28.4.10

Changes are coming

Ieri ho piantato a metà, e forse non ero nemmeno a metà, un libro di Stephen King. Non è il primo, a dire il vero. Questa volta è Duma Key, la volta prima era La Torre Nera, settimo e ultimo libro della serie omonima. Basta. Annoiata.
Non so perché. Non ha più quel tocco che una volta mi comunicava tanto. Forse le mie aspettative dopo La Sfera del Buio sono troppo elevate. Forse sono cambiata io e non riesco a trovare interessante quello che mi dice. Tutto già conosciuto, già visto, già detto.
Forse aveva ragione quando diceva che una volta finita la serie della Torre Nera non avrebbe avuto più molto da dire. Forse, invece, la svolta l'ha avuta dopo l'incidente in cui ha rischiato di perdere la vita. Perché dopo quel momento i suoi libri sono cambiati. L'Acchiappasogni è stato un pugno nello stomaco. Trasudava dolore.
Poi, perché inserire se stesso nei libri della Torre Nera come personaggio? Cosa è cambiato nella sua mente e gli ha fatto perdere molta della sua capacità di toccare certe mie corde come nessuno è mai stato capace? La sua visione delle cose è cambiata, sono sicura. Perché rileggendo le cose più vecchie lo trovo ancora, quel tocco.
Non so, se una volta la sintonia era piena, ora perdo un amico e un confidente immaginario, perdo un uomo che poteva insegnarmi e mi ha insegnato certe piccole sfumature...
Non saprei nemmeno spiegare, così, a parole. Una sensazione di abbandono. Sono delusa, persa, sola coi miei incubi e nessuno che li sappia descrivere. Dovrò cominciare a descriverli io?

26.4.10

Fotografia

Bambino, la tua foto non restituisce che parte di te. Parte minuscola, che non comprende sorrisi, sguardi, piccoli gesti e parole. Discorsi appassionati, amore.
Quanto manca in questa immagine, quante piccole e infinitesimali parti di te e di ciò che eri. Di ciò che non sei più, che non sarai e che sei stato allora, sogno dei miei sogni.
Miracolo la mia memoria che torna ad allora e ti rivede, ti recupera, come fosse ieri il tempo in cui t'amavo, anche da lontano. Solo da lontano, come più mi si addice, per non violare tutto ciò che in te amavo.
Quanto mi manca quel tempo, quanto vorrei che fosse ora, vecchia stupida che sono. Quanto.
E quanto sogno davanti alla tua vecchia immagine, che più non è. Quanto vorrei tornare indietro e dirti tutto, darti tutto, lasciare che le cose vadano come devono andare. Invece no. Io, il controllo, la mia paura di uccidere, di ferire, di rendere marcio il mondo...
Bambino, la tua foto...

22.4.10

Frammenti...

Quel giorno ho capito che stavo aspettando qualcosa. Ero inquieta e avevo quella strana sensazione di pancia, proprio due dita sotto l'ombelico. Così sono andata in salotto e ho acceso l'incenso, le candele e aperto il butsudan; mi sono inginocchiata davanti al Gohonzon illuminato e ho cominciato a scandire il mantra, parola per parola. L'unico pensiero che avevo era di capire cosa mi facesse sentire così strana.
Avevo litigato con un amico, una volta innamorato di me e oramai rassegnato al fatto che stessi con un altro se non fosse stato che anche con l'altro non era andata bene e nella mia vita aleggiava il fantasma di un amore irrisolto. Sempre presente ma mai abbastanza.
Nella mia mente avevo un film di cose che potevano succedere, cose tristi ma non drammatiche.
Più andavo avanti a recitare il mantra e più l'angoscia veniva a galla. Una sensazione di lacerazione, di irrimediabilità. Mi sono trovata dopo un'ora a non riuscire più a ripetere una parola per intero, tale era la forza dei miei singhiozzi. Continuavo a ripetermi no, non deve succedere niente, non deve succedere niente, non deve...
Una settimana dopo, giorno più giorno meno, ho sognato questo.

Ieri, andando al lavoro, ho mandato un sms alla mia collega dicendo: arriverò un po' in ritardo, tanto non muore nessuno. Come ho schiacciato "invio", ho nominato il cane di mamma che non stava molto bene ultimamente. Un paio d'ore più tardi mi hanno informata che Gar era mancato da poco.

Ora ho quella strana sensazione di pancia, proprio due dita sotto l'ombelico...

21.4.10

Quel tempo

C'è stato un tempo in cui mi trascinavo nel dolore. Una specie di fango mi avvolgeva l'anima e non facevo che sprofondare. Poi c'era altro, la bellezza mi ha sempre salvata da me stessa. Qualsiasi cosa esteticamente significativa mi faceva da appiglio per sopravvivere, per uscire dalle mie stesse sabbie mobili. Poteva essere una coreografia, un abito, un tramonto, la folta e lunga chioma scura di un ragazzo. Certe volte finivo a commuovermi guardando "il bello", arrivando a piangere di dolcezza per lo spettacolo che avevo davanti.
Ancora oggi che il fango s'è seccato, che molto del dolore l'ho capito e accettato, e lasciato andare, sono sensibile al bello più che a ogni altra cosa. Certe volte mi basta un cielo azzurro, altre ritrovare un vecchio sorriso perduto e riassaporarne il ricordo senza altro fine che goderne l'effetto benefico.
E nel ricordo il bello si fissa, non muta, non invecchia, rimane.
Perché a volte ciò che è bello lo è perché non è solo il suo aspetto a esserlo. E il poco che vediamo riflette ciò che ormai non si vede più. Lo splendore. Un sorriso di labbra perfette, di denti brillanti. Come occhi aperti sul paradiso.
Credo sia la bellezza a tenermi viva, quella che vedo ancora intorno a me. Quella che ricordo, quella che ricerco, che ammiro estasiata e che immagino di avere sempre accanto. Perché quel tempo in cui la bellezza mi salvava è ancora qui...

17.4.10

Il lavoro dell'amante

L'amante non ha un attimo di tregua.
Non se lo può permettere mai. Sempre pulita, truccata, pettinata, depilata. Che non si sa mai. Potrebbe accadere che in qualsiasi momento ci si possa vedere e non c'è modo di rimandare per passare dall'estetista.
Certo ha del tempo libero, tutto occupato a pensare a lui (che sia solo Lui o che sia L'altro non importa). A darsi delle giustificazioni quando capita, a trovare scuse come in una pubblicità che si sente in questi giorni (cara, esco a comprare le sigarette... ma non fumi! ... allora vado a comprare i chewing gum ... ma ne abbiamo una scorta ... ok, porto fuori il cane! ... quale cane?) che però siano plausibili. A ritagliarsi lo spazio giusto al momento giusto, a fare in modo che tutto scorra perfettamente.
Perché bisogna che tutto funzioni perfettamente. Un lavoro duro, faticoso.
Quando ero più piccola mi divertiva. C'era meno in gioco, allora. Se anche qualcosa andava storto si poteva sempre fare spallucce e trovare un altro a rimpiazzare uno dei due contendenti. O mi divertiva il fatto di fregare un geloso paranoico che si credeva tanto furbo. Insomma, non mi sono mai preoccupata più di tanto, ma lo facevo bene, quel lavoro.
Ora non so. Sono fuori allenamento e credo anche che avere due uomini sia troppo.
Uno per volta, per carità...

7.4.10

Al sole sul bus

Il bus procede a sbalzi, allontanandosi dall'olezzo della bus station. Un odore di marcio e di urina e ancora di marcio e di urina marcia. E di sporco. Fa caldo da parecchie ore. Stiamo tornando da Kaniakumari (posto che si scriva così, ma che importa?) dove i miei saggi compagni di viaggio cercavano spunti spirituali. Io qui non ne ho trovati molti. Trovo spunti di ogni tipo, ma la spiritualità non la sento, nemmeno nei templi. Ho passato la giornata trotterellando dietro di loro in bus, strade intasate, animali ovunque, gare tra autobus su strade strette. Sotto al sole battente. Fortuna che qui i vetri ai finestrini non usano. Altrimenti come ci si appendono, fuori dai bus pieni?
Sediamo due a due. I saggi amici, uno avanti e l'altra dietro, parlano di cose che seguo a malapena. Dietro di me Chandra guarda fuori dal finestrino, come faccio io. Passo il tempo canticchiando, come lui. Improvvisamente ci troviamo a cantare la stessa canzone dei Red Hot Chili Peppers, io davanti e lui dietro, con tutte le parole al loro posto. E l'autobus che saltella, e il caldo.
Quando intoniamo "
I heard your voice through a photograph, I thought it up and brought up the past, Once you've know you can never go back, I've got to take it on the otherside" siamo in sincrono perfetto. Piano, leggeri, una cosa quasi intima. E su "Take it on the other side" l'autobus fa inversione. Chandra e io cominciamo a ridere, complici in un gioco del destino. Gli altri due ci guardano senza capire; noi, sempre un po' fuori dal mondo.
Attimi sereni, quelli.

3.4.10

Sono una donna, non sono una santa...

... e sono senza parole.
Ho la strana impressione che si stia regredendo sempre più rapidamente verso un medioevo tecnologico di cui non sento affatto l'urgenza. Forse altri sì.
Buon per loro che hanno lanciato la macchina ai duecento all'ora puntando alla parete rocciosa proprio lì davanti. Io scenderei, potessi.
Magra consolazione è di godermi il paesaggio nel mentre e sapere che non ho coinvolto nessuno nello schianto e che se finalmente ci schiantassimo in modo definitivo, forse questo pianeta ricomincerebbe a respirare.
Noi, il cancro.