12.9.24

La zia matta



 Ricordo di aver odiato la parola "ennesima" un giorno, credo in quarta elementare, dopo aver dato in escandescenze con la mia solita "crisi isterica". Così le chiamavano, allora, le mie reazioni eccessive - e ne avevo parecchie - a stimoli diversi e a volte praticamente inesistenti.

Ricordo di aver litigato con diversi miei compagni perché non capivo come facessero a divertirsi inventandosi scherzi stupidi da dare ad altri. In realtà li odiavo perché ridevano e lo facevano apertamente mentre io al massimo sorridevo.

Ricordo che mia madre raccontava di me che dondolavo avanti e indietro nel seggiolone tanto forte da attraversare la cucina a forza di spinte. E so di aver fatto lo stesso fino a dopo il matrimonio stando seduta a gambe conserte sul divano, con la musica accesa.

Lo stesso costante movimento lo facevo nel letto, da destra a sinistra e ritorno, per ore tanto da annodarmi i capelli in nodo disastroso. La notte prima di dormire e il pomeriggio quando tornavo da scuola alle medie e potevo restare al buio e con la musica accesa. Anche questo è durato a lungo, soprattutto nei periodi difficili.

Stare ferma in aula era una tortura, stare ferma era impossibile. E stare attenta, soprattutto quando le materie non riuscivano a colpirmi abbastanza. E fare i compiti, e studiare. Dovevo farlo dondolando i piedi o la testa a tempo di musica.

Ho sempre saputo di essere "strana", diversa dagli altri che sembravano così spensierati mentre io ero pesante dentro. Ho sempre cercato di controllare i miei eccessi. Ho usato la fantasia, inventando avventure e forme da disegnare per scappare a quel senso di soffocamento che la vita mi dava. Probabilmente se fossi nata al giorno d'oggi mi avrebbero riempita di farmaci e soppresso ogni mia stranezza insieme alla mia vitalità.

Quando è arrivata la danza è stata passione immediata, visto che potevo coniugare il mio bisogno di movimento con la creatività che la musica si portava dietro. Vedere letteralmente coreografie nella mia testa, costumi e luci, ogni passo e ogni pirouette.

Per tutti gli anni in cui ho danzato non mi sono limitata alle 4/5 ore di lezione al giorno. Io tornavo a casa e ballavo, anche tutta la sera - quando non facevo headbanging sul divano - oppure andavo in discoteca quattro sere a settimana, con o senza permesso, a volte arrivando lì presto e uscendo come Cenerentola mezz'ora prima del mio orario limite. Certo, ritardavo spesso, ma correvo dalla piazza fino a casa come se non avessi fatto niente tutto il giorno. E ancora, una volta a letto, la musica accesa di sottofondo a muovere le braccia in port de bras illuminati dalla luce esterna - ché i soldi per la ristrutturazione erano finiti prima di poter pensare a persiane e tapparelle e non ho mai amato le tende.

E poi ancora la necessità di controllare ogni cosa al minimo particolare. Tanto che se c'era un cambio di programma qualsiasi io andavo in crisi. Fosse stato anche solo scoprire che c'era un invito a cena inaspettato.

Ho imparato a proteggermi creandomi una vita "tutta uguale", a prova di sorprese, per poi capire che lì dentro stavo soffocando. Per questo senso di ipossia son finita, millemila anni fa, in analisi. Ero troppo stanca di controllare cose che mi sfuggivano di mano continuamente. Stanca dentro, perché fisicamente non lo ero quasi mai abbastanza. 

Ho iniziato a scrivere più delle mie solite poesie, quelle sciocche che scrivevo fin dalle elementari o quelle più serie - ma per qualcuno mai abbastanza adulte - e l'ho fatto per raccontare ad altri le storie che mi avevano tenuta in vita, perché lì dentro c'era qualcosa di me. Facendolo mi sono resa conto che avevo bisogno di storie nuove come quello che sapevo di me. Ho iniziato con piccole cose, mentre lavoravo ad altro e ad altro ancora. Ma le storie nuove sono ancora da scrivere, perché sono in parte nella mia mente e in parte su questo pc. Non so nemmeno se riuscirò a metterle giù davvero. Perché la vita è breve e ora che mi spaventa un pochino meno cerco di viverla meglio, restandoci dentro, qui e ora. Senza aspettare "Il" giorno, "Il" momento.



Quella parte di me dalle reazioni scomposte fa capolino ogni tanto, ma a parte un mio compleanno di qualche anno fa in cui ho distrutto bicchieri, oggetti e muri urlando e ruggendo non ho più fatto danni. Faccio 7 chilometri a piedi ogni giorno, più un po' di palestra, oltre al lavoro e non dondolo più.

Sono inquieta come sempre ma la cosa è gestibile. Sono "la zia matta" e non c'è niente di più vero. Sono quella con le scarpe improbabili, con i capelli di ogni colore, quella che fa tutte le scelte sbagliate - no, dai, non tutte - quella che si presenta a cena con le corna da renna in testa, che conosce a memoria le battute dei film più assurdi e le parole di mille canzoni, che guarda ancora i cartoni animati e si rifà ogni anno la maratona Harry Potter (e quella del Signore degli Anelli, dello Hobbit e Star Wars), quella che a Natale regala lampade fatte con barattoli di Nutella e minuscole luci Led, quella che storpia le canzoni adattando il testo a ciò che sta facendo - che sia raccogliere la cacca del cane o cucire un lenzuolo speciale - quella che esce a fotografare le nuvole e gli arcobaleni. Sono quella che balla in salotto quando nessuno la guarda...


P.S: So che sembrano parole a casaccio ma no. Sono solo troppe cose insieme.

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