28.12.23

Dita mozzate sul campo di battaglia

Mi sono ricordata da poco di essermi rotta un dito facendo pole. Niente di che, in ogni caso se fossi andata in ospedale mi avrebbero solo steccato l'anulare facendomi cazziare pure sul lavoro, quindi ho fatto che mettere la mano nel ghiaccio e dimenticare l'accaduto. 


Non ci ho pensato più e in effetti neanche mi ricordo cosa stessi provando a fare, ché tanto in uno sport tutto lividi ed escoriazioni capita quasi ogni giorno di rimediare una botta e alla lunga non ci si fa più caso.

Io poi ho la pelle delicata e ciò fa di me una pazza masochista scriteriata. Ma al cuore non si comanda, così come da copione ho continuato a lavorarci sopra (al dito) fino a non sentire più il fastidio. 

Non è stata di sicuro la prima volta e nemmeno l'ultima che mi facevo danni a pole. Come quando cercando di farmi fare un video da Ilenia con la seconda "butterfly extended" della mia vita ma essendo stanca dalla lezione appena finita ho sbagliato a dare la spinta e mi sono trovata con il palo che girava più del previsto, ho sentito che perdevo la presa e sono volata di ginocchia sulle piastrelle da una certa altezza e a volte mi sembra ancora di sentirle scricchiolare. Ed era solo il primo anno... Più che altro è che ogni volta che voglio fare la "sborona" e vantarmi dei risultati ottenuti finisco per distruggermi.

Mi sono stirata, contratta, infiammato tendini e muscoli, rotta unghie e staccata nei dalla schiena ma non ho mollato mai per il dolore. Ho imparato a non farmi video da pubblicare, solo frammenti che potevo cancellare dopo aver estratto una o due immagini, ché tutte le volte che volevo dimostrare qualcosa agli altri finivo per farmi male. Non fisicamente.

Mi sono chiesta più volte perché continuare senza mai trovare una risposta e soprattutto continuando a soffrire mentre scivolavo giù. La depressione è una gran brutta bestia, soprattutto quando non ti accorgi che arriva. Così, dopo lo stop tra Covid e ernia - più protrusione lì accanto - tornare è stato ancora più doloroso che restare lontana. Non c'era più niente. Nessuna soddisfazione, nessuna "famiglia", pochi volti noti, la vergogna costante di guardarmi allo specchio e non trovarmi più. Ancora.

Sommando impressioni e coincidenze tra questo abbandono e il primo abbandono alla danza ho capito che c'era un nesso e che avrei dovuto lavorare diversamente su me stessa per venirne fuori - se mai ne uscirò del tutto. Ho smesso di ballare per una ferita, è vero. Ma più di ogni altra cosa ho smesso di farlo perché mi volevo punire e in qualche modo è successo anche con la pole. 

Sono di quelle persone che non "possono" stare bene, non che non lo desiderino ma che non vogliono concederselo mai del tutto. Metti per paura della delusione in caso qualcosa andasse storto, metti per l'ansia da prestazione, metti per le continue esperienze negative che ho avuto ogni volta che mi sentivo a posto dov'ero. Non il brutto anatroccolo che sono ma splendido cigno. Ecco, di essere cigno non me lo sono mai perdonato, né concesso del tutto. Sono quella del "mai abbastanza", che vorrebbe esser meglio di così ma poi per millesima motivi mai si sposta da dov'è. Perché è meglio il dolore certo di quello sconosciuto. Perché fino a un certo punto la mia testa vede solo quello: dolore. Disapprovazione, disappunto, disistima, inadeguatezza. Non razionalmente, ché sarebbe troppo semplice reagire, ma più sommerso in profondità fin da quando, da piccina e ragazzina, mi si ricordava che ero sì brava ma non abbastanza da "spiccare il volo" per quanti sforzi facessi. Non abbastanza brava a ballare, a scrivere, a cantare, a dipingere. Non abbastanza bella, non abbastanza interessante, non abbastanza tutto.

E no, non voglio piangere su questa cosa perché temo di averci già perso fin troppo tempo. Ho perso pezzi di me ovunque tentando di cambiare questa mia sensazione, pretendendo da me stessa una perfezione impossibile pur senza fare grossi sforzi. E no, senza lavoro non si arriva da nessuna parte nemmeno se si è dotati, figuriamoci se si arriva in ritardo sui tempi massimi o se si seguono gli impulsi di una mente bacata.

Hai voglia a farti mozzare dita e arti nel tentativo di riuscire in qualcosa se non ci credi nemmeno tu. E non è un lavoro facile mettersi lì ogni volta che si vorrebbe fare un passo e ripetersi che ne vale la pena: uscire, provare, sbagliare e riprovare. Cancellare le aspettative e godersi le proprie qualità.

Dite che si può, piano piano?



10.10.23

Tre piccole cose perfette

Non scrivo da tempo, presa da tanti pensieri e dal tentativo di perdonare me stessa per non essermi mai stata amica. Per non sapermi creare una giusta aspettativa nelle cose che faccio, sempre o quasi delusa dal mio rendimento anche quando so bene di non essermi impegnata. È che spesso mi trovo a cercare un modo di esprimermi ma tutto ciò che vorrei fare è fuori dalla mia portata. O quasi.







Non si tratta mai di essere più brava degli altri, piuttosto di essere abbastanza brava da poter dire ciò che ho dentro con "le parole" adatte. E non è così semplice. 

Ci ho provato con la danza, un tempo lontano. Non che non abbia funzionato in qualche modo, solo che ero troppo arrabbiata e in balia delle mie paure (adolescenza, la chiamano) e ho potuto fare poco. Ci ho provato con la scrittura. Ho scritto alcune delle storie che volevo raccontare e altre cose che son venute da sole. So per certo di non essere una schiappa come so che già solo in famiglia ci sono almeno due persone che scrivono decisamente meglio di me (e lo confermerebbe uno Strega, se potesse confermare qualcosa) ma anche qui non ho mai voluto essere in classifica, solo essere letta. Qui il processo è troppo lungo o poco immediato e anche se forse nella scrittura sono abbastanza felice di me alla fine torno al movimento.

A Tersicore. Lei.




Perché al di là di tutto sono le linee disegnate dal movimento, come le scie delle luci nelle foto con esposizione lunga, a trasmettermi di più. Ed è per questo che anche la pole per me ha assunto una importanza enorme. Come a suo tempo la danza, con risultati differenti ma con una comprensione maggiore di quello che per me è perfetto. Come le performance in questi tre video diversi. Ognuna di queste ha armonia, eleganza e potenza. Sono enormemente differenti tra loro ma dimostrano che non è solo una questione di elementi eseguiti in modo impeccabile. È arte. Carattere, forza.                              Trasmettere qualcosa.



Almeno con gli anni ho imparato che la perfezione è diversa per ciascuno di noi. Che le aspettative sono un'altra cosa e sono quelle che ci rovinano il viaggio. Che va benissimo essere arrabbiati se questo porta a creare e non distruggere. Che spesso siamo i nostri peggiori giudici e carnefici senza considerare il nostro e l'altrui percorso. Che a forza di avere modelli - spesso inarrivabili - saremo sempre prigionieri della visione di un altro.

Questo lo so, ora mi appresto a farlo entrare nella mia vita.


13.6.23

Cometa

La canzone che avevano composto per me era orribile, almeno secondo i miei gusti.
Poi immagino che in qualche modo non sarebbe andata bene anche fosse stata meravigliosa.
Niente di testo e melodia sembrava appartenermi, ma poteva qualcosa farlo davvero? Avevo appena compiuto diciotto anni e non sapevo niente di niente anche se ero convinta del contrario.

Già dal provino improvvisato in discoteca, una sera che il loro gruppo suonava lì, poco prima dell'apertura. Mi hanno mandata sul palco e mi hanno detto canta qualcosa ma ero abituata con le basi e non al live, soprattutto ero terrorizzata.
Perché mi abbiano dato corda posso solo supporlo: prendere soldi e avere una ragazza in più in scuderia per riempire vuoti.
 
In sala d'incisione andò tutto al contrario rispetto alle previsioni: un disastro in italiano, molto meglio in inglese tanto da registrare un brano praticamente buono alla prima, fatta eccezione per i cori. 
Poi quella canzone da portare al concorso. Quel testo assurdo e quella melodia finta, non mi veniva proprio. C'era quel "ce la farò, sono sicura" che mi si strozzava in gola e tutto sembrava talmente moscio che avevo solo voglia di piangere. Nemmeno a riscriverla in inglese avrebbe funzionato.

E io sognavo il palco, la musica, le luci ma forse non ero sicura per niente a dispetto di qualsiasi aspettativa avessi creato nella mia mente e in quella degli altri. 
Quarta a un concorso invisibile, tempo e liti furibonde, e mamma non capiva che cantavo più volentieri le canzoni degli altri concorrenti, e quel fidanzato psicopatico che avevo mi tormentava ogni giorno per paura che spiccassi il volo. Ma quale volo?

Avevo esordito che nemmeno avevo diciassette anni, la voce potente ma acerba e nessuna preparazione. «Sì, brava ma non abbastanza matura,» mi aveva fatto il prezzo mio padre. E come mai avrei potuto esserlo se non ci provavo neanche?
Ma poi, provarci significava fare playback con la voce di un'altra donna truccata quasi al suo stesso modo per sostituirla a un capodanno idiota? Significava diventare marionetta? Significava perdere la fiamma?

Poi, ancora, è successo qualcosa nella mia testa e piano piano ho rifiutato tutto. Serate, spettacoli, inviti. Urlavo dentro ma non avrei più cantato. Volevo solo spegnermi e non sognare più. Non ho più saputo usare la voce.
E ne ho, ne ho ancora.

Ma non potevo. Non è la mia cosa. Non il mio talento. Però ancora sogno.
Io sto bene quando sparisco, quando non mi guarda nessuno. Sono un topo.
Un'ombra, un alito di vento nella furia prima del temporale.
Dovevo esserlo, il temporale. La mia occasione mancata numero uno: lasciarmi esplodere.

Essere.

4.6.23

Come Penelope

Scrivo, cancello, scrivo.

Riordino le idee, mi pare una str..zata, ci ripenso.

Scrivo, abbandono, sbuffo.



Mesi in cui la mia attività alla tastiera funziona così. Almeno leggo. Sì, sempre le solite scemenze e solo su Kindle, ma leggo. Cerco di capire cosa voglio fare, perché in questo momento tutto è confuso.

Io, esperta in perdite, ho iniziato a ragionare sul lutto. Non solo quello classico, un po' come era mia intenzione da tempo. Visto che devo ricominciare da ciò che conosco e che non c'è verso di terminare il seguito de "Gli attimi in cui Dio è musica" - no, non è scritto al presente e non parla di danza e siccome anche questo è doloroso non c'è verso davvero di procedere - ho iniziato a raccogliere le idee per un altro episodio di questa serie, più personale e più introspettiva.

Nel frattempo ogni tanto riapro la pagina di "Area 3-13" su Wattpad e vedo che ho roba in sospeso anche lì (dovevo fare un'aggiunta con personaggi in ordine di apparizione e collegamenti tra loro, ma è un lavoro che... vabbè), e i lavori che ci sono insieme a questo romanzo. "La catena di Joy" ha avuto un inaspettato numero di visite e mi piacerebbe continuarlo, ma...

La riscrittura di "Nuovi soli" dopo un iniziale partenza razzo ha incontrato un muro. Non è la paura della pagina bianca ma la mia solita difficoltà a ripetere strade già percorse, seppure questa nuova versione è nuova sul serio.

La correzione di "Tutto accade..." è ferma da anni.

Diciamo che niente accade.

Tutto ciò che si muove riguarda lutto, perdita, influenza di mille situazioni sulla vita, sulle relazioni, sul benessere. In più c'è la fatica a chiedere informazioni a chi potrebbe rispondere ma che per farlo dovrebbe riaprire la mente a cose accadute oltre cinquant'anni fa. Quindi, boh.

Faccio e disfaccio. Disfatta.

La verità è che non me l'ha prescritto il medico di scrivere.

Mi piaceva molto, mi è piaciuto fino a un certo punto poi è diventato pesante. Forse non ho voglia di andare oltre alle mie storie. Forse queste piacciono solo a me e a pochi altri. Forse sbaglio i contenuti, ma sono le uniche cose di cui mi importa e non saprei scrivere altro. Quindi è un lutto anche questo, a modo suo. Un cercare il modo di continuare senza "l'idea" di ciò che avrebbe potuto essere.

Probabilmente è vero il fatto dello zodiaco o magari sono io che sono la solita cazzona. Non porto mai a termine qualcosa, soprattutto quando ho fatto fatica ad arrivare fino a un certo punto, come se solo le cose che vengono facili fossero da prendere in considerazione. In fin dei conti sono sempre stata pigra e ancora lo sono. Così nella mia testa le mie storie vagano, si completano, finiscono, poi creano altre storie che le completano e via. Ma perché fare lo sforzo di scrivere se nemmeno le persone più vicine si appassionano a ciò che scrivo? Scrivere per me? Io le mie storie le so, tutte, a memoria. E non l'ho sempre fatto senza inseguire mode, tendenze, manierismi, senza inseguire i possibili lettori e i loro gusti? Ne conosco di gente che ci riesce.

Eppure inseguo gli autori che creano saghe infinite, che siano assurde o meno, pur di non lasciare i loro mondi e i loro personaggi e nel mio cuore mi piacerebbe riuscire in una simile impresa. Ma il tempo è poco, le cose che amo sono tante e so per certo di non voler scegliere cosa lasciare indietro. Non voglio più ossessioni.

Una volta il mio monaco (non quello di Wendy) mi ha detto che il mio "vento" poteva portare incidenti e disastri ma che se l'avessi lasciato sopire non avrei più creato come prima. Non lo sento quasi più e dopo tanti anni di inquietudine e lacrime quasi non mi spiace. Può essere l'ennesima fase, può essere che io trovi una forma di equilibrio diversa, può darsi che sia cresciuta - o invecchiata - di colpo.

Sono solo troppo stanca di alti e bassi e di sforzarmi di tenere il passo con me stessa.  

10.5.23

Finalmente

 Da qualche giorno è completo su wattpad il mio romanzo "cruccio": Area 3-13.

Scriverlo è stato abbastanza facile, anche se nel frattempo ho scritto di tutto. 

L'idea di fondo, un'atmosfera intensa e tanta musica. Poi, ovviamente, tutto è cresciuto a dismisura e mi sono trovata con un malloppo che supera le trecento pagine e come sempre non ha un genere ben preciso. L'ho sempre visto come un "fumetto" d'azione un pochino pulp. Tra Blade e La Cosa, o Extreme Measures e Aliens - scontro finale. Un misto di cose che amo, come l'ambientazione indefinita e post apocalittica.

Oltre a non sapere dove andavo a parare, come sempre, a mano a mano che scrivevo mi rendevo conto di due cose:
1) era esattamente come volevo scriverlo,
2) era pieno di personaggi che volevano dire la loro e di sotto-storie che spuntavano da ogni dove e più andavo avanti peggio era,
3) era bello e lo è,
4) non sarebbe stato un romanzo appetibile.
Lo so, avevo detto due.

Appena terminato ho voluto chiedere un parere a una professionista, che ha letto e mi ha aiutata a correggere le pagine interminabili, trovando che comunque aveva un senso, una bella storia complessa e ben formulata, con qualche errore di forma. Così dopo l'editing ne ho stampate tre copie e le ho inviate a case editrici selezionate in precedenza. Ovviamente non ho mai avuto risposta, come immaginavo.
Dopo un primo momento di sconforto ho pensato di rivolgermi a un altro professionista del settore e alla sua agenzia per una scheda di lettura e sperando in una proposta di rappresentanza. Nella sua risposta lunga e articolata ho trovato le ragioni del suo rifiuto. Anche se il romanzo era ben scritto, con colpi di scena e un intreccio sensato, ma la sua agenzia cercava romanzi diversi. La mia storia sarebbe stata interessante se fosse stata ambientata in Italia.

Però non potevo farlo. Non era quello che avevo "visto" io.

Qualche anno dopo, dopo aver lasciato il manoscritto nella sua cartella, ho voluto provare a chiedere un terzo parere - un po' come dal medico - e anche questa volta sebbene fosse un romanzo ben fatto e "completo" ho incassato un rifiuto. Tutti motivi validi e comprensibili. Troppo lungo, troppi personaggi, troppa carne al fuoco e troppo sesso. Che è necessario alla storia ma non rientra nel genere di lavori che questa agenzia sceglie di rappresentare. Con un bellissimo scambio di mail, però, mi ha incoraggiata ad andare avanti e se non avessi trovato un editore avrei dovuto pubblicarla in self, perché meritava di uscire. Era inutile, secondo questa donna che stimo e seguo da anni, snaturare un lavoro così complesso, rivederlo a lungo per rientrare nei criteri richiesti per poi non avere ancora la certezza che a qualcuno potesse interessare.
I libri sono merce, sono soggetti a scelte di mercato, ai gusti dei lettori, alla coerenza con la propria linea editoriale e mille altre cose che non conosco ma che comprendo.

Ci ho pensato a lunghissimo, valutando il rischio di pubblicarlo come "Il gioco dei vampiri" per poi non venderne che qualche copia. Non ho la capacità di creare strategie di marketing e non ho tempo per fare i milioni di cose che servono, né la voglia di rompere le palle ad amici e conoscenti con post e pubblicità continue. Poi ho scelto Wattpad. 

Ho usato Wattpad per altri lavori - gli spin off e qualche racconto, più un romanzo sul nascere e qualche bozza - e mi piace il fatto di essere lì, scrivere le mie cose e lasciare che gli altri le scoprano. Con gli altri lavori - uno soprattutto - ha funzionato e il fatto di non dover obbligare qualcuno ad acquistare un romanzo così lungo e particolare mi è sembrato adeguato. 
Così vi ammorbo qui, come sempre.
In qualche modo cercherò di farvi entrare nel mio mondo, non ne sono certa ma sono sicura di ciò che ho scritto.
"Area 3-13" è una storia che vale la pena di leggere...

Lo trovate qui, nel suo splendore: AREA 3-13 

23.4.23

Sulla soglia dei 54

Non ho mai pensato di essere bella, non come avrei voluto essere comunque.

Per anni ho combattuto con i miei limiti, con le aspettative esagerate, con modelli irraggiungibili, con il corpo che "pesa", con il mio desiderio di essere vista e amata, con la tendenza alla dipendenza - cosa non rara in famiglia - e all'autodistruzione. Con la depressione e con l'ansia.

Con ferite mai del tutto curate, con l'arte di farmi scivolare addosso cose che in realtà finivano per peggiorare l'opinione già pessima che avevo di me. In parte. E l'orgoglio, la vanità, la rabbia di non poter desiderare, volere, ottenere.

«Ha bisogno di coccole, poverina.»

Non corrispondere mai, né a chi vorresti né a cosa vorrebbero gli altri: sentirsi alieni, sempre. Desiderare, lottare e allo stesso tempo non sentirsi adeguate, in grado di farcela. Sapere di avere delle qualità ma oscillare continuamente tra possibilità e impossibilità. Essere pietrificate dal terrore di non farcela, perché non farcela è la conferma di quel pensiero sottile che dice "non ce la puoi fare".

Credere sempre a chi ti sottostima, mai a chi crede in te, tanto da sospettare che dietro a ogni complimento ci sia un tentativo di "prenderti qualcosa". Il desiderio di rivalsa, forte. E la critica severa, per poi cadere nella superbia nei momenti "su".

Anni di alti e bassi, anni di voglia di morire per smettere di sentirmi così, anni di rancore folle che mi consumava dentro. E io che cercavo equilibrio e leggerezza. Che cercavo qualcuno di obbiettivo nei miei confronti - infatti appena ho potuto ho pagato una psichiatra - che mi aiutasse a capire chi sono e dove sbaglio sempre.

Perché è vero che sbaglio, probabilmente non nelle cose in cui temo di sbagliare ma la vita è un tantino beffarda con tutti noi, no?

«Ci credo che è stanca - ha detto una volta la psy - ha vissuto cose che normalmente non si vivono in tre vite "comuni".»

Ed è vero. Ho lottato con unghie e denti ogni volta che era necessario nonostante la mia "debolezza". Sono senza pelle sotto a una corazza di grasso. Eppure...

Non sono mai stata quello che volevo essere. A volte ci sono andata vicino, a volte ho mandato in vacca tutto quanto appena tornavano i pensieri oscuri. A volte mi sono punita per cose che non ho fatto. Non ho creduto in me fino in fondo, soprattutto perché non sapevo essere del tutto me stessa. Spesso non mi sono amata come avrei dovuto e non ho accettato l'amore degli altri perché non mi ritenevo degna, o sentivo il peso delle loro proiezioni. Non ho dimenticato chi mi ha ferito e porto dentro di me chi mi ha dato tanto. Sempre.

Ho tenuto dentro troppe cose: sensazioni, disagi, malesseri, sogni. Non volevo "disturbare", così mi hanno insegnato; mai disturbare gli adulti, e io bambina non ho mai smesso di sentirmi piccola di fronte alle esigenze o ai desideri altrui, tanto da cancellare ogni traccia di me pur di non farmi mandare a letto, come quando restavo nascosta sotto al mobile nel salotto dei miei nonni per poter vedere un po' di televisione in più oltre il mio orario.

Sono Laura, la sorellina piccola dei miei sogni. Quella che ha paura e ha bisogno di rassicurazioni.

Sono Luisa, la sorella di mezzo maniaca del controllo e giudice incontentabile.

Sono Clara, la sorella adolescente che ha dentro solo rabbia, tanto da bruciare.

Sono Paola e ancora la mia voce si sente poco, ma c'è.

E ora, sulla soglia dei 54, comincio a capire chi sono e quanta strada ho fatto anche perdendomi nell'oscurità. Certe volte mi trovo pure bella nonostante i segni dell'età che avanza. Certe volte so che ce la posso fare.

14.3.23

Una favola senza senso

 C'era una volta un re senza memoria che governava una terra senza tempo dove tutto si confondeva e niente se ne andava via davvero.


Egli aveva sposato una regina senza vergogna che non faceva che mentire a se stessa e agli altri per nascondere le sue paure.

Dalla finestra del castello senza torri, la principessa senza sorriso sognava di vedere un mondo senza guerra e senza morti. Ma sapeva che era solo utopia. 

C'era un principe senza un regno che cercava di trovare un senso alla sua delusione e uno stregone senza più poteri che ripeteva invano i suoi incantesimi nella speranza di tornare nel suo mondo.

E una donna senza testa che inventava parole nuove senza saperlo, e due sorelle senza un'anima che sognavano di avere ancora la loro servitù. 

Sul campo di battaglia un cavaliere senza un braccio scendeva da cavallo a raccogliere i suoi pezzi, mentre un erede senza colpe cresceva in un mondo di mostri. 

E un uomo buono lavorava senza sosta per amore dei suoi cari mentre il mondo intorno sembrava esplodere. E una veggente senza una sfera magica che interrogava oracoli per scoprire il proprio destino, e una dama senza cuore che osservava questo mondo come non ne avesse mai fatto parte. 

E alla fine di questa storia c'era una sirena senza più marinai da sedurre che nuotava in un mare senza confini e una nave senza motori né vele partiva da questa terra senza nome per un viaggio senza ritorno. 

19.1.23

Mentre il mondo intorno non si accorge che sto gridando

 Ti sto dicendo addio

con un inchino profondo,

e grazie. 

Di tutti i sogni, 

degli incubi 

e le ferite indecenti;

dei mille sorrisi, 

delle tante lacrime 

e le migliaia di parole. 

Sono senza dei, 

senza famiglia, 

senza patria;

senza cuore, 

senza testa 

ma sono umana. 

Ti sto dicendo addio 

mia ossessione, 

mia musa. 

E nonostante i tuoi sforzi 

per imbrigliarmi l'anima 

sono ancora libera. 

O di nuovo 

o non lo sono mai stata, 

nè lo sarò. 

Non ho pelle, 

non ho pace, 

non ho difese. 

Non un posto, 

nè un destino 

ma ancora respiro. 

Ti sto dicendo addio 

perché non è più vita 

ma una lenta e inesorabile 

piccola morte 

e io non ho più voglia

di soffrire. 

Nè voglia, 

nè forza, 

nè fiato;

non più un singolo

istante 

di questo... 



16.1.23

Lo zodiaco contro

 Anni fa leggendo una interpretazione del mio tema di nascita ho imparato che la mia Luna in Toro mi avrebbe dato un guizzo artistico - forse in ambito musicale ma non per forza - che difficilmente si sarebbe tramutato in qualcosa di concreto.

Sì, in effetti ho passato una decina di anni della mia vita a studiare danza e qualche altro a studiare canto e recitazione e nessuna di queste cose ha mai dato i frutti sperati anche se per lungo tempo ho cercato di imparare il più possibile e - almeno per la danza - ho lottato con tutte le mie forze per poi mollare all'improvviso, non senza un valido motivo. O più di uno.

La danza non è stata l'unica cosa. Col tempo ho apprezzato pittura, disegno e fotografia imparando a cavarmela osservando il lavoro degli altri e cercando di imitarlo per poi farlo mio. Anche qui i miei risultati non sono sempre stati memorabili ma l'arte richiede tempo e col passare degli anni questo viene meno. Lavoro, famiglia, incombenze di ogni tipo prendono il sopravvento e il resto non può che essere qualcosa a cui dedicare attimi soltanto.

Poi c'è stata la scrittura.

Ho sempre scritto, fin da quando ho preso coscienza del mio amore per le storie. Certo, ci è voluto del tempo per imparare a farlo in modo utile e sono abbastanza sicura di non farlo così male. Sono bravina, miglioro, sono sicura che migliorerò ancora. Ma anche qui non ho avuto i risultati sperati e anche se come me - e meglio di me - ci sono decine di migliaia di autori che condividono la mia stessa frustrazione, mi rendo conto che è stato bello impegnarsi in questi anni ma non ho più voglia di investire ogni energia nel tentativo di farmi pubblicare "bene". L'ultimo romanzo che ho pubblicato con editore è "Addio a Bodhgaya" e a oggi - che è stato ripubblicato in una specie di self publishing alla chiusura della casa editrice. Ma è stato sette anni fa.



"Il gioco dei vampiri" l'ho pubblicato da me, per divertimento. Come mi ero divertita a scriverlo, così ho deciso di fare un esperimento senza investirci più del dovuto, perché non era il "mio genere" e non mi interessava essere conosciuta per aver scritto un romanzo hard. Il self non è una passeggiata ma lascia una libertà maggiore. Anche le poesie di "L'universo è amore e sangue" e i racconti sparsi di "Presenze" sono self e francamente non ho mai nemmeno controllato i resoconti delle vendite perché sapevo che sarebbero state quasi zero.




Il progetto serio, quello su cui avrei investito, però, non ha chances. Presentato a due agenzie non ha subito critiche pesanti ma nemmeno è risultato abbastanza interessante e ormai l'ho finito da una vita. L'ho scritto una vita fa. Per quanto mi renda conto della sua validità non avrei nessun motivo per mettermi di nuovo a lavorarci sopra per renderlo accettabile agli editori. Un romanzo "vecchio" scritto in modo "vecchio" perché ormai io sono altro. Quindi, da inizio anno trovate la prima parte di "Area 3-13" su Wattpad leggibile gratuitamente in attesa di caricare le altre due parti del romanzo.



Ne parlerò ancora, ne parlerò fino alla nausea perché ci credo ma siccome l'importante non è tanto riuscire a vendere poche centinaia di copie quanto farsi leggere dalle persone e condividere la propria storia sperando di emozionare o divertire o colpire qualcuno. Per questo scrivo, per raccontare. 

Il resto non è più importante.

Pubblicare non lo è, inseguire un destino non mio non lo è. Non riconoscere quando è il momento di accettare che una cosa non è per noi non fa che prolungare l'agonia.

Forse ho davvero quel guizzo artistico, lo so che non sono priva di questo "tocco" ma non sarò mai abbastanza determinata perché non ho quella fame. Allora basta ossessioni. 

Una volta scrivere mi rendeva felice, ma se smettesse di farlo cosa potrei scrivere se non "cose morte"?  

3.1.23

Su e giù

 


Sto facendo su e giù

con altri pensieri. 

Un panda sul pigiama,

torta sullo stomaco.

Prima non c'eri, 

non vale. Vattene via. 

Ho voglia di indossarti,

di portarti dentro, 

di mandarti al diavolo. 

Di essere perfida, 

di non essere io, 

di dimenticare,

di ricordare solo sorrisi. 

Colori abbastanza diluiti,

soffia per vedere.

Ho voglia di gridare,

di gridare.

Sono muta.