19.2.08

Tritì, tritost, tut tritè...

Mangiare in India può essere complicato.
Mamma mi aveva detto di alcune disavventure nei suoi viaggi precedenti. Soprattutto bisognava fare attenzione ad acqua, ghiaccio, frutta e verdura crude, come in ogni viaggio che si rispetti nei paesi orientali. Anche in hotel.
Una volta, mamma aveva mangiato un buonissimo pollo in salsa di ananas. Con molta salsa di ananas, tanto che si vedeva a stento il pollo. Mangia tu che mangio io, una volta giunta all'osso lo aveva trovato color verde palude. Forse un po' marcio. Oramai l'aveva mangiato, quindi non le era rimasto che incrociare le dita e sperare in bene.
Io, che a 10 anni non mangiavo quasi nulla che non sembrasse pasta al pesto o cotoletta impanata con patate fritte, ero già terrorizzata prima di arrivare.
Il tè, almeno quello, era sempre buono. Quasi sempre era accompagnato da fette di pane tostato e marmellate di vario genere. Quindi, per la colazione, io ero a posto.
Fin dal primo giorno, l'arduo compito di ordinare la colazione spettava a Gianni. Lui, col suo inglese piemontesizzato, riusciva sempre a farci ridere e tutto sommato anche i poveri camerieri non facevano fatica a comprendere cosa stesse dicendo quel buffo soggetto.
Quando eravamo fuori dall'hotel, io bevevo Limca (una limonata dolcissima, di un bianco impressionante), rigorosamente con la cannuccia appena scartata e facendo attenzione a non toccare la parte di bottiglietta da cui avevano tolto il tappo. Generalmente era ricoperto da ruggine o simili, misto sporco. Quindi...
Pranzare all'hotel Imperial, nel dehor, era complicato dai corvi. Che sembravano tacchini. Li si vedeva sostare lungo tutto il tetto in attesa di un buon colpo. Enormi, neri e aggressivi, non si facevano scrupoli a portare via dal piatto le intere porzioni di cibo ai turisti distratti da altre cose. Partivano in picchiata e a nulla servivano i gazebo che coprivano i tavoli. Per fortuna non capitava ogni due minuti, però era una delle opzioni-pranzo.
All'epoca adoravo il pane, il naan. E anche il chapati (sempre pane ma non lievitato e fatto con metà farina integrale), che mi serviva anche per la mia passione di storpiare i nomi. Lo piemontesizzavo in ciapa tì, come a dire prendi tu...
Mamma assaggiava un po' tutto prima di farmelo provare, ed io rifiutavo quasi ogni cosa. In più, il piccante non mi piaceva per niente. Sempre più difficile, signore e signori...
Nei posti in cui esisteva una cucina internazionale, le storpiature e i disgusti erano assicurati. Come è ovvio, viaggiando conviene adattarsi alla cucina locale. Difficile farlo a 10 anni...
Tutto sommato riuscivo a nutrirmi. Un po' con l'aiuto dei viveri portati da mamma, un po' per il valido aiuto di Shomir. Lui, il rappresentante di mamma in India, era un giovane italoindiano di Delhi. Tranquillo, pacioso, molto indiano, aveva una mamma italiana che ogni volta si faceva portare spaghetti, olio, parmigiano... insomma, come ogni emigrato italiano che si rispetti.
Lui conosceva i posti giusti e mi era anche molto simpatico, quindi riusciva a farmi mangiare anche quando non ero troppo convinta.
Insomma, devo anche a lui se i primi giorni sono sopravvissuta al cambio di cucina.
Shomir ci avrebbe accompagnati per tutto il viaggio perchè, anche se c'eravamo tutti quanti, quello era pur sempre un viaggio di lavoro...

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