7.11.20

Questa non è più camera mia...

Ho usato parole antiche per cercare casa.

Per cercare lei, anche, che a quelle parole aveva affidato tutto mentre io, come sempre, mi ribellavo. Per quanto abbia provato a liberarmene non ci son mai riuscita. Così, mentre la mente cercava una via di fuga dai pensieri riguardo al futuro, tornare a un certo passato è servito a rassicurarmi.

Le stesse parole per anni, ripetute ancora. Gli stessi errori di un tempo, le stesse domande.

È che in un sogno mi son resa conto che dietro a un velo c'era una stanza della mia casa che finalmente mi rassomiglia. Era lì, così sotto al mio naso da non vederla a lungo, presa dal guardare altrove. Lì, luminosa e calda, con il parquet tirato a lucido e le finestre ampie e lunghe inondate dal sole. E una pianta gigante nell'angolo a sinistra, e la voglia di fermarmi lì. Dove, non so.

Qualcosa di me cui non sono cosciente, qualcuno che sono e che non è arrivato. 

Non è un buon momento. Un anniversario intenso, con un riemergere di pensieri legati al cane e alla sua vecchia padrona. Uno stop forzato a ogni possibile distrazione, anche se io poi so distrarmi con ogni cosa, che mi costringe a fare i conti con la mia vita. Con la sensazione di non essere adatta a questo luogo, con la sofferenza di una vita che in fondo è imposta (nonostante le opportunità di scegliere), con la necessità di evadere e gli acciacchi dell'età.



Mentre cucivo in laboratorio, combattuta tra la voglia di piangere e la rabbia del sentirmi imprigionata, mi è tornato in mente "coerenza dall'inizio alla fine" e la sua provenienza. Ho ricordato di aver fatto studi e approfondimenti senza mai ascoltare davvero fino in fondo. E mi son chiesta se io sono davvero questa qui, se esprimo tutto ciò che sono, se lo faccio correttamente, se il mio aspetto rappresenta davvero il mio "animo", se uso le mie capacità nel modo giusto, quello che più si accorda col mio essere. Ed è un no, confuso e ancora arrabbiato come un tempo. Un no che in parte deriva dal mio non volermi mai mettere in gioco, mai del tutto, per paura di non piacere o di non essere capace. Da qui l'auto ironia alle stelle, da qui la necessità di "nascondermi" dietro a personaggi che non mi somigliano mai del tutto per studiare il prossimo, per disturbarlo, per non trovarmi mai esposta e vulnerabile.

(foto di Fabrizio Maffioletti)

Mia madre ha contribuito molto a questo mio atteggiamento, da una parte con l'esempio e dall'altra presentandosi sempre come persona risolta e invincibile. Essendo, ai miei occhi, una guerriera sempre pronta all'ultima battaglia. Nel vederla morire, nell'assistere alla sua lenta e inesorabile agonia, ho compreso molta della sua fragilità. L'ho amata follemente e l'ho odiata tanto. L'ho vissuta come modello scomodo da seguire, certa che il suo fosse l'unico modo di esistere possibile: in lotta perenne con il mondo circostante, come se esso fosse costantemente una minaccia. In quarantun anni non mi ha raccontato esattamente cosa sia stato a renderla così, so di lei tante cose e troppo poche. E mi manca. Soprattutto ora che so che anche io posso farcela in questo mondo, che anni fa mi sembrava troppo complicato e che ancora non amo. 

So che mi sono fermata. So che non posso restare ferma. So che ho una serie di passi da fare per essere me apertamente e senza paura. Se spero di imparare qualcosa  da questo periodo di merda è solo questo che mi viene in mente.

Questa non è più camera mia, la mia vera casa è proprio qui, dietro al velo.