2.11.14

No-vembre e nebbia

Negli ultimi tempi ho seguito meno il blog, ho quasi smesso di leggere, scrivo poco, non ascolto musica se non alla radio (ma poco convinta), non dipingo e non disegno con soddisfazione.
Sono come congelata in un certo senso. Tanto quanto sono invece "aperta" a quello che sta cambiando. Forse tutte le attività che ho sospeso in qualche modo mi potrebbero sovraccaricare, non so. Mi capita anche più spesso di lasciare che le cose capitino e basta. Come e quando devono. Niente progetti, niente programmi.
Sto imparando a lasciarmi andare. Non è semplice. A volte fa male, tanto fa paura.
A volte è liberatorio al limite di una felicità che non avevo mai provato.
Non so chi sto diventando. Forse semplicemente me stessa.
Oggi sono quattro anni che ho salutato mia mamma. Da allora non sono la stessa persona. Non per una facile e retorica questione di lutto in sospeso. No, quello è andato e sarebbe assurdo dire che soffro per la sua mancanza. Mi mancano le piccole cose quotidiane, ancora, ché è difficile perdere le abitudini. Ma l'equilibrio di oggi allora non c'era. E quello che c'è ora è possibile anche perché non ho più bisogno di preoccuparmi per lei. Smettere di farle da mamma.
Non so perché ho smesso di ascoltare musica, fino a due anni fa avevo sempre le cuffie nelle orecchie e non restavo senza le mie canzoni preferite nemmeno un attimo. Non so perché ho smesso di guardare quasi tutti i telefilm che guardavo. Non so perché ho smesso di leggere, o meglio so che l'esperienza con "Cloud Atlas" è estenuante e che quando sbaglio una lettura e mi obbligo a proseguire finisce che mi blocco.
Non so perché scrivo e dipingo poco. Vorrei fosse solo il tempo che mi manca, invece so che è attesa.
Solo attesa. Non un blocco dello scrittore, perché comunque qui e lì produco. Un articolo, un pezzo di racconto, una correzione... Ma non finisco un romanzo nemmeno a pagare e dire che i lavori che sono lì lì pronti solo per l'ultimo sforzo ci sono eccome. Non solo il fantahorror, ma un altro che pare piacere altrettanto. Credo sia attesa, solo quella. Perché se finissi ora poi non mi piacerebbe, mi sveglierei domani pensando di aver scritto una ciofeca.
Intanto il Premio Marcelli è passato, al Torneo non ci sono e non ci sarò più, ho un racconto che vaga in Feltrinelli, uno da finire di sistemare e devo capire se riuscirò a scrivere anche per la nuova rivista del mio ultimo editore...
Mi piace quello che sto diventando, nonostante la fatica. Mi piace vedermi il sorriso in faccia, e gli occhi luminosi. Mi piace avere voglia di alzarmi al mattino. Mi piace pensare che ce la farò.
Che le soddisfazioni piccole piccole cresceranno e che saprò che sono mie. Esclusivamente mie. Guadagnate una a una. Restando quello che sono minuto per minuto. O quel che sarò.
Per ora sono in una specie di pausa, come un letargo prima di una potente primavera. Mi accoccolo nelle foglie e mi godo la maturazione. Quello che dovevo seminare in parte l'ho seminato, ora vediamo cosa ne viene fuori. Il significato della festa appena passata, forte, mi pulsa tutto attorno.
Chissà se arriva prima il dolcetto o lo scherzetto?

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