26.2.13

A mille giorni dalla fine del mondo

Fuori i tamburi suonano, tra poco devo muovermi.
Approfitto della luce del sole per scrivere come posso alcune righe per chi resta. Ho finito i quaderni da tempo e ora mi restano solo i margini dei libri che ho in casa. Pochi, dopo l'avvento del digitale. Troppo pochi.
Ci avevano detto che la crisi non c'era, all'inizio, e noi ci credevamo o cercavamo di non pensarci. Troppo dura pensare che dopo anni di sacrifici dovevamo rinunciare prima a qualche extra, poi all'automobile, ai telefoni, al computer, ai vestiti di qualità; poi alla carne, al cibo buono, al riscaldamento, all'acqua calda per la doccia. Poi ancora rinuncia al lavoro, ai pasti regolari, al concetto stesso di abito nuovo.
Eppure continuavamo a fidarci di chi ci diceva che non era ancora il momento di preoccuparsi.
Finché cominciarono le bombe. Gli attentati. E la caccia.
Si cerca sempre un colpevole, in questi casi. Così qualcuno ha iniziato una guerra civile, massacrando i suoi connazionali per la sola colpa di aver voluto credere che fintanto che i ristoranti fossero stati pieni...
Dopo la caccia all'uomo, dopo gli attentati, dopo i piccoli falò in strada; dopo sono iniziati i saccheggi. Prima a discapito dei grossi centri commerciali, come nei film di zombie, poi i negozi di grido, poi quelli più semplici. Finché non ci furono più negozi da saccheggiare.
I più fortunati sono scappati in campagna, dove era ancora possibile coltivare qualche ortaggio di stagione e dove gli animali erano ancora numerosi e produttivi. Non per molto. Senza mangimi anche gli animali cominciarono a scarseggiare. A morire e servire come cibo. Finché c'erano...
Noialtri, noi che siamo rimasti, ci barrichiamo in casa durante il giorno e difendiamo il poco che ci resta con armi e posate. Senza corrente ormai da qualche mese, non abbiamo la possibilità di conservare il poco cibo che troviamo nelle escursioni notturne.
Formiamo delle squadre, di solito, organizzati per palazzo. Le bande più organizzate pattugliano di giorno e noi usciamo la notte a cercare cibo e vestiti. Quando suonano i tamburi regna il caos. Le bande festeggiano con l'alcool e il sangue, noi cerchiamo di sopravvivere.
Perché sono rimasta non lo so, ero sola. Non mi è mai piaciuta la campagna, comunque. E anche se ieri ho dovuto macellare un bambino trovato morto in strada per cucinare per il mio condominio non mi pento. Qui non c'è più cibo da tanto tempo...
A questo mi serve la mia laurea, a scrivere sui margini dei libri per qualcuno che forse non sa nemmeno più cosa sia leggere. A raccontare cosa è successo negli ultimi mille giorni, dopo che tutti noi abbiamo scelto di credere che tutto andava bene e che presto saremmo stati tutti ricchi, tutti quanti.
E non avremmo più pagato tasse.
Ora i tamburi suonano, devo uscire. Mi hanno detto che c'è una famiglia ben nutrita a pochi isolati da qui. Uno alla volta potrebbero durarci qualche mese...

24.2.13

Incombe...

Nascosto come un fantasma tra un albero e un vaso, speculare alla Mole, perso nella nebbia nevosa di un sabato a pranzo in collina incombe il grattacielo.
Non so perché, ma la sua presenza mi inquieta. Come una struttura aliena alla mia città fatta di case tutto sommato basse e coperte di coppi rossi. Questo scheletro, questo mostro, ogni volta che alzi gli occhi te lo ritrovi lì. Non ancora da casa, nascosto da un tetto che rosso non è ne vedo solo le antenne, le gru, con le loro lucine da insetto operoso. Lo vedo ovunque vada, davvero incombe orrendo.
Poi forse sarà bellissimo, un giorno. Ma non credo. Torino non è città da grattacieli. Non è città da skyline, è più un luogo sommerso in cui si muove molto più di quel che sembra. C'è nato molto, qui, per poi spostarsi emigrante in vista di denaro. Il cinema, lo Stato, mi dicono il jazz...
Cose come la cultura forse non hanno bisogno di svettare oltre il trentesimo piano, hanno più bisogno di basi solide, di humus, di vita comune. Di fermento e di apparente ozio. Di sotterranei e di taverne, non certo di acciaio e vetro. Quello è solo apparenza e denaro.
Il terriccio di un giardino è capace di produrre vita. Questa cosa che sarà in piena vista per decenni, sempre che avremo la forza e l'ottimismo che servono per alzare la testa e guardare il cielo, cosa produrrà nelle nostra vita?
Per ora, almeno per me, solo inquietudine.
Anche nel giorno felice del matrimonio di amici, come mi giro lo ritrovo lì a ricordarmi che ci aspetta il freddo, l'apparire senza vita di un ammasso di cemento, il denaro sopra tutto.
Forse sono io che faccio resistenza al futuro, ché la parola in sè non mi è mai piaciuta. Ma...

23.2.13

Sono lenta

Ho i miei tempi,
ho bisogno di muovermi piano.
E anche quando sento
che il tempo non c'è,
quando tutto preme
perché io mi muova,
anche allora vado piano.
E aspetto,
io aspetto,
e sopravvivo.
E sopravvivendo muoio.
E vivendo mi consumo,
amando io vivo,
trattenendo una mano
che si poggia sul seno.
La vita si schiude
la lenta primavera arriva,
e non respiro
in una strana attesa
di qualcosa che mi mangia
il tempo, ora che il tempo
è vivo e muove.
Cammina, ogni giorno,
e non m'aspetta
perché sono lenta
e aspetto il tempo.
Dammi una mano,
sto vivendo.

20.2.13

Post erotico, notizie dal settimo cielo

Joey Trivella non sbaglia un colpo, i muri lo sanno.
Il letto sbatte talmente forte che quasi sembra voler sfondare la parete e ampliare il locale a fianco. A qualsiasi ora del giorno e della notte lo si sente lavorare con la giovane Lady Giuliva. Vicini grandiosi.
La lady padrona di casa ha il concetto di arte che ha reso famosa Yoko Ono e in effetti gorgheggia al suo pari nei momenti migliori (o peggiori, chissà). Soprano, lei, ama usare la A per i suoi vocalizzi: la grida, la allunga, la stacca con delle invisibili H, sale e scende di tonalità con equilibrio precario. Minuta, timida, molto fashion victim, sembra una diva di MTV col capelli sempre lisciato al punto giusto e il modo da ragazza comune. Tranne quando è dall'altra parte della parete. Una pantera.
Lui ha come nome Joey, fin dall'inizio, dispensatore di delizie. Pare il Joey Tempest de noartri, capello lungo e scuro e look molto metal. Siccome però è appunto "dei nostri", certo non può essere biondo. Infatti è più un mix ben riuscito tra una gorilla di montagna e Marilyn Manson. Ho detto ben riuscito, notate, perché non è affatto brutto. Ha il suo fascino rude e porta in viso una piccola cicatrice tipo Capitan Harlock. Giubbotto in pelle nera borchiato, spalle ampie e questi bei capelli puliti... e lo dico sul serio.
Non si capisce che lavoro facciano, entrambi, a parte demolire pareti e gorgheggiare. Perché capita che arrivino nel cuore dela notte e spariscano all'alba come vampiri, per poi manifestarsi ancora in tarda mattinata, nel pomeriggio o per cena. Chi lo sa.
D'altra parte ogni manifestazione dev'essere una sorpresa per avere quel tocco di soprannaturale...
Inizialmente fastidiosi, Lady Giuliva e Aaahhntonio (perché Joey Trivella è un nome d'arte), sono ormai una presenza quasi necessaria. Anche stimolante, oserei affermare. Perché riportano il sorriso sulle labbra (forse non alle 4 del mattino, ma...) e vien voglia di fare lo stesso. Gridare e battere i muri. Mettere un porno a tutto volume, invitare un gruppo d'ascolto, fare un toto-vicino. Insomma, donano una vitalità almeno intellettuale che ben si riporta nelle azioni quotidiane. Sorridere fa sempre bene.
Che a furia di ascoltarli mi fanno pure tenerezza. Sentirli ridere tra un round e l'altro dà il senso a giorni tristi che uno affronta. Ridono forte, come scopano (ops, che parolona...), e li immagino nudi col sorriso aperto a mille denti, pronti a riempirsi di baci e ricominciare. Li sento giovani, e lo sono. E non li invidio a dire il vero, ma li inviterei a cena per conoscerli di più. Ultimamente mi piace chi sa ridere, mi colpiscono le persone che lo fanno, le vorrei abbracciare tutte e cominciare a ridere con loro. Davvero.
Che poi mi buttino giù le pareti di notte...

19.2.13

Riflessioni su come lavoro

Potrei dire "male" e chiuderla lì.
Invece mi spiego, perché a volte mi sento dire che faccio le cose in modo strano, poi altre persone hanno i miei stessi "problemi" - come quello di utilizzare due volte le virgolette in due righe...
Se dipingo, raramente ho già deciso colori, forme e materiali. A volte sono i materiali che mi chiamano a gran voce, come nel lavoro che sto facendo ora in cui una parte è dipinta su avanzi del tempera matite; altre volte ho in mente un tratto particolare, come il tutù di Carmen o i due contrapposti nell'ultimo lavoro; altre volte è solo l'idea di un gioco di colori.
Non disegno la tela, al massimo uso un cartoncino per farmi un prospetto del lavoro con le linee principali. Non preparo i colori se non in casi rarissimi, di solito li sovrappongo diluiti in modi diversi per fare sfumature ma per lo più uso i colori senza mischiarli. Se copio da una foto lo faccio comunque senza farmi un disegno sul fondo che ho preparato.
Quando scrivo di solito non ho in mente tutta la storia nè i personaggi, a volte parto da un'immagine che ho in mente e proseguo, a volte basta anche solo mettermi alla tastiera e scrivere la prima frase che mi viene in mente per iniziare una storia. Non faccio brutte copie dalle elementari. Se scrivo vado avanti senza rileggere se non dopo almeno una ventina di pagine. Torno indietro solo se non ricordo un dettaglio. Non prendo appunti se non dopo le cento pagine. Non faccio scalette e non programmo dettagli. I personaggi di solito decidono loro che fare, la storia va avanti da sola senza che io partecipi se non con le dita. Non sono in grado di dettare a un microfono frasi da trascrivere. Se trascrivo finisco per riscrivere, a questo punto scrivo una volta sola.
Se è vero che l'arte si fa per gli altri, io a volte non capisco l'arte. Ciò che conta per me è fare qualcosa che mi dia una emozione e mi soddisfi. Ovvio che la speranza sia che quello che faccio piaccia agli altri, ma non cerco di stupire questa o quella tipologia di persone. Scrivo/dipingo e basta. Il resto non lo faccio io.
A volte un'immagine mi si fissa in mente e diventa come un'ossessione. Un racconto o un quadro, non conta. Lo sogno la notte, chiudo gli occhi e vedo quello che in qualche modo produrrò.
Non so se sono un'artista. Non saprei definire che cosa renda una persona artista o meno. So solo che quando produco io sto bene e ad alcuni piace. Tanto è e tanto mi basta.
A volte posso restare a guardare l'ultima frase scritta per ore, altre volte per partire non ho bisogno di vedere il punto della frase precedente. Le dita vanno da sole.
Come se lavorassi in trance, a volte.
Cosa voglio dire non lo so. Ma volevo dirlo...

15.2.13

Luce

Ah, se fosse vero il sogno,
Starei tra le tue braccia,
Assorta
Mentre sul mare
Il sole cresce e colora
Il mondo.
Non negherei le lacrime
Al tuo sguardo
E bacerei le tue
Senza ritegno.
Ti regalerei perle
E pezzi di vetro
Per costruire un castello
Di quadri e cuori
E giocherei con te
Sotto la luna piena.
Giorno e notte
Insieme,
Buio e luce.
T'amerei, amore,
Come fosse l'ultimo giorno
Del mondo che ho creato per te.
Piu' della vita, amore
E' luce...

12.2.13

Cigno Bianco, Cigno Nero

Come promesso, visto che è un po' che ne parlo, ecco che vi mostro l'ultimo quadro finito, ispirato al Lago dei Cigni. Dipinto su tela 40x50 con colori acrilici su fondo preparato con carta e stucco...
Se ci cliccate sopra magari si amplia...

11.2.13

Lavori in corso

Una buona notizia:
Ho finito stasera il quadro iniziato per la collega romana (dopo quella russa... si può dire che faccio pittura etnica?), che si intitola: "Cigno bianco, cigno nero". Ispirato ovviamente al Lago dei Cigni fa parte di una serie di idee ispirate da Tersicore, per cambiare. Su tela 50x60, dipinto con colori acrilici su un fondo di carta e stucco nei toni del grigio e del rosa (no, non sono impazzita), con i miei soliti tocchi di oro e argento e nero.
Dopodiché...
1) sono a buon punto con il secondo quadro ispirato a Carmen, che si chiama "Torero".
2) ho l'idea e il fondo semi-pronto per il prossimo "Giselle", molto diverso dai precedenti.
3) ho l'immagine quasi completa in mente per "Coppelia", il primo quadro veramente grande che dipingerò.
4) idee per altri quadri che a forza di meditare verranno fuori.
E questo per quel che riguarda il dipingere.
In questo momento ho sospeso per cause di forza maggiore le lezioni di canto (troppo lavoro, troppi hobby e poco tempo...), ma anche perché emotivamente sono sovraccarica forse anche a causa dell'insonnia tornata prepotentemente a farmi visita tanto da non farmi chiudere occhio da inizio mese se non imbottita di valeriana e melatonina in dosi da cavallo.
Ultimo ma non meno importante, anzi... lo scrivere.
A) Ho ricominciato a lavorare su una storia non legata alle mie solite produzioni tragiche (sebbene contenga ovviamente almeno un cadavere), di cui ho raggiunto le 50 pagine giusto ieri.
B) Ho ricominciato a ragionare sul fantahorror per arrivare a colmare la lacuna che resta dopo la 315esima pagina e che mi deve portare al termine. Manca così poco che avrei voglia di mordermi da sola per non averlo ancora finito.
C) Mi è balenata per la testa l'idea di rimandare il romanzo ingenuo all'ennesima edizione del torneo, con minimi cambiamenti a dire il vero visto che non ho avuto il tempo di riscriverlo daccapo come meriterebbe e nel frattempo mi hanno fatto sapere che non può esserci una storia d'amore in un romanzo di fantascienza... Quindi, se partecipa... sshhhtttt!!! Non si dice.
D) Attendo paziente l'esito (ridicolo) della spedizione di "Attimi" al premio Calvino, cui partecipa contro la sua stessa volontà... ;P (scema che sono)
E) Raccolgo poesie in attesa di averne un numero sufficiente per il prossimo, delirante libro.
Ecco quindi cosa mi capita quando non desidero strapparmi il cuore e darlo in pasto ai vermi, che resterebbe una fine degna di nota ma che mi sa non potrà succedere per mano mia...
E...
Non mancano le idee di espansione del blog con racconti scaricabili (e cestinabili) e altre brillanti idee ispirate alla mia attuale residenza e all'habitat circostante...

10.2.13

Desidero

Cammino,
nella notte scura di un giorno
mai ancora vissuto,
piangendo lacrime buie
in un lamento continuo.
Io,
sciocca e senza coraggio,
inciampo, cado al suolo,
mi ferisco le mani
e con questo sangue che cola
continuo a camminare
fino allo specchio d'acqua nera
e uso gli artigli che ho per mani
per strapparmi questo cuore marcio
dal petto inutile,
lo lancio nel vuoto
in pasto ai vermi
come gli compete.
Poi scendo
passo dopo passo
mi immergo.
Come manto di velluto
l'acqua mi cattura, mi copre.
Lascio andare il corpo,
mi abbandono
affinché mi inghiotta
mi divori
mi renda parte
dell'utero del mondo,
mi prenda la vita.
Inutile, come il mio cuore,
è il mio respiro.
Nulla, solo la notte,
solo il buio,
solo questo desidero.

6.2.13

La notte

Stavo per dire...
"Wow! Questi tappi per le orecchie funzionano che è una meraviglia..." Invece no, era passata nemmeno un'ora da quando mi ero infilata i suddetti tappi, convinta che a causarmi parte dell'insonnia fossero i rumori sospetti provenienti dalla casa accanto (sospetti... insomma... direi più che son rumori certi, ma farebbe meno effetto) oppure che i tram, i gatti, il cane, l'ascensore, la caldaia, le cavallette, gli alieni e le invasioni barbariche... che tutto il rumore del mondo si condensasse in un luogo molto vicino alle mie orecchie e che dei fantastici tappi gialli mi avrebbero salvata.
No, appunto. Nemmeno un'ora di sonno e le stelle sopra il letto si erano spostate di pochi millimetri da dove le avevo lasciate. Le ho contate una a una, misurato la distanza tra loro per controllare che non si fossero animate d'un colpo, osservato il loro brillare domandandomi se - per miracoli di una tecnica ancora inesistente - arrivando là vicino le avrei ancora trovate o se stessi in realtà ammirando una marea di luci morte. Domande, cioè, che uno si pone solo nel delirio di una notte insonne.
La tentazione di alzarmi e raggiungere il computer per scrivere un po' è stata vinta dalla temperatura poco invitante e dal fatto che, alla fine, scrivere durante un delirio funziona bene solo  per i tossici.
Quindi mi sono alzata, quello sì, ho soffiato delle bollicine nell'acqua col mio gasatore casalingo e mi sono riempita di melatonina e valeriana, aumentando quella che era la mia solita dose perché sentivo la crisi isterica incombente. Non dormivo bene da sabato, forse anche da venerdì notte. Ma il weekend l'ho passato praticamente in bianco, tranne alcuni sporadici episodi di sonno in cui uomini sfregiati... bla bla bla.
Quindi mi sono impasticcata per bene, ho baciato la gatta che mi fa da cuscino e mi sono rimessa a guardare le stelle cercando di ricordare cosa mi raccontava mio nonno - Piero, l'ingegnere - riguardo ai loro nomi e alle posizioni. Un tempo mi piaceva sapere del carro, dell'Orsa, delle costellazioni, di tutti i nomi d'estate e d'inverno. Poi tutto ha perso quell'importanza e ora guardo stelle chiedendomi se sono le stesse che vedevo dalla collina (sempre là vado a finire) e se da là le vedevo come le vedo ora.
Poi sono crollata. Un sonno apparentemente senza sogni, pesante come un macigno. Tanto che stamattina ho dolori ovunque, come se sopra di me si fosse addormentata una seconda e forse anche una terza Paola, una per notte. Saltato il lavoro, saltato tutto anche a causa della febbre che va e viene, ora sono riscaldata dal sole e godo del panorama senza farmi domande inutili.
La notte, si sa, è fatta per pensare. Di giorno tocca vivere.

5.2.13

Nebbia, sogni, futuro e altre puttanate...

Certe volte il sole sembra scomparire alla vista e solo un sottile velo di grigio avvolge il cielo della città. Eppure questa è una città viva. Anche nel suo cielo opaco delle giornate di afa o di umidità. Qui la collina ha luci e colori, che si apprezzano di più dopo le giornate meno luminose.
Ricordo che tornando a casa in auto dalla casa di mia madre, spersa nella campagna, non potevo non restare come ipnotizzata dalla collina. Dalle sue luci artificiali, il profilo che si staglia nell'oscurità circostante, luoghi conosciuti un tempo, quando ci vivevo, e ancora rintracciati a memoria tra i mille e più contorni di coste e boscaglia.
Soprattutto il faro, quello al parco della Rimembranza, in cima alla collina dove abitavo. Il suo passaggio accompagnava le mie notti insonni, in attesa di fantasmi che mi quietassero l'anima parlandomi in silenzio. Ero piccola, allora, e non conoscevo molto della vita ma amavo l'idea della morte. Un riposo e un'assenza di dolore che ancora adesso mi affascina, anche se mi sento condannata alla vita. Perché io sia così non lo so.
Come la parola futuro, che per me non ha mai avuto un gran senso, se non quando era legata a un sogno. Perché senza un sogno non c'è futuro e a volte i sogni svaniscono. Non senza un motivo, certo. Ma svaniscono. E a quel punto si resta senza un futuro, si dovrebbe ricostruire un sogno, ma non sempre è così facile.
Ecco, se in certi giorni la nebbia mi avvolge più del solito riesco a percepire questa assenza di futuro e mi lascia sgomenta. Non più inerte davanti allo svolgersi assurdo della vita, ma raggelata dal significato profondo di una parola di cui non mi importava nulla. Non vedere luce al di là del velo è terribile.
Come essere già morti.
Solo che ancora si soffre e si sente il gelo. La mancanza di sogni è l'inferno vero e proprio.
Se anche ho sempre amato l'autunno, i suoi colori e la malinconia degli alberi spogli ogni giorno di più, oggi spero che presto arrivi un sole tiepido e che con lui ritorni il sogno, il sorriso e il futuro che non ho mai desiderato.
O finirò per confondermi nella nebbia...

4.2.13

Shopping infernale...

La ragazza, avvolta nel suo cappotto scuro, fissava il riflesso del suo accompagnatore nella vetrina. 
Lui la teneva sottobraccio, il cappello calcato sui capelli castano chiaro e il bavero alzato per proteggersi dal freddo. Qualcosa non andava, in quel riflesso, ma era difficile a dirsi cosa fosse esattamente a stonare nei lineamenti sdoppiati del viso. I capelli lisci e appena ondulati dalla pressione del cappello erano lunghi tanto da mettere in ombra il poco del viso che era scoperto. Lei, invece, aveva capelli raccolti dentro a un morbido cappello di lana. E il viso nudo esposto alle intemperie aveva il colore rosato delle bambole di porcellana. 
D'un tratto il giovane la prese più saldamente e la portò fino alla panchina qualche metro più in là. Le due signore di mezza età sedute da tempo sulla panchina alzarono lo sguardo. L'uomo si chinò in avanti trascinando con sè la ragazza. 
"Lei è la donna più bella del mondo", disse poi con voce profonda e leggermente roca indicandola, rivolto alle due donne. Entrambe, a bocca aperta, lo fissavano inorridite. Così come si era avvicinato, se ne andò trascinando la sua ragazza ancora una volta per il braccio piegato. 
Davanti a una nuova vetrina l'uomo si fermò. Baciò la ragazza irrigidita sulle labbra e le disse: " hai visto, gliel'ho detto..." poi girò il viso mostrando la terribile cicatrice che lo sfigurava, pelle bruciata e strappata che faticava a rinascere.