31.12.14

Un anno di P...

Tempo di bilanci e purtroppo anche di bilance.
Il mio, devo dire, è stato un anno faticoso ma buono. Forse uno di quegli anni in cui non sembra di andare avanti di molto, ma che invece getta le fondamenta per qualcosa di più grosso e felice. Un anno di piccoli grandi passi e di piccole ma costanti soddisfazioni.

Un anno di P.
Come il mio nome, come la me stessa che vado ritrovando passo passo e che scopro sempre migliore di quanto pensavo, sempre diversa e sempre sorprendente (e me lo dico da sola, lo so).
L'anno del mio nuovo tatuaggio, l'anno che mi lega a me stessa.

Un anno di Pubblicazione, visto che a febbraio è uscito il mio ebook e che tra poco sarà disponibile anche in cartaceo per gli irriducibili amanti del foglio e del tomo. Vendite lente ma costanti, nonostante io abbia fatto di tutto tranne che pubblicizzarmi in ogni dove. Finora sono circa 250 copie e se consideriamo che non ho una famiglia enorme e non ho obbligato gli amici a spendere quel cifrone improponibile...

Un anno di Prove, come aspirante giornalista, di articoli a volte riusciti e a volte meno, ma un anno di lavoro fatto col cuore.

Un anno di Parole, quindi. Di racconti, di poesie, di sogni buttati su carta. Parole che mi vengono bene qualche volta e meno bene in altri momenti,ma su cui lavoro testarda "incapponendomi" - come direbbe Zu - fino a risolvere tutto o cancellare.

Un anno di Piccole soddisfazioni continue, di gioie sottili ma sempre presenti. Di quelle che ti tengono viva e ti fanno sapere che andrà tutto bene.

Un anno di Porcate, che stavolta con il dolce ci sono andata pesante e dovrò rimediare che qui mi restano addosso i segni...

Un anno di Palpiti ed emozioni piacevoli, che non guastano mai.

L'anno in cui mi sono iscritta a Pole dance, infine. Dopo tanta attesa...

E i Propositi? Tanti, buonissimi, e sono già al lavoro. Ma lo saprete Presto!
Sarà un anno di Passione Pura.
E che inizi bene...

24.12.14

Scrooged again

Innanzitutto... Buon Natale.


Sono figlia di genitori separati - diciamola così che in altro modo sarebbe scomodo, lungo e non necessario - e da quando ricordo ho sempre festeggiato il Natale in doppia sessione.
La sera del 24 con mamma e la sua parte di famiglia, spesso nella casa in collina ma anche a volte nell'appartamento di Via Collegno con l'albero montato nel bow-window. Era il mio Natale preferito, quello più caldo e meno "ufficiale", quello passato con le persone con cui vivevo ogni giorno. Eravamo in pochi, quasi sempre. I nonni, mamma e io, spesso lo zio Riccardo - più quando viveva a Milano, poi sempre meno poi... - qualche volta altri parenti, ma sempre in pochi. Come la volta che ho ricevuto il peluche del leone, in via Collegno, o quando mi hanno regalato il fortino del west in collina. Queste feste in famiglia si sono molto ristrette dal 1980, quando a festeggiare siamo rimaste mamma e io (con parenti fittizi acquisiti nel tempo, poi spariti, poi amici, poi ...) sempre senza che la magia cambiasse.
Il 25 c'era la festa "seria", con la parte paterna della famiglia. Tutta. Senza esclusione di cugino di terzo grado, tutti sconosciuti o quasi di anno in anno. Quelli che non vedi se non quel giorno lì. E ogni anno ti chiedono "chi sei?", come se mancassi al conteggio, all'inventario del parentame. La festa che dai 18 anni in poi ho cercato di evitare quanto potevo. Perché proprio no. Non era da me.
Fino a quattro anni fa il rito del 24 sera è rimasto uguale. No, cinque. Perché mamma è andata via prima di Natale e ci siamo trovati ad affrontare la cosa senza sapere bene come ci saremmo organizzati. Ma ce l'abbiamo fatta. Fino a cinque anni fa il menu per la serata sarebbe stato deciso da almeno quindici giorni, mamma avrebbe pensato a tutto e avremmo avuto - nonostante il buddismo ben ostentato con chiunque - un albero (o un camino, o una poltrona, o un bow window, o una cassapanca) di Natale pieno di regali. Ci sarebbe stata mia sorella-stra con il suo bimbetto capriccioso, e a volte la nostra amica Clelia con la bambina Gaia ormai cresciuta. 
Poi è cambiato tutto e stasera, per la prima volta, passiamo la vigilia da soli quassù - nella casa che ho scelto per respirare - mangiando polenta e gorgonzola e aspettando la mezzanotte guardando i dvd degli X-Files uno dietro l'altro. Non mi dispiace. Non amo il Natale e tutta la scia di buonismo e felicità un poco fasulli, con tutto il rispetto per chi questa festa la ama e la "pratica" correttamente.
Mangeremo una fetta di panettone e non ci scambieremo regali. E da domani, finalmente, vacanza. Tempo per scrivere, per respirare e per mettere insieme le idee.
Ho delle cose da finire, delle cose da decidere, delle cose importanti che voglio seguire.
Posso pensare a me: quale regalo può valere altrettanto?

19.12.14

Specchio riflesso...

Ovvero, colta da sconforto in un agitato Dicembre.


Questo è un post stronzo, sappiatelo. E anche stanco, quindi poco lineare.
Come dicevo ieri, credo che manchi qualcosa alla mia scrittura. Più leggo gli altri, pubblicati o meno, più mi rendo conto che quella scintilla non è cosa comune. Storie sempre uguali, scrittura poco curata oppure ridondante, eccessiva. Punteggiatura stonata, grammatica vagante, narrazione che procede senza senso o con salti temporali non evidenziati dalla impaginazione. Cose che a leggerle una volta sola non le capisco. Tocca tornare indietro e rileggere.
E ancora, rileggendo, mi rendo conto che sposterei, cambierei, taglierei, e il testo non è mio.
Pagine intere che non trasmettono l'ombra di ciò che potrebbero.
Non perché sono d'altri. Perché come in uno specchio mi rendo conto che la mia scrittura, anche se magari più curata e pulita, ha lo stesso difetto.
Quando cantavo sapevo di avere voce e intonazione, ma mi mancava il "tiro" che è quello che fa funzionare un pezzo e che te lo incide nella testa al primo ascolto.
Quando ballavo stessa cosa, mi impegnavo, sapevo la mia parte e quella di quasi tutte le "colleghe", ma non sarei mai stata una prima ballerina. Giulio Cantello, il mio insegnante di danza classica, mi aveva detto che ci sono cose che non puoi prevedere quando arrivano. Diceva che Baryshnikov non era meglio tecnicamente di un qualsiasi solista uscito dal Balletto Kirov o dal Bolshoi, ma aveva quel qualcosa in più che lo rendeva speciale. Non si sa cosa sia e non puoi sapere se ce l'hai finché non esplode in te e ti cambia. Male che vada resterai sempre una brava ballerina, se hai lavorato e sei dotata.
Ecco il punto.
Non si tratta di padroneggiare la tecnica, ma di aggiungere qualcosa.
Ora, in molto di quello che leggo io la scintilla non la trovo. Eppure sono romanzi pubblicati, a volte. Senza un editing ben fatto, senza la cura di scegliere la parola che potrebbe rendere la frase un capolavoro. Allora mi chiedo se viene pubblicato tutto ciò, io perché scrivo - visto che in alcuni casi so di scrivere meglio - e mi vedo ogni difetto, e mi rendo conto che quel qualcosa in più non c'è?
E perché dovrei continuare? Finire i miei lavori senza "brillantini" ha un senso? Devo semplicemente fermarmi e aspettare l'esplosione? Devo fare altro?
Forse un po' di riposo mi serve e in queste due settimane (non ancora iniziate, ma vicine) magari ne vengo a capo.
In ogni caso... Mi domando: "ma gli editor li pagano?" Perché capisco una piccola casa editrice che magari non ha il tempo di farti rimettere sul romanzo pagina per pagina e sistemare il lavoro, ma se mi acorgo io che non sono una particolarmente esigente... possibile che non se ne accorga nessuno? Insomma, un po' come nel caso dell'autore da Strega che si auto plagiava, davvero non si accorge nessuno di quelli che lavorano alla pubblicazione di un titolo che c'è qualcosa che stona?
Non c'è risposta e va bene. Non c'è una risposta per tutto. Me ne rendo conto. Ma mi annoia e mi toglie motivazione. Tutto qui. Se tutti scrivono e io scrivo come tutti, che scrivo a fare?

18.12.14

Senza magia

"Gli Arctic Monkeys hanno prodotto cinque album, che nel complesso hanno venduto cinque milioni di copie. La rivista Rolling Stone ha definito il loro primo disco, uscito nel 2006, il trentesimo più grande debutto di tutti i tempi. Eppure, al momento della formazione del gruppo, nel 2002 , nessuno dei suoi componenti sapeva suonare uno strumento. Vedo potenzialità simili in questo periodo della tua vita, Leone. Come potresti partire da zero per creare qualcosa di grande?" (dall'oroscopo di Internazionale della settimana scorsa)


 Devo ammettere che l'ultima frase mi ha dato sui nervi, parecchio. Perché è un periodo in cui sono affaticata e insoddisfatta di come procedo nelle mie cose da scribacchina, o non procedo. Oh, non devo lamentarmi. Le cose non vanno così male, solo che mi sono resa conto che devo fare un salto di qualità.
Manca la magia.
Come se non riuscissi a mettere tutto quello che dovrebbe esserci nelle parole. Come mancasse la polverina dorata che rifinisce un quadro da cui gli occhi faticano a staccarsi. Come se un "velo" (cito Monica, con cui discutevo oggi) coprisse quel che scrivo, proteggendomi - non mi metto a nudo, in gioco totalmente? - ma attenuando l'effetto che le parole potrebbero avere.
Perché sono sicura che non scrivo male, ma di certo quello che scrivo non incolla il lettore alla pagina, non ancora. Forse davvero indugio troppo sui dettagli, sulle descrizioni. Non lo so, qualcosa non mi quadra e non voglio fermarmi ora. Devo solo trovare la mia magia. Prima o poi ce la farò, credo. Intanto cerco di capire che cosa mi manca, perché sono stufa di stare ferma qui.
Scrivo, scrivo, scrivo e non colpisco ancora a fondo. Quando avrò la magia, la mia penna (e chi la usa più?) ucciderà...

16.12.14

Gratis per qualche giorno

Un mio racconto insieme ad altri di altri autori. Lo trovate qui:


















Al solito su Amazon...
E in ogni caso è nella pagina racconti, poco più in là. Il titolo è "Ogni Giorno".
Ma visto che è gratis conviene leggere anche tutti gli altri colleghi, o no?

12.12.14

Una lista di consigli per gli acquisti di Natale molto di parte

Da quel che vedo su Facebook è iniziato il momento dello spam degli autori che vogliono consigliare il proprio libro a tutti. Siccome non sono da meno, ma sono di più perché tendo a esagerare, io voglio fare una lista di consigli per gli acquisti tutta mia molto politically uncorrect. Solo amici.
Mi scuso fin d'ora con chi non si vedrà nell'elenco, non posso consigliare libri che non ho letto almeno in parte e non leggo tutti i miei amici solo perché sono miei amici. Avendo ancora la possibilità di leggere per puro piacere tendo a scegliere i titoli perché li leggerei comunque e non solo per gentilezza o per arruffianarmi i colleghi. Soprattutto perché non voglio che si sentano obbligati a ricambiare e non voglio che mi leggano per una sorta di "cortesia".
Quindi, bando alle ciancie...
Il primo romanzo che consiglio appartiene a un ragazzo che ha un cuore bello e una voce meravigliosa. Si tratta di "La letteratura tamil a Napoli", di Alessio Arena. Non propriamente un esordiente sfigatello come posso essere io, ma una bella persona e una storia molto particolare con rimandi colti e con la giusta dose di umorismo folle.
Non so descrivere il testo, solo ve lo consiglio. Una scoperta.









Come seconda cosa vi propongo un ricettario uscito l'anno scorso e di cui sta uscendo il secondo volume. Non è un comune libro di cucina, ma una serie di ricette raccolte, raccontate e illustrate con ogni tipo di accompagnamento il cui ricavato va all'Ospedale Pediatrico Oncologico Santa Chiara di Pisa. Un bellissimo regalo per tutti, anche se non riuscite a smettere di stare a dieta. Il libro si chiama "Fatti mangiare dalla mamma" ed è scritto da Cochonnerie- Labile-Collettivo. Bello e buono, intelligente e gustoso.




Il terzo romanzo è una storia di solitudini e ombre, di cose che alcuni bambini vedono e di ferite che non spariscono. Un romanzo onirico che non può essere catalogato in un genere senza risultare monco. Perché ha mille sfumature e tra le righe una dolcezza insolita. Una storia per tutti, per ricordarci che siamo tutti legati in qualche modo e che il buio a volte può essere sconfitto. E la solitudine accompagna spesso le persone più speciali. Il romanzo è di Carlo Deffenu e si intitola "Domani sarà un giorno perfetto".




Passiamo al quarto romanzo, reperibile scontatissimo su Ibs, non una novità ma un titolo interessante di cui ho già fatto la recensione sull'altro blog e di cui prima o poi parlerò in modo accurato qui. Un romanzo che ha il sapore della poesia e dell'altrove. Parla di tutti noi e di quello che lasciamo indietro fingendo di non ricordare per una sorta di amore per il quieto vivere. So che ho già parlato dell'autore, Pippo Russo, e che non mi limiterò a questo titolo (ce ne sono tanti nella sua produzione tra romanzi e saggi e critica del testo, alcuni molto interessanti) e questo romanzo si chiama "Memo".



Il quinto consiglio si trova solo in ebook, ma se lo acquistate su bookrepublic lo potete regalare comunque. Una storia per scrittori, ma non solo, quella che ci racconta Cristiana Pivari con il suo "Il numero 52". Lavoro ironico, intelligente e pieno di colpi di scena che coinvolgono il lettore nelle improbabili avventure di un giovane scrittore alle prese con un personaggio del suo stesso romanzo che non ne vuole sapere di fare quel che le si dice...Ma la storia non finisce qui.





Per una lettura più leggera e rosata, invece, il consiglio va indirizzato diversamente. C'è una storia molto carina che ha scritto un'altra amica e che fa sorridere teneramente. Una storia estiva un po' bizzarra, non c'è che dire, ma che fa stare bene per tutto il tempo.   L'autrice è  Federica  Gnomo e il  suo  libro  si  chiama "Il ragazzo alla pari", anche questo non nuovo, ma reperibilissimerrimo. 






Altro libro di cui vi ho già parlato più volte ma che vale la pena di leggere sempre è il mio tormentone dell'anno, vale a dire "Il tempo tagliato" di Silvia Longo. Libro femminile e ispirato, avvolgente e da leggere su più piani, scoprendo sfumature imprevedibili e mai banali. Un libro sull'amore delle donne, su un certo tipo di amore che non riusciamo a toglierci di dosso. Splendido, senza ombra di dubbio, e da scavare fino a estrarne il succo, completamente.





Volendo cambiare genere, ma proprio di brutto, vi consiglio una storia d'amore che si svolge nel 1858 e che da Genova porterà i protagonisti nel Nuovo Mondo. Nell'Alabama delle coltivazioni di cotone, con lo spettro della guerra civile, i rapporti tra i vari protagonisti sono spesso complicati e a tratti torbidi. Per chi ama lo storico e quel giusto tocco di romanticismo... L'autrice è Linda Bertasi e il suo romanzo, il terzo pubblicato, è "Il profumo del sud".















Dedicato a chi ama follemente i cavalieri della tavola rotonda e questo tipo di magie, ecco "Albion" di Bianca Marconero. Tutta un'altra storia. Una scuola esclusiva quanto Hogwarts, ragazzi scelti - o meglio prescelti - per un destino molto particolare. Sempre ragazzi, comunque, con amicizie e simpatie, con caratteri a volte spigolosi e con qualcosa in più. Quasi pronto anche il seguito, che attendo con trepidazione.





Chi poi fosse tanto masochista da voler regalare qualcosa di mio, trova i titoli nella pagina apposita. Sempre per quelli che sono interessati, sappiate che da Gennaio 2015 sarà possibile avere il mio romanzo anche in versione cartacea. Per ora si trova solo in ebook.

Tutte le recensioni (forse ne mancheranno un paio, ma sono in arrivo) le trovate nell'altro blog: Recinzioni selvagge. Per commenti su questi e altri libri potere cercare qui, qui, qui e qui.

Ripeto che non c'è niente di personale se non vi siete trovati qui. Semplicemente o non vi ho ancora letti o non lo farò per motivo di puro gusto personale. Vi voglio bene comunque, sempre, tanto.









9.12.14

Scelte

Mi capita spesso di discutere con amici riguardo alla qualità delle mie letture.
Si sa, prediligo le storie perché è di storie che mi nutro. Mi piace questo, non la riflessione pura. Perché poi io rifletto comunque e lo faccio anche se leggo Topolino. Ho questo grave difetto. Ogni pagina mi suggerisce nuove cose, anche quando leggo libri di "seconda scelta".
Perché poi a me piacciono i romanzi di genere, pur non facendomi intrappolare né da un genere unico, né da un autore. Ho una serie di preferiti, come chiunque.
Di solito non leggo molti autori italiani, se lo faccio è perché sono amici o conoscenti oppure perché qualcosa nella trama mi ha colpita al punto tale da superare la mia diffidenza abituale.
Diciamo che mi piace la "letteratura di serie B", molto pop,magari anche trash.
Mi racconta storie e mi libera la mente da ciò che è reale, mi porta davvero altrove quanto niente altro riesce a fare. Ho un estremo bisogno di questo tipo di svago. Proprio perché penso e perché spesso i miei pensieri diventano "ossessivi". Quando leggo qualcosa di diverso lo scelgo con attenzione, perché è possibile che mi porti dietro i "fantasmi" di quel romanzo per anni, come posseduta.
Quindi di solito è per questo che "spreco" il mio tempo con vampiri, con mondi in cui esistono i cigni mannari, con continenti separati da grandi barriere di ghiaccio e draghi, con ex poliziotte canadesi con problemi di vista e con un detective privato che ha uno stretto rapporto col paranormale.
Per qualcuno è una grossa perdita di tempo, per me è un guadagno in salute. Mi stimola, mi distrae e mi dà la possibilità di spaziare con la mente. Capisco di perdermi alcune opere fondamentali nella storia della letteratura e in qualche modo ogni tanto inserisco qualcosa di più "serio" nella lista. Ma a me piace così...

1.12.14

E chiedersi chi...


Bisogna chiudere i cicli. Non per orgoglio, per incapacità o per superbia...semplicemente perché quella determinata cosa esula ormai dalla tua vita. Chiudi la porta...cambia musica, pulisci la casa, rimuovi la polvere...
Smetti di essere chi eri e trasformati in chi sei...
(Paulo Coelho)


So che non è da me fare citazioni e a dire il vero non è da me nemmeno Paulo Coelho, ma essendo una persona che ha paura dei cambiamenti - e chi non ne ha? - e sapendo di essere nella piena evoluzione di questo ciclo, quando ho trovato questa frase ho voluto copiarla.
A trasformarmi in chi sono ho iniziato a novembre del 2010, certo non me ne sono accorta subito. Il distacco da mia madre ha dato inizio a questa fase e da quel momento non sono più stata la stessa di prima. Non per il dolore, non per il periodo passato correndo, non per la fatica. No, anche se c'era tutto e anche di più.
Solo che quella fase ancora non è finita e a volte mi chiedo quando finirà, se finirà, se mai sarò davvero io.
E soprattutto chi sono davvero?
Di sicuro la spinta a smettere di fare alcune delle cose che per abitudine continuo a fare c'è. A volte mi fa sperare in un nuovo lavoro, diverso. A volte anche solo l'idea di iniziare un nuovo quadro o di chiudere finalmente un romanzo (o di pubblicarne uno pronto e passare oltre) mi fa sentire meglio.
Altre volte mi guardo attorno e mi chiedo se amo ancora questa città che ho sempre amato e come sarebbe ricominciare altrove, visto che qui le cose vanno come vanno. Poi mi dico che qualsiasi altrove può essere meraviglioso o infernale e che certo non è il luogo che mi farà stare meglio.
Sento comunque che una parte di me ancora non è uscita e nemmeno la conosco. Non ne ho paura, non quanta ne ho del cambiamento in sé. Solo non la conosco. Non ancora.
Ma ha un estremo bisogno di uscire.
Un po' come in Alien, quella parte selvaggia di me che ho domato troppo a lungo mi preme dallo stomaco e reclama il suo spazio. Anche se per fortuna del mondo e dell'universo intero non mi metterò a deporre uova in giro. E nemmeno a mangiare cervella... Brrr.

28.11.14

L'analisi illogica del testo 4 - Ciò che pare normale

Riflettevo oggi su quanto a volte le persone più mostruose siano in realtà quelle che appaiono più normali.
Frase fatta, forse, simile a quel "sembrava tanto un bravo ragazzo" che dicono i vicini di casa dei serial killer. A me piacciono le prime impressioni, sono istintiva e ho una specie di sesto senso - il più delle volte - che mi fa fidare o meno delle persone che incontro. Non le parole, non gli abiti. Qualcosa che non so definire.
Mi è capitato di discutere in casa riguardo ad alcuni personaggi della politica che "a pelle" non mi sono mai piaciuti. Non che gli altri mi piacciano di più, ma mi fanno meno paura.
Poi, a proposito di paura, mi è tornato in mente Stephen King e in particolare un suo racconto contenuto in "A volte ritornano" e che in sei pagine di numero mostra quanto spesso le cose non siano come ci appaiono. Prima vi parlo del racconto, poi vi dico la mia.

Il racconto in questione è "L'uomo che amava i fiori" ed è ambientato a New York nel maggio del '63. Un giovane cammina sorridente, lo notano tutti, sembra bello e innamorato. Compra un mazzo di fiori, facendosi consigliare dal fioraio e contagiandolo con una specie di buonumore nostalgico (che cosa sia esattamente il buonumore nostalgico non lo so, ma potete immaginarvelo come vi pare), portando un sorriso a chiunque lo osservi così bello, giovane e innamorato. Innamorato. In effetti lo sembra anche a me che leggo.
Finalmente incontra una ragazza, la sua ragazza - pensiamo - e qualcosa comincia a non tornare. Succede così:
Si mise a camminare più lentamente, guardando l'orologio. Mancava un quarto alle otto e Norma doveva essere ormai...
Poi la scorse, che avanzava verso di lui dal cortile, con indosso calzoni di tela blu e una camicetta alla marinara che gli diede quasi una stretta al cuore. Era sempre una sorpresa vederla per la prima volta, era sempre un dolcissimo choc: sembrava così giovane.
In meno di una pagina quello che sembrava un perfetto innamorato carino, gentile, sorridente, diventa un assassino folle (o un folle assassino, più english) che prende a martellate in faccia la donna appena incontrata senza alcun motivo se non la totale pazzia per poi tornare apparentemente normale in poche righe e dare di nuovo l'impressione di esserlo: normale, innamorato e felice.
Una coppia di coniugi di mezz'età sedeva sui gradini di casa, all'esterno. lo guardarono passare, la testa un po' piegata da un lato, lo sguardo perduto nella distanza, un mezzo sorriso sulle labbra. Dopo che era passato, la donna disse: "Com'è che tu non l'hai più quell'aria lì?"
"Eh?"
"Niente," disse lei, ma rimase a guardare il giovane vestito di grigio sparire nella tenebra della notte ormai fonda e intanto pensava che, se c'era qualcosa di più bello della primavera, era l'amore giovane.
Devo ammettere che al di là del sorriso che King riesce a strappare nelle situazioni più impensabili, questa sensazione di follia travestita da normalità rende l'idea di quello che mi terrorizza.
La gente normale, quella "troppo normale". Quelli troppo gentili, troppo educati, troppo formali, troppo simpatici - ma in modo troppo misurato - nascondono un killer o comunque un che di pericoloso.
A me vengono i brividi solo a pensarci, ai "bravi ragazzi". Mi spaventano più delle macchiette, più degli eccessivi. Niente nomi e cognomi, che non servono. Ma più sembrano normali, più lungo la mia schiena corre un brivido. Non so cosa aspettarmi da uno che porta un mazzo di fiori e un mezzo sorriso, in giacca e camicia mettendo a proprio agio chiunque incontri. Proprio no.
Ora, questo post sarà breve. Il consiglio di leggere questa raccolta di Stephen King è implicito, credo che il Re dia il meglio di sé in queste pagine (meraviglioso il racconto del baubau, e altri che non elenco). Anche se a tradurre non è Tullio Dobner, la lettura è decisamente gradevole. Da brivido.

Puntate precedenti:
1 - Da certe cose non si torna indietro
2 - Il tempo atmosferico del lutto
3 - Eros o Tanathos

16.11.14

L'analisi illogica del testo 3 - Eros o Thanatos

Ed eccoci qui a incasinarci la vita. Sì, perché mica ho scritto Eros e Thanatos - e questo è già un punto fondamentale - e anche perché vado a occuparmi di amore romantico e soprattutto di Twilight.
Sì, lo so, ve lo aspettavate che prima o poi scivolassi da libri seri e profondi a un fenomeno letterario da botteghino. E sapete anche che, pur non esitando a criticare la saga, l'ho letta tutta e del primo episodio sono ancora infatuata.
Infatuata perché è onirico, intenso e romantico. Un libro per ragazzine che ha il pregio di farti tornare adolescente per tutto il tempo della lettura e dimenticare per un attimo che l'amore non è quella roba lì.



Una delle considerazioni più importanti che faccio da tempo  riguardo a Twilight è che offre una visione distorta di cosa è l'amore, per quanto l'amore romantico sia coinvolgente e totale non è mai sano se dura troppo, e che a stupirmi sia il fatto che più che ragazzine - ma anche loro - siano state molte donne adulte a impazzire per quella storia d'amore. Hai voglia a dire che tutte noi ci sentivamo fuori posto a diciassette anni e che il personaggio di Bella è perfettamente normale, per me resta uno dei personaggi meno amabili degli ultimi anni. E meno intelligente, anche. Ma non è dei personaggi che voglio discutere.
Eros e Thanatos.
Amore e Morte, cosa meglio di questo può dare un'idea della storia tra Bella ed Edward? Sia perché uno dei due è morto da un po', sia perché quella viva dei due altro non fa per tutta la saga che desiderare di morire, per poi realizzare il suo desiderio con la solita sfiga di quella che appena fa sesso rimane incinta.
Bello, intenso, romantico. Certo. Come no.
Se tutte le volte che ho amato fossi morta... avrei amato una volta sola, in effetti.
Non solo, questo continuo soffocare l'aspetto fisico del rapporto - impetuoso ma pericoloso, pressante ma proibito - sa molto di "fatto per educare" piuttosto che di realistico. Quindi si ama non potendo amare, non come nel bellissimo "La sfera del buio" di King in cui la dolce Susan dice a Roland uno struggente "Se mi ami, amami...", qui no. Più si ama e meno si può accedere all'amore, perché in qualche modo porterà alla morte.
Già questo fa riflettere. Cosa è l'amore se non amare? Se non congiungersi e donarsi totalmente all'altro? Cos'è amore se non è vita?
Invece no, tra la vita e la morte Bella sceglie la morte, che è negazione di amore.
Un messaggio contorto. Non solo per la questione prettamente sessuale. Nel triangolo che vede la giovane desiderata dal vampiro - morto e freddo - e dal licantropo - vivo e bollente - lei sceglie costantemente la morte. Anche quando si rende conto che a farla stare bene è il secondo, mentre il primo la sta portando comunque alla morte non amandola.
L'unico modo per intendere Amore e Morte come strettamente correlati, secondo me, è nella sensazione di fondersi nell'altro, annullandosi. La morte di un "io" che diventa una sola cosa con l'altro, per quel breve istante. Per il resto, come ho anche avuto modo di ascoltare ieri a una interessante lezione buddista, Eros e Thanatos sono pulsioni contrapposte.
L'Amore è vita, se non c'è amore c'è morte. Sia da un punto di vista strettamente sessuale/riproduttivo, sia da un punto di vista più umano come quello dei sentimenti. Chi è incapace di amare è come morto.
Nella visione dell'amore romantico che ci viene propinata, invece, questo legame è spesso presentato come indice di un amore coinvolgente oltre ogni confine, quasi auspicabile. Disposti a morire per amore, come Bella e il vampiro. Tanto che a volte si sente dire che Tizia si è suicidata per amore e quasi ci sembra giusto il ragionamento, quando piuttosto è un disagio profondo che spinge a un gesto simile e di certo non ha a che fare con l'amore.
Io preferisco dire che d'amore si vive.

9.11.14

L'idea era...

Scrivere un post della serie delle analisi del testo.
Ma no. Non è il momento. Non c'è l'umore giusto, non c'è soddisfazione nel farlo. Non ora.
Il problema di noi umani è che siamo complicati. Facciamo più spesso le cose sbagliate di quelle giuste e la maggior parte delle volte lo facciamo convinti che sia giusto, oppure per paura, o altre sventure irrazionali.
Per essere quelli dotati di un cervello eccezionale tra le creature del pianeta, siamo di certo quelli che lo usano peggio. Perfino una cozza fa meglio di noi.
E ieri riflettevo su quanto questo agire scomposti e senza un vero contatto con noi stessi ci porti via la vita, a quante scelte sbagliate si possono fare e a quanto le cose giudicate meno sane invece a volte ci salvino la vita.
A quanto spesso siamo noi stessi la nostra prigione. Bon (come si dice qui a Torino).
E visto che piove dalle 15 circa e che io vorrei essere altrove... In un posto un po' più simile al paradiso, tipo Kovalam, in Kerala. Ma poi anche no, vorrei esserci se Kovalam fosse qui, sotto casa.

Buona serata a tutti.

6.11.14

Il bello del tubo... ehm, del palo.

Ho sempre avuto una passione per quella cosa che accende l'immaginario erotico di molti uomini e che ora è disciplina sportiva con il nome di pole dance.
Insomma, questa è l'idea che uno ha quando ne sente parlare o quando si immagina già volteggiare in posizioni al limite del contorsionismo. Un bel corpo, modellato e tonico, la leggerezza... (lo so, è una mia fissazione questa della leggerezza)
Ecco che tra le mille mode del momento, da qualche anno è spuntata anche la pole dance, con nomi più soft tipo pole fitness o con un exotic davanti a sottolineare che ci sono i tacchi alti e ci si muove muy sexy.
Tutto ok.
Dopo anni di "vado-non vado" ho finalmente iniziato a frequentare un corso di pole dance. Per signore, come mi ha suggerito l'insegnante notando che non sono una ragazzina e sono un po' fuori forma. Facendolo anche notare a me, che ogni tanto ho l'illusione di avere ancora vent'anni e di pesare 50 kg...
Le cose si sono trasformate da "danza sensuale" a "sport estremo" fin dalla prima lezione, quella di prova. Mio marito ha voluto fotografare i miei lividi e comunicare a tutti i nostri amici che non è stato lui a malmenarmi ma che ho fatto tutto da sola. Io stessa, per monitorare i progressi - i lividi, dicono, con il tempo e l'esercizio non ci saranno più - ho un album di foto riservatissime con ogni singolo segno.
Fatto sta che la prima settimana l'ho passata con un capillare rotto nell'interno del braccio destro e una chiazza viola, più altre cose. Alla seconda lezione ho iniziato con i lividi sugli stinchi. Alla terza sono arrivata a casa con un interno coscia "da urlo", che poi, tornando a casa in bici è stata una sofferenza non da poco.
Non contenta, dalla quarta volta ho deciso che sarei andata due volte a settimana invece di una sola. Perché quando faccio qualcosa, la faccio bene. E sono arrivate le stimmate sul dorso dei piedi.
I risultati si vedono a giorni alterni. Una volta sforzo le braccia, la volta dopo le spaccate sono uno sforzo mostruoso, una volta riesco a salire sulla pertica fino a metà, la volta dopo non mi riescono gli esercizi base. Ci sta tutto, è uno sport. Devo imparare i movimenti, devo plasmare il corpo, devo perdere peso per evitare di sovraccaricare braccia e schiena, devo semplicemente fare lo sforzo normale per uno sport praticato a livello amatoriale. Insomma, chi corre ogni giorno avrà pure i muscoli indolenziti. Poi sono cresciuta tentando di evitare le scarpette da punta di danza classica, che mi scorticavano viva ogni volta, che saranno mai pochi lividi?
Certo, per ora l'estetica ci guadagna solo se resto pressoché vestita. Ché le gambe verde-viola non sono proprio il massimo del trendy. (Ma si sa, io non sono mai stata fashion victim.)
Ogni tanto guardo i filmati su YouTube di chi lo fa per professione e penso che siano dei mostri... Di bravura.
Ovviamente non spero di raggiungere certi livelli, ho una certa età e non posso passare ore ogni giorno ad allenarmi come ha fatto la mia attuale insegnante. In ogni caso non è importante dove si arriva, lo è di più passare il tempo libero facendo qualcosa che piace. Lividi e bolli compresi.
La cosa divertente è il mettersi alla prova, il provare a fare le evoluzioni improbabili che si propongono a lezione, osservare persone del corso prima che hanno gambe lunghissime e perfette. Pensare che sì, si sta facendo la stessa cosa. Non importa se in modo differente. Alla fine con un po' di fatica le cose si imparano. Si torna a casa con qualche livido in più quando si impara qualcosa di nuovo, la volta dopo quella cosa ci riesce meglio e non ci bolliamo.
Ci si diverte, si scherza, si prova e si fatica. Poche per volta, ciascuna con il proprio palo girevole. Si ride molto, quando si sbaglia. Si scuote la testa e si riprova.
Ho letto articoli in cui si prendeva in giro questa disciplina. Io non ci trovo molto da ridere, se lo disdegni è perché non sei capace di metterti davvero alla prova, in mutande e reggiseno, sentendoti un kebab mentre rotei attorno al palo cercando di tirarti su e non riuscendoci. I tacchi te li scordi, non sei lì per fare la modella.
Sei lì per sentirti bene, punto.
E se poi penso che nel mio corso c'è una allieva che ha oltre 25 anni più di me e che anche lei si diverte come una matta, mi chiedo cosa ci sia di così strano nel dire che si va a pole dance, come fosse una cosa brutta...
Tanto più che una volta dato l'input, nonostante i lividi ben in mostra, ci sono delle amiche coraggiose che si iscriverebbero all'istante e che magari appena si riesce a trovare un posto libero a un orario decente lo faranno.
Per passare da così:
A così...

Per me è sicuro, io non smetto. Con o senza lividi, con tutti i dolorini dell'età. Che oltre al corso "per signore" ora vado anche a quello delle "giovani marmotte" e non sfiguro poi così tanto. E mi godo la piccola star quattordicenne della scuola, che pare di gomma e tutto sembra tranne una gnoccolona sexy, perché poi le cose a volte hanno il "mood" che si dà loro e non uno proprio. E vederla roteare in una spaccata perfetta a due metri dal suolo tenendosi con l'ascella mi fa credere ancora di più nell'impossibile.
L'impossibile è solo un limite, dopo c'è la pole.

2.11.14

No-vembre e nebbia

Negli ultimi tempi ho seguito meno il blog, ho quasi smesso di leggere, scrivo poco, non ascolto musica se non alla radio (ma poco convinta), non dipingo e non disegno con soddisfazione.
Sono come congelata in un certo senso. Tanto quanto sono invece "aperta" a quello che sta cambiando. Forse tutte le attività che ho sospeso in qualche modo mi potrebbero sovraccaricare, non so. Mi capita anche più spesso di lasciare che le cose capitino e basta. Come e quando devono. Niente progetti, niente programmi.
Sto imparando a lasciarmi andare. Non è semplice. A volte fa male, tanto fa paura.
A volte è liberatorio al limite di una felicità che non avevo mai provato.
Non so chi sto diventando. Forse semplicemente me stessa.
Oggi sono quattro anni che ho salutato mia mamma. Da allora non sono la stessa persona. Non per una facile e retorica questione di lutto in sospeso. No, quello è andato e sarebbe assurdo dire che soffro per la sua mancanza. Mi mancano le piccole cose quotidiane, ancora, ché è difficile perdere le abitudini. Ma l'equilibrio di oggi allora non c'era. E quello che c'è ora è possibile anche perché non ho più bisogno di preoccuparmi per lei. Smettere di farle da mamma.
Non so perché ho smesso di ascoltare musica, fino a due anni fa avevo sempre le cuffie nelle orecchie e non restavo senza le mie canzoni preferite nemmeno un attimo. Non so perché ho smesso di guardare quasi tutti i telefilm che guardavo. Non so perché ho smesso di leggere, o meglio so che l'esperienza con "Cloud Atlas" è estenuante e che quando sbaglio una lettura e mi obbligo a proseguire finisce che mi blocco.
Non so perché scrivo e dipingo poco. Vorrei fosse solo il tempo che mi manca, invece so che è attesa.
Solo attesa. Non un blocco dello scrittore, perché comunque qui e lì produco. Un articolo, un pezzo di racconto, una correzione... Ma non finisco un romanzo nemmeno a pagare e dire che i lavori che sono lì lì pronti solo per l'ultimo sforzo ci sono eccome. Non solo il fantahorror, ma un altro che pare piacere altrettanto. Credo sia attesa, solo quella. Perché se finissi ora poi non mi piacerebbe, mi sveglierei domani pensando di aver scritto una ciofeca.
Intanto il Premio Marcelli è passato, al Torneo non ci sono e non ci sarò più, ho un racconto che vaga in Feltrinelli, uno da finire di sistemare e devo capire se riuscirò a scrivere anche per la nuova rivista del mio ultimo editore...
Mi piace quello che sto diventando, nonostante la fatica. Mi piace vedermi il sorriso in faccia, e gli occhi luminosi. Mi piace avere voglia di alzarmi al mattino. Mi piace pensare che ce la farò.
Che le soddisfazioni piccole piccole cresceranno e che saprò che sono mie. Esclusivamente mie. Guadagnate una a una. Restando quello che sono minuto per minuto. O quel che sarò.
Per ora sono in una specie di pausa, come un letargo prima di una potente primavera. Mi accoccolo nelle foglie e mi godo la maturazione. Quello che dovevo seminare in parte l'ho seminato, ora vediamo cosa ne viene fuori. Il significato della festa appena passata, forte, mi pulsa tutto attorno.
Chissà se arriva prima il dolcetto o lo scherzetto?

31.10.14

E siccome è Halloween...

... mi permetto di essere "altro da me" pur essendo me sempre.
Come? Con un giochino-catena in cui non saprei chi coinvolgere dopo di me non perché non segua altri blog, ma perché non amo disturbare nemmeno per un dolcetto o scherzetto...
Quindi via:
1) Inserisci la foto del gatto curioso.
Non so bene perché ma mi adeguo...
(Ne avevo di Fox, ma fa ancora male averlo perso.)
2) Rispondi alle cinque domande che seguono.
- Esponi il tuo abbigliamento tipo di quando avevi 14 anni:
Pantaloni, sempre o quasi. Jeans di velluto carta da zucchero d'inverno e pantaloni molto aderenti di cotone d'estate. Oppure gonne, corte, se capitava di evadere dall'istituto delle suore. T-shirt colorate o maglioncini prevalentemente tinta unita. Mai rosa, poco verde, niente bianco.
- Hai qualche qualità eccezionale che nessuno sembra apprezzare (idioti)? Racconta:
Di solito le mie qualità vengono apprezzate. Forse a non apprezzarle sono io, che non sono mai contenta di me, che mi appassiono tanto da lottare contro i mulini a vento per poi cadere stremata (avrei tanto voluto scrivere "scremata", di getto, ma poi sarei stata troppo la solita Paola) a un passo dal successo. Sì, ecco, forse ho più difetti che qualità nascoste o invisibili.
L'unica cosa che per me è una qualità è la mia "morbidezza", il non prendere posizione e non dichiarare mai completamente le mie idee o non "combattere" per farle valere. Ecco, per me questo è un valore. Non che io non le metta in discussione, semplicemente non mi importa di avere etichette addosso.
- La serie tv che nonostante tu sia conscia che faccia ca**are guardi con commovente zelo mentre la tua mente ti comunica "dai, la prossima puntata sarà meglio" (spoiler: non sarà mai meglio)
Oddio, io di serie tv ci vivo... potrei riempire pagine e pagine di quelle che guardo nonostante sappia che sono terribili. Tra tutte forse la più assurda è The Vampire Diaries, (appena innescata una sollevazione popolare, ma come?) che ora guardo saltellando, perché dopo la terza stagione e l'avvento di Klaus non posso evitare di tifare per il cattivo ma mi rendo conto che il tutto diventa sempre più imbarazzante, sia per il noiosissimo triangolo che per le idee ormai scarse degli sceneggiatori. Poi aggiungo Grey's Anatomy e Supernatural, anche se per Dean Winchester farei qualsiasi cosa. Non se ne può più.
- A che età hai imparato a usare la lavatrice? 
(Ma che cavolo di domande sono?) Credo 15/16 o giù di lì. Ho imparato prima a cucinare.
- Descrivi il tuo comfort food per eccellenza, ossia, che cosa mangi per tirarti su di morale?
C'è solo una cosa che può farmi tornare il buonumore ed è il cioccolato. Se è Nutella è meglio. In mancanza di quella, o in caso di dieta... la pasta. Lasagne alla bolognese o agnolotti al sugo d'arrosto. O pizza. O kebab (lo so, mi dite che si tratta di junk food ma non c'è nulla di meglio per farsi del male).
3) La nomina di altri 3 blogger che dovranno proseguire la catena. 
Ecco, sentitevi liberi di farvi la vostra catena a piacimento, in caso ditemelo.

26.10.14

Avevo idee

Ieri, nelle dieci ore di automobile fatte per andare e tornare dalla premiazione di un concorso che non ho vinto - ma già lo sapevo - avevo in mente mille cose da fare e scrivere e oggi zero.
Non è il non aver vinto, mi ha stancata di più il viaggio e lo stare chiusa quattro ore in una sala piena di gente, che è cosa che non fa per me. E nemmeno per Cali, che ha assistito accucciata ai miei piedi a tutto l'evento.
Avevo voglia di scrivere qui, un nuovo post di analisi illogica tra le altre cose, e di sistemare il racconto, di scrivere un articolo che avevo promesso e non so che altro.
Poi le cose sono svanite.
Da una parte le considerazioni sul perché non piaccia il romanzo, anche se so che non scrivendo in modo commerciale è complicato piazzare il mio lavoro. Anche "Sette stanze", come prima "Gli attimi...", ha un genere ma non ce l'ha. Una storia romantica ma anche il viaggio di un uomo nella sua crisi esistenziale. Una rinascita e una riscoperta. Che forse non è da me, forse. In realtà a modo mio scrivo sempre e comunque d'amore, con un sacco di morti in mezzo e forse con scarsa attenzione all'altrui sensibilità.
Tra i commenti/giudizi che ha ricevuto al Torneo - letti e dimenticati, perché devono sedimentare e poi dare frutti con calma - ce n'è uno che lamenta il fatto che il protagonista vomita e sbava dopo ogni sbronza. Capisco che sia antiestetico e spiacevole, ma capita a tutti quelli che passano il limite di vomitare e di sbavare e di avere rapporti frequenti con la ceramica del gabinetto (da notare, ho scritto gabinetto e non quello che avrei voluto scrivere) e non vedo perché non rimarcarlo, visto che all'inizio del romanzo il protagonista è messo molto male. Poi migliora e non vomita più, ma all'inizio sì. Tiè.
E quelli che dicono che va bene e quelli che dicono che è lento e quelli che trovano i personaggi antipatici...
va bene.
Insomma, piacere è complicato e non so bene fino a che punto ho voglia di sbattermi per piacere adaltri quando quello che voglio dire è quello. Il tizio è antipatico? Pazienza. Non sta scritto da nessuna parte che deve essere un amore di protagonista, ma può diventarlo col tempo. E chi ha avuto modo di leggere tutto il lavoro lo ha visto che quell'uomo diventa un altro. Quindi, quindi fanculo. Io continuo così.
Ora aspetto la mia scheda critica del nuovo concorso e vedo che altro c'è che non va.
E insisto. Che tanto a me quel romanzo piace, pur avendo dei difetti.
E procedo con il nuovo racconto, che piace a quasi tutti - per cambiare - e che magari ho trovato a chi mandarlo al volo se riesco a finire di correggerlo.
E procedo con la revisione del fantahorror che tanto sarà uno choc per molti, già lo so. E vado avanti con i miei progetti. E vaffa...
L'anno prossimo non partecipo al Torneo, che ho altro da fare - pole dance compresa - e mi diverto a far vomitare, squartare, picchiare, umiliare, etc. tutti i miei personaggi.
Stay tuned, restate tonnati...

17.10.14

L'analisi illogica del testo 2 - Il tempo atmosferico del lutto

Dopo le mie prime considerazioni sul romanzo di Silvia Longo pubblicate anche su Gazzetta Torino, sono tornata a un altro particolare che mi ha colpita de "Il tempo tagliato". Oltre che al tempo musicale che scandisce in qualche modo l'esistenza di Viola, la protagonista, c'è l'onnipresente incombere del tempo atmosferico che varia col variare degli stati d'animo della donna nel corso degli avvenimenti. Al di là di quelli che sono esplicitati nel romanzo mi sono posta spesso, nell'anno trascorso dalla prima lettura, il problema di quali fossero i miei tempi atmosferici.

Il lutto è nebbia, per lo più.
Non sempre, a volte è tromba d'aria con la sua tendenza al celebrare l'opposto, cioè la vita.
Ma all'inizio è nebbia, coi suoi tempi lenti e gli orizzonti limitati. Voglia di perdersi e di non vedere. Di morire insieme alla persona cara, per non perderla, perché sembra così ingiusto sia capitato a lei e non a te, o ad altri.
Quando è mancato mio zio, mia madre diceva "non è giusto, doveva capitare a me" e, al di là del fatto che un anno dopo è capitato effettivamente anche a lei, nella sua nebbia abitavano fantasmi e lei con loro.
Un periodo di irrealtà, lento, umido e pericoloso.
Anche Viola vive la nebbia, trascinandosi in casa nelle sue vecchie abitudini, nella continua memoria della sua spersonalizzazione. Non credo sia la solitudine o il senso di colpa, è che proprio si fa fatica a vedere oltre.
A meno che non ci sia una tromba d'aria. Allora il lutto è qualcosa di imprevedibile. Come diventa lentamente per Viola ma che nella mia esperienza travolge e toglie un ordine preciso alle cose. Perché poi alla fine un ordine vero in certe cose non c'è. Esiste quello che la morale comune ci impone. La morte è una cosa brutta,non va bene, va evitata, nascosta come fosse una colpa. E allo stesso tempo chi perde qualcuno deve smettere di vivere, per un tempo adeguato, piangere e rimpiangere vestito di nero.
La tromba d'aria non tiene conto di questo, obbliga a fare i conti con la vita. Quella che ti resta addosso e che continua a pulsare intorno a te. Quella che gli altri vorrebbero negarti perché loro stessi ne hanno paura.
Così, se per Viola la vita torna prima nel segreto della sua stanza, capita che per altre persone esploda incontrollata. Più forte e imprevisto è il dolore, più il controllo si perde.
Tormenta in cui si perde di vista ogni cosa, si viaggia a occhi chiusi. Si cerca un appiglio.
In ogni caso, sia che ci si trovi immersi nella nebbia o in mezzo a un tornado, alla fine arriva il sereno, il sole e il cielo azzurro.
Ecco, forse non sarà una riflessione profondissima, ma questo è solo un altro dei miei "flash"...

11.10.14

Aspettasi Easy disperatamente (cit.)

Rileggo i post passati e in molti di loro c'è un commento del mio amico Easy runner.
Amico che, giunto alla pensione, ha deciso di staccarsi un po' dal pc e godersi la vita fuori ufficio con la signora Easy e magari andando a comprare delle sedie negli States per sua figlia amante dei libri.
Mi manca, Easy.
Avrei voluto invitarlo a cenare fuori con signora, per chiacchierare ancora di vita, di poesia, di scambio libri e di matrimoni fatti in posti complicati. Di come ci si trovi, a volte, e di come a volte non ci sia tempo per ri-trovarsi.
E mentre incontro e conosco artisti, persone interessanti, persone affini mi volto ogni tanto a vedere se c'è.
Mi ha accompagnata a lungo, con i suoi sorrisi (o sorrEasy) e con i suoi commenti.
Anche se ho la sua mail continuo a rimandare, io non sono abituata a invadere. Piuttosto lascio mollichine di pane e spero che prima o poi qualcuno mi ritrovi, qui nel bosco in cui mi rintano sfuggendo al mondo.
Forse, appena avrò le copie cartacee del romanzo - di cui so che almeno una andrà al centro oncologico delle Molinette - troverò il modo di scrivergli e fargli un'offerta che non potrà rifiutare.

5.10.14

L'analisi illogica del testo

Inauguro una nuova tag (diamole della femmina, che a volte è meglio), una rubrica diciamo, per raccontare di come certi libri riportino alla mente suggestioni particolari che magari esulano dal testo in sé e che però - almeno nella mia mente bacata - al testo ritornano.
L'ho già fatto in modo ampio con "Il Tempo Tagliato", che per una frase sola mi ha fatto volare un bel po'. Lo faccio ora con un testo che ho letto da poco e di cui ho anche appena parlato.
Quindi ecco la prima puntata de:

L'ANALISI ILLOGICA DEL TESTO:
1 - Da certe cose non si torna indietro, ovvero la storia di Carla e Nedo 


Il rapporto tra questi due si chiarisce dal capitolo 4, subito dopo l'ingresso di lei nella storia. Sono giovani, egoisti e hanno molto per la testa. Carriera, divertimento, vita. Come non comprenderli?


Mai fra loro fu soltanto sesso. Però fu chiaro quasi subito a entrambi che nulla più potesse essere di una speciale amicizia. Erano troppo selvatici per legarsi... E nel momento in cui quel pensiero li sfiorò si allontanarono istintivamente, quasi ignorandosi per mesi. ... Da allora, Nedo fu il preferito di Carla fra i giocatori dell'Empoli, e Carla fu per Nedo un rifugio sicuro. Niente gelosie reciproche, niente pretese. Soltanto la tacita promessa di esserci nel momento del bisogno.
Alcune relazioni partono con una impostazione precisa. Alcune resistono a lungo mantenendo la stessa impostazione, altre crollano per le necessità di una o dell'altra persona, altre ancora per una loro fine naturale. Poi ci sono quelle che reggono finché non si raggiunge il punto di non ritorno,di solito inconsapevolmente, perché non ci si dice quello che si sente o perché ormai il danno è fatto. Mantenendo fissa l'impostazione iniziale può capitare di fare cose stupide, inutili o di ferire l'altro senza volerlo. "Andava bene così, è sempre andata bene..."
Mentre uno dei due magari vorrebbe di più e non osa chiedere, l'altro immagina che questa mancanza di interesse sia un segno che tutto va bene. E quando magari si rende conto che invece vorrebbe di più si trova ad affrontare una resistenza insolita. Un tira e molla che alla lunga mantiene le cose come sono iniziate e che impedisce alla relazione di evolvere. Però qualsiasi cosa deve necessariamente evolvere o muore, quindi se anche le persone coinvolte si amano davvero e non riescono a uscire dagli schemi, tutto li porterà al punto di non ritorno.
L'abitudine a dare per scontate le cose, la pigrizia o la paura del cambiamento portano alla catastrofe. Ed è così che, in un momento in cui uno dei due è sensibile si rende conto che l'altro sta cambiando...

Gli altri facessero pure ciò che volevano, ma Carla no, lei non doveva lasciarsi contagiare dal linguaggio e dai modi di pensare di quel venditore di parole.
 Non se ne accorge prima, quando in qualche modo lei tenta di trascorrere in modo differente il tempo insieme a lui, non vede quanto sia già cambiata nel corso degli anni. Si infastidisce per un leggero cambiamento, per un modo di esprimersi che lei - giornalista - improvvisamente modifica. Allora comincia a far caso alle altre piccole cose che prima andavano bene tra loro. Gelosia che comincia a farsi sentire, orgoglio nel non dimostrare il proprio dispiacere e ripicche. O cecità nel non voler ammettere che quel rapporto perfetto, perfetto non era.


In quattro anni da che la conosceva, aveva saputo di tutti o quasi gli uomini con cui era stata, compresi alcuni compagni di squadra. E era stata quasi sempre lei a dirgli chi e quando, come se la cosa facesse parte del loro patto e mai pretendendo che Nedo ricambiasse. Doveva essere altro che gelosia.
Che poi a trovare scuse siamo sempre tutti molto bravi, in effetti. A vivere con i paraocchi le situazioni come ci fanno comodo - o a volte come le hanno decise gli altri e non osiamo dire che ci stanno strette, perché questo potrebbe cambiare tutto - non vedendo nemmeno che anche noi siamo cambiati e che davvero a forza di fissare la strada tra i paletti ci siamo persi il panorama.


E chi era quel Nedo Ludi che se ne stava lì sotto casa di Carla, in una via stretta e in salita di San Miniato, senza capire cosa volesse innanzitutto da se stesso?
Fino a che tutto prende una piega che non dà spazio al lieto fine, perché da certe cose davvero non si torna indietro... La rabbia, la delusione, il rimorso e l'orgoglio ferito, il male che ci si è fatti senza volerlo, senza sapere come esprimere le proprie sensazioni una all'altro. O viceversa.



La vedo in cima alla scala, sul pianerottolo davanti alla porta, con la luce del tramonto sulla pelle, su quello scorcio di pelle che viene fuori dall’accappatoio aperto, è sempre bella Carla, bellissima, è proprio vero che ha qualcosa in più, mi è mancata, adesso sì che lo sento, e sento quanto mi è mancato il suo corpo, e quel suo essere maliziosa, no Carla, forse era meglio non ti facessi trovare così, con quel corpo esibito...
A questo punto può succedere ogni cosa, ma in un unico e distruttivo senso. Rovinando la storia per sempre. Impedendo qualsiasi possibilità di porre rimedio, cosa che in ogni caso avrebbe dovuto avvenire prima. Ecco che nel momento di rabbia estrema tutto torna a piombarci addosso e non conta se lo sfoghiamo a parole o con un gesto estremo. Tutto quello che viene fuori è veleno invece che amore. Chimica delle cose. Basta aggiungere un elemento e la cura diventa curaro.


... che strani gli odori di questa casa, all’improvviso mi sembrano così diversi, ma sono gli stessi che m’erano stati tanto familiari mentre salivo le scale e poi quando sono entrato?, e l’arredamento di questa casa, entrando non ci avevo badato, è tutto uguale a com’era eppure così diverso dall’ultima volta che fui qui, e la cintura da allacciare, ma come è stato possibile questo?, perché ho fatto questo a Carla?, perché ero così determinato a farlo e non ho esitato un attimo mentre lo facevo?, e perché adesso lei se ne sta lì muta, senza dire una parola come me per tutto il tempo che sono stato qui?, i rumori dalla finestra, quelli del silenzio di San Miniato, cosa fare adesso?, dire qualcosa?, andare via?, rimanere qui a aspettare un cenno di lei?, è così immobile, è tutto paralizzato qui dentro, come se per un attimo il mondo si fosse fermato e aspettasse soltanto che qualcosa lo rimetta in moto, rimettere in moto, sì, l’auto, rimetterla in moto, andare, riprendere la strada di casa, adesso, via...

Tutto cambia all'improvviso e non c'è più niente da dire, da fare. Nemmeno a provarci subito, niente sanerà quella ferita. Dopo c'è solo rimorso, ripiego, una sopravvivenzache poco ha a che vedere con ciò che poteva essere se solo...


Quante cose leggo in questi singhiozzi di Carla, e nello sguardo smarrito di Nedo. Ho visto tutto l’orgoglio che li ha sempre tenuti su anche quando sarebbe stato comodo cadere, ma che per una volta li ha traditi. Proprio quella volta che non doveva. L’ho capito oggi che finalmente ho potuto mettere insieme le loro figure. Anche se solo per un attimo, anche se solo a distanza. ... Ma l’amore? Quello che ci straccia in due e poi ci ricuce, quello che ci fa litigare e disperare e poi cercarci e ritrovarci, quello che ci fa male e sa come curarci? Dov’è l’amore in tutto questo?
... quanto poco sarebbe bastato perché fossero felici davvero anziché lasciarsi addosso una ferita che non si sanerà mai.
Invece adesso ecco cosa sono, cosa siamo: tessere sparse. ...  Pezzi di un mosaico che non verrà mai rimesso assieme. Perché non sempre i mosaici vengono composti. E perché di questo è fatta la vita. Di tessere sparse che non torneranno mai al loro posto. E di gente che non era pronta, mentre la vita gli piombava addosso.
(mi sono presa la responsabilità di tagliare qualche pezzo in questo ultimo stralcio, giusto per non rovinare la lettura a chi, quando sarà possibile, vorrà comprare "Il mio nome è Nedo Ludi" di Pippo Russo)
Ecco. Ho parlato d'amore un'altra volta. Sarà perché sono stata giovane e ho vissuto una cosa simile, se pure con conseguenze meno dolorose, che mi ha preso dodici anni di vita e mi ha lasciato in testa solo tanti se e tanti ma. E quanto siamo stati stupidi ed egoisti e vigliacchi allora che eravamo giovani.
 Spero il viaggio vi sia piaciuto, ce ne saranno altri, in altri modi e con altri libri - trovandone di ispirati, ovvio.