31.12.07

Pensieri per l'anno nuovo

Quest'anno non è stato un anno semplice. Tutto intorno a noi sta diventando sempre più cupo ed io mi sento travolta da questa cupezza. Dalla tristezza e dalle mille imposizioni che la vita mi offre. Ci offre.
L'anno prossimo vorrei sentirmi libera di essere davvero me stessa. Vorrei avere il coraggio di farmi uscire dal pozzo in cui mi sono calata anni fa e finalmente esplodere in tutta la mia "bellezza". Vorrei ridere più di quest'anno. Vorrei sorridere senza motivo apparente, vorrei pensieri puliti, felici, allegri.
Vorrei non stancarmi. Vorrei non essere stufa. Vorrei evitare le invidie altrui, le accuse e le ritorsioni. Vorrei sentirmi viva più di ora. Vorrei amare di più e meglio.
Vorrei augurare a tutti un migliore 2008.

30.12.07

Coscienza

Il mio pensiero, caro alieno in visita, giunge a te e alla confusione che puoi provare qui.
Il nostro è un mondo strano. Sembra abbia perso di vista le cose importanti e che cerchi solo rapide soluzioni indolori.
Molti di noi non sanno fare altro che rimandare ad altri le proprie decisioni. L'educazione dei figli, la morale comune, il rispetto per gli altri. Si pensa che siano i detentori del potere, le istituzioni religiose e governative, a dover insegnare, a dare dei limiti da rispettare.
Noi umani, in realtà, siamo sempre in bilico tra ciò che è giusto e ciò che ci piace. Tra quel che ci conviene e quello che vorremmo.
Così abbiamo bisogno di sentirci dare costantemente una direzione da qualcuno che certo ne saprà più di noi. Una comoda scappatoia per evitare le responsabilità, per sentirci a posto. Lasciare che qualcuno decida per noi, senza combattere, senza metterci in gioco davvero.
Ho sentito oggi parlare di famiglia come se fosse la legge a costituirne una. Come se solo un pezzo di carta potesse stabilire quali rapporti e quanto amore ci può essere tra le persone. Come se tutti i valori in cui ognuno di noi crede avessero bisogno di una legge per avere dignità.
Io non sono una credente, non in senso stretto. Ma credo nei valori che mi sono stati insegnati da mia madre prima e dalla vita stessa dopo. E non c'è una legge che possa dare o togliere importanza ai valori in cui credo.
Giusto perchè sono parte del genere umano, anche io sono in bilico. Sempre.
Però non mi aspetto che qualcuno decida per me, che mi dia i suoi ideali, le sue credenze, giuste o sbagliate che siano. Ogni volta io devo fermarmi e pensare. E decidere.
Credo che ognuno di noi, invece di farsi imbrigliare da regole altrui, dovrebbe prima di tutto essere educato al rispetto della vita, degli altri, delle idee. Ognuno dovrebbe interrogarsi spesso riguardo ai propri valori, al modo in cui li rispetta, se li rispetta. Dovrebbe chiedersi se tutto ciò che sta facendo rispecchi il proprio modo di concepire la vita.
Ognuno di noi dovrebbe saper distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, non perchè esistono delle leggi ma perchè chi l'ha cresciuto gli ha insegnato a cercare dentro di se le risposte. Io credo che in fondo siamo meglio di ciò che dimostriamo. So che dentro di noi sappiamo distinguere le cose, solo che ci fa comodo far finta di niente. Fare in modo che qualcun'altro vegli sulla nostra coscienza è un ottimo modo per fare ciò che ci pare evitando responsabilità. E dando poi la colpa a chi non ha vegliato bene se siamo infelici, se la nostra vita prende pieghe inaspettate, se niente va come vorremmo.
Visto che ce l'abbiamo, dovremmo imparare ad usarla, la coscienza. Non aspettarci che qualcuno pubblichi un manuale, che qualcuno ci guidi per mano a ciò che ci renderebbe felici nel pieno rispetto degli altri. Felici tutti, senza soprusi, senza drammi, senza eccessi. Felici senza limiti.

20.12.07

Arrivo

Per quanto lungo sia stato il viaggio, alla fine il nostro aereo è atterrato a New Delhi.
Mamma mi ha raccontato molto dell'aeroporto, di cose strane che si vedono qui. Io, che finora non sono mai stata tanto lontana da casa, ho ascoltato e imparato tutto.
L'odore è lo stesso della paglia che arriva nelle casse di oggetti nel magazzino di mamma. Un misto di spezie e di dolciastro, umido e caldo. Di vita cotta dal sole. E marcia di pioggia.
I colori sono diversi, in qualche modo. Più intensi. E tanti. E la gente... quanta gente c'è!
Nell'aeroporto volano degli uccellini. Fa caldo ed i vestiti sembrano pesare di più.
Io non sono abituata al caldo, a Torino si sta sempre bene d'estate. Anche con l'afa non c'è mai questo caldo qui. Mi guardo attorno, meravigliata. Tutto è interessante, curioso, diverso.
Il nostro taxi ci porta all'hotel. L'Imperial. Un palazzo enorme e decorato. Una reggia piena di servitori col turbante. Lunghi tappeti coprono i pavimenti, tende pesanti, arredi antichi e aria di lusso un po' demodè.
Gli indiani sono gentili, hanno dei sorrisi luminosi e gli occhi tristi ma brillanti. Tutti parlano inglese, che io conosco pochissimo. Quasi niente. Ma sono portata per le lingue, imparo molto in fretta quel che mi serve. Nemmeno il compagno di mamma conosce l'inglese, ma scimmiotta le frasi di mamma e mi fa ridere, ci fa ridere.
La nostra stanza è grande, ma ha un odore tutto suo, come l'India. E' pomeriggio, presto. Ma con l'aereo non si capisce mai bene. Disfiamo i bagagli, o meglio, li disfa mamma. Poi decidiamo di andare a fare un giro.
Qui fuori ci sono centinaia di negozietti. Una via commerciale, pare. Così mamma vuole portarci a fare un giro di shopping. Qui tutto costa pochissimo. E c'è un sacco di roba.
Usciamo dal cancello dell'hotel, io tengo per mano mamma e dall'altra c'è Gianni. Mamma mi ha detto di guardare bene dove metto i piedi, perchè in terra c'è un po' di tutto. E io guardo, obbedisco. Non vorrei mai pestare qualcosa di schifoso. O qualcuno che sta male.
Comunque il sole è forte ed io devo guardare per terra per forza.
Io non so come, ma ad un certo punto compare una mummia.
Una mano bendata ed insanguinata mi tocca una spalla ed io sussulto. Non me l'aspetto. Non la mummia, non qui e non da sveglia.
Invece la mummia c'è. Solo che non è una mummia. Sotto alle bende sporche ed insanguinate, incrostate e rigide, c'è un uomo vivo. Vivo e a pezzi. Un lebbroso. Lo guardo.
Ho dieci anni, cavolo. Ho sentito parlare di lebbra, ho visto i documentari in tv. Ma questo non è quello che ho visto in tv. Questo è qui, vivo, sporco, malato e sofferente. Chiede dei soldi. Mi tocca una spalla.
La mia paura non è la malattia, non ci penso nemmeno. Non penso al fatto che quella mano ha toccato la mia maglietta, non è lo sporco, la crosta, non sono le dita che mancano. Sento dentro di me la disperazione. La sua. Mi toglie il fiato e la capacità di ragionare.
Così comincio a lamentarmi con mia mamma. Voglio tornare in albergo, subito. Lei ci prova, a farmi fare ancora due passi, pensa che mi sia spaventata. Forse è così, ma io sento un peso fortissimo e voglio andare in stanza. Non mi importa dei negozietti, delle belle cose che posso comprarmi. Devo riposare.
Infatti, la prima cosa che faccio in India è di mettermi a letto e dormire 16 ore di fila senza alzarmi per mangiare o per fare pipì. Poi potrò ragionare...

Sex crime (1984)

Voglio affondare il viso nell'incavo del tuo collo, sentire il tuo odore penetrare le narici. Con le labbra sfiorare la pelle, col respiro solleticarla. Le dita che intrecciano i tuoi capelli chiari, le mani che carezzano la tua pelle liscia. Il tuo petto, il ventre, i fianchi, la schiena.
Voglio baciare le tue labbra, morderle piano, leccarle e baciarle ancora. Sentire il tuo gusto nella mia bocca, conoscere il tuo sapore e ricordarlo per sempre.
Esplorare ogni centimetro della tua pelle con le mani, con la bocca, con gli occhi. Godermi lo spettacolo dei tuoi occhi aperti sulla donna che ami.
Voglio guardarti. Leggerti in faccia quello che senti, anticipare i tuoi desideri. Voglio stringere i tuoi fianchi tra le gambe e tenerti ancorato a me. Sentire le tue mani addosso, sapere che quel che senti ti piace.
Voglio assaggiarti, lentamente. Prenderti e lasciarti andare in una danza continua. Voglio amarti.
Amarti, amarti, amarti.
Sentirmi una cosa unica con te, un'anima sola che si scinde in due, due corpi che si fondono in uno. Voglio fermare il tempo, restare immersa in quel momento finchè il tempo non avrà più importanza. Voglio che sia l'unica esperienza che vorrai ripetere infinite volte. Infinite volte in mille modi diversi, ma sempre unica.
Voglio sentirti, ascoltare il tuo corpo, il tuo respiro, la tua voce, il cuore, le mani, tutto. Voglio scoprire chi sei davvero, sapere cosa senti. Come senti.
Sei dentro di me, mi divori piano, mi consumi. Tu mi possiedi da sempre ed io non desidero altro che essere tua. Sei il mio sogno, la mia malattia, il tarlo che mi fa impazzire.
Voglio sussurrarti cose che non hai mai sentito prima, voglio urlare il tuo dominio, respirare insieme a te, correre, fermarmi e ancora correre, e fermarmi.
Voglio guardare le tue labbra mentre mi dici le parole che voglio ascoltare. Voglio vedere la tua lingua sfiorare i denti, voglio sentirla tra i miei. Essere il tuo mondo come tu sei il mio.
Farti felice. Sazio, appagato. Fare in modo che ogni volta che avrai fame tu cerchi me.
Voglio essere la tua isola, ancora e ancora. Tenerti in me a lungo, finchè sarà possibile, finchè lo desidererai.
La mia ossessione, il mio folle crimine è desiderare te. Solo te. Mattino, pomeriggio, sera, notte. Penetri i miei sogni e li rendi caldi. I miei pensieri diventano allegri. Le mie labbra sorridono. Il mio cuore batte ed è per te.
Voglio perdermi nei tuoi baci e nei tuoi occhi e catturarti nella dolcezza del mio abbraccio.
Io voglio amare te...

17.12.07

Lately

Mi manca l'aria.
Non riesco a respirare al solo pensiero di perderti. Stai consumando ogni parte di me, sbranandomi con avidità e rosicchiandomi sazio.
Soffro in silenzio, in segreto, sanguinando, desiderando il tuo sapore sulla lingua, nelle narici, sulla pelle. Soffro l'impossibilità di darti ciò che cerchi avendo milioni di altre cose da offrirti.
Non sono capace di amare come tu mi chiedi.
Ho bisogno di sentire forte la presenza, forte l'assenza, forte il desiderio, forte la necessità. Il dialogo, il capire con uno sguardo, il voler ridere insieme.
Ho bisogno di danzare allegra sulle note della vita che non ho avuto, che non ho vissuto.
Ho bisogno di sentirmi giovane, di sentirmi viva, di sentirti dentro. Di sapere che ogni pensiero è rivolto a me. Ho bisogno di sorridere ogni volta che ti penso. Di poterti credere.
Di avere fiducia nelle tue parole, nei tuoi silenzi. Nelle tue promesse.
Di sapere che non mi ferirai più, che non dovrò piangere, che non dovrò temere.
Ho bisogno di amare con tutte le mie forze, fosse l'ultima cosa che faccio. Dare, darmi, completamente. Senza tabù, paure, cicatrici.
Ho bisogno che tu mi lasci amare come sono capace.
Senza respiro, col cuore in gola. Con lacrime di gioia che mi solcano il volto. Lo stomaco in subbuglio e i muscoli sfiniti.
Senza aspettarmi niente in cambio, ma avendo in cambio tutto.
Non posso fingere. Non posso farlo.
Mi manca l'aria.

12.12.07

Up on the catwalk

Tu sei l'amica bella. E se in qualche modo sono stata bella anche io, lo devo a te. Ho imparato i tuoi trucchi ed ho usato i tuoi consigli finchè non ho cominciato a brillare.
Ricordo che ti vedevo sul palco e mi incantavi col sorriso, col tuo saper rendere leggero qualsiasi passo. I tuoi capelli tinti platino, la pelle chiarissima sempre truccata tranne che a lezione, quegli occhi azzurri vivaci e il sorriso. Il modo stridulo che avevi di sgridarmi quando facevo qualcosa che una brava ragazza non deve fare. La tua educazione sentimentale...
Sei l'amica bella, quella che tutti inseguivano e che cercavano di raggiungere tramite me. La diva che si trascinava dietro il cucciolo.
Mi piaceva passare il tempo con te. Al bar a parlare del tuo amore, in giro per Torino a cercare qualche nuovo make up, qualche crema, qualche gel per capelli, strumenti di tortura per piegare ciglia lunghe e curate. A scuola, nascosta al fondo dell'aula per non disturbare la tua immagine allo specchio. I tuoi modi da prima ballerina.
Sei l'amica che volevo con me. A casa, a scuola, in discoteca. Eri una specie di sorella maggiore. Non conta molto se e quanto mi hai delusa.
Mi hai insegnato a fare la donna quando ancora non lo ero, a mantenere un certo decoro, un aspetto invidiabile.
Le ore che ho passato a guardarti truccare quando finivi le tue lezioni e, dopo la doccia, ti preparavi ad accogliere lui che passava dal bar dopo i suoi allenamenti. Il tuo essere donna che diventava bambina tra le sue braccia, la bellezza negli sguardi che vi scambiavate.
Era tutto perfetto.
Quando c'eri tu c'era sempre una festa, casino, rumore, vociare e cantare. Imitare cantanti, stupire con un colpo di scena chiunque ci fosse con noi.
Si viveva in passerella. Sempre al centro di uno show. Questo mi hai insegnato e questo mi manca. Il sapere che lo show lo faccio io.
Non era importante se qualche volta si perdeva un po' di stile. Ognuno di noi ha le sue pecche.
Era divertente sentirsi parte della tua corte. Parte della tua vita. Gli sguardi di un intera discoteca piantati addosso al solo ingresso. Un attimo senza fiato.
Era bello sentire le tue lezioni di comportamento e poi vederti incasinare tutto.
Eri a casa mia, io a casa tua. Alle feste, la tua mascotte. La tua amica giovane e impaziente.
Sei la mia amica bella, quella che vive ancora e sempre su di una passerella. Lo show nel sangue. La vita che pulsa nelle vene. L'assenza di giudizio che ci univa nell'essere sempre sopra le righe.
Se sono diventata donna lo devo anche a te e alla tua frizzante ironia.

Clara e i suoi piedi

Se c'era una cosa di cui Clara era fiera, questa era la perfezione dei suoi piedi.
Piedi piccoli, un 36 che entrava anche in un 35, forti e soprattutto molto arcuati. Cosa che per una ballerina equivale ad una fortuna. Fin dai primi anni di lezione Clara aveva notato quanti sforzi facessero molte compagne e compagni di danza per dare la forma giusta ai loro piedi, per fare in modo che avessero quella linea estetica così necessaria al loro lavoro.
Col tempo aveva ricevuto i complimenti di amici, insegnanti, colleghe. Aveva imparato ad amarli come parte fondamentale del suo corpo e a riconoscerne i limiti.
Doveva sempre dosare l'energia, quando saliva sulla mezza punta e soprattutto quando doveva salire sulle punte. Correva perennemente il rischio di spingere troppo in là, di andare oltre. Certo, i suoi piedi erano bellissimi, ma le caviglie non erano fatte per equilibri così precari.
Più di una volta le capitò di farsi male, esagerando per entusiasmo con la spinta. Passi quando si trattava di mezza punta, ma una volta riuscì a prendere una storta terrificante mentre provava un balletto con le punte. Il giorno dopo aveva il piede talmente gonfio che non riusciva a metterlo a terra. Eppure, appena sparito il gonfiore, Clara era dinuovo lì a saltellarci sopra.
Coi suoi piedi faceva di tutto, riducendoli in stati pietosi ed allo stesso tempo adorandoli sempre più.
Una tendenza che cominciava a prender... piede in quel periodo era di danzare scalzi.
Chi poteva permetterselo si comprava delle speciali protezioni, una sorta di mezza scarpina da mezza punta, un infradito con una piccola suola esclusivamente per l'avampiede. Con quelle si poteva fare qualsiasi movimento senza rischiare di farsi male.
Un sistema più economico e un po' più scomodo era di mettersi del cerotto telato o anche del nastro isolante intorno al piede, sempre per coprire quella zona su cui il peso tende a farsi sentire. Restava sempre un mare di adesivo sui piedi e non c'era alcool che lo togliesse in breve tempo. Così, spesso, le ragazze danzavano scalze.
Non era un grande problema finchè il pavimento era coperto di linoleum, senza giunte troppo profonde tra i vari pezzi. Purtroppo, spesso i pavimenti su cui Clara e le sue amiche si trovavano a ballare erano in legno, regolamentari per la danza classica e anche ben tenuti, ma terribili se usati a piedi nudi. Schegge, graffi, calli infiniti. E la possibilità, che Clara ovviamente sperimentò, di appoggiarsi proprio sulla linea vuota tra un asse e l'altro prima di partire con una pirouette.
Quella volta, Clara si ritrovò a raccogliere trucioli di pelle fresca e sanguinolenta dal pavimento.
Portando con se il segno indelebile dell'evento.

Da ascoltare: "Footloose" di Kenny Loggins

8.12.07

Heaven

Tu sei la vita stessa. Sei il respiro che riempie i miei polmoni, quella scintilla che mi permette di vivere ogni giorno nell'attesa di incontrarti.
Lo so che sarà difficile che ciò avvenga, ma ho bisogno di crederci. Con tutta me stessa. Perchè amare mi rende la vita felice, migliore.
Il dolce tocco delle tue labbra mi ridarà la vita che ho perso aspettandoti. Il sorriso che finora è legato alle tue parole, dipenderà solo dalle tue carezze. Dai tuoi occhi.
Riavrò la magia che solo un incontro come il nostro può creare. Avrò una nuova giovinezza, pensieri più liberi dall'odio che porto con me. Tornerò all'innocenza dell'anima che un tempo avevo. Mi sentirò libera.
Libera di amarti con ogni cellula, di donarti tutto ciò che sono senza timore. Voglio offrirti mille volte quello che chiedi ed avere solo il tuo respiro sulla mia pelle in cambio.
Mi sei mancato, mi manchi da così tanto tempo che quasi credevo non esistessi. Che fossi frutto della mia immaginazione, del mio essere inquieta. Credevo fossi solo un bel sogno.
Ed ora ci sei, quasi alla mia portata, quasi palpabile anche nei sogni. Ma sei vivo e sei qui. Vicino quanto basta a percepire il tuo profumo nell'aria.
E così lontano che quasi la distanza mi uccide. Come se fosse invalicabile pur non essendolo. Vorrei essere io per te quel che tu sei per me. Ma non chiedo tanto, mi accontento di lasciare che tu possegga la mia anima come un tempo, che inondi con la tua forza le mie vene e che mi porti via dal mio corpo, per sempre.
Non ho un sogno che non ti riguardi, un sorriso che non parli di te. Non ho altro in questo mio cuore che il desiderio di sfiorarti ancora una volta.
E se fosse tutta un'illusione non importa. Voglio vivere di questo sogno e non svegliarmi più. Voglio credere che sia vero, nonostante tutto. Non mi importa, perchè sei la cosa più vicina al paradiso che io abbia conosciuto. Guardare il tuo viso è la morte di ogni realtà. Persa nei tuoi occhi io non posso far altro che lasciarmi andare.

5.12.07

Forever Young

C'era quel tempo in cui ridevamo insieme. Tempo di musica, di canzoni ascoltate tra una lezione e l'altra, cantate nella saletta del bar. Ce ne stavamo lì, beate, a pensare che il tempo non sarebbe mai passato. Che non ci saremmo allontanate mai l'una dall'altra. Insieme per sempre, a scuola, nelle giornate in cui non ci andavamo, nelle serate in cui potevamo uscire insieme. A ballare, a correre per rientrare a casa. Insieme sulla golf nera di due idioti.
Insomma, c'era quel tempo in cui vivevamo senza grandi paure, se non quella di non farcela.
Stavamo abbracciate per ore e ridevamo per niente. Ci scrivevamo poesie con troppa eternità dentro e con grandi promesse d'amore. Ancora osavamo promettere qualcosa senza sentirci ipocrite.
Non ci sono promesse. Non ci sono più le nostre risate. Era la fine del sogno, ti ricordi? Avresti scritto per me, un giorno. Invece ci sono io che scrivo di te.
Quel tempo mi manca. Mi mancano tutte le cose stupide che riuscivamo ad indossare pur di essere notate. Pur di distinguerci dagli altri. La feccia. Gli insensibili.
I tempi in cui venivi a prendermi alla stazione ed io ti accompagnavo al bus dopo le lezioni. Quando non ci costava niente scherzare con gli altri ragazzi e fare amicizia con qualcuno. Quando facevamo follie insieme pur di trovare un ragazzo che ci piacesse.
Mi mancano le passeggiate sotto ai portici e le pirouettes, i salti, i balletti improvvisati sulla via della scuola. Le giornate delle prove a scuola, accoccolate in un angolo a guardare i primi ballerini. Quelle delle prove in teatro, sedute in platea al buio, sgranocchiando schifezze e acconciando i capelli in modi ancora più improbabili dei nostri vestiti.
Chissà che cosa mi ha fatto pensare che sarebbe durato per sempre. Forse il tuo sorriso. O la mia speranza che voleva intensamente che durasse.
Non ho mai avuto intenzione di perderti. Eppure te ne sei andata, o me ne sono andata io. Ormai è fatta.
Abbiamo avuto idee folli. Ci siamo lanciate nel turbine della vita senza paracadute e con gli occhi bendati. Non importava nulla finchè eravamo insieme. Era tutto fantastico. Persino passare la notte con un ciccione antipatico, parlando senza interruzione, affinchè tu potessi stare col suo amico. E riderne ancora per anni.
Baciare la tua bocca sapendo che i ragazzi ci guardavano. Farli impazzire coi nostri corpi giovani, allenati, forti. Non poteva fermarci nessuno.
C'era quel tempo e c'eravamo noi. Eravamo una cannonata. Una cosa sola. Mi sentivo perduta senza di te, senza i tuoi denti piccoli e le tue labbra scure. I tuoi disegni e la tua calligrafia. Senza la tua complicità sono diventata triste. Era difficile un'intesa come la nostra.
Era difficile una vita come la nostra, difficile che durasse quanto volevamo.
Quanto la cantavamo, urlando, "Let us die young or let us live forever". Andando su fin dove la nostra voce arrivava, sperando fosse vero.
Io, se chiudo gli occhi, lo spero ancora...

Un lungo viaggio

Ho dieci anni.
Un caschetto biondo, un fisico normale, una grande vitalità. Sono impazzita per Star Wars, che ho visto da poco al cinema trascinando chiunque mi desse ascolto a vederlo. Per la bellezza di venti volte in poco più di un mese. Sono figlia unica e amo stare sola. Chiudermi in camera mia a disegnare, arrampicarmi su qualche albero per leggere, imparare l'inglese dai testi dei Beatles. Mi piace l'aria aperta, camminare a piedi nudi nella neve, mangiare con le mani, giocare col mio cane Ringo.
Adoro sognare storie che non ho mai letto anche se non ho ancora letto molto. Cantare a squarciagola, strillare acuti nel giardino di mia nonna. Storpiare i testi di canzoni e poesie per dire la mia. E decisamente non amo la scuola.
E' la primavera del 1980, e sto per andare in India con mia mamma.
Un'occasione unica, mi dicono. Forse perchè il biglietto per i bambini è poco costoso e perchè mia mamma continua ad andare là e a tornare con delle cose bellissime. Oppure perchè per una volta, finalmente, ci andrò anche io.
A dire il vero non è che viaggiare mi sia mai piaciuto molto. Ho sempre sofferto la macchina. Dei mal di testa tremendi e una gran voglia di rimettere. Mia mamma è eccitatissima, prenderò l'aereo e farò un viaggio lunghissimo. Non sono contenta?
La mia preoccupazione principale, invece, sono i vaccini. Odio i medici e le iniezioni. Questo da quando il pediatra mi ha vaccinata da piccola facendomi un male tremendo. Io non perdono.
Però stringo i denti, all'ufficio di igiene. Mi faccio vaccinare come una bimba grande e tento disperatamente di non mostrare il mio disappunto.
Che male, però.
Quello che mi fa abbastanza schifo è il chinino, per la malaria. Le pastiglie sono amarissime e ne devo prendere un sacco. Odio anche le pastiglie. E una serie di altre cose che elencherò pian piano.
Non ho paura dell'aereo. Mia mamma è andata tante volte in aereo e non le è mai successo niente. Quindi non mi spaventa. Poi, in ogni caso, lei sarà con me. Questa è l'unica cosa importante. Saremo insieme.
Insieme a noi, come al solito, c'è il compagno di mia mamma. Lui che non ci molla mai un attimo. E' simpatico, quando vuole. Ci sa fare in qualche modo, ma è un disastro ugualmente. Forse è la mia mamma che è super, però lui mi sembra davvero imbranato.
Non devo occuparmi di niente, tranne di decidere cosa voglio portarmi dietro. Proprio con me sull'aereo, non coi bagagli. Non esito nemmeno un istante. Con me viene il libro di Star Wars, che ho appena iniziato a leggere. Non capisco perchè mia mamma guarda il cielo ogni volta che nomino il film, mi ha detto che le piaceva... Però sembra contenta del fatto che io ami leggere.
Mamma è preoccupata che io non mangi. Lo sono sempre tutti, in effetti. Io non mangio molto. Fin da piccola hanno sempre fatto fatica a farmi assaggiare cose nuove e a farmene mangiare a sufficienza. Tranne la Nutella, quella la mangio volentieri. E le merendine Fiesta, anche se mi scatenano l'acetone e le vomito regolarmente. In ogni caso, mamma è previdente e aggiunge alla valigia un sacco di generi alimentari di mio gusto: sottilette, formaggini Mio, insomma qualche porcheriola che posso gustare se non mangio regolarmente.
Pare che in India tutto sia piccante e che sia completamente diverso da qui.
Andiamo da Torino a Roma, per prendere il volo che ci porterà a Delhi. Mamma mi ha raccontato un sacco di storie divertenti sui suoi primi viaggi in India. Pare che fosse rimasta sconvolta, per questo mi ricorda spesso quegli episodi. Devo essere pronta.
Si è messa d'accordo col suo rappresentante, un giovane italo-indiano di nome Shomir, per farci fare un giro anche turistico. Perchè mia mamma ci va per lavoro. Lei importa cose che si chiamano articoli da regalo e che vende ai negozi. C'è un po' di tutto, dall'ottone al vimini, alla cartapesta, al marmo. Quando vado con lei al lavoro gioco spesso con alcuni di questi oggetti e mi diverto un mondo quando arrivano le casse dall'aeroporto con le nuova merce. Mi piace aiutare mia mamma a ordinare le scatole e mettere i prezzi sul campione che resta in vista. Sono una bimba poco ordinata, ma lì sono diversa.
Sull'aereo, mia mamma mi dà una gomma da masticare. Dice che così il decollo non mi darà fastidio alle orecchie. Io la prendo volentieri. Le Brooklyn mi piacciono molto, soprattutto le peppermint. Una volta raggiunto il nostro posto, mamma mi sistema accanto al finestrino ed io tiro fuori il mio libro. Lei mi allaccia le cinture ed io comincio a leggere. Quasi non mi accorgo del decollo e mamma ne è un po' delusa. Pensava che sarei stata emozionata. Invece no.
Dopo Roma, dove cambiamo aereo e ne prendiamo uno più grande, facciamo scalo ad Atene, in Grecia. Lo so che lo sapete dov'è. E' che a me, patita di storia e di mitologia, la Grecia fa più effetto degli aerei. Prima di atterrare e dopo il decollo passo il tempo col naso al finestrino, cercando gli Dei... Per poi tornare al mio amato libro. Unica sosta per il film. Buffo vedere un film con delle cose di gomma azzurra nelle orecchie. Dicono che sono cuffie, ma le cuffie dello stereo di mio nonno sono ben diverse. Boh...
In effetti le cuffie sono una gran cosa. Dopo il film ci gioco a lungo. Passo da un canale all'altro senza sosta. Cambio lingua in pochi istanti, poi c'è la musica classica che piace ai miei nonni e quella jazz che piace a mia mamma. Lei e il suo compagno sonnecchiano. Io, come al solito, sono sveglia come un grillo. Non è l'aereo. Sono io che posso passare il tempo come mi pare. Invisibile e sopra alle nuvole...

Lasciami

Prima o poi la leggerete dinuovo...
Per ora devo toglierla.

4.12.07

Kayleigh

Io ti ho già visto.
Il tuo viso mi appare come se sbucasse dalla nebbia dei ricordi, guardandoti so già quali sono le tue espressioni, il modo che hai di passarti le mani nei capelli o di fermarti a pensare prima di dire qualcosa. Eppure non so quando ho imparato il linguaggio del tuo viso, in questa vita quasi sconosciuto.
Mi ricordo di te e non ho pace, perchè non so da quale mondo provieni e in quale modo mi toccherai stavolta. Dentro di me lo so che mi hai già toccata, forse mille volte e ancora.
Nella mia mente ho immagini tue che non ho registrato io. Tu sei qui e non so perchè. Non so se sei tornato da me o se stavo fuggendo io. Non so se mi hai seguita e da dove, da quando.
So solo che finchè non mi sfiorerai dinuovo io non avrò quiete.
Non desidero altro e allo stesso tempo ne ho il terrore assoluto. Tu sei qui.
Sei nei miei pensieri, il primo colore che vedo senza aprire gli occhi. La sensazione di poter toccare le tue mani senza che tu sia presente, il desiderio di farlo che rincorre i miei momenti con te.
Le tue mani forti. I tuoi occhi dolci e sicuri. Il tuo sorriso che mi sembra così familiare quando so che non è qui che ti ho conosciuto.
Vorrei sentire il tuo calore. Tenere il tuo cuore tra le mani, la tua anima in pugno. Vorrei baciare il tuo viso ed il tuo corpo come un tempo so di aver fatto. Tu mi hai rapita. Hai preso il mio tempo, il mio sguardo ed ora torni a me.
Non so quando riuscirò a riviverti. So che quando il tuo respiro si unirà al mio avrò tra le labbra il sapore dell'eternità. Avrò insieme passato, presente e futuro. Avrò un istante di vita vera.
E la pace, l'unica cosa che cerco.

2.12.07

Sadness, part I

Nel buio e nel silenzio.
Le lacrime che scendono senza che io possa fermarle, il grido di dolore che si ferma nel mio stomaco ma che rimbomba nella testa e fa tremare il mio corpo. Questa prigione mi spaventa. Questo non riuscire a sentire la gioia dentro me. Vederla solo nel cielo e tra i rami.
Cercarla negli occhi degli altri. Disperatamente.
Cercarla ogni giorno, sempre.
Non so cos'è questo dolore. Non l'ho mai capito. L'ho dominato, qualche volta. Altre volte ho cercato di dimenticarlo, il più delle volte riuscendo a farlo diventare un sottofondo costante. Un rumore sordo sotto alla melodia della vita, della mia e di quella altrui.
Ho sempre capito la sofferenza, mi basta uno sguardo.
Riesco a leggerla e a sentirla negli occhi degli altri. E vorrei poterla dimenticare, per un attimo. Vorrei ridere e non sentire il peso che mi trascina giù. Cancellare tutto quello che mi ha resa come sono. Troppo sensibile e troppo disarmata.
Ci sono momenti in cui ringrazio di essere ciò che sono, momenti in cui per nulla rinuncerei alla mia disponibilità a soffrire con gli altri, a piangere i lutti altrui. Momenti in cui accetto in pieno la mia natura pur non comprendendo quale sia la mia missione.
Non ho motivo di sentire dolore. E non ho paura di sentirlo, non ne ho da molto tempo. Ma ho paura di me e di poterlo provocare negli altri.
Sono solo stanca. E piango da sola il mio dolore, al buio, senza sapere da dove viene.
Non è l'abbandono, non è per il male subito, non è per la disattenzione di chi ha calpestato i miei pezzi sparsi a terra (e qui cito Vecchioni, lo so). Non è amore non ricevuto. Potrebbe essere amore non dato. L'amore che non mi sono concessa. L'amore che non provo per me stessa e per la mia vita, quello che non sono riuscita a dimostrare per gli altri che mi hanno amata.
L'amore, non è quella l'unica cosa che conta?
Ma se davvero io ho imparato ad amare, perchè questo dolore mi schiaccia ancora?

25.11.07

Amati mezzi pubblici

Caro alieno che visiti il nostro pianeta...
hai mai preso uno dei nostri mezzi pubblici? Credo di no, perchè dovresti se non per una necessità documentaristica?
In ogni caso voglio raccontarti come funzionano. Almeno qui a Torino.
Prima di tutto, da quando sono nata le cose sono cambiate parecchio. Quando ero piccola c'era un simpatico signore a bordo di ogni tram (piccolo treno cittadino) che ti faceva pagare il viaggio a seconda del numero di fermate che dovevi compiere. Così, se il tuo viaggio era breve potevi pagare una cifra più esigua, mentre con l'allungarsi del tragitto venivi a pagare sempre più. Oggi paghi lo stesso biglietto sia che tu faccia una fermata, sia che ne faccia dieci. Il progresso...
Quando hai fretta, per la legge di Murphy (una legge della fisica moderna ormai nota su tutto il pianeta), i mezzi pubblici sono appena passati. Tutti. Almeno le linee che ti servono.
Negli orari di punta, quando gli studenti devono andare a scuola, gli impiegati in ufficio, le commesse in negozio e chi più ne ha più ne metta, i mezzi sono riempiti anche dai pensionati. Che a rigor di logica potrebbero prendere la vita con più calma. Invece no, loro sono al mercato alle sei del mattino e quando tu prendi il tram già pieno, ti ritrovi con i carciofi di un'anziana signora che ti pungono le gambe e tu non ti puoi muovere. Perchè hai lo zaino di uno studente nello stomaco e la 24 ore di un impiegato nel sedere.
Quando piove e il tram è pieno è una gioia lasciare che gli ombrelli di chiunque ti sgocciolino addosso. Tutti insieme, accalcati, accaldati e gocciolanti.
Gli odori che si sentono sui mezzi vanno dal portacenere di una settimana alla tradizionale bagna caoda piemontese. Un misto di nicotina e aglio, con note di sudore rancido, un tocco di fiatella da cattiva digestione e nella stagione giusta un sentore di naftalina. Un bouquet che fa impazzire.
Per migliorare l'ambiente, poi, ci sono persone che tirano l'ultima nota della loro sigaretta tre secondi prima di salire, per poi soffiare il fumo all'interno del mezzo. Grandiosi.
Sui mezzi ci si comporta un po' come a casa. Si legge il giornale, bello aperto, sbattendolo in faccia al passeggero di fronte. Si chiacchiera del più o del meno ad alta voce in modo che sentano tutti (sarebbe ineducato non coinvolgere la signora là in fondo nella conversazione), soprattutto al telefono. Tutti sanno tutto. Alla faccia della privacy che poi tanto vogliamo.
Gli autobus di una volta avevano un ampio spazio al fondo dove stare in piedi senza spiaccicarsi. Come tutte le cose furbe, ne hanno inventati di nuovi, peggiorandoli. Si, perchè sono diventati inospitali. Ci sono molti posti a sedere. Sedili accoppiati e talmente vicini una fila all'altra che per sedersi o per uscire, se si ha la sfortuna di essere accanto al finestrino, bisogna saltare in braccio al vicino o farlo alzare. E lo spazio che possiamo chiamare "corridoio" al centro del bus diventa il paradiso del maniaco, non ci si passa in due senza strusciarsi. Così ti trovi sempre con qualcuno spalmato addosso e non sai se lo fa apposta o meno.
Per poter arrivare alla porta e uscire devi saper giocare a "quindici", quel gioco con le tessere da spostare e riordinare che ci faceva impazzire prima che arrivasse il cubo di Rubik. Ogni spazio vuoto va sfruttato con doti tattiche da far impallidire un marine... Io mi sposto qua, così lui prende il mio posto, al posto suo ci va l'altro e io avanzo di un passo, e così via...
Si suda come in sauna alla modica cifra di 1 euro, volendo fino a 70 minuti. Ma chi resiste?
Ogni linea ha i suoi habituè, di varia natura: i suoi maniaci, i suoi matti, i suoi personaggi strani. Sta al passeggero accorto individuarli ed eventualmente stare alla larga, perchè altrimenti son fatti suoi.
Gli scippatori hanno ormai mani talmente leggere e abili che non ci si accorge di nulla. Chi vede tace, perchè ha un po' paura di prender botte, e si sposta un po' più in là. I maniaci strusciano, palpano, si appoggiano senza pudore. Vien da chiedersi come reagire, perchè se una donna si lamenta è lei che sta inventando tutto. Forse se si rispondesse allo struscio con altrettanto struscio il maniaco perderebbe il divertimento di choccare la vittima... Boh...
Alla fine, a forza di sopportare, uno si abitua alla fatica del mezzo pubblico e se ne gode la bellezza. Non c'è da parcheggiare, non c'è da fare attenzione al traffico, da pagare auto, benzina, assicurazione, parcheggio, manutenzione, box, lavaggio...
Tutto ciò ripaga adeguatamente la fatica, assicurato! Quindi, caro alieno, goditi un rilassante viaggio sui nostri tram e autobus...

23.11.07

Hunter

Non dovrei essere qui.
Soprattutto non dovrei parlare con te. Leggo segnali d'allarme ovunque. I tuoi occhi chiari mi inseguono ed il tuo sorriso è una bandiera pirata.
Il sorriso, come quello che mi hai strappato, è il motivo per cui cado in questa trappola. Il tuo gioco sottile. Un martellare continuo di dolci allusioni. La feroce provocazione che apre la mia pelle di tossica. Ho bisogno di queste cose, tu sembri leggermi la mente.
Tu, freddo e indifferente, tu che ritorni inaspettato e stravolgi il gioco. Sai infiammare il mio cuore, i miei sensi, sai entrarmi nel sangue e togliermi il sonno.
Tu non mi piaci, non mi piaci affatto. Eppure non smetto di guardarti un attimo. Di nascosto, apertamente, sfacciatamente. Senza senso. Quell'aria maledetta che ti porti dietro mi fa impazzire. Lo so che puoi farmi male ed è proprio questo che mi porta da te.
Voglio che tu mi spezzi. Dio, no che non lo penso! Ma lo so.
Il mio sangue corre verso questo disastro ed io non riesco a fermarlo. E' più forte di me. Voglio giocare un'altra mano, dopo ciò che ho perso per la tua indifferenza. Orgoglio?
No, stupida perversione. Il gioco è solo averti, poi nient'altro conta. Non voglio il futuro. Non sei abbastanza per me, merito di meglio. Eppure il mio pensiero torna da te come un cucciolo.
Voglio crogiolarmi nei tuoi bizzarri tentativi, voglio riderne finchè non avrò male ovunque. Voglio sentirti entrare in ogni cellula, cedere, lasciarti vincere vincendoti.
Sono malata? Mi importa solo del gioco, davvero. Una masochista nata, perchè tu sei ciò che sei. E se ti lascio fare tu manifesterai la tua natura dominandomi, impotente e fragile quanto mi vuoi. Questo lo so fare, darti ciò che vuoi a piccoli pezzi. Tu vuoi una tacca in più sulla tua pistola, mai paragone è stato più azzeccato. Il bello è che io lo so.
Non farò nulla per fermarti. Io desidero solo che tu mi investa con tutta la tua forza, che ci metta la tua passione, che mi doni il tuo sorriso. Perchè il sorriso me lo ricorderò, sarà lo stesso che avrò stampato in volto quando vedrai che sono come te.
E sorridendo ce ne andremo...

19.11.07

Clara e l'estenuante esperienza ripetitiva

Il mondo di Clara stava cambiandole intorno.
Dall'estate dei suoi 18 anni ogni sua certezza sembrava aver cominciato a diventare altro. Perdeva colpi. Non che non riuscisse più a fare le sue solite cose. Solo che quelle stesse cose non erano più le stesse...
Una volta aveva subito il fascino del palcoscenico. Il modo in cui tutto lì sopra sembrava possibile e bello. Tutto era leggero, divertente, emozionante. Una fiaba, un sogno. Certo, lavorare lì sopra era difficile, comportava grandi sacrifici, ore di studio, concentrazione, sudore. Ogni giorno lei entrava alle 10 del mattino per la sua prima lezione giornaliera e se andava bene usciva alle 18. Non voleva cambiare vita, ma la vita stava cambiando.
Il fascino del palcoscenico era enorme quando lo spettacolo era un evento unico, semmai ripetuto di quando in quando. Quell'anno, Clara cominciò a sperimentare le repliche.
Quello che era stato il loro spettacolo di Natale (perchè un solo saggio all'anno non era sufficiente) diventò una esibizione settimanale.
Il teatrino era un piccolo spazio da oratorio, un posto che le scuole affittavano a buon prezzo e con almeno una sana struttura funzionante. Il buon vecchio Teatro Alfieri era forse troppo caro e troppo spesso occupato da spettacoli più importanti. Il Teatro Nuovo, dove Clara era riuscita a ballare per ben 4 serate in tutta la sua vita, era ancora più impegnativo.
La direttrice della scuola aveva allora optato per quella soluzione, non solo per lo spettacolo di Natale, ma anche per promuovere il balletto come forma godibile di spettacolo. Sicuramente il balletto non era lo spettacolo preferito dai giovani (che ovviamente andavano altrove a trascorrere le loro serate) e nemmeno dagli adulti, se non pochi appassionati del genere.
Tentar non nuoce...
Clara e le sue degne compari si trovarono quindi a ripetere la loro performance diverse volte nello stesso teatro. Una sorta di incubo in cui dovevano arrivare coi borsoni pieni di costumi, in autobus, farsi un bel pezzo a piedi, salire al primo piano per cambiarsi e sistemare le cose, truccarsi al volo con un unico specchio minuscolo e scendere le scale verso il palcoscenico, piccolo e polveroso. Ma non solo.
Dopo la prima volta il pubblico diminuiva sempre più ad ogni replica che si faceva. Essendo il biglietto economico, ma pur sempre un biglietto, le persone che anche avrebbero rivisto il balletto non tornavano più di una volta, eccetto le mamme delle ragazze che come Clara vivevano fuori Torino. Quindi all'ennesima replica il teatro era quasi vuoto.
Non solo per Clara questo era deprimente. L'abitudine di sbirciare da dietro il sipario chiuso per contare il pubblico era diventato lentamente un gioco al massacro, più si andava avanti più si aprivano le scommesse sul numero esatto di poveri fessi che avrebbero assistito. Dieci, sette, cinque...
Esattamente cinque era il numero di posti a sedere occupati l'ultima volta che ballarono.
Dopo le lezioni della giornata, Clara era partita in fretta e furia con Sara ed Alberta, con Marta, Donata, Gabriella, Azzurra e Nadia, tutte munite di borsa pesantissima. Tutte sull'autobus, tutte al bar a comprarsi un panino per la cena, tutte a piedi fino al teatro, ridendo.
Si, ridevano già, pur senza sapere di che morte dovevano morire. Ridevano su per le scale, nel camerino, nel bagno, cercando di smettere almeno per truccarsi senza sbavare.
I loro costumi poveri, le scarpette da mezza punta consumate. I capelli cotonati, la lacca, il fondotinta, fard, rossetto, ombretto, eye liner perfetto.
Le ascelle depilate anche senz'acqua, con la lametta usa e getta blu. Poco prima di controllare lo stato della platea. Mentre i loro insegnanti si accomodavano in galleria passando da un'ingresso del personale, direttamente dal piano del camerino.
Fu allora che Alberta, in un costume rosso fuoco, con le labbra luccicanti di rossetto e i grandi occhi pesantemente truccati, arrivò col responso... Cinque.
Cinque, di cui due erano genitori che subivano l'ennesimo scherzo. Mamma di Clara compresa.
Cinque...
L'epidemia di ridarola colpì dalla prima all'ultima ballerina. Durante tutto lo spettacolo non ci fu una sola di loro che mantenne un minimo contegno. Sara, addirittura, raccontava barzellette in scena, sussurrandole mentre era di spalle al pubblico e girandosi col sorriso enorme e stereotipato quando doveva farlo. Niente al mondo sembrava più assurdo di quello che stavano facendo in quel momento. Non avevano nemmeno più un aspetto umano, erano tutte simili a marionette. Danzavano col sorriso di plastica, sognando di essere altrove.
Persino Nadia, che di solito era una presenza decisamente professionale, almeno in scena, rideva sotto i baffi. Magari non apertamente come le più giovani, ma lo faceva anche lei.
Tutto ciò comportò un cazziatone di quelli fenomenali alla fine del balletto. Giulio era furibondo. Lui, che aveva sperato che le sue allieve facessero il loro sporco lavoro senza cedere, aveva visto deluse le sue aspettative. Per quei tre poveri spettatori che spettacolo era stato?
Dopo quella sera ci fu forse un'altra replica, poi l'assurdo tentativo cadde nel dimenticatoio. Non si promuoveva più il balletto...
Clara rimase segnata anche da quella esperienza. Lei che aveva amato il teatro ed il palcoscenico con tutto l'entusiasmo che un giovane cuore può provare, ora vedeva un futuro pieno di repliche in teatri vuoti. Non che fosse una prospettiva realistica, nessuna compagnia teatrale lavora con solo cinque persone in sala. Gli spettacoli chiudono prima di arrivare a questo punto.
Però lei era una giovane emotiva e pessimista. Sognava la gloria, non certo un teatro da oratorio vuoto. Sperava che dopo tutti gli sforzi fatti, almeno l'umiliazione di far rivedere cento volte a sua madre uno spettacolo che non voleva rivedere le sarebbe stata evitata. Sperava in un qualcosa di più, qualcosa che, ad esempio, trovava in discoteca ogni volta che si esibiva. Il pubblico c'era, almeno, anche se raramente capiva qualcosa di ballo.
Clara era assetata di applausi, cominciava a capire che non era l'amore per l'arte che la spingeva a far lezione ogni giorno. No, lei voleva qualcos'altro e non riusciva a perdonarsi per quel desiderio. Era troppo diverso da quello che si era detta fino ad allora.
Scoprirsi diversa dal suo ideale per l'ennesima volta faceva sgretolare i sogni ancora più in fretta.

Da ascoltare: "Tell me where it hurts" dei Garbage

Mad World

"Ora qui è tutto tranquillo. Ed è bello. Mi sembra di respirare meglio. Buffo. Mi manchi. Mi manca parlare con te delle nostre cose. Fin dal nostro primo incontro ci sei stata tu, solo tu. Non ne abbiamo mai parlato, ma so che lo sai, che lo ricordi. Eravamo in tram, sul 13, e andavamo verso Piazza Vittorio. No, andavamo a Palazzo Nuovo, all'università. Ma non insieme. Tu avevi gli auricolari e stavi ascoltando musica, in piedi in fondo al tram. Guardavi in giro senza grande attenzione. Avevi addosso una giacca nera ed una maglietta viola, i capelli castani sciolti al vento del finestrino. Era un pomeriggio ed io ero con un amico. Ti ho chiesto cosa stavi ascoltando e tu, invece di rispondere, mi hai passato un auricolare ed hai lasciato che lo scoprissi da solo. La mia musica preferita, blues. Ma ti ho salutata, non sapevo che dirti. Il tuo sguardo ed il mezzo sorriso non mi davano spazio e allo stesso tempo non avevo le parole, non più. Non ti ho dimenticata.
Poi ci siamo rivisti ed è cominciato tutto. Quanto era facile parlare con te. Difficile, invece, sentirmi alla tua altezza. Volevo renderti felice, ma per quanto io ci provassi non c'era modo. Tu avevi sempre ragione ed io non avevo la forza di discutere. Ero stanco. Non avevo più la forza di fare niente. Ero troppo preso dalla mia angoscia. Non trovavo il mio posto, non riuscivo a sentirmi amato. Non facevo mai la cosa giusta ed era l'unica cosa che volevo fare.
Passavo il tempo a cambiare vita. Volevo azzeccarne una. Essere accettato per quello che ero, con le bizzarre manie di mio padre e la presenza assordante di mia madre. Il loro modo di farmi sentire inappropriato, sempre meno capace degli altri a vivere in modo corretto. Utile.
Ho sentito che eravamo simili. Tu mi capivi e mi amavi, a modo tuo. Forse non era quello che cercavo, ma per me, comunque, c'eri solo tu. Cercavi di consigliarmi su cosa fare, volevi che mi ribellassi, che liberassi me stesso dai lacci con cui mi ero legato. Sempre a dire di si, anche a te. Ma restando immobile nel mio dolore e nella mia incapacità di accettare questo mondo, questa vita, tutto questo dolore.
Questo dolore ci ha legati più di ogni altra cosa. Più della musica che facevamo insieme, più del tempo che ci dedicavamo, più delle tue poesie che leggevamo sul divano di camera tua. Con te ero libero di sognare e questo è il dono che mi hai fatto.
Poi c'era la realtà. Non so come facessi tu ad accettare di dividere in due parti la tua mente. Una con cui sognare ed una con cui osservare il mondo in modo critico, cinico, disilluso. Non sono mai riuscito a farlo. Io non riuscivo ad accettare tutto questo. Ho frainteso le tue teorie, lo ammetto. Forse ero solo stanco ed ho voluto darti un po' di colpa per come stavo. Perchè non mi amavi quanto desideravo ed allo stesso tempo non riuscivi a lasciarmi andare, perchè mi amavi più di quanto credevo. Io volevo che tu fossi felice. Ho fatto di tutto perchè almeno tu ci provassi. Io non avevo speranza. Scivolavo.
Soffocavo, se mi permetti l'ironia.
Scusami, ero arrabbiato. Con te, con i miei, con la vita... Che sto dicendo? Ero arrabbiato con me stesso, molto più di quanto hai immaginato. Perchè non mi sono più fermato. Scusami. Ho preso la mia decisione pur sapendo che avrei fatto male non solo a te. Mi sono liberato dalle mie catene. Qui, adesso, tutto è tranquillo. Il sole splende e me ne sto seduto in macchina a guardare la vita che va avanti. A guardare il mondo che impazzisce, che si frantuma. La spazzatura che si accumula, la gente confusa. Forse anche più di me. Non ho più bisogno di essere perfetto. Ora sono libero."

7.11.07

Negativo

"Spot"
matita bianca su cartoncino ruvido

Giudici

Sono stufa delle vostre parole,
delle vostre affermazioni,
dei vostri bei discorsi.
Dite di essere
liberi nei pensieri
e nelle azioni;
di non essere razzisti,
di non avere pregiudizi,
di non badare alle differenze.
Eppure anche voi
siete prigionieri
Di questo mondo vuoto.
Legati dalle convenzioni,
sempre pronti a giudicare
chiunque e comunque:
avete avuto il coraggio
di incolpare l’unica persona tra voi
che è veramente se stessa.
Incolparla per il suo modo di vestire,
di pensare,
ma soprattutto di essere.
Ma guardatevi voi,
giudici della altrui esistenza,
prima di parlare:
quella persona così diversa
è in realtà
la persona più sensibile che conosco.

Basta guardare nei suoi occhi per capirlo.

6.11.07

Erevan

Spiacente, ho dovuto cancellare questo brano, per banali motivi editoriali...

1.11.07

I think we're alone now

Noi tre, sempre insieme, o quasi.
Viaggiare in vespa ogni sera, nei soliti giochi estivi, quando non c'è niente da fare se non sprecare carburante. Era divertente. Io viaggiavo con lui, ovviamente, e tu ci seguivi come un fido scudiero. L'amico di lui.
Percorrevamo ogni sentiero, ogni strada possibile tra i campi e il paese, esplorando il già esplorato come fosse la prima volta che si vede. L'aria fresca tra i capelli che diventava sempre più fredda mano a mano che si penetrava nel verde. Niente oltre al rombo dei motori.
Eravate molto diversi, opposti se non fosse stato per la pelle chiara di entrambi. Molto chiara e piena di lentiggini la sua, a contrastare coi suoi capelli neri e a far risaltare gli occhi verdi e le labbra intense. Chiara e in armonia coi tuoi occhi azzurri e i tuoi capelli biondi, e le tue labbra pallide, la tua pelle sembrava più luminosa. Opposti anche i caratteri, sfacciato e sicuro lui, mentre tu eri timido e sensibile, un artista. Lui un cretino dal bell'aspetto, tu un dolce paggio sempre discreto.
Ed io, io ho sempre preferito i cretini... Infatti stavo con lui anche se non ne ero innamorata. Mi piaceva farmi vedere sulla sua vespa, suscitare l'invidia delle altre ragazze. Perchè lui è cretino, ma non è la cosa più importante quando sei cretina anche tu. Un bel ragazzo è sempre un bel ragazzo.
Ma tu, che ci farai mai con uno che non vale la metà di te?
L'estate prosegue con noi tre che facciamo passare le serate tra una corsa ed una pausa, finchè lui non se ne va in campeggio coi suoi amici, gli altri, quelli che in fondo preferisce a te.
Così ce ne andiamo, tu ed io, per i sentieri e per i campi da soli, come non fosse cambiato nulla. Mi piace viaggiare con te, non hai bisogno di primeggiare con le altre moto, non hai voglia di dimostrare che sei l'uomo senza macchia e paura.
Mi piace il tuo odore, stare incollata alla tua schiena e sentire i tuoi addominali tesi sotto alle mie mani, ogni sera, come prima con lui.
Finchè una notte di luna piena ci sorprende fermi a chiacchierare in uno dei nostri soliti posti. Il granturco che cresce e si muove intorno a noi seguendo il vento. Siamo soli e giochiamo. Tengo in mano le tue chiavi, attaccate ad un cavo a molla. Lo allungo, lo lascio tornare alla sua forma, in continuazione. Ogni tanto lo faccio passare intorno al tuo corpo, ti lego. Mi viene in mente il laccio di Wonder Woman, quello con cui estorce segrete verità, così parte la domanda. Una domanda innocente, sciocca e senza vera necessità di risposta. Infatti non me la ricordo e non so cosa mi hai risposto. So solo che mi dici che con la luna piena sono strana, mi rubi il laccio magico e mi imprigioni. Lo so che non ho scampo. La dolcezza mi cattura più di un laccio e non posso mentire. Tu domandi ed io rispondo, sincera. Mi piaci. Mi baci.
Tenerezza, forza, desiderio, cuore che batte forte. Nessun senso di colpa. Lui non ne soffrirà di certo. Ci siamo solo noi. La sposa che fugge col paggio fedele. La musica che volevi suonare per me, il futuro che sognavi, i tuoi progetti semplici e concreti. E sembravamo felici.
Per un po', almeno.
Mi dispiace, dopo ti ho fatto molto male. Non avrei voluto e non ne vado affatto fiera. Se solo mia sorella non ti avesse aiutato a scoprirmi avrei cercato di renderla meno squallida, tutta la faccenda. Io sono stata stupida, non solo... Eppure tu, ferito, arrabbiato, umiliato, hai continuato ad aiutarmi e a difendermi sempre.
Non so come stai, non so se sei felice, ma lo spero. Non sai quante volte mi son chiesta cosa sarebbe successo se lui non fosse partito e se io fossi stata meno egoista. Mi piaceva piacerti.
Ma se non fossimo rimasti soli?

23.10.07

A kind of magic

Del nostro primo incontro mi ricordo i tuoi occhi, fissati nei miei tanto da ipnotizzarmi. E le tue mani che guidavano i miei movimenti come in un gioco di magia. Per una volta la musica sembrava non esserci, anche se sentivo il pulsare ritmico dei bassi nelle ossa. Era la mente che sembrava piena solo di te e delle tue ciglia. Tu guidavi la mia danza ed io obbedivo, come in trance, per non perdere il contatto. Quella sensazione così particolare...
Ciononostante me ne sono andata quando il tempo che avevo a disposizione era finito. Niente mi avrebbe fermata, nemmeno i tuoi occhi, nemmeno la tua magia.
Magia, davvero. L'ho pensato mentre tornavo, seduta sulla vespa dietro al mio amico ed accompagnatore, per niente geloso, o forse fin troppo. La mia minigonna tirava molto, ma lui non ne avrebbe fatto una malattia, la maglietta sudata mi dava quell'idea di brivido che adoravo sentire sulla pelle. Poco più di un quarto d'ora di libertà, su quella vespa, prima di rientrare a casa e fingere di aver corso. I capelli lunghi al vento, l'aria che si fa fredda quando attraversi i campi, quel filo di nebbia che sale lenta tra la terra e il cielo nelle notti d'estate.

Non avevo davvero freddo, ma mi sono attaccata a lui, per non perdere l'equilibrio, o forse per dimostrargli che c'ero, con le braccia e col mio corpo sulla sua schiena.
Sono fatta così. Mi piace sentire le persone vicine, mi piace toccarle dolcemente anche senza secondi fini.
Poi, poco dopo, il tratto a piedi, nel silenzio della campagna addormentata. Quella campagna che si sveglia all'alba e che lascia ai cani e alla natura il controllo della notte. Rientro. Sono in orario. Mi racconto la serata sulle pagine del diario e ti dò un nome, come faccio con gli sconosciuti da un po'. Come ho fatto con lui, che però aveva un nome più importante nella mia fantasia e un ruolo ben più grande nella mia vita. Tu eri solo Metal Boy, un piccolo dettaglio, un'etichetta.
La magia è tornata, più in là. Niente di che rispetto alla prima sera.
Poco a poco ha cominciato a dissolversi nelle serate d'autunno e d'inverno. Nelle giornate passate a far niente o a far sesso. Non brillavi tu e non brillavano nemmeno i tuoi occhi. Eri in ginocchio nelle sabbie mobili e non volevi uscirne. Volevi solo che tutti guardassero mentre affondavi.
Mentre sbagliavi una cosa dietro l'altra, mentre buttavi al vento qualsiasi occasione di essere migliore.
Non ti ho mai accettato per quello che eri, lo devo ammettere. Mi hai stupita per un po', poi qualsiasi cosa è diventata più interessante di te. Non c'era magia. L'avevo creata io.
Tu distribuivi colpe a destra e manca, vittima di persecutori abituali ed occasionali. Nemmeno il coraggio di ammettere quello che eri e quello che volevi diventare.
Così prevedibile, così disperato, così stupido nelle tue giustificazioni. Nemmeno trovarti con le mani di mia sorella nelle mutande mi ha stupita. Era così maledettamente da te...
Saresti rimasto a strisciare in eterno, se io l'avessi voluto, per sedare i tuoi sensi di colpa. Invece no, non ce l'ho fatta anche se avrei voluto e potuto farlo.
Volevo la magia, quel pizzico di magia che ci vuole quando due persone si guardano negli occhi. Quella che non si può ricreare una volta che è svanita. Polvere d'oro talmente sottile da volare via in un soffio. Volevo di più.
E nel colmo della tua prevedibilità, sei tornato strisciando a mostrarmi cosa restava di te. Sei tornato a farmi vedere come io ti avevo distrutto, come la mia mancanza ti aveva reso un relitto, un povero giovane ragazzo con le vene bucate. Questa non era magia e non l'avevo creata io.

8.10.07

Artigli

Tu sei stato il mio cancro.
Sei entrato nei miei polmoni e sei diventato l'aria che respiravo. Hai conquistato il mio corpo in breve tempo, ma quel che è peggio è che sei stato nella mia mente ogni giorno ed ogni notte. Mi ricordo le tue parole, la tua rabbia, il tuo dolore, le cose dolci che sapevi dirmi quando volevi calmarmi. L'odore della tua pelle, il suono della tua voce mi inseguivano. Ti vedevo per strada anche quando non c'eri, nei momenti più impensati ti insinuavi nella mia mente ed io non riuscivo a cancellare la tua immagine.
Ne è passato di tempo, vero?
Hai smesso di seguirmi ovunque, non mi chiami più nel cuore della notte per lanciarmi le tue assurde accuse, non mi fai più male. Le parole che un giorno ti ho detto, io le ho cancellate e il ricordo di te mi fa sorridere. Perchè sono libera, il cancro se ne è andato. Non puoi ferirmi nemmeno nei ricordi, nemmeno quando i dubbi che hai seminato nella mia mente tornano a farsi sentire, col loro profumo di fiori di gelsomino. Dubbi rampicanti che hanno scavato le loro radici nel mio sangue e si sono nutriti del mio dolore per troppo tempo.
Era terreno fertile, lo so. Io amavo essere rifiutata. Perchè qualcuno avrebbe dovuto amarmi davvero? Non c'era alcun motivo logico per cui tu dovessi trattarmi meglio. Io mi meritavo i tuoi insulti, il tuo ricordarmi in ogni momento che non ero alla tua altezza, o a quella di lei, o di chiunque altro. Era così facile credere alle tue parole...
Hai sempre saputo dove affondare i tuoi artigli. Forse pensavi che alla lunga mi sarei arresa e ti avrei trattato come un dio in terra. Pensavi che a forza di umiliarmi davanti agli altri, oltre che nei momenti in cui eravamo soli, io mi sarei inchinata al tuo potere.
Oh, si. Mi hai tolto ogni sicurezza. Hai fatto in modo che io seguissi il mio poco amore per me stessa e mi arrendessi al fatto di essere una fallita. Devo ammettere che hai fatto un buon lavoro, angelo mio.
Proprio un bel lavoro. Goccia dopo goccia, mese dopo mese e anno dopo anno. Tu con le tue certezze e con i tuoi principi insulsi. Il tuo onore lo misuravi con l'umiliazione altrui, sempre.
Ti ho lasciato fare tutto ciò che volevi, sono stata marionetta nelle tue mani e alla fine sei riuscito a smuovere qualcosa.
Mi hai resa un'altra. Ce l'hai fatta. Ci ho messo molto tempo a capirlo, ma tu mi hai uccisa.
Hai fatto la mia vita a brandelli e hai calpestato ogni parte di me ogni volta che ti era possibile.
Mi hai uccisa, hai tolto la luce dai miei occhi, hai scavato via la vita con le mani e quando io me ne sono andata volevi ancora umiliarmi almeno una volta.
Ho vissuto in coma dopo di te, per anni. Io non c'ero più. Lo specchio non rifletteva la mia immagine, solo un essere informe che non era più e non sarebbe più stato quello di una volta.
Mi hai tolto la parte di me che voleva sperare. Che fatica risalire da laggiù...
Ho avuto per anni il terrore di alzare la cornetta, tu e la tua voce mi avete seguita nel tempo. Mi ricordo che dopo dieci anni di assenza, il solo sentirti dire "pronto" quasi mi ha fatto schizzare il cuore dal petto.
Il terrore.
Non volevo ricadere lì. Non avrei retto ad un altra zampata.
Ora non è più così. La rabbia è solo per averti permesso di farmi sentire sporca, inutile, stupida, brutta, incapace. Io ti ho dato il potere ed alla fine io te l'ho tolto.
Nessuno merita di sentirsi come tu mi hai aiutata a sentirmi. Nessuno dovrebbe mai sentirsi così. Eppure capita, e capita spesso. Il mondo è pieno di queste cose.
Il mondo ha gli stessi artigli che avevi tu.

4.10.07

Clara e il malessere

Quando rientrava dalla scuola di danza e raggiungeva sua madre era sera, spesso era già buio. In quei momenti Clara camminava da sola lungo le strade poco illuminate venendo dalla stazione, con le spalle curvate in avanti e la testa bassa, le mani in tasca ed il borsone a tracolla. Cercava di nascondere la sua femminilità, almeno finchè non raggiungeva luoghi meglio illuminati. E più abitati. Stringeva i denti ed andava avanti, da sola.
Aveva poco più di 18 anni e non passava inosservata. Per quanto facesse la dura, lei aveva paura. In quel periodo Clara era una stronza all'ennesima potenza. Clara era una classica adolescente egoista, egocentrica, testarda e viziatella. In certi momenti era capace di cattiverie inumane con chiunque la ostacolasse.
Oltre alla rabbia che continuava a covare nonostante non fosse più invisibile ai più, Clara cominciava a vivere una sorta di schizofrenia, o sdoppiamento. Da una parte aveva il potere del desiderio altrui che la faceva sentire forte. Certa di farcela e di poter abbandonare tutti e tutto per inseguire il successo quando sarebbe passato. Dall'altra era immobilizzata dal terrore e dal senso di colpa per non essere comunque perfetta. Per non essere fredda, decisa e sicura. Per non essere del tutto indipendente, per aver bisogno dello specchio degli occhi altrui. Dentro di lei c'era una bambinetta impaurita che non aveva la forza di affrontare il mondo.
In certi momenti sembrava essere la persona di ghiaccio che voleva, in altri era assalita da una angoscia tale che stava male fisicamente. Non le bastava più il solo sforzo fisico di ballare per scaricarsi.
Certe sere, a casa, piangeva tanto da non poter aprire gli occhi il giorno dopo. Si lamentava, ululava come un animale ferito, tremava e continuava a ripetere una sola domanda: "Perchè?"
Clara aveva un malessere, una melma esistenziale che la soffocava. Era divisa, ma più che altro confusa più che mai su quello che era e che avrebbe voluto essere. Su quello che poteva fare e tutte le cose in cui era certa di non riuscire. Un cambiamento che era iniziato quell'estate e che peggiorava piano piano rendendo la sua vita sempre meno sua.

Da ascoltare: "The worst thing I could do" di Stockard Channing, da Grease

25.9.07

Lady Ossessione

Lady Ossessione nasconde la sua bellezza, se ne vergogna.
Cammina, su quelle gambe lunghe e nascoste, cercando di non farsi vedere per quello che è. Tiene lo sguardo basso e non alza mai la voce. Solo ogni tanto sorride complice senza mostrare i denti. Non richiede l'attenzione del mondo, ma tutto il mondo la guarda.
Lei tiene le distanze. Sembra non aprirsi mai. Eppure il suo sguardo vaga ovunque in cerca di dettagli da memorizzare. Da interiorizzare, da scrivere su di una pagina indelebile.
Lady Ossessione ti prende piano. Quasi non te ne accorgi e già la desideri. Non puoi non amarla.
Il tuo cuore comincia a battere più forte quando pensi a lei, quando incroci i suoi occhi scuri o quando le vostre mani si incontrano per caso. Hai paura di toccarla, di offendere la sua bellezza con le tue mani sporche, inadatte, indesiderabili.
Eppure, quando la incontri, ogni tuo desiderio riguarda lei.

24.9.07

Pastello

"It's me"
pastelli a olio su cartoncino liscio nero

Clara e i suoi mille talenti

Si può dire che i talenti siano di tipo diverso? Si possono avere talenti contrapposti? Si può dire che una persona sia dotata di talento senza per forza pensare al successo?
Nel caso di Clara i talenti erano sfaccettature della sua personalità. Fin dalla nascita era stata creativa, nel disegno, nell'inventarsi storie, nel modificare testi di poesie e canzoni per adattarle al momento in cui viveva. Senza alcun aiuto, tranne quello della nonna Mity, nel tentare di sviluppare una sola di queste attitudini.
Imparava in fretta, certo. Aveva una memoria visiva e uditiva eccezionale, fin da piccola. E una scarsa propensione alla concentrazione, visto che era perennemente distratta dalle mille idee che le venivano in mente. Così faticava ad imparare le tabelline, ma ricordava una spiegazione di storia da una settimana all'altra quasi con le stesse parole usate dalla maestra.
Aveva l'abitudine di imitare i suoni e i modi di cantare dei cantanti che ascoltava. Divertiva Cri e Bri con i cambi di voce nei duetti tra Nikka Costa e suo padre, o rifaceva i suoni della chitarra di Mark Knopfler in "Tunnel of love", precisi fintanto che una voce umana può imitare e seguire uno strumento senza conoscere il linguaggio della musica.
Eppure si sentiva così "inutile"...
Non era mai sicura di riuscire nelle cose e anche quando ci riusciva trovava difetti ad ogni sua azione, vanificando lo sforzo e non godendosi mai un solo risultato. Riusciva sempre a credere a chi la distruggeva, motivo per cui in poco tempo Psycho era riuscito a imprigionarla nei suoi giochetti. I complimenti non le piacevano e non si fidava mai di chi gliene faceva.
Il talento di trovare le persone sbagliate.
Aveva talento per la danza, anche se non in modo tecnico. Non era perfetta, ma aveva quel non so che... Se non aveva paura di sbagliare coreografia, se non si sentiva goffa e impacciata tra le sue compagne, allora riusciva ad ipnotizzare il suo pubblico. Qualcuno aveva parlato di lei come di una creatura venuta da un'altra dimensione. Certo, lei non ci credeva molto. Perchè la tecnica le mancava. Aveva il fuoco negli occhi, la magia nelle mani e troppa energia da buttare fuori. Lei era solo energia, e con l'energia non si imparano i piccoli passi, i giri perfetti, i salti e i port de brand. Dal suo punto di vista, se non raggiungeva la perfezione non aveva in mano niente di niente.
Era brava a cantare, forse non molto sicura e certo non una professionista. Come si sarebbe impegnata nella danza, così aveva fatto col canto. Nel coro della chiesa, a scuola dalle suore, a casa coi suoi dischi. E l'avrebbe fatto ancora.
Così anche per il teatro, sebbene le continue prove la annoiassero molto anche per i balletti.
Era brava a scrivere, anche se quello che scriveva era molto privato e molto arrabbiato. Perchè lei era arrabbiata e voleva vomitare odio su tutti quanti, voleva farli soffrire quanto soffriva lei. Uccideva i suoi nemici nei racconti, creava eroine serial killer che non avevano bisogno di nessuno, non come lei.
Clara si proiettava nelle sue storie e imparava mille vite diverse. Con l'immaginazione e con i discorsi ascoltati nelle serate trascorse con gli adulti era in grado di capire l'esatta sensazione provata dai suoi interlocutori. Clara aveva talento per questo: sentire gli altri.
Non solo ascoltarli, ma assorbire con la pelle e con il cuore le loro emozioni. Riuscire a capire in profondità quello che stavano dicendo, quello che sentivano o che avevano provato. Può sembrare banale, ma Clara era davvero una specie di spugna. E col tempo ne avrebbe sentito il peso. Perchè avrebbe cercato di aiutare chi stava male anche quando sapeva che sarebbe stata male anche lei. Avrebbe caricato sulle sue spalle il peso del dolore degli altri senza saper gestire nemmeno il suo...
Sebbene nessuno glielo avesse insegnato, Clara era brava a creare vestiti, inizialmente per le bambole, poi per se stessa. Modificava capi che aveva comprato per renderli più adatti al suo modo di vestire, tagliava e cuciva, dipingeva su stoffa e applicava perline e paillettes...
Clara amava disegnare e dipingere. La nonna Mity le aveva insegnato qualcosa, ma Clara non aveva smesso mai di fare esperimenti, di tentare ritratti e paesaggi, anche dopo la sua morte.
Aveva una sua sensibilità artistica, non specifica. Ed una particolare sensibilità umana, che tentava di nascondere il più possibile per non sembrare debole.
Non so dire se Clara avesse davvero un talento particolare. Quello che so è che è sempre stata una persona particolare, nel bene e nel male. Ed ancora lo è.

Da vedere: "Scusi, dov'è il west?" di Robert Aldrich

20.9.07

Orrore

Mi spaventa quello che gli esseri umani possono fare. Quello che noi esseri umani possiamo fare. Noi, quelli con l'anima, la coscienza, l'intelletto, la cultura, la spiritualità. Noi, così diversi dagli animali. Noi che ci distinguiamo e che trattiamo gli altri esseri viventi come fossero creati a nostro uso e consumo.
Noi distruggiamo ogni cosa, come le cavallette con le coltivazioni. Mangiamo più di quanto ci serve, produciamo più di quanto mangiamo, uccidiamo per il gusto di poter avere ogni giorno quel che ci va a genio, senza controllo.
Accumuliamo cose che non ci servono per riempire vuoti incolmabili. Ci facciamo dire da altri quali sono le cose di cui abbiamo bisogno, perchè siamo talmente lontani da noi stessi che non lo sappiamo più nemmeno noi.
Come fossimo bulimici ci ingozziamo di tutto, vogliamo sempre di più e poi ancora.
Non solo distruggiamo ciò che è diverso da noi, ma siamo anche in grado di distruggerci tra noi. Facciamo ai nostri simili cose di cui mi meraviglio ogni giorno di più.
Siamo capaci di uccidere per un parcheggio, di torturare per puro divertimento, di usare violenza se non otteniamo le cose con le buone. Sappiamo usare i nostri figli, derubare i nostri genitori, rendere schiave le persone che ci chiedono aiuto.
Conosciamo la crudeltà e la sappiamo usare talmente bene che la giustifichiamo. Sterminiamo senza pietà pur di avere un guadagno, pur di essere soddisfatti sempre. E il limite si allontana sempre di più, perchè il vuoto che ci divora richiede sempre maggiori soddisfazioni.
E noi, invece di cercare quello che ci serve, lasciamo che il nostro istinto omicida ci porti sempre più lontano. Noi non siamo " mammiferi superiori dal linguaggio articolato e dalle elevate attività psichiche " (dizionario Garzanti), non siamo nemmeno umani.
I nostri bambini si divertono a fare i bulli, a lanciare i sassi dai cavalcavia, a estorcere soldi e merende ai compagni di scuola, organizzano omicidi, torturano, seviziano. E non è colpa della televisione.
I nostri simili mettono bombe, fanno deragliare treni, costruiscono armi sempre più pericolose, mandano altri a combattere le guerre. Danno fuoco ai nostri boschi, inquinano acqua, aria, cibo. Fanno estinguere intere specie animali e vegetali. Fanno qualsiasi cosa per avere potere, per avere fama, successo. Permettiamo che alcune persone guadagnino in un anno più di quanto altri guadagneranno in una vita, poi cambiamo canale se vediamo i bambini africani denutriti, coperti di mosche (perchè guai se vediamo qualcosa all'ora di cena che ci turba l'appetito).
Come se non avessimo la forza di dire basta, come se tutto ciò che vediamo fosse giusto e normale, come se non ci interessasse affatto la realtà.
Abbiamo paura delle malattie, della vecchiaia, della morte. Abbiamo paura che la vita ci porti via il nostro momento di gloria. Abbiamo paura di non averlo, quel momento. Stravolgiamo tutto pur di arrivare a quel momento senza una ruga in faccia.
Non accettiamo la vita.
Siamo una civiltà di gente già morta. Distruttori, sterminatori, crudeli oltre ogni limite, irresponsabili, inumani ma nemmeno animali, corpi senz'anima. Siamo zombie.
Questo mi fa orrore.

Notte in spiaggia

Mi sono svegliata ed il fuoco era spento.
Avevo la sensazione di qualcosa lasciato in sospeso, come se nel risveglio qualcosa fosse cambiato. E forse lo era. Quella straziante dolcezza che aveva accompagnato il mio sogno, portandomi l'ebbrezza della gioventù e della voglia di lanciarsi in caduta libera, svaniva piano mentre la lucidità prendeva il sopravvento. Che sogno straordinario, ho vissuto.
Lo sentivo ancora mentre mi tremava dentro, emozionato, spaventato, indeciso. Il sogno non voleva svanire, anche se sapeva benissimo di essere destinato a questo.
Non ad essere dimenticato, ma a restare solo un vago ricordo di un'ombra della mente.
Lo sentivo in bocca, mentre mi abbandonava. Negli occhi che lentamente lasciavano la nebbia e tornavano alla realtà, quella realtà da cui volevo fuggire e che invece ora mi aspettava per stupirmi dinuovo. La mia realtà, decisamente fuori da quel sogno.
Quel fuoco che dava la luce dorata al sogno non c'era più. C'erano al suo posto tiepidi pezzi di legno consumati ma non del tutto, in mezzo alla cenere. La sabbia sembrava ancora grigia nella luce dell'alba ed il mare davanti a me era cupo e addormentato, scuro e tranquillo.
La notte prima il luogo sembrava diverso, quasi magico. Tutto merito del fuoco, certo. Le fiamme, il calore, la complicità degli sguardi attraverso il falò. La musica che accompagna il tutto... Qualsiasi cosa succeda diventa bella, eccezionale, più forte del previsto.
Nella luce del giorno, al risveglio da una notte colma di sogni deliziosi ed allettanti, tutto sembra diverso. Diventa diverso.
Ci si risveglia e si comprende che il falò è passato, che il fuoco era cosa di una notte e che la vita va avanti ed è meravigliosa così com'è, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto.
Meravigliosa, speciale e piena di tenerezza, come era il sogno fatto accanto al fuoco. Solo un po' meno magica, meno travolgente.
Mi sono svegliata e il fuoco era spento.
Ma stava nascendo il sole...

5.9.07

Minuetto

Prendimi la mano.
Mi lascerò giudare in questa danza dalle tue braccia esperte. Ti seguirò, senza paura di sbagliare, questa volta come ogni altra volta, anche se questa è la nostra prima danza. Chiuderò gli occhi e mi lascerò andare, morbida e aggraziata. Tu farai di me quello che vuoi, mi renderai leggera, mi porterai in alto e mi farai girare la testa. Non ti chiedo altro. Solo portami con te per questa danza e lascia che il suo ricordo mi si imprima nella mente per sempre. Queste emozioni mi serviranno ancora ogni volta che mi sentirò sola, che mi rattristerò e che avrò voglia di sospirare come una ragazzina. Fammi volteggiare. Fai che io mi perda in questo gioco di incroci tra dame e cavalieri e che insegua il tuo volto col mio sguardo nell'attesa di ritrovare la tua mano.
Questo minuetto è come i nostri incontri nello spazio e nel tempo. Ci lasciamo e ci ritroviamo, balliamo incrociando gli sguardi di altri, ma i nostri occhi ci guidano dinuovo a casa.
Ricordi?
Correvamo insieme tra le palme, verso la spiaggia. Il sole era caldo e noi stavamo così bene... Ci tuffavamo così, coi pochi vestiti che possedevamo, e giocavamo con l'acqua. Ogni volta che tornavi non ci staccavamo che per respirare.
La notte facevamo l'amore sulla sabbia, poco distante dai falò. La luce disegnava strane forme e tu amavi le mie cicatrici. Tu che mi avevi liberata dalle catene. Tu che mi avevi offerto aria e cibo e orgoglio. Mi avevi insegnato l'amore ed io avevo applicato ogni sua regola pur di restituirti il dono. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, con la vita, col sangue.
E poi ancora.
Il vento scompigliava i miei capelli lunghi e rossi ed alzava la gonna del mio vestito. A quel tempo insegnavo ai bambini e tu lavoravi vicino alla scuola. I nostri sguardi si incontravano ogni giorno. La guerra ti ha portato via da me, sei volato lontano e tutto è svanito. Come ora.
Ma ogni volta che incontro i tuoi occhi, qualsiasi sia il tuo viso, io ti riconosco. Non ho più paura di perderti, perchè sei sempre con me, ovunque. Sei la mano che mi riprenderà e che mi farà danzare ancora il nostro minuetto, che mi farà girare la testa e che mi farà sentire libera.
Prendimi la mano, balliamo.

27.7.07

23.7.07

La notte

Camminiamo. La luna piena illumina la notte mentre tu mi stai accanto. Mi sento bene. Ho addosso la mia gonna viola ed una camicetta nera annodata sotto al seno. So che ti piace, perchè non riesci a staccarmi gli occhi di dosso. E questo mi piace più di ogni altra cosa. Voglio essere la tua ossessione, il tuo unico pensiero. Voglio conquistarmi lo spazio che mi serve per vivere felice, voglio che tu non desideri altro.
Tu mi parli piano, sei un ragazzo delicato quando non sei con gli altri. Ma mi piaci anche quando ti dai quel tono da macho. In fondo ognuno di noi ha il suo personaggio. La sua fama da mantenere viva.
Io ho lasciato i miei capelli biondi sciolti sulle spalle, perchè con loro voglio accarezzarti quando ci baciamo, voglio che ti avvolgano. Ti guardo anche io, non apertamente perchè a te piace di più quando riesci a sorprendermi mentre lo faccio. Giochiamo, io e te. Sempre.
I tuoi capelli neri brillano sotto ai raggi lunari. E nei tuoi occhi c'è una luce speciale, stanotte.
Mi accompagni verso casa, siamo soli per strada, ma tu non mi prendi la mano. Vuoi arrivare almeno fino al viale prima di avvicinarti alla mia pelle, perchè non vuoi che ti vedano. In fondo sei timido e non ti piace che sparlino di te. A me, al contrario, piace molto disgustarli finchè non avranno più niente di sconvolgente da raccontarsi. Voglio che tutto ciò che faccio diventi normale. Per questo mi travesto e non mi nascondo mai. Mi piace provocare, sempre.
Ma lascio che tu mi stia lontano, per ora. Perchè so che non riuscirai a resistere a lungo alla mia pelle ed al mio profumo diverso. Lo so quanto è vero che respiro.
Cerchi di sapere chi sono, lo vedo. Un po' ti sembro strana. Non mi conosci da molto, ma sai che sono diversa dalle altre ragazze di qui. Eccome se lo sono.
Da quando ho assaggiato le tue labbra non ho altri pensieri. Morbide, giocose, avvolgenti. Le tue mani sono certamente come loro. E io le voglio invitare, proprio stasera.
In fondo al rettilineo, il viale. Costeggia la ferrovia e porta alla stazione, che non c'è più. Mi piacciono le stazioni abbandonate, un po' come mi piacciono i cimiteri. Il campo che precede il viale lungo la strada è coperto di quella sottile nebbia che resta bassa, sembra di camminare in un film e che tra poco sbucherà il mostro armato di falcetto che ci ucciderà...
Invece no, qui è normale. La nebbia c'è sempre, bassa o alta. Questa è solo calore che lascia la terra, che torna al cielo con tutta la calma del mondo, mentre le ore passano.
Tu sembri tranquillo, continui a guardarmi e a camminare. Io, invece, pregusto il mio banchetto.
Entriamo nel viale. Tu non proseguirai verso casa mia ma abbiamo tempo a volontà prima che io debba andare. Tutto il tempo che serve.
Alla metà del viale ci fermiamo e tu diventi quello che sei. Un amante. Ti aspettavo, sai?
Mi baci e le tue labbra sanno di buono, il tuo collo ha un profumo leggero, i tuoi vestiti sono morbidi. Le tue mani non sanno che fare. Ma io ti aiuterò, perchè stanotte sei mio.
Ecco, sto per sconvolgerti. Mi seguirai? Mi allungo sulla pietra di quella che era una panchina e ti invito. Tu sei spaventato, sei incredulo e allo stesso tempo sento il tuo sangue che ribolle, perchè mi seguirai, si, lo so. Sei come un lupo mannaro, stanotte. Verrà tutto fuori, quello che sei.
Perchè io sono la strega che ti ha preso e che si ciberà di te. Alzo la mia gonna e non c'è più modo di fermarci. Tra la pietra e gli alberi che osservano il nostro passaggio noi ci doniamo energia, senza sosta e senza parole. Sento che hai paura, ma non puoi lasciare la mia pelle. La mia bocca. Non ce la fai a fuggire anche quando hai il terrore di essere visto. E il tuo terrore mi piace, rende il gioco migliore. Questa notte hai imparato qualcosa di nuovo. Mi hai seguita fino in fondo. Sono contenta che tu abbia avuto il coraggio di farlo, perchè non amo i codardi. Sono fiera di te anche se non vorrai farlo dinuovo, tanto la ripetizione non dà lo stesso brivido. Hai ancora lo stupore sul viso mentre ti rendi conto che è già finito, non se ne va nemmeno per un istante. Così mi piaci, stupito, impaurito e appagato. I capelli neri sconvolti, il sudore sulla fronte, le mani strette su di me. Ora vorresti portarmi via.
Ma io ho preso te. Non è il tuo gioco, solo il mio. E questo momento ti rimarrà impresso a fuoco sulla pelle, perchè così io voglio. Entrarti dentro fino all'osso. Non lasciarti mai più. Voglio marchiarti con un segno di forza e lasciare che tu lo mostri con orgoglio. Voglio che cambi la tua vita, almeno di un poco. Io sono la strega che ti ha preso. Io sono la notte.

8.7.07

Clara e il senso tragico

Come si sarà capito, Clara è il tipo di persona che vive le cose fin troppo intensamente. Non ci può far nulla, è la sua natura di fuoco che la guida.
Per lei tutto è totale, immenso. Oppure non esiste. Clara è incapace di vivere tranquilla. Lei lo chiama avere senso della tragedia. E ce l'ha davvero.
Ogni volta che vive qualcosa, per lei diventa l'unica cosa al mondo. Poi mantiene intatta nel tempo quella sensazione anche se le circostanze cambiano.
Clara è romantica, le piacciono le storie d'amore soprattutto quelle complicate. Fin da piccola ha assorbito storie come "Paul et Virginie", "Romeo e Giulietta", come anche altre storie tragiche sia di Shakespeare che di altri autori. Come molte altre persone, Clara ha a lungo associato amore e morte, con le conseguenti delusioni che la vita porta. Perchè per quanto forte sia quell'idea, l'amore è tutt'altro che morte. Tutte le sue personali eroine, i suoi personaggi di fantasia, sono pronte a sacrificare tutto per l'amato. Questo, però, nel mondo delle idee, perchè nella realtà le cose sono sempre più complicate.
In amore, ad esempio, si mente. Si mente spesso. Anche quando non ci sarebbe motivo di farlo. Quando si è innamorati si direbbe qualsiasi cosa pur di essere ricambiati, pur di fare contento l'altro. Per quanto si sia convinti di farlo, raramente quando si sta con qualcuno si è completamente sinceri. Certe volte è anche un bene, finchè non diventa scontato che si sia una persona che non si è. Si mente per non far soffrire, per non soffrire noi stessi, per coprire i nostri difetti e gli errori, o i nostri reali desideri. Si perde di vista l'amore per mantenere un equilibrio.
In amore si chiede. Il che forse non è proprio amore. Ma è umano. In un mondo ideale amare significa dare senza volere niente in cambio, ma qui le cose non stanno mai davvero in questi termini. Chi dà amore ne vuole in cambio, quasi sempre. Anche quando non lo ammette apertamente. Qualcuno vuole in cambio più di quello che dà, qualcuno ne vuole meno, ma una contropartita è quasi sempre richiesta. Perchè essere amati è un bisogno che abbiamo e che sentiamo più forte di quello di amare.
In amore non si perdona quasi mai. Perchè c'è di mezzo l'orgoglio, l'amor proprio. Ci si incattivisce al pensiero di aver sbagliato nel considerare l'altro migliore di quel che è. Si cerca nell'amato una serie di qualità che lui non ha, per cui immancabilmente lui ci delude.
Tra le parole e la vita c'è un abisso.
Così, col trascorrere degli anni, Clara ha cominciato a vivere una sorta di dualità tra ideale e reale. Il suo senso della tragedia la fa innamorare in modo folle, tanto che si sente morire quando una storia finisce. Ma allo stesso tempo sa che questo è solo il suo aspetto romantico che si manifesta. Non ne ha paura e sa che si sopravvive a qualsiasi cosa. Questo forse la fa esporre più facilmente al suo lato tragico, così che vive costantemente preda dei suoi sentimenti forti, ingombranti.
Gli altri capiscono poco di lei. Quando pensano che lei stia soffrendo le pene dell'inferno, in realtà lei è solo un po' triste. Quando pensano che lei sia follemente innamorata credono che sia pronta a gesti folli, ma lei non è il tipo. Le piace pensare di poterlo fare, questo si.
Morire per amore sarebbe il gesto tragico per eccellenza. In un libro o in un film. Non nella vita reale. Nella realtà, Clara non è disposta a sacrificarsi più di tanto, non più del necessario e non più di quanto gli altri si meritino. Però, attenzione, lei ama eccome. Anche quando non c'è più traccia di relazione, dentro di lei i sentimenti resistono. Fa parte della sua tragedia...

Da vedere: "Donnie Darko" di Richard Kelly