29.5.14

Emergo,balena, per poi sommergermi di nuovo

Sono rare le volte in cui mi occupo del mondo. Non è che non mi interessi, ma ho le mie idee e non mi importa di discuterle (non che io non sia in grado di argomentare, ma trovo noioso parlarne, di alcune in particolare) o di farle prevalere su quelle di altri, con cui potrei parlare di mille altre cose.
Non ho fiducia nell'uomo. In generale, intendo. Non ci si può aspettare nulla di buono dagli uomini. Credo sia vero quello che narrano le leggende buddiste: l'uomo è figlio di una scimmia e di un demone. E il meno peggio è l'animale.
Se i Maya ci avessero azzeccato io non sarei stata scontenta. Un botto e via, tutti morti. Spazio a qualcosa di meglio. Che ci va poco.
Quello che vorrei per il mondo è e resterà sempre un'utopia. Nulla è realizzabile.
Non è questione di religioni, di governi o di progresso scientifico.
Il benessere che intendo io non è cosa per umani. Siamo troppo poco evoluti proprio dal punto di vista umano. Che è quello che servirebbe per diventare una società civile.
Non è questione di cose giuste o sbagliate, di idee non condivise o abbracciate, di briglie corte per domare una massa di egoici. Quello che auspicherei è l'assenza di briglie. La capacità di scegliere liberamente senza ferire, danneggiare, o comunque farlo il meno possibile.
Non credo negli uomini e nelle promesse urlate, o sussurrate, o scritte. Non credo nei sorrisi e nemmeno nelle lacrime facili. Non credo nelle parole manipolate ad arte e il cui significato viene stravolto. Troppo facile mentire e mostrare immagini artefatte. La propria o quella di un mondo.
So che nella natura umana, come in quella animale il più forte se la prenderà sempre col più debole e che ci sarà sempre qualcuno che dall'alto osserverà la gente comune che si ammazza per un tozzo di pane.
So che ci aspettano tempi duri, alla faccia delle promesse e dei sorrisi. Perché non siamo pronti a fare il bene di tutti, non siamo forti abbastanza per toglierci di bocca qualcosa e donarlo ad altri. Non siamo stati educati a farlo. Anzi. Siamo cresciuti col mito del vincente. Del furbo e del ricco e potente. Di quello che ce la fa.
E ci ha rovinati. Quello e questa stupida paura della morte e della malattia.
Della vita. Della natura. Del mondo.
E abbiamo creato un mondo che fa paura. E che non mi piace e di cui non amo parlare.
Ora che ho gettato il mio sbuffo, annoiato e in attesa del peggio, riprendo aria e mi immergo altrove. Dove amo stare, dove ci sono mostri finti e dove se voglio posso inventarmi un lieto fine, o riscrivere più volte le scene per renderle migliori.

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