26.9.11

Seguo la pelle

Non conosco altro modo. Non ne vorrei un altro.
Io seguo la pelle, al massimo lo stomaco. Seguo il brivido e la sensazione. Non mi interessa capire, non subito. Soppesare se una cosa valga la pena o meno in base a ragionamenti non fa per me. Io lo so, semplicemente, perché la pelle me lo dice.
Mi piace sentire. Toccare o percepire. Lasciare che i brividi guidino il mio sapere. Che le parole svolgano il loro lavoro di creare mondi in cui perdersi senza per forza comprenderli. Il suono, come una carezza.
La voce, come un pugno. O come un bacio, come il profumo di una rosa.
Quando seguo la mente cado nei suoi trabocchetti e perdo me stessa. La pelle non tradisce mai. Non può farlo. Forse ho scelto un modo pericoloso di ascoltare, attraverso al pelle tutto è più immediato. Diretto, doloroso o estremamente piacevole.
Questo mi guida. Questo mi rende ciò che sono, questo e poco altro.
Un tocco gentile, la morbidezza, la forza. Lo scorrere liscio delle cose. Seguo la pelle, non so che altro fare.

22.9.11

Dubbi e ancora dubbi...

Quando si dice che le domande sono più importanti delle risposte...
No, va bene. Porsi delle domande, ok. Fatto sta che son lì che ci penso e ci ripenso. A tutto e a di più.
Uno:
Se mi facessi regalare un e-reader? Perché prima o poi mi toccherà affrontare questa cosa e ammettere che forse è più comodo portarsi dietro una libreria in uno spazio minimo. Come il cambio tra vhs e dvd. Non che lo spazio libero in casa sia durato granché, vista la mia fame di film e serie tv. Però, volendosi spostare... Boh? Il dubbio è amletico, io amo i libri, le pagine, l'odore, le copertine rigide, la sovracoperta, tutti i risvolti da leggere... perchè poi io leggo anche le scatole dei cereali, figuriamoci se non sfrutto ogni foglio possibile.
Due:
Di conseguenza. Vedo molti conoscenti scrittori che cominciano ad affidarsi all'e-book per la pubblicazione dei loro libri. E mi domando se anche io dovrei farci un pensierino, prima o poi. Se il premio di un nuovo torneo fosse la pubblicazione in e-book, dovrei lasciarmi allettare? Davvero il futuro è lì? E poi? Se già è praticamente impossibile conoscere il numero delle copie vendute, come si potrà sapere se ci sono guadagni, se sarò una esordiente a vita; se nessuno tra quelli che incontro sul tram avrà in mano un mio libro (come già accade, ovviamente) potrò illudermi che l'abbiano in borsetta?
Tre:
Il Torneo. (Perché i pensieri e i dubbi si formulano con una certa coerenza, almeno a volte.) Ecco, siccome l'anno prossimo vorrei riprovarci comincio a vagliare le ipotesi. Che mando? Il romanzo pronto? E se poi non è abbastanza commercial-commerciabile perdo un'altra occasione, in più con 'sto fatto dei commenti dei giudici ho paura di prendermela, perché quel romanzo è più personale del dovuto. O mando il romanzo che sto finendo? Ma quello potrebbe già essere valido da spedire per il mondo, tentando una scalata al successo che non dipende dal giudizio dei partecipanti al torneo...
E se riuscissi a terminare anche il "seguito" di quello pronto? Seguito che non necessariamente è da collegare al primo, che tratta di un argomento più serio pur partendo da un normale percorso di educazione sentimentale, che potrebbe in fondo anche essere un romanzo "di denuncia". Dovrei mandarlo? O il fatto che sia toccante, di nuovo personale e un po' particolare... Boh?
Quattro:
Devo cercarmi un agente? Perché i suggerimenti degli addetti ai lavori parlano di cose che io non ce la faccio a seguire. Andare a tutte le presentazioni possibili, cercare di conoscere editori, scrittori, giornalisti, chiunque. Rompere le palle. Fare la PR di me stessa. Io che alle feste sto nell'angolo buio. Io che non riesco a dire a una conoscente che incontro per strada che ho pubblicato un libro, che ne sto portando in giro un altro e che sono lanciatissima. Io che mi limito a dire che sto bene. Che non disturbo. Certo, l'agente vuole soldi. Ma io mica ci perdo, insomma. Se riesco a pubblicare qualcosa e devo dare una percentuale a qualcuno per avermi aiutata sarà mica denaro sprecato? Come se avessi una segretaria, la dovrei ben pagare. Insomma, io non ho tempo di scrivere, quando posso fare anche la PR?
Cinque:
Domani sera... pizza napoli o diavola? O marinara? Che sono a dieta e sto maledettamente bene con me stessa, ma allo stesso tempo me la voglio godere, la vita!

19.9.11

Calcoli

Sono in lutto da 24 anni.
Lo sono perché ho perso me stessa in qualche modo, uccisa da un errore e dal peso inconsapevole che questa cosa ha portato nella mia vita. Lo sono da troppo tempo.
Sto perdendo peso. Era ora. Il mio abito da "vedova" era fatto di ciccia e infelicità, ma sono stufa. Sto costruendo qualcosa ormai da qualche tempo ed è ora che io esca allo scoperto. Con tutto ciò che sono, senza più timore o pigrizia, o inutili piagnistei.
Non sono più una vittima. Lo sono stata, ho lasciato che altri mi trattassero come tale, mi sono punita abbastanza. Io, inflessibile giudice di me stessa, incapace di perdonarmi qualsiasi pecca. Ora basta.
Non sono perfetta, mai stata. Sono ciò che sono e tanto mi basta, qualsiasi cosa voglia dire. Se sono un mostro, allora lo sarò in piena luce. Ma non credo. Sono solo diversa da quello che la gente si aspetta da me.
Ora indosserò i miei vestiti neri e ricomincerò a sorridere, a vivere i miei sogni uno a uno. Magari ci vorrà del tempo, magari succederà naturalmente. Loro son sempre stati con me, li avevo solo relegati in un angolo col cappello da asino, affinché non disturbassero il mio vagare straziata dal dolore di averli persi. La mente che mente a se stessa senza ritegno, la mente che fa il suo lavoro per sopravvivere e poi ti catapulta indietro e ti mostra la realtà.
Ognuno porta il lutto a modo suo. Impedirmi di vivere è stato il mio.

13.9.11

Duel

"The first cut won't hurt at all,
the second only makes you wonder,
the third will drive you on your knees,
you start bleeding I start screaming..."
(Propaganda)*

La ragazza bionda non era più bionda. Non era nemmeno più una ragazza, non dentro. Aveva una sorta di "vecchiezza" simile a quella dei reduci del Vietnam. Come se avesse visto troppo e tentato di rimuovere il più possibile. Aveva smesso di sognare ed era tornata a una realtà che non le era mai appartenuta e che non sarebbe mai stata del tutto sua. Ospite di un universo Fringe parallelo in largo anticipo su tutti gli altri. Senza ricordi propri che non scorressero in bianco e nero e senza audio, privi di qualsiasi emozione.
Era una studentessa universitaria. Almeno 15 chili più del suo vecchio peso, senza luce negli occhi e con la pesantezza che le piegava la schiena.
Camminava da un luogo imprecisato verso Palazzo Nuovo, per l'ennesima lezione inutile. Fu mentre passava davanti al tabacchino che l'ombra di un ragazzo conosciuto anni prima le passo davanti. Solo l'ombra, perché lui non era che quello. L'ombra di un ragazzo che cantava in playback in cantina.
Magro più del dovuto, con braccia ossute che sbucavano da una camicia stazzonata e non necessariamente pulita e terminavano in grandi mani non del tutto stabili. Mani vibranti.
La studentessa avrebbe tirato avanti, convinta in cuor suo di aver visto davvero solo un'ombra del suo passato, ma lui la riconobbe e la richiamò al presente. Lui era vero.
Il vampiro era cenere, sepolto in un campo assolato poco dopo il loro ultimo incontro a tre. Lei era scomparsa, qualche volta aveva attraversato il loro territorio a testa bassa per non incrociarli più, crisalide inversa di una farfalla che era stata in gioventù.
Il cantante era ossa. Pelle, ossa e capelli solcati d'argento a poco più di vent'anni. Consumato dalla sua stessa vita finché non era diventata assenza di vita. La ragazza con l'anima nera era ferma davanti a lui, che non dava cenno di vedere le differenze (perché a volte non sono così importanti, in fondo), a bocca aperta. Lui per poco non l'abbracciò, fermandosi solo per la rigidità improvvisa di lei. Era passato il tempo, lo era da tempo.
Le offrì un passaggio su una 127 blu notte che puzzava di cenere e Arbre Magique insieme, bruciata dalle sigarette e piena di polvere come il fantasma che la guidava.
In poco più di dieci minuti il loro incontro si consumò e con lui tutte le promesse di una notte in cantina e di una lontana fiera al Palazzo del Lavoro nel 1985. Non si videro più.
L'immagine di quell'ombra, comunque, rimase impressa in quella giovane donna mentre lei, larva in involuzione, tentava di ritornare a una fase normale di sviluppo e mettere di nuovo le ali.
Segreti non più segreti, parole che scivolano via, ferite che a volte guariscono e a volte no.
Destini. Terribili scelte. Il duello tra la vita e la morte.

*(Il primo taglio non fa male per niente,
il secondo ti stupisce soltanto,
il terzo ti fa crollare sulle ginocchia,
tu cominci a sanguinare, io comincio a gridare)

12.9.11

E parliamo pure di scuola

In terza elementare avevo già imparato che "sciopero" voleva dire che non si andava a scuola e mettevo avvisi falsi sul diario per restarmene a casa.
I primi due anni erano stati un inferno, volevo starne fuori. Poi ho imparato a falsificare le firme e a farmi le giustificazioni. Non mi è mai servito per coprire brutti voti o note, ma pur di evitare anche solo un giorno di scuola ero disposta a impegnarmi  a fondo. Poi mia madre ha capito e ha cominciato a farmi saltare qualche giorno quando si vedeva che ne avevo bisogno. Mai quando c'erano interrogazioni o compiti in classe, preferivo affrontare quelle che passare una mezza giornata coi compagni. Tranne qualcuno, certo, ma non si trattava tanto di antipatia nei loro riguardi. Solo che non mi ci trovavo. Preferivo starmene da sola a casa a disegnare o a giocare con i Lego, o leggere (più avanti), ascoltare musica, ballare in salotto, sognare chiusa in un armadio.
Non ho quasi mai avuto problemi a scuola. Se escludiamo la prima media, quando dopo la morte di mio nonno Piero ci siamo spostati a Moncalieri per stare con la nonna Mity (che però ha ben pensato di lasciarsi morire e non appena s'era concluso il trasloco s'è partito con il nuovo funerale) e io ho continuato a frequentare la scuola a Torino perchè non volevano sradicarmi da un posto dove almeno conoscevo due o tre persone. Quell'anno a Marzo mi sono ritirata e ho ripetuto da sradicata altrove.
Altri tre anni di sofferenza in cui, essendo illuminata, mia madre mi concedeva un certo numero di assenze se io mantenevo buone le medie dei voti. No problem. Voti alti, ottimo rendimento anche senza fare i compiti, esami ogni anno (scuola privata non parificata = esami ogni anno come privatista) passati senza alcuna difficoltà.
Mai avuto particolare bisogno di studiare. Infatti non ne sono capace. Il primo anno di superiori fatto direttamente da privatista, con matematica e latino a settembre senza aprire un libro, il secondo con esame schizofrenico (dal 2 all'8 a seconda della materia, facendo solo quel che avevo voglia di fare) ha segnato uno stop. Non perché non fossi in grado, solo perché mi scocciava perdere del tempo facendo qualcosa che non volevo fare.
Poi mi sono diplomata, sono anche stata un po' all'università. Ma non mi piaceva.
Colpa mia, lo so. In quattro anni un paio di numeri telefonici e due "amiche". Metà esami dati con una buona media, nessuna voglia di continuare.
Non sono una di quelle che si sognano la maturità. Mai successo. Non è stato un trauma, solo una rottura. E quando oggi tutti si emozionavano all'idea del primo giorno di scuola io non riuscivo a fare altro che smorfie di disgusto. Non tornerei indietro nemmeno se ciò significasse non lavorare.
Perché, diciamocelo, anche lavorare non è tutto 'sto divertimento...

10.9.11

Esattamente

Un anno fa mia mamma compiva 71 anni.
Noi eravamo appena tornati dall'India e avevo da poco saputo che la collega (l'unica con me in laboratorio, operata a maggio con tutte le sfighe possibili a seguito) non sarebbe tornata presto perché ancora non stava bene. Ero già stanca dopo poco più di una settimana di lavoro e preoccupata per la sensazione opprimente che avevo da inizio anno.
Eravamo in ritardo, dovevamo portare mia mamma a cena fuori al nostro ristorante preferito, per cui le abbiamo telefonato chiedendole di aspettarci fuori dal portone. Quando siamo arrivati era lì, in piedi, sofferente. Fino d allora non mi aveva detto di non riuscire a camminare bene, di non riuscire a fare le scale normalmente, che non dormiva nel suo letto da più di un mese ma sul divano in sala, al piano terra. In macchina aveva male a ogni curva e a ogni sbalzo.
La cena non siamo riusciti a finirla, dopo il primo lei non stava bene e siamo tornati da lei con un pacchetto preparato con funghi al cartoccio e un altro con la torta.
Da lì a pochi giorni è cominciato il delirio, con lei che faceva resistenza a qualsiasi tentativo di aiutarla e che ci incasinava sempre di più. Che stava sempre peggio e che nel giro di nemmeno due mesi se n'è andata.
Certo sapere ieri che la mamma dell'altra collega è stata ancora male non mi ha migliorato l'umore e il paragone è stato immediato. Malinconia, un tocco di tristezza e stasera la festeggeremo come fosse qui. Perché in fondo ancora c'è. Come se non fosse mancata un solo giorno in quest anno.
Un bacio, mamma.