19.11.07

Mad World

"Ora qui è tutto tranquillo. Ed è bello. Mi sembra di respirare meglio. Buffo. Mi manchi. Mi manca parlare con te delle nostre cose. Fin dal nostro primo incontro ci sei stata tu, solo tu. Non ne abbiamo mai parlato, ma so che lo sai, che lo ricordi. Eravamo in tram, sul 13, e andavamo verso Piazza Vittorio. No, andavamo a Palazzo Nuovo, all'università. Ma non insieme. Tu avevi gli auricolari e stavi ascoltando musica, in piedi in fondo al tram. Guardavi in giro senza grande attenzione. Avevi addosso una giacca nera ed una maglietta viola, i capelli castani sciolti al vento del finestrino. Era un pomeriggio ed io ero con un amico. Ti ho chiesto cosa stavi ascoltando e tu, invece di rispondere, mi hai passato un auricolare ed hai lasciato che lo scoprissi da solo. La mia musica preferita, blues. Ma ti ho salutata, non sapevo che dirti. Il tuo sguardo ed il mezzo sorriso non mi davano spazio e allo stesso tempo non avevo le parole, non più. Non ti ho dimenticata.
Poi ci siamo rivisti ed è cominciato tutto. Quanto era facile parlare con te. Difficile, invece, sentirmi alla tua altezza. Volevo renderti felice, ma per quanto io ci provassi non c'era modo. Tu avevi sempre ragione ed io non avevo la forza di discutere. Ero stanco. Non avevo più la forza di fare niente. Ero troppo preso dalla mia angoscia. Non trovavo il mio posto, non riuscivo a sentirmi amato. Non facevo mai la cosa giusta ed era l'unica cosa che volevo fare.
Passavo il tempo a cambiare vita. Volevo azzeccarne una. Essere accettato per quello che ero, con le bizzarre manie di mio padre e la presenza assordante di mia madre. Il loro modo di farmi sentire inappropriato, sempre meno capace degli altri a vivere in modo corretto. Utile.
Ho sentito che eravamo simili. Tu mi capivi e mi amavi, a modo tuo. Forse non era quello che cercavo, ma per me, comunque, c'eri solo tu. Cercavi di consigliarmi su cosa fare, volevi che mi ribellassi, che liberassi me stesso dai lacci con cui mi ero legato. Sempre a dire di si, anche a te. Ma restando immobile nel mio dolore e nella mia incapacità di accettare questo mondo, questa vita, tutto questo dolore.
Questo dolore ci ha legati più di ogni altra cosa. Più della musica che facevamo insieme, più del tempo che ci dedicavamo, più delle tue poesie che leggevamo sul divano di camera tua. Con te ero libero di sognare e questo è il dono che mi hai fatto.
Poi c'era la realtà. Non so come facessi tu ad accettare di dividere in due parti la tua mente. Una con cui sognare ed una con cui osservare il mondo in modo critico, cinico, disilluso. Non sono mai riuscito a farlo. Io non riuscivo ad accettare tutto questo. Ho frainteso le tue teorie, lo ammetto. Forse ero solo stanco ed ho voluto darti un po' di colpa per come stavo. Perchè non mi amavi quanto desideravo ed allo stesso tempo non riuscivi a lasciarmi andare, perchè mi amavi più di quanto credevo. Io volevo che tu fossi felice. Ho fatto di tutto perchè almeno tu ci provassi. Io non avevo speranza. Scivolavo.
Soffocavo, se mi permetti l'ironia.
Scusami, ero arrabbiato. Con te, con i miei, con la vita... Che sto dicendo? Ero arrabbiato con me stesso, molto più di quanto hai immaginato. Perchè non mi sono più fermato. Scusami. Ho preso la mia decisione pur sapendo che avrei fatto male non solo a te. Mi sono liberato dalle mie catene. Qui, adesso, tutto è tranquillo. Il sole splende e me ne sto seduto in macchina a guardare la vita che va avanti. A guardare il mondo che impazzisce, che si frantuma. La spazzatura che si accumula, la gente confusa. Forse anche più di me. Non ho più bisogno di essere perfetto. Ora sono libero."

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