12.8.21

L'analisi illogica del testo 15 - Mondo cannibale

 Vi direte, ancora horror...

Vi dirò: in parte, ma mai peggio del mondo in cui viviamo.

Ho iniziato la prima quarantena con gli zombie. Da una parte erano già nell'aria (l'anno scorso ho dato il via alla visione di "Fear the walking dead") e pur non essendo mai stata un'appassionata del morto vivente in generale, alla fine come il buon Romero, trovo una certa somiglianza tra il mondo in cui viviamo e una qualsiasi storia di zombie. 


Restando per ora fuori dal testo, che horror non è, la visione di zombie che affollano il centro commerciale  o che vengono distratti dai fuochi d'artificio, l'idea di un virus arrivato da chissà dove che fa risvegliare i morti diciamo che può ricordarci la nostra attualità. Ora io non sono un'esperta di zombie, ho sempre avuto una certa predilezione per i vampiri, ma questi "cannibali" hanno innescato in me una serie di riflessioni. 


Il virus, la massa, le nostre abitudini, i comportamenti indotti da necessità e da abili manipolazioni, l'impossibilità di uscire da un circolo vizioso che ci lega stretti, il sistema consumista, i falsi miti. L'illusione di avere un potere decisionale, di poter governare la nostra vita come ci piace e non come siamo obbligati a fare fin dalla nascita. L'obbligo a stare nella media. Al nostro posto senza scalpitare, facendo il nostro dovere e godendoci il piccolo premio che ne deriva. Dagli zombi siamo passati a una sorta di "Matrix", in cui fungiamo da batterie umane che alimentano un sistema esterno, felici di stare nel nostro limbo. Allo stesso tempo mi è tornato in mente anche "Essi vivono" e la sua serie di messaggi subliminali volti a tenere a bada una società intera affinché sia produttiva fino a farla consumare. 



Certo, è il nostro sistema a renderci così. Necessario e inevitabile che si debba produrre e consumare, anche se la corsa ci costa più di quanto ci gratifichi. Più di quanto buona parte di noi possa farlo, almeno, mentre una piccolissima parte si gode i frutti del nostro lavoro. In questo ultimo anno ho come l'impressione che la forbice che distanzia le due parti si sia ingigantita e che la pandemia ci abbia impoveriti, spaventati e resi ancora più "schiavi" del sistema. Che non può cambiare senza stravolgimenti e che probabilmente non cambierà nemmeno stavolta, lasciandoci ancor più alla mercé dei pochi che hanno il potere di decidere per noi. 

Le immagini degli alieni del film di Carpenter, delle human factory di "Matrix" e quelle degli zombie messe insieme dipingono una parte della nostra realtà. La nostra evoluzione. Vittime di illusioni, di falsi dei e  pronti a divorarci l'un l'altro. Oggetti, prede, meccanismi.


Poi, finalmente, sono tornata a Sonmi.

Ricordo di aver guardato "Cloud Atlas" con lo stupore negli occhi. Il film, più che il romanzo da cui è tratto, per la sua trasposizione che ne semplifica la visione d'insieme. Ricordo l'immediata sensazione che dietro alle "mangerie" di Papa Song ci fosse lo specchio della nostra condizione. Non tanto in quanto cloni, ma più per il nostro destino - della maggiorparte di noi che lo si voglia o meno - di vittime sacrificali di un sistema. Nati per lavorare tanto quanto i polli da batteria sono nati per farsi mangiare. Illusi, continuamente imbottiti di stimoli a consumare, di modelli cui conformarsi, di ideali di uguaglianza e libertà che mai raggiungeremo. Siamo, come tutte le Sonmi, destinati a lavorare, a produrre, a consumare e poi a diventare inutili. Numeri, braccia, gambe, energie da spremere finché ne resta. Il premio, l'illusione di riceverne infine uno che valga la fatica, sembra venirci ricordato ripetutamente. Cose tipo "un giorno, se ti impegni, anche tu puoi diventare questo" se da una parte sono uno stimolo al miglioramento personale, dall'altra ci illudono che valga per tutti mentre è chiaro che le nostre fatiche non sono tutte uguali e che non necessariamente tutto si può ottenere solo con l'impegno. Ché a volte una botta di culo è necessaria, perché non siamo tutti uguali.

Allo stesso tempo, non solo siamo obbligati a lavorare come automi per reggere il peso del sistema non importa come - e le morti sul lavoro che si contano ancora e sempre ne sono purtroppo un segno - per i pochi che ne gioveranno di più - e la gestione delle grandi industrie negli ultimi anni, impostata più sul punto di vista dell'economia che della qualità (e del prodotto, e della vita del lavoratore) è cosa ben evidente - ma siamo indotti a una sorta di cannibalismo tra noi, come succede con le Sonmi che vengono ritirate a fine carriera. In una costante "lotta tra poveri", in cui siamo spinti a incolpare chi sta peggio di noi per ciò che a noi non arriva come se fossero loro a portarcelo via, siamo come cannibali che si nutrono dei propri simili senza accorgerci dei tizi che da sopra ai grattacieli ci osservano mangiando caviale e aragosta  godendo dello spettacolo manco fossimo gladiatori in un'arena. 

Non so descrivere meglio l'immagine che ho in mente della nostra società negli ultimi anni. Forse è sempre stato così e il mio software si è danneggiato solo ora permettendomi di vedere oltre. Forse ho inconsapevolmente inghiottito la pillola rossa di Morpheus - perché mai lo avrei fatto di proposito - e ora mi è più chiaro il mio ruolo di "non eletta" ma di semplice "forza lavoro" in un mondo in cui non ho alcun potere né possibilità di scegliere, checché se ne dica. 



Il volto di Sonmi 451 quando scopre che per tutta la vita si è nutrita letteralmente dei suoi simili mentre aspettava di poter ricevere finalmente la sua ricompensa dice tutto. E se è vero che tutto è connesso - e lo è - rendersi conto per tempo di ciò che stiamo facendo sarebbe decisamente meglio. 


Nessun commento: