31.10.13

Sono la luna e mi osservo

Quassù non è mai buio.
Lascio aperte le serrande per guardare il cielo e le cime degli alberi che seguono il vento. Non le ho mai chiuse, in effetti.
Sono seduta davanti alla finestra, sulla poltrona che un tempo era sua, rivestita di velluto verde sottobosco. Lo sento formicolare sotto di me, attraverso gli abiti. Non è ancora così freddo, in fondo.
Poi, ecco. Passi leggeri su per la scala interna, in legno di noce. Sta arrivando.
Chiudo gli occhi, perché ogni volta temo di spaventarmi a trovarmela davanti, impalpabile ma ben visibile. La sento entrare attraverso la porta, camminare sul parquet tirato a lucido fino a dove sono io. Una pausa, sembra scomparsa, poi la sua mano si poggia sulla mia, sul bracciolo.
"Ciao nonna". Le dico.
"Ciao bambina mia". Risponde in un sussurro.
Sorrido e apro piano gli occhi, ora posso vederla. So che è tranquilla, nonostante ciò che sto per fare. Lo sa.
"Sei sicura di volerlo fare?" Mi chiede subito dopo.
"Devo".
"E non hai paura?"
La paura. Quella mi accompagna da quando ho iniziato, ben consapevole delle forze con cui avrei interagito. Eppure, con paura e rispetto, ho fatto quello che dovevo ogni volta. Senza tirarmi indietro. Come fosse la mia missione. Ma non lo è mai stata fino a questa notte.
Le faccio cenno di sì, e lei sorride. Sottile, scavata, con i lunghi capelli neri raccolti in una corona intrecciata di gelsomini, avvolta in una tunica chiara come ogni volta che è venuta a trovarmi.
"Ti accompagno". Mi dice.
Ci alziamo. Le gambe mi tremano un po' a causa del digiuno quasi completo che ho dovuto osservare. Erbe, dei cereali e un frutto. Mi precede, la nonna, volando quasi sugli scalini e voltandosi a guardarmi ogni tanto.
L'aria, fuori, è fresca. Cammino scalza sull'erba mentre lo spettacolo di una nitidissima luna piena mi si presenta in tutta la sua bellezza. Sento l'aria frusciare tra i rami e l'odore della terra smossa di fresco.
Tutto, nel giardino, è pronto per questa notte.
L'altare in pietra rossa scintilla della luce delle candele. Il libro è già aperto alla pagina giusta, perché come ogni volta mi sono preparata al compito per tutto il giorno. Una massa biancastra giace lì accanto.
Il feticcio in cera porta i suoi segreti inglobati sotto la superficie, fibre e materiale di cui non avrei dovuto entrare in possesso. Polvere rossa di sangue essiccato nella ciotola di cristallo, il bicchiere con i sacri simboli, un pugnale con la lama d'argento. E pietre e luci di nove candele bianche.
La nonna attraversa il mio altare, tagliandolo con la figura.
Respiro e entro nel cerchio. Leggo le parole che ho studiato tutto il giorno, compio un rituale nuovo e antico.
Le fiamme si alzano, la luce aumenta, la voce forte e le mani sicure. Non sono nel mio corpo, non del tutto.
Sono la luna e mi osservo.
Le mani lunghe che disegnano forme, lasciando scie visibili e chiare. La musica delle parole che escono dalle mie labbra, gli occhi bianchi della devozione.
Accade. Come ogni volta, la cera prende vita. Trasuda, lucida, e vibra. Il momento è arrivato.
Scintilla tra le fiamme la lama, la cera si fonde, si apre sul petto. La forma è più umana di prima, la bolla che ha per bocca si rompe e grida in silenzio. Capelli si muovono, il feticcio vive tra le mani.
E sangue, da secco a liquido, ribolle nel fresco della notte.
Il piccolo cuore che estraggo sta pulsando. Intriso di quella stessa polvere, ora sanguina. Scivola tra le dita e colora di terrore le mani. Lo alzo, lo mostro alla luna e lo guardo.
Il piccolo cuore vive. Come fosse mio, e potrebbe esserlo. Lo brucio con l'incenso di cumino, melograno, biancospino e oleandro. Ne schiaccio i resti, raccolgo la polvere e la mischio al sangue.
La lama fende il mio palmo, ma non sento dolore mentre lascio fluire dal corpo la parte di me che nutrirà l'incantesimo.
Sangue e polvere. Luce e vento immobile.
Bevo parte del contenuto del calice e il resto torna alla cera.
Torna altrove a restituire vita e anima. Torna a portare ciò che era sparito.
Ancora le fiamme si alzano, rosse da luce bianca. Le ginocchia mi si piegano mentre concludo. Piegata, genuflessa al mio altare, alzo gli occhi per fissarli in quelli della nonna. Ancora, lei sorride.
Sono stata brava.
Il feticcio scomparirà prima che la luna si perda nel giorno, la cera delle candele bianche diventerà rossa e io dovrò stare a letto qualche giorno.
So che la persona cui ho rivolto l'incantesimo mi ha vista, come un sogno o un miraggio. Ma mi dimenticherà, come spesso si dimentica ciò che è stato bello e chi ci ha sorretti. La mente umana preferisce ricordare il dolore. Mi dimenticherà e vivrà ugualmente.
Alzando gli occhi in una notte di luna piena e sentendo che in qualche modo, essa lo osserva.
Con me.
La nonna, poco dopo, se ne andrà. Non le è concesso altro tempo. Potrebbe dirmi cose che non devo sapere e promettermi che un giorno non sarà più un feticcio a dividere con me queste notti. Potrebbe insegnarmi a restare. Perché io, davvero, non lo so fare...


Buon Halloween!
Immagini create su Bitstrips.com

2 commenti:

easy runner ha detto...

Affascinante racconto, non c'è che dire.
Si percepisce che possiedi i numeri per inchiodare il lettore alla poltrona.
Solo, al tuo posto mi guarderei bene dal sedermi su quella rivestita di velluto verde sottobosco.
Quel formicolio mi mette una grande agitazione, che si traduce in gesti antichi di scaramanzia.

Un abbraccio easy

PaolaClara ha detto...

Era la poltrona di mio nonno, quella verde. E in giardino, un altare di roccia, al tempo l'avevano (loro).
Si sa che sono strega, io...