagliato. Magari perderei tempo a ragionare con ogni bambino per ogni maledetta cosa, a spiegare il mio punto di vista, a farmi spiegare il suo. Perchè questa soluzione e non un'altra. Perchè questo disegno e non un altro, perchè una poesia al posto del tema. Che cosa sogna, che cosa gli piace, cosa vede quando guarda fuori, cosa sente quando ascolta musica.
Forse lo tratterei come tratto gli adulti, lo ascolterei, gli parlerei, lo farei arrampicare su una sedia per aiutarmi a lavare i piatti, lo incoraggerei a salire su un albero, a sdraiarsi in un prato, a guardare il cielo, ad immaginare ogni mondo possibile, a leggere milioni di avventure.
No, non sarei una buona maestra.

11.6.08

Moradabad

La prima tappa del nostro viaggio lavorativo-turistico era Moradabad, cittadina a nord-est di Delhi in cui mamma aveva un paio di fornitori.
All'epoca era un gran mucchio di case con circa un milione di abitanti, non proprio benestanti. Nell'avvicinarci al paese, mamma e Shomir ci spiegano cosa sono quelle pizze fangose che stanno appiccicate alle case o impilate in improbabili muretti. Trattasi di cacca di mucca, mischiata a paglia o altro, che viene fatta essiccare appiccicata alle pareti esposte al sole della casa, per poi essere utilizzata come combustibile.
La cosa non mi stupisce, in fondo mi sembra così ovvio...
Appena arrivati facciamo sosta dai Sette Fratelli, che lavoravano l'ottone in un posto spaventoso. Una specie di grosso garage, poco illuminato, con mucchi di rottami sul pavimento e giovanissimi operai specializzati che lavoravano senza alcuna protezione. Un saldatore senza maschera che sembra mio coetaneo o poco più grande, sta lavorando un bellissimo airone di metallo. Il suo stipendio medio, all'epoca, era di quarantamila lire al mese.
I Fratelli mi guardano curiosi. Sì, perchè sono molto bionda e molto dorata. Tanto che uno di loro si offre di adottarmi, ma la cosa mi suona molto più come una proposta di acquisto... Ovvio che mamma ci ride su e declina l'offerta. Gianni, che non ha capito niente di quello che succedeva intorno a lui, era preoccupato di sporcare i suoi pantaloni bianchi.
In strada, l'autista ci aspetta tra un bufalo e una vespa.



Al giro turistico della "fabbrica" e a qualche trattativa segue un pranzo speciale. In ufficio i Fratelli ci offrono uova sode, whisky e biscotti. Per me la solita Limca con cannuccia. Tanto quanto i biscotti sono gradevoli, tipo i Morning Coffee, ma per farci una gentilezza i nostri ospiti decidono di sgusciare le uova per noi... Le mani sporche di ottone lasciano un alone nero sul bianco delle uova, che diventa quasi impossibile mettersele in bocca senza chiudere gli occhi. Io, che da brava bambina posso permettermi di fare la schizzinosa, comincio a grattare via la parte di bianco ormai grigia, per poi ingurgitare mezza per volta due uova. Poi stop. Mamma fa lo stesso, con una certa nonchalance tipica di una donna pratica. Gianni invece, essendo privo di ogni senso pratico e badando più al lato esteriore della faccenda, comincia a strofinare le mezze uova sui pantaloni bianchi facendo finta di ascoltare i discorsi che nel frattempo vanno avanti.
Alla fine del pranzo i suoi pantaloni hanno una sospetta riga grigia ed unticcia su entrambe le gambe. In più, lui non sopporta il whisky, soprattutto quello indiano che a suo dire sa di petrolio.
Una volta usciti dal loro ufficio e saliti in macchina ci facciamo un sacco di risate, perchè tutto sommato ci siamo divertiti.
A parte lo sfruttamento dei ragazzini, ovvio. Su cui, però, non voglio dire le solite cose trite e ritrite. Nel dopoguerra da noi lavoravano i ragazzini della stessa età, quando si fa fatica a mangiare non si va per il sottile. Non che sia giusto, ma non è passato tanto tempo da quando le stesse cose capitavano anche qui. Probabile che oggi, a vent'anni quasi trenta di distanza, non ci sia un numero così spropositato di bambini che lavorano. Ma non ci giurerei. E non proseguo.
A preoccuparci, allora, era l'invito a pranzo per il giorno successivo nella casa di famiglia dei Sette Fratelli, cioè nella casa delle sette famiglie dei sette fratelli. Mai visto così tanta gente in una famiglia sola. Ci sono i nonni, i sette figli con relative mogli, più un quattro figli a testa in media. Foto ricordo con una vecchia Polaroid con ognuna delle famiglie, poi con tutti i fratelli, con tutte le mogli e chi più ne ha più ne metta. Mancava la foto con tutti i vicini...
Abbiamo una tavola imbandita per noi, ma solo per noi, perchè tutti in una stanza sola non ci si sta. Con noi, appollaiati come la carogna di Luca e Paolo, buona parte dei fratelli, le cui mogli vanno avanti e indietro dalla cucina per portarci... uova sode!
Ecco, inutile dire che ancora adesso io non sono particolarmente attratta dalle uova sode...
Fortunatamente ci sono anche dei ceci, talmente piccanti da risultare quasi neri alla vista e che fanno lacrimare gli occhi perfino a Gianni che col piccante ci va d'accordo. Quindi accetto con rassegnazione la condanna all'uovo sodo. Che da una famiglia così numerosa pare anche brutto non accettare. Chissà loro quanta fatica faranno a mangiare, mentre noi abbiamo di tutto a disposizione. Questo è quello che provo a dirmi mentre trangugio le mie solite due uova. Alla quinta metà mi vien da vomitare e così vado fuori con Gianni (seguiti da una parte della famiglia) a cercare di sputare prima di far danni.
Ecco, il primo blocco di fornitori era andato. Non so come mai, ma ero preoccupata per il seguito...

10.6.08

Episodio 5

Clara è dalla nonna paterna, un sabato, nel bel mezzo dei casini economici e non di quegli anni.
La nonna sta seduta sul suo divano, nella sua casa in Crocetta (zona bene di Torino, per i non residenti).
- Oh, Clara, la mia nipotina...
- Nonna, sono maggiorenne...
- Ma, dimmi, non ti piacerebbe andare in vacanza all'estero, come i tuoi cugini. A Londra, per imparare l'inglese, ad esempio...
- Certo che mi piacerebbe, nonna.
- Allora perchè non ci vai?
- ...

30.5.08

L'inquieto KK

Era tornato all'attacco.
Non aveva paura di niente, davvero. Accidenti a lui. La guerra ricominciava. Difficile combattere al buio, non si riesce ad avere una percezione corretta delle distanze e del pericolo.
Ma KK insisteva, continuava ad avanzare, con la foga tipica di chi ha già inserito la modalità combat. Le narici allargate per fiutare il nemico, il corpo vicino al terreno nella speranza di mantenere l'equilibrio, una mano a ripararsi ed una pronta a offendere.
KK era giovane, biondo e di corporatura atletica. Non particolarmente accettato dai suoi compagni per quel suo atteggiamento arrogante di chi sa e fa più di tutti. Alcuni tendevano a non calcolarlo proprio, ma in battaglia si sa... chi c'è, c'è.
E lui c'era, la battaglia era cominciata e lui aveva il suo bersaglio. L'aveva individuato subito, eccome. Il nemico aveva l'aria furba e svelta, di quelli che hanno sempre un piano, che sembrano indifesi e quando ti hanno bene a tiro non sbagliano mai un colpo.
Faceva caldo, sempre di più. Il suolo di morbida sabbia marrone tratteneva i suoi passi, rallentava i suoi movimenti. Percepiva la presenza dei suoi compagni, a pochi passi.
Li sentiva sussurrare suggerimenti. Muovere furtivi intorno al punto dove avrebbero incontrato il loro nemico.
Avanzavano. Lenti.
Poi i suoi compagni erano saliti su di una duna di sabbia, insieme. Il buio era sempre più buio e KK si muoveva solo, apparentemente senza paura. Nessuno poteva sapere cosa celasse nella sua mente, quali sensazioni scorrevano nei suoi nervi e allertavano il cervello.
Sulla duna la battaglia era al suo culmine. Sentiva il corpo a corpo, nei rumori, nello spostamento delle ombre, nei pochi secondi di silenzio in cui anche il respiro sembrava sospeso.
E, ancora, avanzava. Sempre più chino sul terreno per sorprendere il suo nemico.
Non poteva guardarlo negli occhi. Il buio toglieva anche questa possibilità.
A KK non piaceva questa mancanza di visuale. Voleva leggere negli occhi dell'altro la prossima mossa. Sapere in anticipo dove difendersi, vedere la paura, o la vittoria, o la vita negli occhi del nemico. Eppure avanzava. Spavaldo, coraggioso, quasi impertinente.
Il nemico l'aspettava nella sabbia scura. Sapeva benissimo che KK sarebbe arrivato. Presto. Sapeva la forma del combattimento che si sarebbe svolto. Aveva previsto e studiato le sue mosse. Quanto terreno concedere al suo aggressore. Quanti colpi lasciare che lui affondasse.
Perchè in battaglia è così, bisogna saper incassare qualche colpo per poterne dare di più forti, precisi. Letali, a volte. Il nemico sapeva di non potersi aspettare clemenza. Un uomo in battaglia raramente si ferma di fronte a una possibilità di vittoria. Una vittoria significa la vita per uno che nella vita ha deciso di combattere.
L'umidità cominciava ad avere il sopravvento. KK odiava il caldo umido. Lo rendeva inquieto, teso più del necessario. Bisogna essere lucidi per vincere davvero. Sapeva che i suoi compagni stavano già sudando la loro vittoria. Sentiva premere le tempie per l'urgenza di combattere anche lui.
Ed ecco l'ombra del nemico, vicino. Molto vicino. Il terreno era scomodo, KK sapeva che in un'altra situazione avrebbe avuto la meglio più in fretta. Ma non c'era modo di evitare questo corpo a corpo, non più, e nemmeno di trascinare il nemico sulle dune.
Il buio, l'umidità...
KK si allungò, pronto a sferrare il primo colpo, augurandosi che fosse quello buono.
E colpì, una volta, due, tre. Un colpo solo che ne conteneva almeno dieci. Uno di quei momenti che sembrano durare un'eternità. Il nemico non tentò di evitare il colpo, anzi, parve assecondarlo. Accoglierlo. Senza paura, senza dolore, senza resistere. Come se lo stesse aspettando da sempre.
Questo non fece che aumentare la sua foga, la voglia di atterrare il nemico e distruggerlo, renderlo schiavo, umiliarlo pur rispettandolo. Si lanciò nel secondo assalto, si trovò ancora a entrare nelle difese del nemico...

Cazzo! Chi ha acceso la luce???