31.5.14

Leggere con le dita

Le cose cambiano, si sa.
Il libro vive una crisi ormai certa, complici le politiche insensate di alcune case editrici, complice il desiderio dei più di pubblicare il proprio pensiero (e qui mi tocca inserire me stessa nel mucchio, anche se forse non mi sforzo abbastanza in tal senso), complice la fretta e la legge del mercato sempre più bisognosa del maggior numero di prodotti da offrire nel minor tempo possibile.
Ne abbiamo già parlato e il dibattito è sempre aperto.
Resta il fatto che la situazione non è difficile solo per chi, da editore, si trova ad affrontare un calo considerevole nelle vendite ma anche per chi scrive e soprattutto per chi ha ancora il piacere di leggere. Poi capita che a qualcuno venga l'idea dei fingerbooks e che tutto sommato non sia una cattiva idea.


Una piattaforma su cui si trovano racconti brevissimi per una lettura da cinque minuti massimo, fatta via cloud o scaricando il file e utilizzabile da pc, tablet e smartphones. Tantissimi racconti gratuiti, di vario genere, usufruibili in qualsiasi momento e a cui si può dare un voto (da 1 a 4 stelline) per cui ogni autore saprà se e quanto un suo lavoro sia piaciuto.
Per accedere bisogna iscriversi, ma per gli utenti di facebook il passaggio è diretto o quasi.
Oltre ad alcuni dei miei lavori ( Inaspettato, Riflessi d'acqua, Martedì e La catena di Joy ) ci trovate anche bravissime autrici come Ginevra Crispi, Maria Sardella, Alessandra Frontini e centinaia di racconti da scoprire. Non lo dico per me, non solo, ovvio.
Parlano di queste "letture da strada", dei piccoli e gustosi kebab da leggere in metro, in tram, nella sala d'attesa del dentista... ne parlano come una delle opportunità del futuro. Magari per ora gratuite, poi con un vero e proprio mercato (magari, aggiungo io, scaricabile come google play ma senza carta di credito).
Non lo so, a me l'idea piace. Rapido e comodo. Facile.
Why not?

29.5.14

Emergo,balena, per poi sommergermi di nuovo

Sono rare le volte in cui mi occupo del mondo. Non è che non mi interessi, ma ho le mie idee e non mi importa di discuterle (non che io non sia in grado di argomentare, ma trovo noioso parlarne, di alcune in particolare) o di farle prevalere su quelle di altri, con cui potrei parlare di mille altre cose.
Non ho fiducia nell'uomo. In generale, intendo. Non ci si può aspettare nulla di buono dagli uomini. Credo sia vero quello che narrano le leggende buddiste: l'uomo è figlio di una scimmia e di un demone. E il meno peggio è l'animale.
Se i Maya ci avessero azzeccato io non sarei stata scontenta. Un botto e via, tutti morti. Spazio a qualcosa di meglio. Che ci va poco.
Quello che vorrei per il mondo è e resterà sempre un'utopia. Nulla è realizzabile.
Non è questione di religioni, di governi o di progresso scientifico.
Il benessere che intendo io non è cosa per umani. Siamo troppo poco evoluti proprio dal punto di vista umano. Che è quello che servirebbe per diventare una società civile.
Non è questione di cose giuste o sbagliate, di idee non condivise o abbracciate, di briglie corte per domare una massa di egoici. Quello che auspicherei è l'assenza di briglie. La capacità di scegliere liberamente senza ferire, danneggiare, o comunque farlo il meno possibile.
Non credo negli uomini e nelle promesse urlate, o sussurrate, o scritte. Non credo nei sorrisi e nemmeno nelle lacrime facili. Non credo nelle parole manipolate ad arte e il cui significato viene stravolto. Troppo facile mentire e mostrare immagini artefatte. La propria o quella di un mondo.
So che nella natura umana, come in quella animale il più forte se la prenderà sempre col più debole e che ci sarà sempre qualcuno che dall'alto osserverà la gente comune che si ammazza per un tozzo di pane.
So che ci aspettano tempi duri, alla faccia delle promesse e dei sorrisi. Perché non siamo pronti a fare il bene di tutti, non siamo forti abbastanza per toglierci di bocca qualcosa e donarlo ad altri. Non siamo stati educati a farlo. Anzi. Siamo cresciuti col mito del vincente. Del furbo e del ricco e potente. Di quello che ce la fa.
E ci ha rovinati. Quello e questa stupida paura della morte e della malattia.
Della vita. Della natura. Del mondo.
E abbiamo creato un mondo che fa paura. E che non mi piace e di cui non amo parlare.
Ora che ho gettato il mio sbuffo, annoiato e in attesa del peggio, riprendo aria e mi immergo altrove. Dove amo stare, dove ci sono mostri finti e dove se voglio posso inventarmi un lieto fine, o riscrivere più volte le scene per renderle migliori.

23.5.14

Complimenti, complimenti!



Come quasi tutti voi che passate spesso sapete, io ho una certa idiosincrasia per i complimenti.
Per mia malattia mentale penso, nell'ordine che: 1) mi si prenda per i fondelli, 2) che i poveretti che me li fanno non capiscano nulla, 3) che vogliano qualcosa in cambio e via in loop ripartendo dal numero 1.
Ci metto sempre il mio bel tempo a comprendere quando li fanno e, dopo, a capire esattamente per quale motivo abbiano da dirmi cose carine.
Insicurezze a parte, cose con cui combatto giornalmente e per cui mi faccio aiutare da persone di fiducia, ci sono invece parole che mi fanno sentire bene.
Un esempio è stata la recensione di Olimpia a "Gli attimi...", inaspettata e bella nonostante i difetti che io continuo a trovarci.
Altre volte capita quando sono donne a farteli. Per noi non è sempre automatico, me ne rendo conto quando commento con le amiche anche solo i fatti e i personaggi del giorno. Quando una donna mi dice che "per fare questa cosa ho pensato subito a te" anche senza una mia predisposizione o interesse (certo, se una deve riparare un lenzuolo so già che viste le mie competenze pensa prima a me...), o cose simili, allora mi sembra che in qualche modo sia un onore almeno ringraziare del pensiero. Poi, ovvio che se una cosa non è di mio interesse non la faccio certo per un complimento o una frase carina. Ci sono limiti.
Oppure come oggi. In una discussione in rete la mia amica Cristiana, parlando di me, ha detto "se la conoscessi di persona te ne innamoreresti". E non è questione di sentimenti o di cose fisiche. L'idea di innamoramento è una cosa differente e io mi sento addirittura commossa per il fatto che una donna abbia scritto una frase simile. Perché se lo dice una donna di una donna, sicuramente è vero.


Oltre a questo, i miei complimenti - stavolta ironici e caustici - vanno agli squallidissimi tizi che ti chiedono l'amicizia su facebook usando un account farlocco. Lo fanno con nickname assurdo, con foto del profilo ovviamente non propria - un modello in mutande, il massimo del minimo anche con le mutande firmate - , con amiche solo donne con altrettanti nickname bizzarri e allusivi e foto del profilo provocanti. Lo fanno, soprattutto, perché io con la mia faccia e il mio nome e cognome ben chiari ho messo un "mi piace" al romanzo erotico di una conoscente e ogni tanto metto un "mi piace" alle foto e alle frasi che pubblica per promuovere il libro. Perché è l'unico collegamento che c'è tra noi.
Ora mi chiedo se devo sentirmi obbligata a non essere me stessa onde evitare rotture di balle, oppure se devo far uscire il rottweiler che c'è in me e cominciare non solo a ignorare tali imbecilli microdotati (del cervello di sicuro) ma anche a rispondere come si deve. Perché mi sembra assurdo, davvero, che 1) basti così poco a scatenare le fantasie e 2) ci si nasconda sempre dietro a una facciata.
Ma assurdo davvero. Un confronto a viso aperto, visto che io la mia faccia la metto sempre, sarebbe certo più gradito. Poi, ovvio, se le intenzioni sono quelle che si intuiscono chiaramente... non c'è nemmeno bisogno di confrontarsi. Bye bye, baby. A parte il fatto che ovunque c'è scritto sposata - che dovrebbe già far intuire l'indispensabile - se anche mai fosse mio desiderio conosere un "pretendente", di solito li scelgo veri, gli uomini.
Un romanzo, santo cielo, mi piace un romanzo. E se sapesse mai che mi piacciono gli horror???


21.5.14

Antologia numero due

Il racconto lo conoscete già. Almeno il mio. La stanza (è di là).
Ma qui ce ne sono altri e gratis fino a sabato...
La raccolta si chiama Cocktail, ed è disponibile su Amazon e sulle maggiori piattaforme italiane.

E, novità, "Gli attimi in cui Dio è musica" è disponibile anche su Google Play

14.5.14

Uno

Ieri sera ho scritto un racconto.
Novemila e più battute, diciamo cinque pagine. Una storia d'amore, bizzarra come al mio solito.
Tra le cose che non faccio di solito, però, al fondo del racconto c'è una "morale". Non mi piace suggerire apertamente la morale, preferisco che ognuno legga quello che vuole - magari anche la cosa giusta, ma che ci arrivi da sé - dalle storie che scrivo. Eppure ieri le dita sono andate avanti da sole e ho scritto esattamente quello che pensavo di voler dire.
Ho scritto:


"L’amore ha sempre lo stesso volto, anche se lo cerchiamo con occhi ciechi. È solo uno il nostro destino, solo uno il passato e solo uno il futuro. Solo uno è per sempre."
Perché poi l'abbia scritto così è un mistero. Era ovviamente legato al racconto.
Ma il concetto resta. Come dire che credo nell'amore eterno. In una strana forma di amore eterno che ci porta a cercare sempre la stessa persona o un qualcosa che ce la ricordi. Anche quando non ce ne rendiamo conto, anzi soprattutto se non ce ne rendiamo conto. E non intendo lo stesso tipo di persona, proprio la stessa. Che a volte troviamo e a volte no. O, come capita nel racconto, a volte troviamo più volte. Quando per "disperazione" ne abbiamo più bisogno.
E no, non voglio legare bisogno e disperazione alla parola amore. Solo che nel racconto funziona così e l'amore ha un modo meraviglioso di "avvolgere" i protagonisti. 
Ed è il modo che credo abbia, quando è vero.

Al di là di questo, non sono passata alla seconda fase del Torneo questa volta. Non è importante, alla fine. So che quando le cose si devono muovere hanno il loro modo di farlo, quindi devo solo lavorare e aspettare che tutto funzioni naturalmente. Io credo nelle cose naturali. Quindi aspetterò. 
E continuerò a fare quello che amo. Vivere e scrivere. A lungo.


7.5.14

Briciole



L'idiota alla radio dice "piccole dita appiccicose".
Normalmente una frase del genere non mi provocherebbe alcuna commozione.
Invece oggi rivedo manine, le mie, paffutelle e agitose davanti al mio naso. (sì, ho scritto "agitose" e l'ho fatto apposta)
Manine sporche di cibo; conoscendomi, qualcosa di dolce.
E, più avanti, vedo un libro aperto. Forse il mio amato "Guerre Stellari", o un Asimov, o i fumetti di Asterix. Immersa nella lettura tanto da non sentire nemmeno più l'esistenza del mondo circostante, spesso mangiavo con il libro in mano anche prima dei 10 anni.
La colazione preparata dalla nonna, che sarà pure stata una ex alcolista ma che con me ci ha saputo fare: pane, burro e zucchero.
E libri che ancora ne portano il profumo, aprendoli.
E giorni e notti a inseguire storie, dopo che la nonna e mamma me ne hanno svelato il fascino. A leggere tutto quello che trovavo per casa, senza che ci fosse un limite alla mia fame. Da "Radici" a "La laguna azzurra", da "Christiana F." a "Paul et Virginie", da "Playboy" a "Il figlio di Tarzan", da "Tex" a "Nella foresta dei gorilla giganti". Nessuno a dirmi no. Leggevo l'enciclopedia, il dizionario e le scatole dei Frosties. Le confezioni dei detersivi, le istruzioni dell'Ape del giardiniere.
E libri di magia nera, e manuali Wiccan degli albori. E troppe domande ma anche troppe risposte, troppo presto.
Poi ho smesso. Di leggere, soprattutto. Fino a venti, forse ventuno anni. Se non fosse stato per Stephen King e "Pet Sematary", e "It", forse non avrei ripreso. Troppa vita.
Troppe cose sfuggite via come i granelli di zucchero profumati di burro che ho poi trovato nei ricordi, sfogliandomi come un libro per capire chi ero diventata.
Piccole dita appiccicose.
Le briciole minuscole e infinite che ci lasciamo dietro. Quelle che un giorno ci fanno ritrovare la strada di casa, come le pagine di una buona storia, come le parole ascoltate prendendo sonno.
E la voglia di risentire quel profumo, ancora. Come una carezza.