22.5.22

Rumori di fondo


Sono cresciuta guardando Torino dall'alto.

Non è un vanto, forse nemmeno una fortuna. Ognuno ha le proprie origini e ciascuno di noi deve farci i conti in qualche modo, distanziandosi quanto più è possibile per poi tornare in qualche modo a casa. Non la stessa, probabilmente, perché il viaggio che facciamo è unico e irreversibile.


Facciamo tanti sforzi, a volte, per allontanarci dalle nostre radici. Mia madre ha certo sofferto le sue, tentando per tutta la vita di scrollarsele di dosso per poi ricaderci dentro suo malgrado, ogni volta un pochino di meno ma comunque facendolo. I limiti di una donna nata in un periodo non semplice, in una famiglia "bene" di cui mal sopportava le regole e le apparenze, con il suo ambiente in qualche modo stimolante e ostile. Si è ribellata, poi ha chinato la testa, poi ha cercato di dimostrare al mondo che era in grado di sostenere le sue convinzioni a ogni costo. Così ha passato la vita a faticare - chissà poi se inutilmente - e a mostrare a me come avrei dovuto vivere. Certo noi siamo sempre state diverse, io non ho mai amato né i limiti né la fatica e ho imparato forse tardi che non avrei mai potuto vivere come lei.

Ma sono nata lì. Con le mie due famiglie - materna e paterna - della Torino bene, con un prozio ambasciatore e una cugina di secondo grado baronessa (due nomi e quattro cognomi), con nonne educate a conversare in tre lingue diverse - magari del nulla ma in tre lingue - e l'ossessione per l'origine (lo status sociale). La villa in collina, le case al mare o in montagna, gli amici un pochino snob, le scuole private, la posizione futura, le vacanze all'estero, un "buon" matrimonio, natale con i tuoi, gli inviti obbligatori, il bon ton, una pacata reazione anche alle peggio cose, quel tantino di ipocrisia e formalità a pacchi. Poi, ovvio, tutto è svanito in un attimo e in una fideiussione firmata da un nonno prima ancora che io avessi il tempo di rendermi conto di ciò che avrei dovuto essere per restare nel mio personaggio. E allora l'attimo è diventato occasione per prendere le distanze volta per volta da tutto ciò che non sentivo mio, per crescere con sovrastrutture differenti, per sperimentare e conoscere altro da ciò che avrei dovuto.

Sono sempre stata "fuori posto" e finché ero giovane non mi rendevo conto di cosa fosse quel rumore di fondo che mi infastidiva sia quando frequentavo persone molto più simili alla mia famiglia, sia quando erano persone di tutt'altra estrazione sociale. Un sentirmi diversa che non mi legava mai a nessuno e che mi spingeva a essere curiosa di trovare finalmente un posto mio. Uno in cui non mi si chiedesse di fingere o di sminuirmi. In cui essere libera.

Non è stato uno choc comprendere che il motivo di tanta distanza era lo sradicamento.

Perché a tutto puoi mentire tranne che al sangue e sebbene io sia totalmente diversa dalla persona che avrei dovuto essere non posso dire che questo sangue non abbia casa in questo corpo. E non mi concede tregua, perché se è vero che sono abituata a non giudicare e ad ammirare ciò che è diverso da me è vero anche che poi possono entrare nel mio cuore le persone che un minimo del mio background ce l'hanno. Non perché possano capirmi meglio - non capita spesso una vera e profonda comunione - ma perché io sono una maledetta snob. Perché in fondo mi sento una lontana parente di quella che dovevo diventare e forse sotto sotto intorno ai novant'anni lo diventerò.

Intanto continuo a ridere in chiesa, a detestare le formalità, a contestare le regole altrui, a cercare di vivere per quello che sono anche se mi complica la vita. Continuo a credere in cose un po' troppo "hippy" o estreme e mai nelle presunte verità altrui. Continuo a vedere il mondo con occhi diversi anche se meno curiosi di un tempo. Comprendo le parole di Roy Batty perché dentro di me sono anziana e stanca di combattere per dimostrare che ho ragione - ma poi sarà importante?

Mi siedo coi vecchi alle riunioni di famiglia, troppo stanca per unirmi ai giovani in piscina.