31.3.07

Canti

Spiacente, la poesia non c'è più...

Un attimo di felicità

Sorrise all'automobilista che si era fermato per lasciarla passare, poi continuò ad attraversare la strada cercando di non rimanere incastrata con i tacchi nell'asfalto molle per il caldo estivo.
Giunta al marciapiede si passò una mano tra i capelli che una lieve brezza le aveva scompigliato mentre attraversava.
Si fermò un attimo ad osservare i capi di abbigliamento esposti nella vetrina all'angolo, dopodichè proseguì per la sua strada.
Camminò velocemente fino al viale alberato e, giunta all'ombra dei platani rigogliosi, si riposò per un istante al fresco.
Respirò profondamente quell'aria resa piacevole dagli alberi e mentre espirava si accorse che il sorriso le era rimasto sulle labbra.
Sentì il cuore battere più velocemente ed allora si accorse di essere felice.

Supernatural


26.3.07

Pensieri sul treno

... Perchè la solitudine, in fondo,
non è che la paura di non avere
qualcuno da amare,
di non poter parlare,
di non sapere che qualcuno ci ama...

Fuori

Fuori dalla macchina è buio. L'inverno sta arrivando, con le sue nebbie e il gelo nell'aria. Nella via non ci sono altre auto e un silenzio innaturale sembra regnare sovrano.
Anche se fuori c'è poca luce, all'interno dell'auto io e te riusciamo a vederci e guardarci negli occhi, il che è importante, almeno oggi. Mi hai invitata fuori, abbiamo girato tutto il pomeriggio con gli altri ed ora che mi riaccompagni io so che succederà.
Ti osservo da tempo, non riesco a trovarti bello come dovresti essere. Non è grave, ciò che conta è che tu sarai il mio primo bacio. Forse ti ricorderò tutta la vita con un brivido di eccitazione, o forse il brivido alla lunga sarà di disgusto, però non mi interessa. Questo bacio lo voglio.
Non desidero altro, ma non so che fare. Sono solo una stupida ragazzina e non l'ho mai fatto, l'ho solo immaginato.
Allora ti guardo, aspetto che tu mi saluti, aspetto di dover scendere. Ho già una mano sulla maniglia, basterebbe tirare e l'aria fredda entrerebbe a fermarci. Non tiro, ovvio.
Mi saluti, ti saluto. Ci avviciniamo. Non so.
Mi sento strana, come non mi sono mai sentita. Come se il calore del tuo corpo, del tuo respiro, mi attirassero in una trappola. Ho paura, ma è grandioso.
Le nostre labbra si toccano ed io sento accelerare il mio cuore. Sei morbido. Il tuo respiro diventa il mio, mi entra nelle narici, mi sale al cervello. Non l'ho mai fatto prima, ma è così naturale che mi ritrovo a farlo, mentre la testa comincia a girarmi. Eppure non riesco a smettere, rimarrei qui per sempre. Armonia di movimenti, non c'è nulla di più intimo del ricevere il tuo bacio.
Non respiro bene, sono troppo attenta a godermi questi momenti, perchè voglio viverli completamente, voglio essere sicura di averlo fatto davvero.
Ho caldo, come se l'inverno non esistesse, come se l'aria che ci circonda fosse acqua calda in una vasca ed io avessi solo bisogno di togliere i vestiti.
Mi sembra strano che siano solo le nostre bocche ad essere unite, è come se io fossi in te e tu in me. La testa mi gira ancora, colpa dell'apnea, del respirare la tua aria, del cuore che impazzisce.
Ho bisogno d'aria. Ho bisogno di smettere. Ma non lo faccio e nemmeno tu.
Ti starai divertendo? Ti sto baciando bene? Mi prenderai in giro? In fondo è la prima volta...
Non ricordo di essere scesa dall'auto, mentre ti guardo attraverso il finestrino e tu te ne vai. Non cammino, barcollo fino al cancello. Tutto mi sembra più colorato di prima, come fosse stato ridipinto in questi minuti. Rido, scema. Mi muovo come se fossi ubriaca, ma mi diverto davvero. Non starò male per questo.
Mi fiondo in camera, mi butto sul letto senza togliere il giubbotto e mi abbandono all'infinito ripetere quel bacio finchè non mi si placa il cuore.
Lo ricorderò così come è stato? Tra due, tre, dieci anni, sarà ancora così vivido? Sarà ancora importante? Lo sarà anche se tu non ci sarai?
Sarà così ogni volta? Sarà così con chiunque? Cazzo, quante domande.

17.3.07

Ali

Poesia prossima alla pubblicazione...
A presto.

Clara e il suo felino senso di casa

Una delle caratteristiche di Clara era la sua somiglianza coi gatti. Paciosa, pigra e con la predisposizione ad amare la casa. Nella sua breve vita aveva già cambiato casa cinque volte, e ancora non sapeva di doverne cambiare altre.
Lasciare la casa dei suoi nonni le dispiaceva moltissimo, era la casa cui era più affezionata, quella in cui era cresciuta in quegli anni, prima ogni estate coi nonni, poi vivendoci con sua madre e il suo altalenante compagno (un po' c'era, un po' veniva sbattuto fuori, a mesi alterni).
Poteva ripercorrere curva dopo curva ad occhi chiusi il percorso che portava da Torino, da corso Vittorio, fino a casa. Il monumento ai caduti di Crimea, viale Thovez, strada Val Salice, San Vito (costeggiando il parco della Rimembranza), strada Revigliasco fino a casa.
Amava tutto di quella casa. La quiete, il verde, il loro giardino, i boschi intorno, la vista di giorno e quella di sera, il campanile che suonava l'Ave Maria dal paese vicino, gli alberi su cui si arrampicava, le rocce che sbucavano dal terreno proprio davanti al portico, tra il nespolo ed il prato. La vecchia quercia, il pino marittimo, i cespugli di lavanda pieni di api, le fragoline selvatiche, i due orti con zucchine, pomodori ed insalata. Le rose rampicanti intorno alla scala esterna, la menta e la salvia alla sua base. Perfino la salita che dalla strada portava al portico era bella, ed il cancello sui cui pilastri Clara passava ore a guardare la strada, proprio come un felino.
Il giardino era stato il suo regno, per anni. Di giorno e di notte, da sola o con Cri e Bri, aveva esplorato con cura ogni angolo. Un'estate avevano anche dormito lì, su una trapunta tra gli alberi, una notte sola per osservare i pipistrelli e vivere l'avventura.
Non amava solo l'esterno, anzi. Le strane peculiarità di quella casa le amava tutte. L'enorme sala, dal soffitto altissimo, la scala in legno che dalla sala portava in quella che era camera sua ma che un tempo era lo studio del nonno. La cucina piccola col frigo FIAT, la stanza di sua nonna e quella di suo nonno. Amava tutto, comprese le piastrelle.
Faceva di tutto per non pensare al fatto che presto sarebbe andata via. Quando cominciò il corso professionale mancava pochissimo al trasloco. Avevano trovato una casetta fuori Torino, in un paesino, da ristrutturare ma con un bel giardino. Non sapeva cosa le era piaciuto di quella casa, per sceglierla. Forse a quel punto le andava bene qualsiasi posto, perchè nessun posto sarebbe più stato davvero casa...

Da leggere: "White Oleander" di Janet Fitch
Da vedere: "American Beauty" di Sam Mendes
Da ascoltare: "L'ultimo spettacolo" di Roberto Vecchioni

9.3.07

Un vampiro


Questo bel vampiro è la mia versione del protagonista di "Twilight", Edward Cullen...

Una festa

Mi trovo in un posto strano. C’è una festa, qui. Non so di chi è la casa, nè la festa, ma ci sono. C’è la musica, c’è gente che balla, che ride e scherza bevendo birra dalla bottiglia e fumando sigarette. Io arrivo dalla strada, costeggio le inferriate che chiudono il cortile, entro dal cancello aperto e mi spingo tra la folla. Saluto qui e là quelli che mi sembrano volti noti, nessuno così importante da ricordarne l’identità. Attraverso le stanze una ad una, senza una meta precisa. Non so perchè ci sono, non so dove sono, chi sto cercando. Ma non ho nessuna paura, come se questo posto mi appartenesse da sempre, come se la mia vita stessa fosse sempre rimasta lì. Questo buio, questi muri scuri, queste persone conosciute e al contempo sorpassate, è tutto parte di me e della mia vita.
Sono io che procedo nell’esplorazione della casa, cammino come trasportata nell’aria irreale della festa. Quella sospensione del tempo che danno le luci stroboscopiche, la nebbia del fumo evoca altri luoghi ed altri tempi, ma io sono lì. Alla festa.
Ed ecco che bevo anche io con gli altri. Niente di eccessivamente forte. Comincio ad abituarmi al rumore, mi piace anche, qualche volta. E trovo il mio posto, il divano che cercavo. Non so perchè, ma cercavo proprio quel posto, quell’unico posto libero su un divano rivestito di tessuto arancione. Quel posto unico tra due persone. Le conosco? Non lo so, ma stavo cercando uno di loro, di questo sono sicura.
Lo guardo. Lui sta seduto alla mia sinistra, guarda la gente che balla, come faccio io normalmente. I capelli scuri sono corti e gli lasciano scoperto il collo. Lo guardo, so che la sua pelle è morbida oltre ad ogni immaginazione, e che profuma. Come se l’avessi accarezzata per così tanto tempo da sentirla attraverso i miei ricordi. Si, me la ricordo, quella pelle dorata, naturalmente scura e curata. Non so da quanto tempo è dentro di me, quel ricordo. So solo che non riesco a pensare ad altro. Niente oltre a quella pelle può riempirmi. Come se solo la sua vista mi nutrisse i pensieri.
E lui è bellissimo, lo so anche se non fissa i suoi occhi nei miei. Lo vedo da come siede accanto a me. Dritto senza sembrare impettito, morbido e regale allo stesso tempo. Lo vedo nel suo profilo, nel modo in cui le guance si tendono quando sorride.
Non resisto. Mi avvicino lentamente e lui mi fa spazio. Sa chi sono e dove sono. Sa cosa voglio e sa che lo stava aspettando. Qualcosa di antico che ritorna. Qualcosa di profondo che riemerge senza che nessuno abbia dovuto cercare scavando.
La sua mano si muove e anticipa la mia, mentre sposto il cotone morbido della sua camicia bianca. Ci sfioriamo e quel calore che cercavo mi ritrova, dove un tempo mi aveva abbandonata. La sua mano copre la mia , lunga e curata, scura e perfetta. Dentro alla sua, la mia sembra sparire, chiara e minuta. Fatte una per contenere l’altra, come sono sempre state.
Il mio corpo si avvicina al suo, lui non si muove. Il pulsare che sentiamo è la vita. È la magia di un incontro dopo vite e vite di separazione. Appoggio il seno contro la sua schiena, sotto la scapola. Anche attraverso i vestiti sento il suo corpo contro il mio, sento il calore della sua pelle che mi riscalda, mi trasmette energia.
Dove siamo stati tutto questo tempo? Perchè non eravamo insieme? Perchè ci troviamo qui, ora, solo per questo momento, in questo posto che mi ricorda tutto e niente?
Perchè ho dovuto cercarlo così a lungo che le mie gambe mi sembrano a pezzi? Cosa mi ha portato via da lui e cosa mi ci ha riportato ora? Era questo il senso di tutto?
Il suo odore mi penetra la mente, mi ricordo di lui, lui era con me. Non so dove, non so quando, ma era con me... c’è sempre stato.
So già che sapore ha la sua pelle, so come si muoverà dopo, quando saremo dinuovo una cosa sola. So di cosa sapranno i suoi baci, le sue carezze, se mai li riavrò.
Conosco l’odore del suo respiro, l’aria che lo riempie di vita. So tutto di lui e non so niente. Non ho nemmeno visto il suo volto ma l’ho riconosciuto ugualmente. E guardarlo negli occhi non potrà che confermarlo. “Sei tu, sei sempre tu, da sempre, per sempre.”
Mi allungo su di lui e apro la bocca, davanti a me il suo collo col suo profumo, con la sua morbidezza. Sento il suo odore dentro di me, nella bocca e nelle narici si mantiene caldo come è lui.
Mordo la sua carne. Non mi sono mai sentita meglio. Nemmeno lui. Lo sappiamo entrambi.
Non trema mai, nemmeno quando il sangue cola verso il suo petto. Lo so che la sua pelle liscia e glabra lo lascerà scendere finchè non incontrerà la camicia, nel punto in cui termina nei suoi pantaloni neri.
“È sempre stato il nostro modo di cominciare, ricordi?” Si, lo ricorda. Anche perchè subito dopo si gira per baciarmi.
E in quel momento, aprendo gli occhi per un istante solo, vedo i suoi occhi mentre li socchiude, e sono i suoi occhi profondi e indefiniti quelli che vedo. Sono i suoi occhi dalle ciglia lunghe e dal colore mutevole. È il suo sguardo, quello che ho cercato per tanto tempo.
Ed ecco, non sono più sola. Non ora, non qui.
Le nostre bocche si uniscono, naturalmente, come hanno fatto altre volte. Le sue labbra mi avvolgono, si lasciano avvolgere, in un gioco che ripetiamo da sempre. La stessa morbida consistenza dei petali di una rosa. Sento i suoi denti così vicini... Tutta questa vita che ci attraversa, ci penetra, ci consuma. Quasi la vedo.
Vorrei portarlo via, vorrei sparire da quel divano e ritrovarmi altrove, con lui al fianco, con le sue braccia a cingermi la vita come stanno facendo ora. E con questa volontà lo stringo ancora e lo bacio ancora, perchè ne ho bisogno. Ho bisogno di lui per sentirmi completa, e adesso lo sono, solo in questo momento lo sono. Solo in questa comunione tra baci e sangue, solo in questo posto, che non so dov’è, e che mi appartiene. Solo adesso che l’ho ritrovato.
Ma mi sveglierò, presto o tardi. E lui sarà svanito, andato. Un’altra volta perso, un’altra volta sfiorato. Un’altra volta amato.
Quando finirà questa maledizione? Quando potrò abbracciarlo e sapere che sarà per sempre reale? Quando, quando? La mia vita, tutte le mie vite ad inseguirlo e a perderlo dopo un attimo, dopo un momento di intensità in cui ci siamo ritrovati, riconosciuti, riamati, ridannati e persi ancora.
Un attimo di pienezza, di completo appagamento, di sospensione del battito cardiaco. Un piccolo momento d’amore.
Ed è solo un sogno, lo è sempre. Lo è sempre stato.“Dove sei?”

8.3.07

# 65

Questa poesia è contenuta nella mia raccolta "Parole d'amore insano".

Bro, questa l'ho scritta nel '90 in un weekend in cui eravamo insieme...
TVB

1.3.07

Palcoscenico

All'inizio è una "botta" di luce, calda ed accecante. Un po' come venire al mondo.
Esci dall'ovatta delle quinte dove aspettavi il tuo momento insieme a tutti gli altri, nella penombra, osservando il poco di palco che riesci a vedere da dietro le spalle di chi deve andare prima di te. Senti la musica arrivare, senti che è il momento e in una frazione di secondo sei lì. Sul palcoscenico. Al centro esatto dell'universo.
Può essere strano, la prima volta, sentirsi come se si stesse dentro ad un televisore vuoto, guardando un velo grigio fumo dietro cui, da lontano, il pubblico ti sta osservando.
Eppure se piano piano abitui gli occhi e scruti dentro a quel grigio, cominci a vederli uno ad uno, dalla prima fila all'ultima.
C'è sempre qualcuno che guarda il palcoscenico, alle prove come agli spettacoli. Non sei mai davvero sola. Questo un po' ti rassicura. E a volte ti terrorizza anche.
Nell'istante in cui ti muovi per entrare ti senti come se fosse di un altro il corpo che guidi, come se nella testa non ci fosse più nulla. Un attimo di panico, il cuore che si ferma per il vuoto di memoria, poi il corpo continua ad andare e raramente sbaglia. Non è la tua mente che comanda, è la tua anima che danza.
Generosa, instancabile, libera.
E ti senti viva, come non mai. Per il poco tempo in cui ci sei, perchè il tempo è sempre troppo poco quando sei viva davvero, beh... per quel poco tempo tu sei energia, solo quello.
Energia consapevole di se stessa e di cosa ha intorno, che pulsa allo stesso ritmo degli altri e che nutre chi sta fermo ad osservare.
E' magia allo stato puro.
Quell'invisibile che si è sempre cercato, la forza che muove il mondo, la vita creatrice; è tutto su quei pochi metri quadri, spesso coperti di linoleum nero su cui spiccano crocette colorate di nastro adesivo.
Incredibile come, quando si arriva alla fine, si creda di essere appena entrati e non si desideri altro che restare lì a sentire gli applausi dare il loro brivido. La vita dirti "ce l'hai fatta, brava!".
Lì, in quel minimo spazio sul pianeta, senti di aver dato e di essere stata, per quanto è durato, una piccola stella.