30.11.22

Di nuvole e silenzi

 


Di nuvole e silenzi

 mi sono nutrita, 

e di sussurri forti 

e di mani strette sulla pelle nuda. 

Di parole e sguardi, 

di ossessioni condivise, 

di continue ispirazioni. 

E ora viene la vita 

e non basta 

a colmare gli spazi; 

nel sottosuolo 

mi uccidono il cuore. 

Viene dicembre. 

La luce muore, 

poi ricomincia il mondo. 



Credo sia uno dei periodi più faticosi degli ultimi anni. Ho messo in discussione ogni aspetto della mia vita, perché non ero felice. L'ho fatto e continuo a farlo perché mi sento persa. Ho questa sensazione di aver perso la via una volta che ho perso il desiderio di danzare, come se - ed è terribilmente vero - dal movimento dipendesse ogni parte della mia vita.

Così, anche se con la scrittura sembrava che tutto procedesse ugualmente, a un certo punto mi sono trovata senza parole. Motivazione, interesse, ispirazione. Ho provato con tutti i miei espedienti ma non ho riscontrato alcun miglioramento.

Ma...

Una persona importante mi ha detto che scrivo meglio quando parlo di cose che fanno parte della mia esperienza - non necessariamente biografia, comunque.

Una persona saggia mi ha detto che quando sono in stallo è inutile insistere con quel progetto ed è molto meglio aprirne uno completamente nuovo. Almeno per un po'.

Una persona molto speciale mi ha detto di ricordarmi che valgo e che sono capace.

Quindi, ora che tutto quello che vorrei fare è stare a letto nel buio della stanza come un tempo oppure annebbiare la mente con decine di dvd in una sorta di "film therapy" volta a farmi piangere ogni lacrima che ho in corpo per sbarazzarmi di tutte queste emozioni orribili, ora che sento di non averne...

... ecco che con una matita e un post-it viola inizio a trovare parole.

Parole che non so se hanno un senso, parole che non ho idea se potranno mai diventare "qualcosa" o se resteranno sparse come mille altre. Ma sono parole che escono e che quindi mi fanno bene, ora che mi sento ancora sul fondo di un pozzo che impedisce al movimento di compiersi. 

E chissà, magari un giorno avrò anche voglia di accendere della musica e accennare un passo o due.


5.11.22

Forse avevano ragione loro

Devo ammetterlo: è un periodo difficile per me.

Forse la stanchezza, forse l'età che avanza con i suoi primi acciacchi. Forse l'essere costantemente esposta a tutto, soprattutto alla rabbia degli altri, alle loro delusioni, alle convinzioni gridate al vento, alla necessità di dire la propria sempre e soprattutto con l'arroganza del proprio punto di vista.

Dev'essere stato a fine maggio, una domenica pomeriggio, quando ho cominciato a pensare di essere circondata da mostri. Non so spiegare esattamente quale circuito impazzito della mia mente abbia messo insieme il concetto, ma guardavo le persone intorno a me e le vedevo "brutte", vecchie e spente, con sorrisi grottesschi dipinti in volto ma ormai trasformate. Quello che si vedeva da fuori era forse - lombrosianamente - ciò che trasmettevano da dentro.


Sì, insomma. Un po' come trovarmi in un film horror, in una sorta di "the walking dead" in cui travestita da zombie attraversavo indenne la piazza gremita di morti. 

Andando avanti ho iniziato a diventare insofferente rispetto a molte di queste persone, infastidita da qualsiasi manifestazione venisse da loro, anche innocua. Mi sono sentita sempre più "sola" tra gente che non mi somiglia affatto, esclusa da qualsiasi possibilità di dialogo - non che gli altri non ci provassero, ero io che non avevo più voglia di ascoltare certi discorsi che continuo a trovare insensati, notizie assurde che un tempo avrebbero occupato pagine di giornaletti di infima categoria spacciate per notizie vere etc. - perchè come fuori sincrono rispetto alla realtà che percepiscono gli altri.

Certo, più avanti sono scoppiate liti. Poi ho chiuso rapporti, poi ho iniziato a chiudermi io e continuo a farlo. Stanca e sempre più inorridita dal livello in cui si è arrivati a esprimersi, che per me rasenta l'inciviltà. Rifiutare un dialogo se dall'altra parte non si intravede una possibilità di intesa - non di arrivare utopisticamente ad avere lo stesso punto di vista ma anche solo di parlare la stessa lingua - non è arroganza. È mero sopravvivere. Evitare di sprecare energie utili.

Il fatto è che poi continui a guardare le stesse persone e le vedi "felici", unite, realizzate, forse "vincenti". Ora, io non sono mai stata una fanatica della teoria delle persone "vincenti" o "perdenti", per me le persone sono solo persone - ognuna con i suoi pregi e difetti, carattere e storia - tutte ugualmente rispettabili finché sono rispettose del prossimo; difficile per me dare del "vincente" a qualcuno. Non credo nel successo, non nel denaro e difficilmente in status symbol. Solo che...

Anni fa stavo guardando un film - horror per cambiare - in cui un virus trasformava buona parte della popolazione in zombie (dev'essere una costante della mia vita, ormai: non più vampiri ma zombie...) mentre gli altri diventavano... Mostri. Credo fosse "28 giorni dopo", il titolo. Insomma, mi aveva colpito il fatto che le persone non infette fossero di fatto diventate peggio di quelle trasformate loro malgrado in bestie affamate prive di qualsiasi capacità di pensiero. Crudeli, sadiche e prive di compassione. A quel tempo mi chedevo se non ci fosse da augurarsi di beccarselo, il virus, per evitare di diventare dei mostri consapevoli. Perchè per me il metro di giudizio era quello: la capacità di distinguere. Maledetta consapevolezza.




Ed ecco che, complice la stanchezza e una punta di depressione che ne consegue, mi sorge la domanda: "e se avessero sempre avuto ragione loro?"

In definitiva, oggi, a cinquantatrè anni, mi trovo a chiedermi chi sono.