31.8.10

Ritorno

Non è semplice. Non lo è mai.
Ritornare, come molte delle cose che cominciano con ri. Altra cosa è forse tornare con un sentire nuovo. Cosa che speravo, in fondo. Che l'immergermi in un mondo così diverso come l'India mi facesse bene. Oh, sì. lo sapevo a cosa andavo incontro.
Tutte le bellezze e tutte le brutture si ammirano insieme. Sofferenza, fede, fatica, sorrisi, morte e vita intensa, tutto insieme. Non come da noi che le cose davvero brutte facciamo finta che non ci siano. Non come da noi, che non abbiamo senso della vita ma solo terrore della morte.
Laggiù la morte si vede. Si vede la sofferenza, la malattia. La dura faccia della Vita che si mostra in tutte le sue sfaccettature. Meravigliosa e allo stesso tempo orribile.
No, non sento qualcosa di nuovo. Non sono ispirata, non sono ri-caricata. Se non di una tristezza di sottofondo che mi accompagna e che non mi molla. Nonostante tutto sia andato bene, meglio del previsto. Anche il clima è stato mite con noi.
Ritornare no. La stessa vita, quelle cose da cui cercavo di liberarmi, mi aspettano. Non mi lasciano andare. Non che io non abbia trovato una soluzione, solo che ora non è applicabile, oa non si può, ora che ne avrei bisogno prima di sprofondare ancora e di nuovo, ri.
A parte qualcosa e qualcuno che erano qui ad aspettare, questo ritorno non mi promette niente di buono...
- Sarà la febbre, sarà che proprio di lavorare non ne ho voglia, sarà che ho voglia di intontirmi di Supernatural e non ho ancora acceso la tv, sarà che sono preocupata per 2 persone, sarà che la consapevolezza di non poter fare niente per cambiare alcune cose e il destino di alcune persone... -

26.8.10

Nel cuore

Sedendosi al tavolo lo vide: lui era accucciato a terra e lavava il pavimento del ristorante immergendo le mani in un secchio il cui contenuto aveva un colore discutibile. Lo straccio che teneva in mano era consumato dall’uso continuo e prolungato che la pulizia in quel luogo richiedeva.
Aveva piovuto da poco e, sebbene in strada il terreno fosse già asciutto, la terra portata all’interno del minuscolo ristorante dai clienti in cerca di un buon pasto a poco prezzo era molta. Sotto ai quattro tavoli le piastrelle un tempo verdi avevano perso il colore per lo strascicare quotidiano di sedie e piedi coperti da scarpe fangose. Lungo il restante corridoio che portava dalla cassa alla cucina brillavano quasi. Il ventilatore non bastava a rinfrescare l’ambiente, così il ragazzo aveva la camicia bagnata di sudore. Un cerotto copriva il pollice destro e il suo colore quasi spariva nell’acqua del secchio. Il colore del tè al latte.
Anche se non l’aveva vista arrivare, il ragazzo sapeva che c’era. Seduta proprio dietro di lui, alla sua destra. Non era la prima volta che si vedevano. Erano due giorni che lei andava a fare colazione (sebbene fosse più l’ora di pranzo) nel posto dove lui lavorava. Lei lo aveva già notato. Il ragazzo con i pantaloni grigi e impataccati, strappati dietro a entrambi i talloni per il continuo strascicare a terra tra il pavimento e le ciabatte di pelle scura. Lui voltò la testa. I suoi capelli lisci e castani erano puliti e la testa sovrastava di poco l’altezza del tavolo. Accucciato così e curvo sul pavimento, il ragazzo le sorrise. Un sorriso dolce, “cerbiattesco”, con i denti bianchi che spiccavano sul volto color cioccolata. Cioccolato al latte, non fondente. Lo stesso colore dei capelli e degli occhi. Lei ricambiò il sorriso. Probabilmente non avrebbe dovuto farlo, viste le normali convenzioni del luogo. Una donna non poteva fissare lo sguardo in quello di un uomo senza passare per una facile. Ma lei non riusciva a non guardarlo. Lui forse lo sapeva.
Continuava a passare lo straccio sul pavimento, anche se ormai il più era fatto. Dopo il primo sorriso da parte di lei si voltò a lavorare per qualche momento, poi girò di nuovo la testa e le sorrise ancora. Si spostò indietro e finì di lavare il pavimento. A vederlo così le si stringeva il cuore.
Lui poteva avere dai diciassette ai vent’anni, il viso ancora abbastanza liscio e morbido, non rovinato da rasature costanti. Era alto, per essere della zona. E magro. I fianchi stretti e le spalle più ampie, ma proporzionate, mani lunghe con dita dritte e unghie corte. La bellezza del suo viso era sicuramente dovuta anche alla dolcezza dei suoi occhi. Gli zigomi alti, le guance scavate e le labbra ben disegnate, piene al punto giusto. Il suo naso aveva un che di aquilino, ma era dritto e le narici non si allargavano di molto. La frangia un po’ più lunga del resto dei capelli era leggermente più chiara. Colpa dell’ossigeno o di una colorazione religiosa per la festa di Shiva.
Finito di lavare il locale, il ragazzo andò a svuotare il secchio in strada e ripassò da lì, andando in cucina. Non si girò più. Ma lei ebbe l’impressione che da dietro la tenda della cucina, che tutti i ragazzi del personale usavano per asciugarsi le mani, ancora la osservasse. Come poco dopo, quando lui si sistemò a parlare con un collega sedendosi al tavolo di fronte a lei.
Quando si alzò per andare via, lui era sparito. L’immagine di quei sorrisi, però, le era rimasta nel cuore.

25.8.10

Dettagli

Alla fine quello che torna alla mente sono i piccoli dettagli di ogni storia. Come le strette di mano che durano qualche istante in più, come gli sguardi rubati attraverso uno specchietto retrovisore o quei piccoli momenti di complicità che si presentano nelle conversazioni. Quei momenti che sembrano dilatarsi a dismisura e assorbono tutta l’attenzione. Poi ci sono i baci, le mani che si sfiorano e le parole sussurrate. Ci sono le cose che ci si racconta, quelle che non ci si può dire e quelle che davvero si vorrebbero dire ma che non è possibile …

Ci sono milioni di parole dette, ascoltate. Cose che restano incise nelle memoria e che alla fine tornano sempre, una dopo l’altra, alla mente. E non se ne vanno. Non più. Anzi tornano. Ogni volta che qualcosa va storto, ogni volta che ci si ferma a pensare, ogni volta che ci si guarda. Anche dopo che tutto è finito, se può finire davvero.

Come cominciano le storie d’amore? Tutto parte dai dettagli. Se non ce ne sono non c’è una storia d’amore, questo è poco ma sicuro. I dettagli che ci tornano in mente sono la storia d’amore. Anche solo poche immagini nella mente, questo basta. E non se ne va, non se ne va.

Non se ne va...

21.8.10

“Del resto tutto in lei lottava con le distrazioni: non solo l’amore coniugale e materno, che sentiva saltuariamente, ma gli obblighi famigliari, che non sentiva affatto, e forse perfino la sofferenza fisica avevano su di lei meno forza delle distrazioni, la più potente delle quali era la sua stessa bellezza.”

“Questi però erano un mezzo, avevano uno scopo che i detestati rituali di lui bambino non avevano avuto, non per lei comunque; e di colpo Luigi, con una di quelle terribili intuizioni che chiudono per sempre l’infanzia, aveva capito, questa bellezza di cui sua madre era così accanitamente in caccia, che cos’era. La felicità, o meglio la via d’accesso alla felicità, non poteva essere altro: vi si riversavano pensieri, cure, energie egoistiche, senza sosta. Essere al centro dell’attenzione, oggetto di invidia e ammirazione … li aveva visti, lui, gli sguardi degli uomini addosso a sua madre, anche al funerale, non si poteva dimenticarli: e in quegli sguardi l’aveva bene afferrato, il senso della bellezza.”

Cesare De Marchi, La vocazione, pag 60/64

11.8.10

La verità

è che non ho molto da dire in questi giorni, ma penso un sacco, oltre a essermi data alla lettura trash.
Mi sento leggermente diversa, da qualche tempo a questa parte e per ora mi godo la novità, intanto studio come proseguire le mie storie bellissime e ancora da scrivere.
Dura la vita di chi vorrebbe solo raccontare favole a chi ha voglia di ascoltarle...
Però, la verità è anche che
STO DANNATAMENTE BENE!

4.8.10

Memorie, buoni propositi e milioni di idee

In questi giorni, i primi di vacanza, la mia mente è stata occupata da una serie di pensieri che mi hanno trasportata lontano da dove avrei voluto andare, come al solito.
Volevo approfittare di questa settimana per finire di scrivere la storia di Jack&Jane, ma ho deciso di cambiare il progetto originale e ora il tempo non basterebbe comunque. La struttura prevedeva un finale con spazio aperto per una eventuale seconda parte. Ma ho pensato che invece avrei potuto fare una cosa unica e più corposa (va bene, gli esperti del settore mi diranno che bisogna essere brevi, ma la storia c'è senza troppi fronzoli quindi...), allora ho cominciato a mettere insieme delle idee per proseguire nella direzione giusta. Direzione che tanto i miei personaggi troveranno il modo di deviare mettendomi nei casini, ma non importa. Io mi adatto anche alle loro personalità, se vogliono una cosa così tanto da farmela scrivere ci sarà un motivo, no?
Volevo anche finire di leggere un libro iniziato al lavoro, per fare una recensione delle mie e dedicarmi alla lettura dei romanzi del torneo (5, da leggere entro i primi di settembre) con i relativi giudizi e appunti da fare.
Il momento perfetto del post precedente ha fatto riaffiorare in me alcuni ricordi e il pensiero di perdere tutto quello che hanno significato alcune cose per me ha cominciato a produrre una serie di alternative. Io già pensavo di utilizzare le mie mille vite passate per approfondire alcuni personaggi di storie che ho in mente, solo che allo stesso tempo mi è venuta in mente l'idea balzana di usarli per un personaggio unico (che poi sarebbe come romanzare un'autobiografia che già sembra un romanzo da sola) e son qui che penso a vantaggi e svantaggi dell'usare me stessa come protagonista di qualcosa. Lasciamo poi stare il fatto che c'è sempre molto di noi in quello che si scrive, è che tutto insieme è un po' come fare un giro nudi in sede di maturità...
E ancora idee su nuove storie che con me non c'entrano niente, o il minimo indispensabile per scriverne, su come proseguire una cosa, su come modificarne un'altra e...
il tempo.
Manca il tempo. Anche in vacanza, come durante tutto il resto dell'anno. Ci sono posti e amici da vedere, ci sono momenti da passare in famiglia, pulizie, commissioni, gatte, cene, piaceri che vanno gustati comunque per sopravvivere al tempo. E i dubbi su come proseguire il cammino, i dubbi su come trovare il tempo prima che di tempo non ce ne sia più.

3.8.10

Momento perfetto (momento delicato)

Viaggiare di notte è per me l'unico modo di viaggiare bene. Adoro le luci artificiali, i loro colori che brillano nel nero del mondo. Mi piace la luce della luna quasi quanto detesto quella del sole, a meno che io non stia decisamente al riparo dai raggi venefici. Sì, perchè in fondo vedere il cielo azzurro non mi dispiace, ma non in auto. In auto io voglio la notte.
Così, mentre torniamo da casa di mia madre lungo lo sterrato e la stradina di campagna con la luna piena alle spalle e la collina di fronte, mi trovo davanti uno spettacolo di luci che danzano.
La collina torinese io la adoro. Il faro, la basilica, le mille lucine che la ricoprono...
In auto la musica è alta quanto basta. Mi emoziono. Non per la musica o per la vista. Mi vengono in mente mille cose di cui nessuna è importante.
In questo momento tutto è perfetto. Non c'è una virgola che cambierei in quello che sento e l'unica cosa che mi viene in mente davvero è: "sarà difficile rinunciare a tutto questo?"
Solo che non parlo di me, il pensiero è rivolto a quel che vedo e quel che ascolto. Le cose che mi rendono viva. La bellezza e la musica.
Le domande su quello che sarà delle mie emozioni sono tante. Vorrei poterle condividere, tutte. Tutto quello che ho provato in vita mia, la mia storia. Vorrei che non si perdesse nulla per strada. Che qualcuno sentisse davvero quello che cerco di raccontare. Lo sentisse nello stomaco, nell'aria. Che niente andasse perso. Ma non credo sia possibile. Ed è l'unica cosa che mi dispiace.
Un momento perfetto che mi emoziona a tal punto da pormi quella domanda, io che son sempre stata certa delle mie idee. Tutta quella bellezza e così pochi che la notano...

2.8.10

Nella notte (ma non a fari spenti)

Lui lanciò la sua Lancia Delta integrale nel buio. Era a metà strada tra il ragazzo e l'uomo, i capelli corti e scuri, gli occhi socchiusi in un sorriso che le labbra accompagnavano, ma che non era un sorriso di bocca. Tutt'altro. Quei sorrisi che partono dagli occhi, quelli di goduria pura.
Sul sedile del passeggero, la ragazza bionda non parlava. Sapendo già a cosa andava incontro si teneva appesa alla maniglia come fosse l'unica cosa solida in quell'auto. Non aveva mai amato la velocità, pur avendone subito il fascino qualche volta nella giovane vita.
Dietro, gli amici di lui ridevano sguaiati. Anche loro sapevano benissimo cosa li aspettava. Uno dei due cominciò a dare direttive come fosse un navigatore di rally. "Destra" seguito da una numero, "destra" un altro numero... "sinistra", altro numero.
Lui, alla guida, seguiva senza dubbi le direttive dell'amico. Li stava riaccompagnando a casa attraverso la collina, dopo una serata insieme. Per qualche oscuro motivo si era portato dietro anche la ragazza, che però non era stata con loro tutto il tempo. Anzi, era passato a prenderla giusto mentre li portava a casa.
Ora sfrecciavano tra una curva e l'altra in una strada non illuminata, a una velocità che forse solo a lei sembrava folle. I tre ragazzi sembravano divertirsi un mondo. Che ci faceva lì?
Smise di guardare la strada, non voleva spaventarsi di più. Voltò la testa verso il pilota e si mise a fissarlo. Non che ci fosse da imparare qualcosa di quel viso: lei lo sapeva a memoria. Solo che vederlo illuminato solo dal riverbero dei fari e dalla fievole luce del cruscotto gli conferiva un fascino nuovo. E guardarlo sorridere la rendeva felice.
Dopo la prima dozzina di curve il pilota azzardò una domanda: "Come mai non parli?", cui la ragazza appesa alla maniglia rispose con un "tento di trattenere la cena" appena sussurrato. Lui rise, inondandole gli occhi di luce.
I ragazzi dietro continuavano da soli, come se facessero parte di un film diverso. Solo il pilota li ascoltava, spostando il volante di qua o di là a seconda delle istruzioni, cambiando marcia al momento opportuno o toccando appena il freno se serviva. L'auto, bellissima, scorreva sulla strada come volasse, senza sfiorare i rami che ogni tanto sbucavano dal nulla, senza sgarrare di un millimetro il suo percorso.
"Perché mi guardi?", di nuovo il pilota alla ragazza. "Voglio ricordarmi la tua faccia, per la prossima vita... " questa volta sorridendo. Non aveva paura di morire, lei. Non quella sera e non quando c'era lui vicino.
Di colpo il bosco si trasformò in una cittadina. Erano sbucati da chissà dove praticamente a destinazione. L'incubo era quasi finito e con esso anche il sogno.
Lasciarono i ragazzi a casa loro e il viaggio di ritorno fu meno movimentato. Ma questa è un'altra storia.