26.8.10

Nel cuore

Sedendosi al tavolo lo vide: lui era accucciato a terra e lavava il pavimento del ristorante immergendo le mani in un secchio il cui contenuto aveva un colore discutibile. Lo straccio che teneva in mano era consumato dall’uso continuo e prolungato che la pulizia in quel luogo richiedeva.
Aveva piovuto da poco e, sebbene in strada il terreno fosse già asciutto, la terra portata all’interno del minuscolo ristorante dai clienti in cerca di un buon pasto a poco prezzo era molta. Sotto ai quattro tavoli le piastrelle un tempo verdi avevano perso il colore per lo strascicare quotidiano di sedie e piedi coperti da scarpe fangose. Lungo il restante corridoio che portava dalla cassa alla cucina brillavano quasi. Il ventilatore non bastava a rinfrescare l’ambiente, così il ragazzo aveva la camicia bagnata di sudore. Un cerotto copriva il pollice destro e il suo colore quasi spariva nell’acqua del secchio. Il colore del tè al latte.
Anche se non l’aveva vista arrivare, il ragazzo sapeva che c’era. Seduta proprio dietro di lui, alla sua destra. Non era la prima volta che si vedevano. Erano due giorni che lei andava a fare colazione (sebbene fosse più l’ora di pranzo) nel posto dove lui lavorava. Lei lo aveva già notato. Il ragazzo con i pantaloni grigi e impataccati, strappati dietro a entrambi i talloni per il continuo strascicare a terra tra il pavimento e le ciabatte di pelle scura. Lui voltò la testa. I suoi capelli lisci e castani erano puliti e la testa sovrastava di poco l’altezza del tavolo. Accucciato così e curvo sul pavimento, il ragazzo le sorrise. Un sorriso dolce, “cerbiattesco”, con i denti bianchi che spiccavano sul volto color cioccolata. Cioccolato al latte, non fondente. Lo stesso colore dei capelli e degli occhi. Lei ricambiò il sorriso. Probabilmente non avrebbe dovuto farlo, viste le normali convenzioni del luogo. Una donna non poteva fissare lo sguardo in quello di un uomo senza passare per una facile. Ma lei non riusciva a non guardarlo. Lui forse lo sapeva.
Continuava a passare lo straccio sul pavimento, anche se ormai il più era fatto. Dopo il primo sorriso da parte di lei si voltò a lavorare per qualche momento, poi girò di nuovo la testa e le sorrise ancora. Si spostò indietro e finì di lavare il pavimento. A vederlo così le si stringeva il cuore.
Lui poteva avere dai diciassette ai vent’anni, il viso ancora abbastanza liscio e morbido, non rovinato da rasature costanti. Era alto, per essere della zona. E magro. I fianchi stretti e le spalle più ampie, ma proporzionate, mani lunghe con dita dritte e unghie corte. La bellezza del suo viso era sicuramente dovuta anche alla dolcezza dei suoi occhi. Gli zigomi alti, le guance scavate e le labbra ben disegnate, piene al punto giusto. Il suo naso aveva un che di aquilino, ma era dritto e le narici non si allargavano di molto. La frangia un po’ più lunga del resto dei capelli era leggermente più chiara. Colpa dell’ossigeno o di una colorazione religiosa per la festa di Shiva.
Finito di lavare il locale, il ragazzo andò a svuotare il secchio in strada e ripassò da lì, andando in cucina. Non si girò più. Ma lei ebbe l’impressione che da dietro la tenda della cucina, che tutti i ragazzi del personale usavano per asciugarsi le mani, ancora la osservasse. Come poco dopo, quando lui si sistemò a parlare con un collega sedendosi al tavolo di fronte a lei.
Quando si alzò per andare via, lui era sparito. L’immagine di quei sorrisi, però, le era rimasta nel cuore.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ma...trattasi dell'indianino?
:)
gmai

PaolaClara ha detto...

Il mio bambino... L'avrei portato a casa. Ma in valigia non ci stava, acci!