27.8.15

La grazia delle parole.

Un aspirante e giovane scrittore domanda ai suoi "colleghi" se trovano più disturbante scrivere di un omicidio - in modo dettagliato e crudo - o di uno stupro e ne esce una discussione fiume che continua tra un insulto e un altro.
Da una parte è normale, non mi aspetto mai molto di diverso dagli scrittori. Siamo bestie strane. Non so se si tratta di insicurezza o di presunzione - spesso una maschera l'altra, come la falsa modestia di cui ogni tanto pecco pure io - ma la continua richiesta di conferme per poi non accettare le critiche è la cosa che più mi disturba nell'atteggiamento generale.

Veniamo al caso in questione. A parte il fatto che il giovane autore si chiedeva se lo scrivere di queste azioni orribili facesse automaticamente considerare lo scrittore come un serial killer o uno stupratore abituale, cosa che non dovrebbe nemmeno sfiorare la sua mente creativa. A parte alcuni commenti scritti in un italiano molto più creativo del pensabile -o forse abbastanza lontano dall'italiano che conosco e che mi hanno insegnato scuola e libri - compresa la posizione delle virgole, la quantità di puntini di sospensione e k sparse ad minchiam. A parte la mia personale idea sulla domanda che andrò a esporre tra poco, ecco che compare immancabile un altro autore con il suo esempio, postato come commento. Da qui la rivoluzione. Fine del post costruttivo su cosa è lecito, bello, morale scrivere quando si vuole raccontare qualcosa.

Qualche tempo fa, partecipando a un contest di cazzeggio di mini racconti con tema "Lettera da..." ho scritto questo brano:
[una lettera dall'] Inferno
 Lo senti? È sempre la mia pelle che ti cerca.
Anche adesso la mia mano cerca di sfiorarti il volto mentre mi insulti, mi sputi addosso e mi prendi a ceffoni; ora che il tuo peso mi schiaccia al suolo e mi toglie il fiato, i miei occhi ancora si voltano in cerca dei tuoi. In questo momento, mentre la minaccia si fa concreta, mi viene in mente il primo bacio scambiato in uno squallido hotel. La tua bocca e il sapore intenso, lo sguardo feroce, quello che ci ha resi complici fin qui.
Non è amore, forse? Oh, io sono certa che lo sia. Se non mi meritassi ogni tuo schiaffo potrei dubitare ma sono io che sbaglio, che sono lercia e impura: la puttana sono io e tu hai ragione. Non mi punirai mai abbastanza per ripulirmi da questa natura. E se mi dici che ho sbagliato, che ho tradito con uno sguardo e che non sono cambiata in questi anni è probabile che tu sia nel giusto.
La mia pelle brucia, il viso sbattuto al suolo e il sangue che si appiccica a terra eppure morirei per un tuo bacio. Sono tua.

Perché?  Perché l'immagine che mi è venuta in mente era quella. Qualcosa che non poteva essere scritto se non con la mente e che in mezzo agli altri racconti politically correct ha dato parecchio fastidio. Una sola parolaccia, ma se fosse stato utile ne avrei scritte altre. Un tema violento e scomodo come a volte può essere l'amore malato. La complicità tra vittima e carnefice, anche. Per qualcuno questo brano non faceva un favore alle donne, ci voleva un finale con morale, che facesse capire che quello non era il modo giusto di concepire l'amore, posto che ce ne sia uno universalmente applicato e applicabile. Ma da un punto di vista formale, come spesso mi capita, niente da eccepire. (Poi conosco editor che mi bacchetterebbero comunque, perché ogni testo si può pulire, limare,ripulire, ri-limare e via all'infinito posto che a me interessi un testo perfetto).
Altre volte ho scritto brani smielati, altri più ironici, altri macabri. Senza mai pormi il problema di cosa fosse narrabile e cosa no. In quale forma, sotto quale punto di vista, con o senza morale. Io non lo faccio mai. 
Quello che a me importa è raccontare la storia che ho in mente come va raccontata, senza nascondermi o nascondere ad altri quello che c'è nella storia. E, oltre al resto, senza diventare più mostro di quello che sono. Poi penso a Stephen King, a John Connolly, agli autori di thriller e horror che leggo e che mai ho pensato essere molto più che normalissimi esseri umani. Quindi, bando alle paranoie, quello che penso è che una storia vada raccontata comunque nel suo modo. Se è cruda non importa, ogni aspetto della vita si può raccontare per quello che è. Cosa sia peggio tra stupro e omicidio - inteso come scrivere di - non saprei. Cosa è più difficile, sempre, è scegliere il punto di vista migliore per raccontare ciò che si vuole raccontare, ma se sei fortunato viene da sé. L'importante è che sia scritto bene. Non perfetto, ma bene.
Volevo parlare di questo, in realtà. Dello scrivere bene. Che poi è sicuramente molto soggettivo, ma c'è un fondo che potrebbe essere comune. O che forse dovrebbe.  O non lo so, fa lo stesso.
Dicevo dell'autore che ha postato in un commento un suo brano. Nel suo caso specifico non è la prima volta che lo fa e non è la prima volta che dopo le prime tre righe smetto di leggere in modo continuativo, saltando qua e là per capire il senso generale senza fermarmi  alle singole frasi. Come me anche altri, per altri motivi. Il più "gettonato" era la volgarità dei termini usati per descrivere uno stupro/incesto ai danni di una minore. Perché è già un tema terribile, perché non c'è bisogno di usare parole volgari per raccontarlo e che ha infastidito più di un partecipante alla discussione. 
Al di là del gusto personale, che può farmi apprezzare o meno un genere, non sono le volgarità che mi turbano. Non mi fa schifo il "porno", le parolacce usate nel momento e nel modo giusto non mi turbano. 
L'autore in questione, però, le usa in modo compulsivo (e mi viene da dire "convulsivo" a forza di sentire autori e lettori che lo dicono convinti) e con una punteggiatura che francamente mi lascia perplessa. No, mento. La trovo illeggibile. Tra ripetizioni, punteggiatura e lo stile dell'autore io non riesco proprio a trovare lo spunto per leggere nemmeno i brevi spezzoni che inserisce spesso e volentieri per pubblicizzare i suoi lavori. Romanzi pubblicati come erotici, quando io non trovo nulla di erotico nelle frasi che leggo. Nemmeno drammatici, o che altro vi si voglia trovare. 
Ora sì, può darsi che io sia diventata una "grammar nazi". Può darsi che io sia una stronza presuntuosa che pensa di scrivere meglio di altri. Può darsi che io valuti in modo soggettivo ciò che gli altri scrivono. Lo facciamo un po' tutti. Ma la punteggiatura farlocca e le ripetizioni, che siano in un erotico o in uno storico mi danno sui nervi. Editing. Leggere e scrivere. Leggere di tutto, leggere cose belle e schifezze immonde. Certo, lo stile è personale e in questo caso non mi piace. 
Io credo che le storie vadano raccontate, che ogni storia abbia un suo linguaggio, che abbia il suo stile, una sua voce. Credo non ci siano limiti di argomento, di uso di un linguaggio anche volgare, di crudezza o di dolcezza. Credo però che ci sia una bellezza nelle parole che va sempre rispettata, nel suo ritmo, nel suo scorrere, nel suono che ne esce se si legge ad alta voce. Che non ci sia rabbia che non possa essere raccontata con una "grazia" capace di trasmettere il messaggio e di farlo rimanere, non rifiutare a priori.
Credo che questa sia la ricerca che voglio fare.

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