19.11.07

Clara e l'estenuante esperienza ripetitiva

Il mondo di Clara stava cambiandole intorno.
Dall'estate dei suoi 18 anni ogni sua certezza sembrava aver cominciato a diventare altro. Perdeva colpi. Non che non riuscisse più a fare le sue solite cose. Solo che quelle stesse cose non erano più le stesse...
Una volta aveva subito il fascino del palcoscenico. Il modo in cui tutto lì sopra sembrava possibile e bello. Tutto era leggero, divertente, emozionante. Una fiaba, un sogno. Certo, lavorare lì sopra era difficile, comportava grandi sacrifici, ore di studio, concentrazione, sudore. Ogni giorno lei entrava alle 10 del mattino per la sua prima lezione giornaliera e se andava bene usciva alle 18. Non voleva cambiare vita, ma la vita stava cambiando.
Il fascino del palcoscenico era enorme quando lo spettacolo era un evento unico, semmai ripetuto di quando in quando. Quell'anno, Clara cominciò a sperimentare le repliche.
Quello che era stato il loro spettacolo di Natale (perchè un solo saggio all'anno non era sufficiente) diventò una esibizione settimanale.
Il teatrino era un piccolo spazio da oratorio, un posto che le scuole affittavano a buon prezzo e con almeno una sana struttura funzionante. Il buon vecchio Teatro Alfieri era forse troppo caro e troppo spesso occupato da spettacoli più importanti. Il Teatro Nuovo, dove Clara era riuscita a ballare per ben 4 serate in tutta la sua vita, era ancora più impegnativo.
La direttrice della scuola aveva allora optato per quella soluzione, non solo per lo spettacolo di Natale, ma anche per promuovere il balletto come forma godibile di spettacolo. Sicuramente il balletto non era lo spettacolo preferito dai giovani (che ovviamente andavano altrove a trascorrere le loro serate) e nemmeno dagli adulti, se non pochi appassionati del genere.
Tentar non nuoce...
Clara e le sue degne compari si trovarono quindi a ripetere la loro performance diverse volte nello stesso teatro. Una sorta di incubo in cui dovevano arrivare coi borsoni pieni di costumi, in autobus, farsi un bel pezzo a piedi, salire al primo piano per cambiarsi e sistemare le cose, truccarsi al volo con un unico specchio minuscolo e scendere le scale verso il palcoscenico, piccolo e polveroso. Ma non solo.
Dopo la prima volta il pubblico diminuiva sempre più ad ogni replica che si faceva. Essendo il biglietto economico, ma pur sempre un biglietto, le persone che anche avrebbero rivisto il balletto non tornavano più di una volta, eccetto le mamme delle ragazze che come Clara vivevano fuori Torino. Quindi all'ennesima replica il teatro era quasi vuoto.
Non solo per Clara questo era deprimente. L'abitudine di sbirciare da dietro il sipario chiuso per contare il pubblico era diventato lentamente un gioco al massacro, più si andava avanti più si aprivano le scommesse sul numero esatto di poveri fessi che avrebbero assistito. Dieci, sette, cinque...
Esattamente cinque era il numero di posti a sedere occupati l'ultima volta che ballarono.
Dopo le lezioni della giornata, Clara era partita in fretta e furia con Sara ed Alberta, con Marta, Donata, Gabriella, Azzurra e Nadia, tutte munite di borsa pesantissima. Tutte sull'autobus, tutte al bar a comprarsi un panino per la cena, tutte a piedi fino al teatro, ridendo.
Si, ridevano già, pur senza sapere di che morte dovevano morire. Ridevano su per le scale, nel camerino, nel bagno, cercando di smettere almeno per truccarsi senza sbavare.
I loro costumi poveri, le scarpette da mezza punta consumate. I capelli cotonati, la lacca, il fondotinta, fard, rossetto, ombretto, eye liner perfetto.
Le ascelle depilate anche senz'acqua, con la lametta usa e getta blu. Poco prima di controllare lo stato della platea. Mentre i loro insegnanti si accomodavano in galleria passando da un'ingresso del personale, direttamente dal piano del camerino.
Fu allora che Alberta, in un costume rosso fuoco, con le labbra luccicanti di rossetto e i grandi occhi pesantemente truccati, arrivò col responso... Cinque.
Cinque, di cui due erano genitori che subivano l'ennesimo scherzo. Mamma di Clara compresa.
Cinque...
L'epidemia di ridarola colpì dalla prima all'ultima ballerina. Durante tutto lo spettacolo non ci fu una sola di loro che mantenne un minimo contegno. Sara, addirittura, raccontava barzellette in scena, sussurrandole mentre era di spalle al pubblico e girandosi col sorriso enorme e stereotipato quando doveva farlo. Niente al mondo sembrava più assurdo di quello che stavano facendo in quel momento. Non avevano nemmeno più un aspetto umano, erano tutte simili a marionette. Danzavano col sorriso di plastica, sognando di essere altrove.
Persino Nadia, che di solito era una presenza decisamente professionale, almeno in scena, rideva sotto i baffi. Magari non apertamente come le più giovani, ma lo faceva anche lei.
Tutto ciò comportò un cazziatone di quelli fenomenali alla fine del balletto. Giulio era furibondo. Lui, che aveva sperato che le sue allieve facessero il loro sporco lavoro senza cedere, aveva visto deluse le sue aspettative. Per quei tre poveri spettatori che spettacolo era stato?
Dopo quella sera ci fu forse un'altra replica, poi l'assurdo tentativo cadde nel dimenticatoio. Non si promuoveva più il balletto...
Clara rimase segnata anche da quella esperienza. Lei che aveva amato il teatro ed il palcoscenico con tutto l'entusiasmo che un giovane cuore può provare, ora vedeva un futuro pieno di repliche in teatri vuoti. Non che fosse una prospettiva realistica, nessuna compagnia teatrale lavora con solo cinque persone in sala. Gli spettacoli chiudono prima di arrivare a questo punto.
Però lei era una giovane emotiva e pessimista. Sognava la gloria, non certo un teatro da oratorio vuoto. Sperava che dopo tutti gli sforzi fatti, almeno l'umiliazione di far rivedere cento volte a sua madre uno spettacolo che non voleva rivedere le sarebbe stata evitata. Sperava in un qualcosa di più, qualcosa che, ad esempio, trovava in discoteca ogni volta che si esibiva. Il pubblico c'era, almeno, anche se raramente capiva qualcosa di ballo.
Clara era assetata di applausi, cominciava a capire che non era l'amore per l'arte che la spingeva a far lezione ogni giorno. No, lei voleva qualcos'altro e non riusciva a perdonarsi per quel desiderio. Era troppo diverso da quello che si era detta fino ad allora.
Scoprirsi diversa dal suo ideale per l'ennesima volta faceva sgretolare i sogni ancora più in fretta.

Da ascoltare: "Tell me where it hurts" dei Garbage

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