13.3.16

Delitto e castigo

Ogni venerdì sera vado a meditare.
Il mio maestro, monaco tibetano dal passato "spaziale", ha sempre dei punti di vista particolari rispetto alle cose della vita.

Capita così che metta in dubbio luoghi comuni tipo il fatto che viviamo in un'epoca all'insegna dell'egocentrismo, dicendo che in realtà siamo talmente pieni di modelli inarrivabili da essere frustrati e insicuri - e forse per questo anche incazzati - motivo per cui ci sforziamo come pazzi per raggiungere quei modelli senza sviluppare un proprio ego da mettere al centro del mondo. Ed è un concetto interessante, perché poi di modelli irraggiungibili ce ne sono tanti e per ogni tipo di insicurezza: dal fisico al successo, dal denaro al potere, da ciò che sappiamo o non sappiamo gestire con facilità.
Sono catene, queste, che ci imbrigliano in un gioco in cui siamo vittime di chi ci passa quei modelli, di chi ci vuole concentrati sul nuovo cellulare o sull'auto di lusso, su quello che dobbiamo acquistare e sfoggiare per sembrare adeguati. Il senso di inadeguatezza di una "civiltà" intera, che ha perso di vista le cose importanti della vita e che si lascia guidare da chi vuole vendere un prodotto piuttosto che un altro, senza pensare a formarsi, a informarsi - basti vedere quante notizie fasulle vengono condivise e prese per vere sui social, senza nemmeno controllare - o comprendere. Chi siamo noi, chi sono gli altri, quanta - poca - differenza c'è tra loro e noi. Quali sono le cose davvero importanti. E quanto ci pesano certe catene, anche se non ci rendiamo conto di indossarle.

Come il senso di colpa.

Qualche tempo fa, in una delle sue lezioni, il maestro ha parlato del senso di colpa delle donne che hanno subito un abuso. Che è tanto, alimentato da una diffusa misoginia che non è solo maschile ma inaspettatamente femminile, strisciante e subdola. Quel "se l'è cercata", sussurrato o affermato senza pensare, quell'affermare che in qualche modo una donna seria non può essere vittima di certe cose.
Ma non è solo quello, affermava. Può succedere, dice, che in quel momento la vittima - l'abuso non è sempre sinonimo di violenza fisica, avviene anche senza botte e minacce, avviene con l'inganno o con la superiorità di chi lo compie - che la vittima provi piacere, tradita dal suo corpo. Che non sempre segue la mente, e lo sappiamo bene. Certe volte non ascoltiamo il nostro corpo, altre volte è lui che non cede il controllo alla mente. Quindi posso supporre che possa accadere che in un momento di sesso non consenziente il corpo vada per i fatti suoi. E che la mente, rendendosene conto, non possa che provare la sensazione di essere ancora più colpevole.
A me non è successo, la mia mente ha spento tutto e mi ha portata via da lì. Se dovessi descrivere le sensazioni fisiche non saprei da che parte iniziare. Non ho sentito niente, come anestetizzata. Però so che spesso il corpo e la mente non comunicano così bene e che molti dei problemi a livello mentale hanno un riflesso sul corpo in modo inconsapevole.

Si può godere di un uomo che non si desidera? Sì. Il corpo può reagire allo stimolo senza che la mente lo blocchi. Succede, ed è una cosa bruttissima anche se non c'è abuso.
Spiacevole tanto da farti sentire in colpa comunque. Figuriamoci se succede non solo con un uomo che non desideri, ma con una persona che sta esercitando un suo potere su di te. Sapere che c'è questa distanza tra i sensi e l'amore, che c'è tra il corpo e la mente. Che c'è un abisso tra il desiderio e il puro sentire fisico. Che non solo quello che stiamo facendo non lo vogliamo, ma siamo tradite anche dal nostro stesso corpo, vittime due, tre volte. Quattro, se calcoliamo che il senso di colpa ci seguirà a lungo, che ne siamo consapevoli o meno.
Come se quel delitto l'avessimo compiuto in parte noi, il castigo del senso di colpa si farà sentire.

E mi chiedo, quindi, se la consapevolezza sia una meta raggiungibile. Se siamo così facilmente influenzabili, se non sappiamo chi siamo e cosa vogliamo, se certe volte non siamo in grado di capire il nostro corpo, di ascoltarlo. Se percepiamo il "tradimento" dei sensi come una nostra debolezza, tale da farci sentire colpe che non abbiamo. Se siamo davvero poco più che semplici animali, o come dice la tradizione buddista l'incrocio tra un demone e una scimmia...

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