16.3.22

Senza titolo

 Io mi ricordo il rumore dell'oceano nelle notti scure di Kovalam, ricordo l'odore della terra bagnata, il colore degli occhi del mio primo amore; mi ricordo com'era salire fino in cima alla quercia del giardino dei nonni e fermarmi a leggere un libro seduta all'incrocio di tre rami. Ricordo le corse nei prati e il procedere incerto della seggiovia che porta al Picco dell'Aquila a Rajgir, la granita fatta con la neve fresca in una casa costruita da mia madre. Ricordo la luce che filtrava tra le liste delle tapparelle, le risate che arrivavano dal campo da tennis all'Elba, il cotone del mio pigiama laggiù; ricordo la canna della pistola puntata e la rabbia che ho provato, ricordo i vetri della 128 appannati dalle ceste di pane caldo al mattino, la fatica di sgelare le serrature dell'auto d'inverno, la Diane che spingevamo fino al limite della discesa per farla accendere, i cuccioli di Lady tra le ortensie. Ricordo il primo lebbroso, giù a Nuova Delhi, appena fuori dall'Hotel Imperial; ricordo gli scatoloni con le cose che avrebbero potuto pignorarci portate via prima che fosse tardi. Ricordo che venivano ogni settimana a chiedere i soldi a mia madre e se non erano i soldi erano i gioielli o l'auto. Ricordo quando cercava di farmi dormire il pomeriggio, quando si fermava per strada a vomitare bile, quando diceva di non essere innamorata.

Ricordo centinaia di bracciali di vetro colorato esposti nelle bancarelle, la salita in elefante fino al forte di Jodhpur; il tuffo nel vuoto fatto per scommessa, la polizia che cerca impronte sui vetri della cucina in villa dopo che ci hanno svuotato la casa. Ricordo il trabattello montato in salone per dare il bianco da sole, la volta che la nonna ha scambiato il terremoto per un camion che passava di là; la sensazione del velluto dei sedili del bus per Madurai, l'odore dei vicoli di Benares e dei Ghat sul Gange. Il pitone nel giardino del ristorante con cui non ho potuto fare la foto. La nebbia ogni mattina.

Ricordo la sensazione orribile delle sue mani addosso; ricordo di aver riso con le ragazze sul palco, ballando per un pubblico quasi inesistente, il sapore del primo bacio e quel capogiro meraviglioso. Come mi sentivo tra le braccia del mio amore di ragazza, l'album che ascoltavo mentre aspettavo mia madre in auto quella volta. Le parole esatte del nostro amore. La spesa per il negozio fatta con la calcolatrice in mano, l'inverno in collina senza riscaldamento, l'estate senz'acqua in campagna. La sensazione di onnipotenza a camminare sul tetto del palazzo in costruzione in montagna, la volta che mi si è strappata un'unghia mentre facevo a botte con mia sorella e non me ne sono accorta. Ricordo le lacrime della mia amica, i viaggi in moto senza casco, le volte che abbiamo fatto il bagno al fiume. Ricordo gli operai in cortile, le volte che abbiamo traslocato, la volta che andando via da Milano ho regalato tutti i miei giochi ai miei amici. Il sapore del lassi a Bodhgaya e le volte che ho trovato muffa o formiche nella colazione. Gli occhi di Saswati, di un verde acceso. La volta che il medico ci ha detto che mamma non aveva scampo.

Ricordo l'odore della pece e la consistenza delle scarpette da punta. Le fiabe che la nonnina inventava per me e i suoi colori a olio. I barattoli della Nutella da un kg e pacchi di grissini da "pucciarci" dentro. La terrazza a Moradabad su cui cercavamo di cuocere un uovo. Le tende pesanti degli alberghi, la fiera di Parigi da allestire, la colonna sonora della mia prima volta con lui; la faccia di Bianca quando abbiamo conosciuto Chandra. Ricordo il riflesso della luce da lettura sugli occhiali della nonnina mentre leggeva i gialli, il profumo dei personaggi adesivi di Disney che vincevi con i formaggini Mio. Il pappagallo a Castiglioncello, fare una statuina con le mie mani a Sciacca, la cioccolata calda all'aeroporto di Tel Aviv rientrando dal mio primo viaggio in India. I film visti di straforo dalla finestra a Diano Marina; tutte le volte che ho visto Guerre Stellari all'Ideal, i Dylan Dog letti ad alta voce dopo due bottiglie di vino, le volte che al bar alzavamo il volume del juke box per ballare tra i tavoli. La volta che il maestro Cantello mi ha portata a conoscere Oriella Dorella; l'amore che avevo per il Teatro Alfieri e le fughe nei camerini a salutare gli amici. Il provino che ho fatto a Roma e le volte che non sono andata in televisione. Ricordo come mi sentivo mentre cantavo al concorso; ricordo i no che ho pagato. Ricordo i no che ho detto e che nessuno ha ascoltato.

E ricordo un viavai di persone e lui tra la gente, e la sensazione che tutto si fermasse. E tutto ciò che è stato. Ricordo corpi circondati da pietre ai bordi della strada e ambulanze trainate da bufali. Ricordo pranzi e cene di famiglia, e il momento in cui mamma mi ha detto che la nonnina non c'era più e io ero appena arrivata da un pomeriggio di giochi. Ricordo la lampada a fibre dello zio Dodo a Milano, il negozio in cui mamma lavorava in centro e il magazzino di Daniele. I pomeriggi passati a Leumann a svuotare le casse di oggetti in ottone da vendere, la preghiera ogni mattina dalle suore e le fughe dal catechismo.

Ricordo di aver riso tantissimo e di aver pianto nella stessa misura, a volte riso e pianto insieme. Di aver sofferto e di aver vissuto. E che ogni cosa mi ha portata qui ed è esattamente qui che voglio stare. Come sono, come amo, come sono riuscita finalmente a essere. Nonostante tutto. Anche se per tutta la vita ho avuto chi mi voleva diversa, chi mi ha riso in faccia, chi mi ha dato della pazza, chi non ha voluto vedere, chi ha cercato di buttarmi giù; le altre persone hanno forse fatto un lavoro migliore.

Ricordo che volevo essere di un altro pianeta. Gli "aggiusti spaziali" e tutte le astronavi che ho sognato di pilotare. Vado avanti e so di essere ancora quella bambina che ha vissuto tanti anni più dei suoi.