9.1.15

Considerazioni letterarie noiosissime

Parto dalla lettura di questo articolo sulla webzine Kultural, firmato da Sebastiano Pazzini e Viviana Rossi.
Niente di nuovo, almeno per me che bazzico in libreria e tra aspiranti o emergenti.
Il dibattito sull'editoria a pagamento (EAP) è vecchio, tra noi, ma trovo spesso "nuovi" aspiranti che son convinti che per pubblicare un libro sia necessario pagare. Invece no, si paga se lo si vuole stampare e regalare ad amici ma non è affatto necessario farlo per pubblicare. Son due cose diverse: dipende da cosa vuoi fare.
Se per "tirartela da autore" ti basta avere le prove fisiche di aver scritto un qualcosa puoi pagare e comprarti le tue 20, 50, 100 copie da vendere o regalare a chiunque (o puoi scegliere di non pagare e auto-pubblicarti in digitale, ma qui si apre una parentesi infinita); se non hai intenzione di "tirartela da autore" ma semplicemente vuoi scrivere e vuoi che quello che scrivi sia considerato NON devi pagare.
Non solo perché, come ho letto oggi su una pagina di Facebook, se cadi nelle lusinghe dell'EAP finisci come marchiato a fuoco e nessun editore serio ti pubblicherà più nella vita (o nessun blogger ti recensirà, o nessun circolo di lettori puristi parlerà mai del tuo lavoro), non solo perché a chi ti fa pagare non importa pubblicare te o Pinco Pallo (basta che paghi), ma anche perché il fatto di non chiederti soldi è testimonianza del fatto che almeno una persona oltre a te crede nel tuo lavoro. E se qualcuno oltre a te ci crede è possibile che tu stia facendo qualcosa di potabile. Questo in linea di massima.
Certo non è facile, ci sto passando io con ogni lavoro che scrivo. Per un romanzo pubblicato ne ho altri due pronti e uno in lavorazione. Ci vuole tempo e pazienza. Umiltà e pazienza, fortuna e... pazienza. Tanta pazienza, appunto. Perché niente è immediato nello scrivere. Poi bisogna essere obiettivi, cosa che non è sempre facile con le proprie creazioni.
Io ci ho messo cinque anni a trovare qualcuno che credesse nel mio "Gli attimi in cui Dio è musica" ma sapevo in partenza che non era un romanzo facile da pubblicare. I motivi li conoscevo da sola, senza schede di lettura fatte da agenzie o da giudici di un concorso. Non è commerciale, non è pieno di colpi di scena, non è raccontato con enfasi. Quindi inutile sperare in un "caso editoriale", in un editore big, in tirature eccezionali. I numeri parlano chiaro anche per gli esordienti. Difficile andare oltre le 250 copie, arrivare a 2000 è già un record. Ma se si è convinti della qualità del proprio lavoro - anche se per forza non piacerà a tutti - si va avanti fino a che non si trova qualcuno che ci crede con te. Poi un altro e un altro ancora.
Luoghi comuni ce ne sono a decine. Veri e meno veri.
Quello che credo conti e faccia la differenza è il fatto di continuare a lavorare, a scrivere, a metterci l'anima, a imparare cose nuove, ad accettare critiche, a farsi conoscere non solo come spammatore della propria opera - inducendo il mondo a un odio profondo - ma anche per ciò che si è, per i prorpi contenuti che vanno al di là del semplice romanzo/racconto/poesia scritto e pubblicato. Crearsi un pubblico, un minimo di seguito. Cosa non facile, anzi.
Questo per quello che riguarda l'autore.
Il resto è, a mio parere, un gran casino. Perché hai voglia a criticare chi in questi anni ha sbagliato completamente politica editoriale. Pubblicare schifezze e cose tutte uguali, che però poi sono quelle che comunque vendono, e continuare a farlo finché non si stufa pure l'ultimo lettore - che siamo scemi, va bene, ma dopo un po' le vediamo le copertine e i titoli tutti uguali; e le saghe tutte uguali, e gli scaffali pieni di libri sui vampiri quando per anni tutti gli autori di horror sono stati relegati a un angolino nascosto al fondo della libreria, condannati. Pubblicare libri pieni di errori, non pagare collaboratori, pubblicare amici e parenti, premiarsi tra i soliti noti. Un circolo chiuso che ha perso il contatto col mondo e che sta precipitando dove non si sa, portandosi dietro tutto il lavoro di chi non è entrato nel giro. Non in quello grosso.
Un universo che collassa e che non si sa quanti inghiottirà e cosa lascerà dietro di sé. Con addetti ai lavori tra lo schifato, il deluso e il rassegnato. E chi, da autore, non sa che pesci pigliare per tirare avanti e casca sempre più facilmente nella rete di chi "almeno" ti pubblica (pagando), perché altrimenti che senso ha?
Penso che questo periodo di transizione vedrà un ulteriore crollo e la nascita di nuovi "sistemi" e non ho la più pallida idea di come si evolverà la situazione, come tutti. So che siamo a un punto di svolta, lungo e lento. Mi pare sia sotto agli occhi di tutti, basta guardare e leggere con attenzione.
Ora, io non sono per l'EAP. Non lo sono per quello che riguarda il mio lavoro e penso che gli altri abbiano il diritto di scegliere cosa fare. So che alcuni buoni libri possono nascondersi tra gli auto pubblicati come tra quelli che scelgono le varie forme di EAP e che alcuni pessimi libri sono comunque in libreria con etichette importanti. Non me la sento di giudicare il metodo scelto da altri, soprattutto quando il caos è totale.
Mi piacerebbe che ognuno avesse lo spazio giusto. La giusta opportunità, il premio al merito.
Oggi non funziona così: tocca fare buon viso a cattivo gioco e aspettare un momento migliore.
E lavorare...

P.S: Come succede che l'amico dell'aspirante attore venga scelto a un provino a cui non voleva partecipare, può succedere che qualcuno legga due o tre capitoli di un romanzo e chiami l'autore. Magari una volta su centomila. Ma io ci credo.

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