25.4.07

Diabolica attrazione

Lo vedeva ogni giorno, intento a lavorare alla sua casa. Era bello. Di quelle bellezze statuarie che ti fanno voltare per guardarle ancora. Il suo corpo stava al sole e brillava di oscurità, talmente nero da sembrare oro, coperto dalla polvere e dal cemento. La pelle liscia e perfetta. I muscoli forti ed allenati dal lavoro. Una tentazione irresistibile.
Fu difficile non guardarlo negli occhi, vederlo come un corpo e niente più. Dal suo sguardo usciva una forza travolgente. Occhi neri, ciglia lunghe e folte e nere come lui. Come i suoi capelli che brillavano di riflessi platino pur nel loro essere scuri come la notte e ricadevano mossi intorno a lui. Le labbra erano proporzionate, scure e perfette, ed i suoi denti bianchi e precisi.
Lo vedeva ogni giorno salire e scendere dalle impalcature, entrare ed uscire dalle stanze in cui lei avrebbe vissuto. Lui impregnava quel posto.
Le stava lontano, ma mai abbastanza. Sapeva che lei lo avrebbe guardato ogni volta ed ogni volta cercava i suoi occhi. La provocava con gli sguardi, le faceva assaggiare a distanza il suo frutto proibito. E lei non riusciva a non guardarlo, a non sperare di poter allungare una mano e sentire la sua pelle morbida sotto di lei. Sapeva che quella pelle era morbida. Lui sembrava più leggero dell'aria e non lavorava facendosi venire i calli. Sembrava protetto dal tempo, dal sole, dalla fatica, come fosse una visione, un'allettante allucinazione. Quasi diabolica.
Lei poteva disegnare il suo corpo in ogni posizione, vestito solo di un paio di calzoncini rossi, così come lo vedeva andare e venire tra le mura.
Voleva avvicinarsi, ma lui glielo impediva, la sgridava, annunciava il pericolo. E lei saliva sulle impalcature ogni volta che lui non c'era, lasciava il segno così che lui sapesse che c'era stata.
Poi venne la parola e con la parola lui giocava. Voleva che lei facesse i capricci, voleva che cadesse in tentazione, voleva portarsela via, mente e corpo.
Lei si scopriva piano e lui assimilava tutte le sue parole, tesseva la sua tela finchè non fu certo di poterla prendere.
La invitò tra le mura, camminarono sui calcinacci, vicini ma senza toccarsi finchè non furono al riparo da tutti. Gli altri operai gli sussurravano di starle lontano, ma mentre fissava i suoi occhi in quelli di lei sapeva che ne valeva la pena. Poteva rischiare.
Parlò, le offrì su un piatto d'argento la testa del suo fidanzato, aspettò che lei sorridesse e la baciò, bloccandola contro i mattoni del muro. Lei si perse in quel bacio ed in quella pelle, e nei suoi occhi, le labbra, i denti, le spalle, la vita, le gambe. Tutto.
Lui le prese solo il cuore. Nient'altro. La voleva portare con se così com'era, per renderla moglie e schiava nel suo mondo. Non voleva darle nulla, solo prenderla per sè.

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