11.9.12

Narciso, o la causa dell'amore

Mi chiamava Paul, come fossi un maschio. Non avevamo niente in comune, apparentemente.
Ma ha letto le mie poesie, tutte. Ha ascoltato la mia storia e s'è innamorato di me. Follemente, come mai gli era capitato. Un sentimento forte, difficile da comprendere e da dominare.
Una questione di viscere che si contorcono, di budella.
Ma non avevamo in comune abbastanza, o forse troppo.
Lui aveva visto il mio dolore e di quello si era innamorato. Della donna che aveva sofferto, che ispirava tenerezza, affetto. Aveva visto solo quello e l'aveva riconosciuto come se si fosse specchiato.
E siccome io ero una versione migliore di lui di quella sofferenza ha pensato di amarmi. No, mi ha amata. Senza vedere tutto il resto di me, solo avendo riconosciuto in me i suoi stessi dolori.
Non è la prima volta che mi capita di notarlo.
Come se ci innamorassimo di quella parte di noi stessi che vediamo riflessa nell'altro. Colpiti da quel fulmine che già colpisce il nostro cuore da sempre. Il nostro dolore, il nostro modo di sentire, di amare, di desiderare di essere amati. Ecco, e se ci innamorassimo veramente di noi, in fondo, non correremmo il rischio di affogare cercando nell'altro noi stessi?



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