6.1.16

Lamette - singolare femminile 3

Qualche anno fa ho rischiato di malmenare una collega. Lo so, a volte esagero.
Commentando un articolo appena letto sul giornale, aveva insinuato che le donne che subiscono uno stupro se lo sono cercato. Ero furiosa, per vari motivi. Da una parte per il semplice fatto che, da persona informata quale poteva essere, basta leggere ogni giorno un quotidiano - pure quelli gratuiti - per capire di quali cifre si tratta; non solo, ma anche di quali persone vengono colpite. Poi perché mi rendo conto di che cosa sia una violenza e, al di là delle mode sado-maso dalle varie sfumature, non esiste una sola donna al mondo che vada cercando una cosa simile. Poi perché non è che se una è una "brava ragazza" non le può capitare ugualmente, non è questione di cattive abitudini. O di aspetto provocante, perché succede ad anziane e bambine - e bambini - e a persone con problemi mentali o ragazze in coma. E capisco che sia molto una questione di gusti e che magari io non trovo attraenti persone che per altri lo sono, però c'è un limite a tutto. Niente è come il sesso tra adulti consenzienti. O tra giovani consenzienti, o tra anziani consenzienti.
La cosa che più mi infastidiva, però, non era tanto l'accozzaglia di luoghi comuni da mentalità retrograda, quanto che ad affermare una cosa simile sia stata una donna sotto i quaranta. Come a giustificare, a distinguere una dall'altra le brave e le cattive ragazze. E le bambine? Le chiedo, e le nonne? E le pazienti psichiatriche e quelle in stato vegetativo? Perché magari non capita tutti i giorni, ma capita. E loro, come farebbero ad andarsela a cercare?
Dal mio punto di vista anche una prostituta può subire violenza, e credo che accada anche troppo spesso, solo che non può andarlo a denunciare. Perché già è difficile quando si è più che immacolati. C'è sempre qualcuno che insinua, qualcuno che con il mezzo sorriso pensa "eh, ma se l'è cercata", qualcuno che morbosamente ricerca il torbido. Lo sentiamo in tv ogni volta che a una donna capita di essere ammazzata - ora si dice femminicidio e io mi chiedo come si possa distinguere dall'omicidio visto che mi hanno fatto credere che uomini e donne avessero uguali diritti - e si cerca l'assassino in possibili "doppie vite"della vittima. Certo, come se ad avere un amante sia automatico che si meriti di essere ammazzate. Come se avere un passato "allegro e vivace" giustificasse la violenza. Come se, appunto, qualsiasi cosa si faccia sia sempre colpa nostra. Salvo poi scoprire che l'assassino è il marito che vuole scappare con un'altra - e allora la colpa è dell'altra, ovviamente, che ha manipolato il poveraccio.
Quindi è questo.
Noi ce la cerchiamo, alla fine. Siamo sempre noi. E che si parli di diritti e doveri, che si parli di taglio e cucito, che si parli di stipendio e lavoro; noi siamo sempre quelle sbagliate. Il problema è quando ci abituiamo a questa cosa. Talmente tanto che a meno di quarant'anni riusciamo a dire "eh, ma non capita mica a tutte..." dimenticando il tizio che ci fa la mano morta in tram, o i fischi dei muratori, o che l'amico di famiglia quando eravamo più piccole ci voleva sempre tenere in braccio e ci palpava con la scusa del solletico. Dimenticando che dobbiamo fare attenzione a come ci vestiamo, a come parliamo o scherziamo, alle cose che ci piacciono. Perché basta cliccare "mi piace" alla pagina Facebook di un romanzo erotico e via che piovono le richieste di amicizia maschili più improbabili. Basta scrivere "single" o pubblicare qualche commento piccante e vai di messaggi privati da chicchessia. Tra l'altro so da amiche che a volte tali messaggi sono pure corredati di foto "intime" non richieste.
Allora di cosa stiamo parlando?
Di qualcosa che non torna. Di tante belle parole e di un mondo che regredisce nei modi. Di mille modi di fare violenza, spesso anche tra donne.
La discussione con la collega era partita dalla notizia di un "dispositivo" anti-stupro, da portare inserito all'occorrenza. E io mi chiedevo dove saremmo arrivate, se pure ci toccava andare in giro con una dentiera da vagina per evitare la violenza. E quando, sempre?
Perché ti capita quando meno te lo aspetti, mica ci vai preparata al massacro.  Cosa fai, esci dicendo: "ah, sì, forse stasera mi stuprano". Mica te la cerchi, appunto. Allora cosa? Ci infiliamo un "dispositivo" e cosa?
Ci dimentichiamo che non è quello l'unico modo?
Poi cosa faremo? Ci fodereremo la bocca di lamette e metteremo supposte di acido? E se non bastasse?
Perché ahimè, non è solo quello il modo in cui subiamo violenza. Al di là dei dati sul femminicidio, terribile anche solo che debba esistere una parola che lo distingua, le violenze domestiche, lo stalking, la discriminazione in genere - vuoi di stipendio, vuoi di posizione lavorativa - ci sono tanti modi subdoli di svilirci, tanti che spesso noi stesse cadiamo nella trappola di considerarli veri e di usarli con altre quando ci sentiamo in difetto. Fosse anche solo la continua oggettivazione del corpo - che ultimamente riguarda anche il corpo maschile, ma sempre di oggettivazione si tratta - che deve adeguarsi a modelli sempre meno naturali. Da questa forma di violenza, culturale, non c'è protezione che valga. Non c'è un "dispositivo". Ci sarebbe la presa di coscienza, la consapevolezza, l'educazione e una riforma culturale che riporti le cose a un livello civile. Da parte delle donne prima che degli uomini. Se non abbiamo chiaro noi che cosa ci svilisce e anzi usiamo le stesse cose noi contro altre donne non ci basterà diventare tutte delle "vergini di Norimberga" per proteggerci da un altro sopruso. Portare i denti, dentro e fuori, con chiunque, sempre. Siamo sicure che sia questo l'unico modo?
Riguardo poi l'etichetta "femminicidio", temo che il dare un nome a una cosa che esiste da sempre come se fosse un fenomeno di adesso - non dimentichiamo che il delitto d'onore non è una cosa così lontana anche in casa nostra - non serva altro che a chiuderlo in un nuovo cassetto e lasciare le cose come sono. E al di là dei pochi casi in cui è una donna a eliminare l'ex partner per gelosia o vendetta - o per la stessa mancanza di rispetto per la vita dell'uomo che uccide la ex compagna - questa è l'ennesima conferma che la questione è culturale e non appartiene a un paese o a una religione in particolare. Si tratta di un problema presente in tutto il mondo. Solo con sfaccettature differenti.

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