20.10.22

Tanto non lo pubblica nessuno

«Tanto non te lo pubblica nessuno...» L'ultimo commento.

Non che non lo sapessi. È da quando l'ho finito che lo so. Perché è troppo lungo, pieno di personaggi, troppo onirico, strano, quasi un fumetto. Un romanzo caotico e diverso. Troppo tutto, come sempre, senza un genere o un'etichetta precisi.




Lo so da quando abbiamo fatto l'editing, Natascia Cortesi e io, e ho capito che bisogna fare i conti con il pubblico. Loro vogliono un posto specifico, un luogo riconoscibile e meticolosamente descritto, una data precisa altrimenti non riescono a collocarsi nella storia. Non vogliono "affidarsi", vogliono certezze e io non ne ho. "Area 3-13" non aveva né un luogo né un tempo, è sempre stato sospeso in uno spazio che era solo suo. Apolide e universalmente possibile. Poteva essere qualsiasi città, in questo presente o in un futuro ma con determinati paesaggi senza i quali non sarebbe mai stato scritto come l'ho visto. Perché io l'ho visto, tutto, scena per scena a partire dal primo sogno. Perché da lì arriva, da un sogno. Per questo è così complesso. Non aveva una collocazione, per me bastava ma l'ho corretto. Che non sia mai, deve diventare un prodotto. Deve essere accattivante e fruibile, lasciare nella comfort zone il lettore.

Lo so perché nonostante tutto ha ancora troppe pagine e troppe voci. Non ho potuto sopirle. E mi sono chiesta se fosse giusto farlo, visto che la storia è anche loro. Ogni personaggio che vi compare c'è per un motivo ed è necessario che si esprima per capire come mai è finito lì. Perché ognuno ha la sua storia, le sue debolezze e per questo non si può pensare che sia un soggetto inutile.

Lo so perché lo hanno letto due agenti abbastanza importanti e sebbene abbiano rifiutato di rappresentarlo - per i suddetti motivi anche, ma ciascuno per un motivo suo e personale senza mai dirmi che ho scritto una ciofeca, cosa che credo avrebbero fatto se lo fosse stata - hanno invece ammesso che era un lavoro ben fatto per vari motivi, perfettibile sicuramente ma non adatto a loro. E sono certa che sulla loro professionalità nessuno possa dire nulla, per cui eccomi qui.

«Tanto non te lo pubblica nessuno...»

Dovrei scrivere di ciò che conosco, come suggeriscono i saggi e le scuole di scrittura.

Beh, io conosco le storie e conosco i sogni. Conosco i mostri, soprattutto quelli che fanno di tutto per sembrare normali, per attirarti vicino e succhiarti via la vita. Conosco la sensazione di non essere al proprio posto da nessuna parte, il desiderio di seguire la propria natura e la preoccupazione che questa cosa faccia soffrire - o morire - qualcuno. Conosco le trappole della vita, alcune almeno. Conosco la ricerca della verità e so che a volte saperla non cambia le cose. Conosco l'impotenza, l'essere intrappolati in un mondo in cui non decidi nulla e fai la tua parte come richiesto per poi decidere di fare di testa tua e affrontare le conseguenze, ma vivere. So che tra quanti si ritengono normali ci sono migliaia di mostri.
So che nessun mostro è mostro al cento per cento e che ognuno di noi ha in sé bene e male, che a volte non è facile riconoscerlo e che si sbaglia strada tante volte ma il nostro cuore sa dove vogliamo stare.
Ed è di questo che parla il mio romanzo. Lo fa con toni cupi e con atmosfere da fine del mondo perché l'idea mi è arrivata in sogno ed è come se quel sogno avesse continuato a tormentarmi anche da sveglia finché non l'ho scritto. Non ero nemmeno sicura di farcela, a dirla tutta. Non avevo una trama o un finale, o un'idea anche solo vaga di cosa stessi facendo, solo immagini.

E ora? Sarà mia cura pubblicarlo da me. In ebook per i più, in qualche copia cartacea contata per i pochi affezionati come sempre. Non appena avrò trovato una copertina ed avrò il tempo di buttarlo in un formato adeguato. Non posso lasciarlo dov'è.

Scrivere ancora? Certo. Ma senza cambiare rotta. Non importa se non mi pubblicherà nessuno. Non voglio inseguire chimere, la vita è troppo breve e io faccio l'operaia per vivere.