23.10.07

A kind of magic

Del nostro primo incontro mi ricordo i tuoi occhi, fissati nei miei tanto da ipnotizzarmi. E le tue mani che guidavano i miei movimenti come in un gioco di magia. Per una volta la musica sembrava non esserci, anche se sentivo il pulsare ritmico dei bassi nelle ossa. Era la mente che sembrava piena solo di te e delle tue ciglia. Tu guidavi la mia danza ed io obbedivo, come in trance, per non perdere il contatto. Quella sensazione così particolare...
Ciononostante me ne sono andata quando il tempo che avevo a disposizione era finito. Niente mi avrebbe fermata, nemmeno i tuoi occhi, nemmeno la tua magia.
Magia, davvero. L'ho pensato mentre tornavo, seduta sulla vespa dietro al mio amico ed accompagnatore, per niente geloso, o forse fin troppo. La mia minigonna tirava molto, ma lui non ne avrebbe fatto una malattia, la maglietta sudata mi dava quell'idea di brivido che adoravo sentire sulla pelle. Poco più di un quarto d'ora di libertà, su quella vespa, prima di rientrare a casa e fingere di aver corso. I capelli lunghi al vento, l'aria che si fa fredda quando attraversi i campi, quel filo di nebbia che sale lenta tra la terra e il cielo nelle notti d'estate.

Non avevo davvero freddo, ma mi sono attaccata a lui, per non perdere l'equilibrio, o forse per dimostrargli che c'ero, con le braccia e col mio corpo sulla sua schiena.
Sono fatta così. Mi piace sentire le persone vicine, mi piace toccarle dolcemente anche senza secondi fini.
Poi, poco dopo, il tratto a piedi, nel silenzio della campagna addormentata. Quella campagna che si sveglia all'alba e che lascia ai cani e alla natura il controllo della notte. Rientro. Sono in orario. Mi racconto la serata sulle pagine del diario e ti dò un nome, come faccio con gli sconosciuti da un po'. Come ho fatto con lui, che però aveva un nome più importante nella mia fantasia e un ruolo ben più grande nella mia vita. Tu eri solo Metal Boy, un piccolo dettaglio, un'etichetta.
La magia è tornata, più in là. Niente di che rispetto alla prima sera.
Poco a poco ha cominciato a dissolversi nelle serate d'autunno e d'inverno. Nelle giornate passate a far niente o a far sesso. Non brillavi tu e non brillavano nemmeno i tuoi occhi. Eri in ginocchio nelle sabbie mobili e non volevi uscirne. Volevi solo che tutti guardassero mentre affondavi.
Mentre sbagliavi una cosa dietro l'altra, mentre buttavi al vento qualsiasi occasione di essere migliore.
Non ti ho mai accettato per quello che eri, lo devo ammettere. Mi hai stupita per un po', poi qualsiasi cosa è diventata più interessante di te. Non c'era magia. L'avevo creata io.
Tu distribuivi colpe a destra e manca, vittima di persecutori abituali ed occasionali. Nemmeno il coraggio di ammettere quello che eri e quello che volevi diventare.
Così prevedibile, così disperato, così stupido nelle tue giustificazioni. Nemmeno trovarti con le mani di mia sorella nelle mutande mi ha stupita. Era così maledettamente da te...
Saresti rimasto a strisciare in eterno, se io l'avessi voluto, per sedare i tuoi sensi di colpa. Invece no, non ce l'ho fatta anche se avrei voluto e potuto farlo.
Volevo la magia, quel pizzico di magia che ci vuole quando due persone si guardano negli occhi. Quella che non si può ricreare una volta che è svanita. Polvere d'oro talmente sottile da volare via in un soffio. Volevo di più.
E nel colmo della tua prevedibilità, sei tornato strisciando a mostrarmi cosa restava di te. Sei tornato a farmi vedere come io ti avevo distrutto, come la mia mancanza ti aveva reso un relitto, un povero giovane ragazzo con le vene bucate. Questa non era magia e non l'avevo creata io.

Nessun commento: