14.3.15

Lezioni

Sono arrivata a studiare danza in ritardo, per vari motivi che ho spiegato nel tempo. Ero in seconda media quando ho capito che volevo quello. Robusta, goffa, poco dotata. Innamorata.
Era il mio sogno e, per lungo tempo, è stato il mio unico sfogo. La fuga dalla realtà e la sola maniera che avevo per consumare la rabbia e l'energia che mi bruciavano dentro.
Alla fine delle medie ho scelto di seguire la mia passione e mi sono iscritta a un corso "professionale": lezioni quasi ogni giorno e non solo di classica. Il maestro Cantello mi guardava trotterellare dietro alle altre nel tentativo di mettermi in pari, doppie lezioni di classica - una con l'intermedio e una con l'avanzato - buffi tentativi di danza moderna e l'amore istantaneo per il jazz.

Proprio dalla danza jazz mi arrivò uno smacco clamoroso, dopo qualche mese passato a massacrarmi di esercizi per non sembrare completamente fuori luogo. Origliare casualmente la conversazione tra il coreografo jazz Tony Lardge, poi diventato il MIO maestro, e la direttrice della scuola mi procurò un gran mal di fegato. Lui stava dicendo che non mi voleva nel saggio di fine anno con le altre ragazze. Non ero all'altezza, non ero brava abbastanza, lo avrebbero visto tutti.
Abituata alla logica di "io pago, quindi ho diritto a fare il saggio" me la sono presa tantissimo per quella insindacabile esclusione. Con tutti gli sforzi che avevo fatto, come poteva umiliarmi così?
L'anno successivo ero molto arrabbiata con Tony, ma fare quel secondo anno con lui - e tutti quelli che sono venuti dopo, sfociati in una proposta che non avrei dovuto rifiutare - mi ha insegnato che aveva ragione e che non avrei mai più dubitato di lui.
Davvero, il primo anno non ero in grado. Avevo già fatto molto, ma non abbastanza. Nessun saggio avrebbe potuto farmi "brillare" più del dovuto. Ho imparato che non basta volere una cosa, che bisogna lavorare e se una volta non basta bisogna riprovare. Due, tre, quattro, dieci. Mille volte. Sempre cercando un qualcosa di più, sempre dando il massimo. Le gratificazioni facili non mi avrebbero resa una ballerina migliore.
Le gratificazioni facili non rendono una persona migliore.
Solo quello che si guadagna davvero fa crescere. Il che non significa ammazzarsi o sacrificarsi in modo insensato. Significa semplicemente lavorare. Se non sul corpo, sulla parola, sulla mente, sul cuore.
Se il lavoro lo fai, prima o poi i risultati arrivano.
Poi magari decidi che non era così importante, perché anche questo capita. Ma almeno hai la soddisfazione di esserci riuscita con il tuo impegno, solo con quello.
Questa, insieme ad altre, è stata una delle lezioni di Tony Lardge. Che ora sta in Austria e si occupa di progetti meravigliosi...

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