31.7.16

Il mio regalo di compleanno numero due

Venerdì pomeriggio mi sono concessa il mio secondo auto-regalo di compleanno.
Tre workshop di seguito con Daria Che (o Chebotova che dir si voglia), star russa dell'exotic pole dance.
Inizio alle 18 con "Exotic style", novanta minuti di sudore coreografato su palo fisso. Una fatica come raramente ho provato in vita mia. Bello, stile da imparare - Daria ha il suo, particolare - gli anni che si fanno sentire minuto dopo minuto. Piccolina, lei, se la vedi senza tacchi e in incognito mai penseresti che sia in grado di fare certe cose con tutta quella energia.
Fisicamente è la metà di me (ci va pochino) e anche a età secondo me ne faccio due e mezza. Ma io ostento indifferenza e cerco di seguire tutto. E ce la faccio, anche se ogni tanto una capocciata nel palo la prendo e se proprio le mosse alla Bruce Lee non sono il mio forte. Sì, insomma, Natalya mi dice sempre che devo scegliere musiche lente e non stancarmi troppo; un motivo Che... (non ho resistito, scusate) un motivo c'è - tanto si pronuncia uguale...
Nei miei leggins mimetici, con ginocchiere enormi e tacco 15 ho affrontato dignitosamente le evoluzioni per tutta la lezione.

Verso le 19,30 si parte con "Choreography by Daria", altre evoluzioni sul fisso, niente di altamente acrobatico ma tra il caldo e l'età comincio a cedere. Il polso destro, nonostante la polsiera ben salda, non regge così bene, mi si aprono i calli su dita e palmo, ho un colore che si avvicina al melanzana. Bello, cose che mai avrei pensato di riuscire a fare, anche se ogni volta più affannata. Alla fine cedo e le ultime due prove le salto e le registro solamente col cellulare.
Vedere Daria eseguire i suoi movimenti fa capire quanta strada abbiamo ancora da fare (anche se un paio di elementi promettono decisamente bene) e quanto alla fine ognuna di noi abbia un suo stile nell'eseguire la stessa coreografia, pur tentando di imitare il suo. Rivedo il video e ti prometti di riprovarci, magari un sabato mattina di practice time. Finché non sarà tutto fluido e naturale, come lo è per lei.

Per le 21 sono morta. E sta per iniziare la lezione più difficile. A questo punto abbandoniamo momentaneamente i tacchi e ci addentriamo nel mondo acrobatico di Daria, con i suoi "Exotic Elements".
Qui ho un attimo di sgomento.

Non sono preparata, né flessibile, né forte abbastanza. E sono stanca, sudata e dolorante. Polso, mano, crampi a polpacci e tiranervi ai piedi. Faccio qualche video, poi provo a imbastire il movimento. Daria mi vede in difficoltà e cerca di capire cosa fare per farmi lavorare come le altre, che almeno ci provano. Qualcosa faccio, più di quanto avrei potuto immaginare. Ma davvero, con le lacrime agli occhi (e qui rivendico il mio diritto di donna a piangere nei momenti complicati) più di così non posso. Non ce la faccio. A stare in verticale su una mano sola, tra l'altro saltandoci all'indietro, proprio no. Forse tra qualche anno, forse la prossima vita.
Però la adoro. Lei, il suo modo di ballare, di insegnare, di ridere quando sbaglia. Di aiutarti, o di ignorarti quando serve.

Tornerà in Italia a Novembre, forse sarebbe da fare un pensierino e rivederla, tentare di nuovo un tris oppure semplicemente fare la parte difficile e allenarsi nel frattempo per poterci provare davvero.
Chissà?

30.7.16

Offerte, non offerte e ulteriori news.

Eccomi qui, non che non abbia prodotto in vari modi diversi nel frattempo. Il fatto è che non sono particolarmente contenta e sto prendendo diverse decisioni.
Innanzitutto vi informo che sono usciti i cartacei sia di "Addio a Bodhgaya" che di "Sette stanze".

L'ho scoperto per caso, googlandomi, in entrambi i casi. Il che non mi è piaciuto. Anche il fatto che fossero dapprima su tutte le piattaforme sebbene su alcune non fossero dati come disponibili subito, e ora siano misteriosamente scomparsi. Tranne che su Youcanprint, che fornisce i cartacei del mio editore.
Comunque...

I cartacei sono usciti, ho fatto un piccolo ordine per rifornire gli amici che già me li chiedevano e informato i miei contatti di Facebook e Google Plus, e Twitter...
Non ho ancora organizzato presentazioni, quindi non conto di venderne tantissimi. Vedremo.

Per il resto, le versioni digitali di tutti i miei romanzi sono in offerta estiva a € 0,99 cadauno.
Chi non avesse ancora letto i miei lavori può approfittare ora. Un romanzo a meno di un caffè.

Non sono in offerta i due racconti, che già costano € 0,99 normalmente.

Non sono in offerta nemmeno i cartacei, a meno che non li richiediate a me personalmente.




Sto meditando su alcuni cambiamenti da apportare al mio modo di scrivere-propormi-vendere. Sul mio modo di pubblicare, anche. Appena ne vengo a capo di sicuro vi faccio sapere. Intanto vi ricordo che ci sono i miei racconti scaricabili gratuitamente qui sul blog. Non ne ho di nuovi, per il momento.

La mia pausa con la scrittura finirà, prima o poi. Le idee non mi mancano mai, ma l'urgenza del momento riguarda tutto il resto e non ho nessuna voglia di farmi abbattere proprio ora.

11.7.16

Non gioco più, me ne vado... (e mi porto via il pallone)

Tutte le volte che sento parlare del blocco dello scrittore mi spunta un sorriso, non credo mi sia mai successo. Sì, ovviamente ho avuto momenti in cui non avevo ben chiaro come procedere con un progetto ma ce n'era sempre un altro con cui andare avanti e troppe idee, a volte tante da non sapere da dove iniziare. Ho sempre amato scrivere, ho sempre scritto, da quando ho preso la prima penna in mano.
Amo raccontare storie, come amo leggerne. Amo inventarne, amo osservarle nel quotidiano e ripetermele come una bimba prima della nanna. Le storie che ho in mente spesso mi possiedono, mi perseguitano giorno e notte, ossessione di immagini che si ripetono nella mente e che di volta in volta si perfezionano. Tanto che quando scrivevo, perché non scrivo ogni giorno, venivano giù da sole.
Un tempo, almeno.
immagine presa dal web

Da quando ho pubblicato è cambiato tutto. Lentamente, fino a non farmi più felice. Fino a farmi decidere di smettere, se non mi ritrovo.
Finché scrivevo per me andava tutto bene. Per me e per chi aveva voglia di leggermi, pochi amici, senza grosse pretese. Se qualcuno aveva da suggerire correzioni, da fare qualche critica, l'ho sempre accolta con piacere e umiltà. Sognavo la pubblicazione, non la fama ma quel piccolo riconoscimento del mio lavoro.

Ci ho messo cinque anni a pubblicare il primo romanzo, dopo aver venduto un centinaio o forse più della mia raccolta di poesie. Non era il primo romanzo cui lavoravo, ma era il più personale. Poco commerciale, più un diario - o come lo definisco un "album fotografico" - senza grossi colpi di scena e con un suo svolgimento lento e monotono come i giorni che passano in una vita che non si ama contrapposta a un sogno in cui si desidera vivere. "Gli attimi in cui Dio è musica", a cui qualcuno attribuisce una profondità che altri non vedono, mi ha dato delle soddisfazioni.
C'è che pubblicare, soprattutto con un piccolo editore, ti porta a dover vendere in prima persona il tuo prodotto. Che va bene se non hai niente da fare ma se hai già un lavoro, una casa, una vita e altre cose da scrivere è un lavoro in più che finisce per farsi pesante. Poi ci sono gli altri, quelli con cui hai a che fare soprattutto sulle pagine social. Quelli che sfornano vendite, recensioni, pubblicità a oltranza, posti in classifica e milioni di fan. Tu magari manco ci pensi alla classifica, ma sentirti ricordare che esiste ogni due minuti prima o poi ti fa andare a vedere. E i report di vendita anche, se prima non te ne preoccupi affatto a un certo punto vai a guardare. E ti chiedi come fare per aumentare la visibilità, ma non è cosa tua e lo sai, non è quello che sai fare. Non solo, se lo fanno gli altri ti infastidisce e per principio non fai agli altri quello che non vuoi per te. Quindi ti dici ok, non spammo, non chiedo recensioni a destra e manca, non massacro gli amici con continui post su Facebook sul mio libro - tanto quelli che lo volevano comprare lo hanno già fatto e probabilmente hanno acquistato sia il cartaceo che l'ebook.

Alla seconda, terza, quarta e quinta pubblicazione mi rendo conto che faccio troppa fatica. Che non è questo che mi piace, che per soddisfare le aspettative devo diventare qualcuno che non sono e che non voglio essere. Terminato anche il romanzo che ho amato di più, al pensiero di ricominciare la trafila per non pubblicarlo come gli altri e non riuscire a venderlo ho cominciato a chiedermi se mi avrebbe reso felice. Non lo so.
So che aprire un file per continuare una storia già iniziata o terminarne una che è a buon punto, o iniziarne una nuova mi fa sbuffare al pensiero. Non ho più voglia, non vale la pena. Non così.

Io le mie storie le conosco e posso "rileggerle" nella mia mente ogni volta che voglio; anche quelle che non ho mai scritto, quelle che sono tra i progetti. Come se avessi una serie di tomi a disposizione, solo che non sono scritti. Ci sono talmente tanti libri che certo nessuno sentirà la mancanza dei miei romanzi o racconti. Ci sono talmente tanti aspiranti scrittori che sgomitano che non si farà caso alla mia mancanza.
Non è un gioco per me.
Probabilmente non lo è mai stato. In fondo a me piace sognare, non ho dimestichezza con la realtà.
Non ho nessuna voglia di unirmi al gruppo, di motivi per essere insoddisfatta ne ho già a sufficienza. Preferisco fare qualcosa che mi renda felice. 

8.7.16

1984

Colpa della radio.
Soltanto un'ora di trasmissione e... c'era tutto di me.
Che anno, il 1984. Non solo per il libro, il romanzo di Orwell non c'entra molto con quegli anni della mia vita.
Il 1984 è l'anno in cui il sogno è iniziato. L'anno dei miei 15 anni, il primo anno di libertà. L'anno dell'inizio del disastro, l'anno del mio diventare donna, scoprirmi femmina. L'anno del gridare "io esisto" ("Hear my roar", parlando da Lannister - e ogni adolescente ha tutti i diritti di sentirsi Lannister, per il breve tempo che gli è concesso).
Cinzia cantava in playback "Pride" degli U2, struccata e pallida nella mia camera da letto, prima di andare in discoteca. Ero sua amica, ma lei era il mio mito. Prima ballerina della scuola, dotata, bella, sicura di sé. Tutto quello che avrei voluto essere io. E io facevo l'amica "brutta", cosa che in seguito qualcuno avrebbe fatto per me.
Sognavo coreografie "erotiche" sulle note di "Relax" dei Frankie Goes To Hollywood, prima. E adoravo "The reflex" e "Smalltown boy" (ancora una delle canzoni che mi fanno venire i brividi), e ogni singolo brano uscito allora.
L'anno in cui ho abbandonato la mia "vera casa" e sono diventata profuga.
L'anno in cui ho sperato di avere una chance.
Come fosse una guerra mondiale io ho sempre considerato il mio periodo "15/18" come una parte unica della mia vita. Iniziata con un sogno e finita con un incubo e il relativo crollo.
Ma il 1984...
Quello è stato l'anno della mia vita.

Poi è arrivato il 2014, ma questa è un'altra storia.

5.7.16

Choc all'amarena

Come alcune canzoni restano attaccate a determinati eventi della vita, così succede che alcuni sapori rimangano legati indissolubilmente a degli episodi della vita.
Così alla mia infanzia mi ritrovo ad associare le lenti di zucchero colorate, che la bisnonna teneva i una scatolina accanto al letto e che mi dispensava con parsimonia. Non che siano eccezionali, hanno un sapore ormai del passato, ma ogni volta che ne mangio una mi torna in mente quella stanza e tutti i suoi oggetti preziosi, la collezione di animali di porcellana che teneva in vetrina, il suo tavolo da toelette, i nastri di velluto con cammeo che portava al collo.
Non è l'unico sapore che mi torna in mente; per esempio la pizza al padellino che compravamo mamma e io prima di andare in montagna, quando andavo alle elementari. Nella sua carta oleata, rigorosamente margherita, insieme a una lattina di birra e a una bibita gassata per me. Non ne mangio più, preferisco quella al mattone, ma ogni volta che penso alle nostre gite in maggiolino mi torna in mente quel sapore bruciacchiato e unto, la pasta che resta spugnosa e l'olio rosso che campeggia sulla carta. Oppure le pause pranzo quando andavo a Leumann con mamma, in una trattoria per camionisti e ogni volta ordinavo pasta in bianco: burro e parmigiano - ancora uno dei miei piatti preferiti. E la mia passione sfrenata per la pasta al pesto, che ho costretto a cucinare per mesi a pranzo e cena, altrimenti non mangiavo. Sono sapori che ancora mi rendono felice. Come il petto di pollo impanato, sottile sottile, che era l'ultima risorsa di famiglia per stimolare il mio appetito quasi inesistente. O i grissini "pucciati" nella Nutella, credo di averne mangiati a chili...

Allo stesso modo gli eventi negativi possono legarsi a determinati cibi e farceli odiare per sempre.
Come i Pavesini, che mi hanno portato dopo l'operazione alle tonsille - a quattro anni - e che non mangio se non sotto minaccia. Non so se prima mi piacevano, non lo ricordo. So che dopo il trauma della pre anestesia, che mi ha agitata e terrorizzata, una volta sveglia ho detestato le prime cose che mi hanno portato: i ghiaccioli arcobaleno e i Pavesini.
Forse erano sgradevoli a causa dell'anestesia, forse non li avevo mai amati troppo, però non riesco a guardarli con simpatia nemmeno ora che di anni ne sono passati parecchi.
Come la pasta col pomodoro, mangiata ogni sera a casa del fidanzato psicopatico. Tutto sempre affogato in un mare di pomodoro passato con al massimo una foglia di basilico, leggermente acido e indigeribile. Se vedo la pasta al sugo mi viene mal di stomaco in automatico.

Poi ci sono le aspettative deluse: la cosa peggiore.
Quei cibi che ti sembrano una cosa e per qualche motivo non rispettano le premesse. Se ti capitano da piccola sono veri e propri choc. Per esempio a me piacevano da morire i ricoperti al cioccolato. Parlo sempre di quando ero piccola, molto piccola. Addentare la copertura e i suoi pezzetti croccanti di nocciola per arrivare al gelato e sotto al cuore di cioccolato... mmmhhh...
Era una di quelle estati in cui mamma mi faceva andare a Castiglioncello con la tata un mese prima di raggiungerci. L'alloggio al pianterreno col giardino, il pergolato e la ghiaia. L'anno in cui ho scoperto che Montgomery Clift era morto da un pezzo anche se io potevo vederlo giovane e in salute in televisione. Quell'estate volevo un ricoperto al giorno. Ogni pomeriggio era una delizia.
Così quel giorno andai con la tata al bar a comprare il gelato. Tornammo a casa in fretta e io scartai il gelato assaporando il mescolarsi rapido di gelato alla vaniglia e cuore al cioccolato.
Non fu così. Per errore avevamo comprato la versione con l'interno all'amarena. Non me lo aspettavo. Un morso deciso e la bocca invasa dal sapore della frutta, che già detestavo all'epoca. Poi quel sapore in particolare, dolce e amaro insieme... Inutile raccontare la fine del povero ricoperto all'amarena.
Quello che però è rimasto è il sospetto che ogni ricoperto nasconda una terribile sorpresa, per cui ancora oggi non mangio ricoperti con l'aspetto di quel singolo gelato sbagliato. Non mangio nemmeno le amarene, la marmellata di ciliegie, qualsiasi dolce o yogurt o gelato che abbia l'amarena dentro.
Anche se sono convinta che alcuni alimenti che rifiutiamo li detestiamo perché in qualche modo ci fanno male - o ce ne faranno - penso che anche ciò che mangiamo resti in noi e si leghi a ciò che siamo, ciò che vorremmo essere e che non vogliamo più avere addosso. Come i vestiti e i tagli di capelli, come il ristorante in cui andavamo un tempo con il nostro ex.
Come quella canzone che ogni volta ci porta alle lacrime...

3.7.16

Ancora un saggio, emozioni non da poco.

Un anno, è già passato un anno dal mio primo saggio di pole dance. Sembra una vita: un anno di lezioni due o tre volte alla settimana, un anno in cui ho fatto entrare due gare e altri due mini-saggi, un anno in cui molto e molto poco è cambiato.

Rispetto all'anno scorso ho provato molto meno la coreografia e si vede, o meglio io lo vedo, ma i movimenti sono più fluidi comunque. Sono più sicura, ovviamente; non so se sono più brava. Se il primo saggio ha rappresentato una sfida - movimenti appena acquisiti e ansia da prestazione - questo vede il consolidamento di figure note e qualche piccola novità eseguita "in piccolo". Un po' per il caldo, un po' per stanchezza, non ho voluto esagerare. Ho viaggiato al minimo, valutando secondo per secondo quanto potevo fare senza farmi male. Alla fine era una festa, non era una gara.

Sono stata io ad aprire le danze, per così dire. Dopo di me, in ordine di "anzianità" scolastica, le mie compagne di viaggio di quest'anno.


Bello vedere il primo saggio di Alessia e Federica, che hanno preparato un pezzo in coppia. Bello perché le ho viste provare ogni sabato mattina e ridere e scherzare sempre, sia quando le figure riuscivano sia quando - per dirla con Alessia - "meglio se questa posizione la raggiungo di schiena, così non mi vedono l'espressione di dolore sul viso".
Loro, che hanno iniziato a settembre, hanno fisici differenti e una "storia di pole" diversa. La passione comune. Entrambe hanno accompagnato "il capo" Natalya sul palco di Roma per il Pole Theatre Italia (che Nat ha vinto nella categoria Classique) facendole da corpo di ballo insieme a Maria, Valentina e Giulia; in più Federica ha partecipato a Exotic Moon insieme a me. Il prossimo anno saremo tutte a Modena in gara nella stessa categoria.


Il trio birichino del corso intermedio, composto da Claudia, Christel e Sara, ha presentato un pezzo degno della categoria Comedy del Pole Theatre: un'infermiera, una studentessa e una colf in versione sexy che volteggiavano a gamba lunga (e che gambe) sulla musica dei Queen. Smorfie, gag e tanta energia mentre si alternavano in pezzi da solista o ancheggiavano in sincrono. Per dire che la pole non è solo essere femminili, ma anche saper ridere della propria carica sensuale e dei cliché che "rincorrono" questo sport.
Probabilmente non c'è cosa che dia più fastidio a una polerina di essere sempre considerata una stripper o una lap dancer. La differenza c'è. La cosa divertente è il poter giocare un ruolo per quei pochi minuti e poi tornare a casa come eravamo prima ma col sorriso sulle labbra.
Tra loro anche Claudia ha partecipato a Exotic Moon.







Prima esibizione da solista per Valentina, anche lei tra le nuove leve, fluida e sinuosa. Carica di energia, con una coreografia che riuniva tutte le "difficoltà" della pole: flessibilità, flow movement, handstand, forza e tecnica. Veloce, spiritosa e molto "danzerina". Una esibizione che poteva stare bene anche sui tacchi, che indossiamo insieme il sabato mattina, ma che aveva il suo perché anche senza, anzi.
Dall'alto della mia "veneranda" età, mi piace molto notare i progressi di chi ha iniziato la pole quasi all'età giusta, ogni settimana mentre noi ci scaldavamo, loro - le fanciulle - imparavano queste cose con una certa facilità (io poi certe posizioni temo che non le farò mai in questa vita, ma non demordo). Le si guarda, si ripassano alcune basi che a forza di tentare le figure più difficili si dimenticano un po', si capisce meglio il movimento, si studia come migliorarsi.
D'accordo, ognuno ha i suoi tempi, ognuno le sue caratteristiche fisiche e psicologiche. Nessuna di noi è uguale all'altra e nessuna impara in batteria. Ognuna mantiene il suo stile e c'è chi certe cose le ha innate e chi no e ci deve lavorare.
Quello che mi piace, qui, è che tutte le mie compagne di avventura sono bravissime, dalle novelline alle ragazze dell'avanzato.




Poi è stato il turno di Maria, che dopo aver vinto nell'intermedio a Modena e aver ottenuto un ottimo secondo posto all'Exotic Moon, ha improvvisato un pezzo nel suo completino marca Bembo. Con le sue linee, le spaccate, la naturalezza con cui si muove tra il palo fisso e lo spin, capelli al vento e sorriso sicuro. Non lo voleva fare, fino all'ultimo. Invece è stata fantastica come sempre. Dal suo cavallo di battaglia, il suo nomignolo ora è "Mary Jade", alla combinazione appena imparata. Dannatamente brava e adorabile.
Ora tocca vedere l'anno prossimo in cui saremo una marea di ragazze nello stesso corso e quello dopo, in cui loro andranno avanti come dei treni e io resterò un po' indietro come sempre. Meraviglie dell'età, temo. Grandissimi stimoli a crescere.











Il primo saggio di Silvia, che ha aspettato tanto, provando la sua coreografia e allenandosi sempre con tutta se stessa. Un bellissimo mix di forza e di grazia, linee lunghissime e sguardo dolce. Atletica e sempre bella da guardare. Aveva una fan di eccezione, possibile che tra qualche anno la piccoletta che la guardava estasiata si avvicinerà al palo con la stessa curiosità di ieri sera. Silvia, con cui faccio lezione regolarmente da quasi subito e che mi stupisce sempre per la facilità con cui arriva a fare le cose più complicate. Passerà altrettanto rapidamente per lei, il tempo tra questo e il prossimo saggio?









La prima delle veterane, una Silvia più bionda del corso avanzato, ha tentato una sfida: restare sul palo per tutta la durata del brano compiendo evoluzioni continue tra forza e flessibilità. Qualche intoppo iniziale prima della sua partenza poi, in completino leopardato, ha fatto di tutto senza scendere dal palo spin anche quando avrebbe dovuto spingersi con una mano. Come ognuna di noi non è affatto contenta della sua performance, ma ci siamo sgolate tutte per farle sentire il nostro entusiasmo.
Diciamo che rispetto all'anno precedente è stato un saggio che era più una festa tra noi, non affollato e poco caotico. Tanto il casino lo facciamo benissimo noi. Alcune delle ragazze tra il pubblico non hanno partecipato per mancanza di tempo, preparare una coreografia richiede un minimo di impegno e non sempre si riesce a far combaciare ogni cosa. Però erano lì a fare il tifo per noi e a incoraggiarci tutte. A fare festa, appunto.








La prima allieva di Natalya, le "gambe più lunghe della scuola", l'ultima a esibirsi è Margaret, anche lei con una improvvisazione. Anche lei secondo posto a Exotic Moon per la categoria semi-professionisti, ci ha fatto vedere alcuni dei suoi passaggi migliori, facendoli sembrare facili, con le sue spaccate e la sua flessibilità da ginnasta. Senza esagerazioni, nel suo stile, con il sorriso delicato che la contraddistingue.
Resto sempre a bocca aperta mentre la guardo fare cose che mi sembrano impossibili, scalza o con il tacco 20 - come se le servissero centimetri di gamba - tenendosi per un gomito o appoggiandosi su un'orecchio.
Siamo quasi una famiglia, alla fine. Da quando sono arrivata ho visto le mie compagne abbandonare pian piano, chi per un motivo e chi per un altro. Quelle che restano si stringono tra loro, si sostengono e aiutano senza risparmiare energia. Non importa di che corso siano.









Ovviamente a chiudere la serata è stata Natalya, che ha improvvisato una coreografia sulle note di una canzone russa. Morbida, sinuosa e con la sua innata eleganza. Da urlo, come sempre. Per tutto l'anno, agosto compreso, ci ha fatto allenare, ha spiegato passaggi, incoraggiato ognuna di noi a continuare nonostante la fatica o i momentanei insuccessi. Per noi che la conosciamo, che la vediamo allenarsi per le gare, che sappiamo quanta forza di volontà ci vuole a mettersi lì ogni giorno nonostante tutto, Natalya resta un esempio impareggiabile. Grazie a lei e alle ragazze con cui condivido questo viaggio, io sono qui che continuo a imparare. Noi siamo qui. Ed è bellissimo.