31.12.10

Ferite

Ho detto di no.
Le sue mani cercano comunque il mio corpo in questo letto. Mi sono girata, chiusa in posizione fetale, gli dò la schiena. Il poco pigiama che indosso sopra a un costume intero non basta a fermare la sua ricerca. Vuole la mia pelle. Continuo a sperare che si stanchi di cercare un contatto, ma più passa il tempo più mi rendo conto che non succederà. Ho il suo fiato sul collo.
Ho paura. Non voglio girarmi, non voglio guardarlo. Non voglio parlare, vorrei poter scappare, ma non ho scampo. Sono una preda. Ho detto di no, ma lui mi avrà. Il mio corpo resta immobile, come se a fingermi morta tutto passi in fretta. Il suo tocco è freddo come la sua bocca. Sa di morte, la mia. Le dita lunghe s'infilano ovunque, tento di fermarlo, ma non ci riesco. Temo che mi faccia del male, non voglio che mi faccia del male.
Si fa strada, padrone, mi prende. Così senza che io mi muova. Fa da solo.
Ho detto di no, ma non ha sentito. Così è più comodo.
Lui, il doppio dei miei anni. Lui, generoso ipocrita bastardo. Lui, viscido e schifoso più di un rettile usa il mio corpo come fosse suo. Lui si può permettere di non sentire. Non riesco nemmeno a piangere, forse se lo facessi si accorgerebbe che qualcosa non va. Come non bastasse il mio corpo morto, il mio rifiutare qualsiasi movimento, il non accompagnare i suoi.
Io, nemmeno diciott'anni. Io che mi maledico ogni volta che lui affonda in me, che mi insulto, che mi tratto da sola come lui mi sta trattando, dandogli ragione. Io, che non ho saputo capire prima dove mi stava portando, che ho voluto credere di avere un qualche potere decisionale per quello che riguardava la mia vita. Io, che mi sto dando della puttana da sola perché non ho la forza di scappare via. Ma via dove?
Ho detto di no, mentre lui ansimava alla fine. E mi baciava il collo e le spalle ringraziandomi. Ma questo no non aveva più voce.
Si toglie, veloce. Non vuole problemi. E sembra felice. Mi chiede se è tutto a posto e la mia voce gli dice di sì. La mia testa sta già inventandosi una fiaba per nascondere il disgusto. Sta cercando una versione dei fatti che non faccia male e che non mi faccia vomitare ogni volta che ci penso. Presto, mi dice, non ci penserò più. La mia mente è una perfida ingannatrice.
Qualcuno dentro di me ancora dice no, ma la mente ha un piano. Far finta di niente. Far come lui.
Così dormiamo.
E l'indomani di nuovo. Senza alcun no. Tanto non serve.
Tornerò a casa, mi dico. La vita ricomincerà come prima, penserò ad altro, avrò serate migliori, sesso consenziente e giovane come merito. Lui avrà una tacca in più sulla sua pistola, non si accorgerà di cosa ha fatto, non capirà la mia distanza, la mia sparizione. Non capirà che danni ha fatto.
E io dimenticherò, davvero, per un po'. Per un bel po'. Perché non è poi così difficile farlo, almeno in quella piccola parte di cervello che controlliamo. Per il resto le ferite lavoreranno su di me come dei tarli, mi distruggeranno dall'interno senza che io da fuori me ne accorga. Sgretoleranno ogni mia certezza su chi e cosa sono, su cosa valgo, su cosa merito. Così mi butterò a capofitto in storie malate, in una lenta e inesorabile distruzione della mia vita. Nella punizione per ciò che ho fatto. Che gli ho lasciato fare.
Ho detto di no. Un giorno me lo ricorderò. Quel giorno, guardandomi in uno specchio in cui non mi riconoscerò da tempo, troverò la forza di ricordare. Ho detto di no. Ho detto di no, più di una volta.
Non è servito. Io sarò lì, lacerata allo specchio tra la ragazzina che ero e la donna che non mi sono permessa di essere, a cercare la forza di ricostruire me stessa. A cercare di sentire il tocco dei miei fidanzati, a lasciarmi andare alle cose belle e a perdonare me stessa per le punizioni che non meritavo.
Ho detto di no. Quelle ferite io non le volevo.
Ma a volte dire no non è abbastanza.

25.12.10

Momenti

Ancora.
Sentire il tuo respiro,
la tua voce.
Quei momenti sospesi
tra parole non dette
e la speranza di udirne di nuovo.
Mi manca.
La cerco e,
allo stesso tempo,
non vorrei riviverla.
Quella sensazione,
la gioia, la vita.
Quel desiderio.
L'abbandono.

20.12.10

Piccolo sfogo nel tempo che non c'è

Non riesco a scrivere, se non poesie - tra l'altro diverse dalle mie solite, che non è un dramma - mentre vorrei immergermi nel mondo cupo di Jane, dove il nemico ti permette un confronto.
Immergermi come qualche mese fa, con i Pink Floyd o i Muse, i Chemical Brothers, i Temper Trap nelle orecchie; buttata in una corsa in moto, in un feroce corpo a corpo, in un tenero approccio, in visioni e voci inquietanti.
Quello è il mondo che mi appartiene. Quello con i mostri, con le spade e le pistole. Quello che si muove nella notte della mia mente. Vorrei salvare Jack, far riunire due fratelli maledetti, trovare la mente criminale che ha dato vita a tutto ciò. Carezzare ancora una volta le labbra di David, l'uomo sbagliato. Prima della fine, del naturale svolgersi degli eventi, così come loro stessi vorranno accadere.
Voglio ricominciare a scrivere. Voglio tornare là. Qui mi stanco soltanto.

16.12.10

Onde

Sospiro.
Una goccia cade leggera,
scura sul bianco strato di lino.
Sottile.
Il filo che tiene unito il mondo
si spezza in un battito di ciglia.
Fremito.
Come un bacio a lungo sperato
e giunto troppo tardi.
Ghiaccio.
Negli occhi, sulla pelle,
dilatato nel tempo e nello spazio.
Dilaniato.
Il cuore si ferma, mormora,
si espande, vivo.
Nulla.
Ciò che va
non fa altro che tornare.

14.12.10

Auto-me

Seduta a fianco a mia mamma in automobile prestavo attenzione al rumore del motore. Lei aspettava che io le dicessi quando secondo me era il momento, premeva la frizione, mi suggeriva la marcia e io la inserivo con la mano sinistra. Il sistema di mamma per farmi amare l'automobile.
Che non funzionava più di tanto, ma finché era un gioco andava bene.
Poi ho imparato a cambiare gli pneumatici. Ovvio, non lo facevo io, ma aiutavo. Davo una mano a svitare i bulloni quando lei li allentava a sufficienza, a spostare la ruota quando era fuori dalla sua giusta sede. Per mamma era giusto che io imparassi tutto ciò che poteva servirmi nella vita.
Quindi le piccole cose che riguardavano l'auto, poi la tinta alle pareti, poi le giunte ai fili elettrici, come montare una spina, una presa, una prolunga, fare i buchi col trapano, montare mensole, librerie, mobili. Infilare le cose in modo pratico negli scatoloni a ogni trasloco, muovermi e sopravvivere agli eventi senza fare una piega.
Mamma era una donna pratica, per lo più, e indipendente. Testarda. Aveva preso la patente da privatista a diciott'anni, ed era il '57, non limitandosi a una semplice patente B. Ha preso la C. E sapeva smontare e rimontare un motore. Fare il cemento, tirare su un muro, riparare tubi. Mi ha insegnato un po' di tutto.
Nessuno più di lei ha saputo rendermi indipendente, più capace di fare senza un uomo in casa.
Come ha dovuto fare lei per tanto tempo.
Quante sono le piccole cose che mi ha lasciato...

8.12.10

Oggetti

Sono cose senza vita che racchiudono in sè tutta la tua.
Sì, sono cose. Magari per qualcuno hanno avuto un valore particolare e per noi sono solo schifezze. Magari sono schifezze che alla lunga entrano a far parte della tua vita. Che tu lo voglia o no, parte di questa vita resta legata a quelle schifezze.
Che tu lo voglia o no. Non è così semplice levarsele di dosso.

5.12.10

Inizio

Dentro al gelo un abbraccio.
Sottile gioia nel vuoto,
la pelle che sfiora la pelle,
la mano che resta vicino.
Mortale.
Riposo nell'incavo,
accetto la distanza,
stringo nel respiro
tutto quello che ho.
Nel buio ascolto.
Battiti sottili, aria smossa.
Niente.
Sogni leggeri che vivono,
muti desideri lacrimano
nel silenzio del dolore.
L'amore.

2.12.10

Utilità per eredi squattrinati

In caso fosse di una qualche utilità per qualcuno, vorrei raccontare dell'atto notorio che ho fatto in Tribunale pagando solo le marche da bollo invece di pagare un notaio.
Si tratta di una attestazione giudiziale che si fa all'ufficio atti notori del Tribunale. Qui funziona che si prende appuntamento e ci si presenta il giorno giusto con 2 testimoni (non parenti o affini, o futuri parenti, o persone interessate all'eredità) muniti di carta d'identità e codice fiscale; occorrono 1+1 marca da bollo da €14,62 e 1 da €31,86 se il documento è urgente (altrimenti da €10,62 va bene) - per ogni copia conforme occorreranno 1 marca da 14,62 e 1 da 31,86 in più - acquistabili in tabaccheria. Saranno richiesti un certificato di morte, i dati anagrafici di ogni erede, copia del testamento se esiste e copia di eventuale separazione/divorzio in caso ci fosse un coniuge. Inoltre sarà da compilare un modello preesistente con la formula dell'atto inserendo alcuni dati.
Con queste cose alla mano, l'addetto alla Cancelleria del Tribunale farà apporre le firme a eredi e testimoni e il timbro di convalida, poi provvederà a consegnare le copie richieste dell'atto stesso.
In questo modo si risparmia una bella cifra, solo che non tutti sanno che esiste questa possibilità.

28.11.10

Music (makes the people come together?)

Il locale non lo vedeva da anni.
La ragazza bionda aveva frequentato quella discoteca da ragazzina, ancora accompagnata dalla mamma, nel periodo in cui il video di Thriller andava per la maggiore. La sala allora era diversa, una grossa cabina d.j. al bordo della pista, ora più piccola, la disposizione dei divanetti e dei tavoli modificata. Diverso l'ingresso, la musica, la gente.
Questa volta era venuta con il magazziniere d.j. (per comodità MJ), con cui stava da ancora poco tempo. Ma forse già troppo. Si erano preparati con la solita attenzione, avevano gli amici del sabato sera con loro, tutto andava per il meglio.
La ragazza bionda ballava in pista, le vibrazioni della musica house che le tremavano dentro. Accanto a lei MJ faceva lo stesso con l'aria del pavone. Un brano, due, poi lei nota una persona. Un ragazzo biondo che aveva frequentato anni prima e con cui non era mai andata a ballare. Lei si gira, non vuole farsi notare. Sa già come vanno le cose, quando capita.
Ogni volta che escono, finiscono per incontrare qualcuno che lei conosce. Per caso, in posti che magari lei non ha mai visto. Ogni volta tutte le spiegazioni da dare, tutte le giustificazioni da inventare. Perché non sempre ha voglia di spiegare chi, come, quando e cosa... Eppure lui, MJ, ogni volta le fa il terzo grado. Non vuole capire che per lei nessuno di questi è importante e che l'unica persona che vorrebbe incontrare, di certo non la troverebbe nei locali fighetti che frequenta con lui.
Ma il biondino l'ha vista.Le sorride e si dirige verso di lei. lei fa finta di non capire, di non conoscerlo. Uno normale capirebbe, ma lui no. Certo che no. Così la saluta, le chiede "Ma come, non ti ricordi di me?" e lei finge di cadere dalle nuvole, pensando già a cosa inventarsicon MJ. Perchè non vuole dirglielo che lei ha conosciuto il biondino a una festa di carnevale e che è andata più di una volta in moto con lui, stretta stretta, che hanno visto un film al cinema una volta - ma che quella volta lei aveva in mente un altro - e che comunque un po' le era piaciuto. No, MJ non avrebbe capito e avrebbero litigato.
Così, dopo averlo liquidato, inventò una storia assurda in cui il biondino era un amico di sua sorella e che era un essere appiccicaticcio, di quelli che non ti mollano mai. MJ le credette.
Per una volta, una sola, la serata terminò in modo pressochè normale.

24.11.10

Anni

I miei anni della ribellione non prevedevano letture.
Erano fatti più di notti fuori casa, corse in moto senza casco aggrappata al centauro del momento, luci e caos da discoteca, parole cattive e musica cupa. Erano fatti di sesso sfrenato nelle automobili o di adrenalina pura per la sfida continua al mondo.
Erano fatti di rabbia, a volte incontenibile, sia distruttiva che autodistruttiva. Di cose non dette e di cose esibite all'eccesso.
Quegli anni non davano chances a nessuno. Non potevo permettermelo. Non potevo essere debole e sciocca come tutte le ragazze che avevo lasciato dietro di me. Dovevo essere stronza ad ogni costo.
Amici sbagliati, compagnie imperfette, pericolose. Il tutto senza mai crederci fino in fondo, perchè già lo sapevo di non esser fatta per certe cose. Cercavo vendetta per ogni torto subito e per quelli a venire. Per ogni cosa del mondo che non mi piaceva, per ogni attimo in cui detestavo la vita.
Avrebbe dovuto piacermi. Invece no.
Niente in quegli anni poteva cambiare le cose. Sono rimasta quella che ero stataprima. Non sono diventata nulla di ciò che volevo diventare e ho agitato i pugni al vento come un'inutile Don Chisciotte al femminile, come lei.
Perché come lei sognavo cose che non erano nelle mie possibilità, come lei lottavo per sembrare più grande e forte, una donna guerriero. E scoprire che lei non lo era davvero mi ha fatta arrabbiare ancora di più. Con lei, con la vita, con tutto, con me stessa. Poi son venuti gli anni del rammarico per le cose spiacevoli, le scuse, le parole dolci, le attenzioni, il senso di protezione.
Ma questi... Questi che anni sono?

18.11.10

A una persona speciale

Vorrei che tu ti aggrappassi a ogni raggio di sole e che ti appendessi a ogni nuvola, che ti lasciassi trasportare e che lasciassi che la vita, le giornate e le ore portassero via il tuo dolore con la naturalezza che serve.
Vorrei che sorridessimo insieme mentre insieme piangiamo, ognuna il suo morto. Che non sentissi parole inutili, strette di mano fasulle, che non ti lasciassi coinvolgere dalla giostra del ricordo di com'era bello. Che usassi questa lacerazione per diventare ancora migliore, se fosse possibile. Che nella forza che so essere tua trovassi il modo di sollevare tua madre e di non lasciarla sola. Che sapessi che sono vicina e che basta poco, davvero poco. Che ti voglio bene...

10.11.10

Crisi di mezza identi-età

Che anno, quest'anno...
Tra il quarto viaggio in India e tutto ciò che è seguito, devo dire che ho avuto di che pensare. Non che di solito io non lo faccia, eh...
Stasera ho prenotato 5 guide a scuola guida, dopo 19 anni di patente inutilizzata. Non so perché. All'inizio avevo pensato di farlo per poter andare da mia madre in caso di bisogno. Ora non serve più. La macchina non mi serve. Costa troppo e quel che faccio lo faccio tranquillamente senza. Non la userei praticamente mai. Ma visto che ne eredito una... Boh?
Ho una inquietudine di fondo che mi fa desiderare cose nuove, altri cieli e prospettive. Anche solo mentali. Più tempo per me, progetti diversi che siano miei e solo miei. Senza compromessi.
So che non sarà possibile, oh se lo so.
Ma so anche che questo è solo l'inizio. Il percorso mi sembra appena cominciato.
Mi sento bene, non sono insoddisfatta della mia vita fin qui. Non ho lasciato cose sospese con mia mamma, tenendole la mano le ho detto tante cose. Forse non poteva rispondere, ma non è la risposta in fondo la cosa che conta. Il fatto di averle detto che tra noi era tutto a posto, che mi dispiaceva per le volte che ho fatto la stronza e che non importava più che l'avesse fatta anche lei qualche volta. Le ho detto che tutto andava bene, che non aveva motivo di preoccuparsi, che poteva rilassarsi e andare, perché io ce l'avrei fatta.
Non ho problemi di relazione con altri ancora in vita, ho un lavoro, ho una serie di cose di cui posso ritenermi soddisfatta. Altre che desidero e che vedrò come realizzare senza impazzirci su. Non serve a niente.
Lottare a volte è peggio che aspettare che la vita faccia la sua strada. Meglio essere flessibili e seguire il corso delle cose vivendole al meglio invece di incaponirsi (o incapponirsi come dice un amico) dietro a una visione magari distorta della propria vita.
Così attendo di vedere il cambiamento che sento. Che sia colpa dell'età o del fatto che ora sono adulta non lo so e non mi importa granché. Sono qui. Vediamo.

8.11.10

Girl at work, non molto girl...

Sto per riprendere i lavori sul nuovo libro, sospesi dal viaggio in India e non più affrontati. Piccole variazioni e dettagli che avevo dimenticato di inserire nella parte già completata e tutta una nuova parte su cui lavorare per terminare la storia. Le idee ci sono, anche se verranno stravolte dai personaggi che non vogliono mai fare quello che stabilisco io. E va bene. Non importa. Vedrò dove mi porteranno.
Nel frattempo ho rimaneggiato parte della raccolta di racconti d'amore-orrore con cui avevo partecipato al torneo. Eliminato un paio di storie, messo appunti sulle pagine da cambiare, sistemato un paio di parole e passato alla mia mini-editor. Per vedere i suoi consigli e correggere i difetti. Il problema è che parte di racconti è decisamente autobiografica e su quelle parti non ho le idee chiare su come migliorarle. Troppo personali. Che poi, perché vado a complicarmi la vita con dei racconti d'amore? Non posso scrivere le mie storie oniriche, gotiche, fantastiche? Non so. Parte di me vuole far uscire certe piccole cose che stanno nascoste. I miei lati estremamente romantici, il mio senso del tragico e della vita. L'altra parte di me vuole solo raccontare il mio mondo interiore.
Non ho più scritto poesie. Non me ne vengono da circa 3 anni. Pazienza, si vede che ho perso la mia musa (o il mio "muso") o che qualcosa è cambiato nel mio modo di affrontare certe passioni.
Dipingo. Ho da finire un regalo per una persona a cui tengo, idee per un paio di altri lavori. Ma poco tempo. E me ne servirà.
Intanto curo le belve, vecchie e nuove, di casa. Lavoro al mio solito lavoro e ho una casa da svuotare, faccende burocratiche da svolgere, rotture di balle e contrattempi.
Ma sono fiduciosa. Riprenderò tutto in mano e andrà bene.
Lo so.

7.11.10

Sempre

Quello che mi dà fastidio più di ogni altra cosa, normalmente,è la banalità e l'ipocrisia nascosta in certe frasi di rito. In genere sono abbastanza intollerante alle procedure formali.
Cioè, perché mi dici "sentiamoci" ogni volta che ci incontriamo per caso quando entrambi sappiamo benissimo di non avere il numero dell'altro? Ci siamo mai sentiti per il puro piacere di farlo in vita nostra? E allora perché dovrei chiamarti ora?
O perché non capisci che adesso non ho nessun bisogno di farmi forza o di chiamare qualcuno per parlare. La forza mi serviva prima, quando dovevo vedere mia madre - la donna indipendente, forte e vitale - crollare sotto il peso della malattia; quando dovevo tenerle la mano mentre moriva. Ora la forza non mi serve. E quando volevo parlare con qualcuno non mi ha fermata nessuno. Io ho parlato con chi volevo, non ho bisogno di chiamare il mondo per gridare la mia sofferenza. Questa non c'è più. C'è un po' di malinconia, ma sofferenza no.
Questo perché?
Tutta la vita a spiegare che non ho problemi con la morte. A dire che non mi fa paura, che la trovo naturale, che non mi importa cosa c'è dall'altra parte (proprio non me ne può fregare di meno, mi va bene non saperlo e pensarci quando sarà il momento), che non ho mai creduto che la persona fosse il corpo, che non penso che la morte sia terribile (solo brutta in certi casi), anzi.
Tutta la vita a dire come la penso e sentirmi rispondere che lo faccio perché non ho mai perso nessuno di importante - e se per me ogni persona fosse importante? - e che avrei visto poi - perché perdere amici, fidanzati e parenti non è forse perdere qualcuno di importante?
Tutto il tempo a dire che ritengo di sapere cosa penso al riguardo e che non c'è motivo per cui io cambi idea.
Bene.
Ora ho perso una persona importante. Credete che sia cambiato qualcosa? Che io abbia fatto la "superiore" fino a questo momento per poi far crollare la maschera nel momento che preventivate voi?
Invece no. Non è cambiato niente. Sono sempre la stessa di prima, con le stesse bizzarre idee sulla morte come cosa naturale e tutto ciò che ne segue.
Non ho bisogno di telefonarvi per dirvi che non mi dò pace, perché sto bene - nei limiti del possibile, sono umana e mia madre mi mancherà. Non ho bisogno di farmi forza, perché ho tenuto la mano a mia mamma in tutte le 7 ore necessarie e ho continuato a dirle che andava tutto bene e di non avere paura. Fino all'ultimo. Quella forza era l'unica di cui avessi bisogno e già l'ho avuta.
Il resto sono tutte cazzate.

4.11.10

Trilli di nonsense

Il telefono squilla all'inizio del pomeriggio.
Non appena la ragazza bionda risponde, all'altro capo la voce del pilota, leggermente lontana.
"Ciao."
"Ciao," risponde lei.
"Volevo solo salutarti, sono in Spagna."
"Sei in vacanza?"
"Sono arrivato oggi, perché non vieni anche tu?"
"Non potevi dirmelo prima, che viaggiavamo insieme?"
"Ah, non ci ho pensato."
"Mmh, ok. Beh, non è che mi faccia impazzire l'idea di viaggiare da sola fin là."
"Ma sì, mi mancavi e volevo salutarti. Ciao." Riaggancia quasi subito.

Il telefono squilla di nuovo, la sera.
"Ciao." Sempre lui.
"Ciao."
"Beh. Volevo salutarti."
"L'avevo notato."
"Allora ciao."
"Ciao."
Riagganciano entrambi.

3.11.10

Il compito

In qualche modo l'avevo capito, senza sapere. Il motivo essenziale per cui sono venuta al mondo è legato al grido di solitudine di mia madre, la sua sofferenza per quello che era, per come non poteva essere e per la diffidenza che il suo essere "diversa" dalle ragazze della Torino bene della sua età provocava. Devo averla sentita, quella sua malinconia. Quella sua fragilità intrinseca che in ogni modo tentava di nascondere al mondo. Lo faceva bene, mia madre. Tanto che per anni al suo confronto mi sentivo piccola piccola e credevo che lei fosse una sorta di eroina, una donna guerriero. Ha lottato tanto, fino all'ultimo, mia madre. Con tutto e con tutti, anche solo con la malattia che non ha voluto mai chiamare col suo nome.
Tenere la sua mano fino all'ultimo era il mio compito. Carezzarla e non farla sentire sola, amarla oltre ogni difetto io abbia scoperto in lei in questi anni. Quarantun anni in cui, insieme e non insieme abbiamo vissuto milioni di vite. Adesso il mio compito è terminato. La mia solitudine, quella che in lei avevo riconosciuto, non fa male. Non lo fa da tanto tempo. Anzi, mi piace. E la sua è sicuramente lenita dalle mie carezze e dalle mie parole sussurrate tra le lacrime. Un momento cui ero preparata in parte e che mi ha dato molto. Un momento difficile, triste e sofferto. Un momento di vita.

Clip The Cranberries "No Need to argue"

28.10.10

Un anno, un mese e un giorno

Curioso come le cose nella vita seguano un loro strano percorso e come in certi momenti a una parte della nostra mente tale percorso sembri così chiaro.
Viaggiavo in auto verso casa sua, mi avevano telefonato perché stava male. Lo sapevo, certo. Avevamo parlato prima al cellulare. Ma nel guardare fuori dal finestrino m'è venuto in mente questo dettaglio strano. Era esattamente un anno, un mese e un giorno dalla morte di mio zio.
In quel momento ho avuto non un presentimento, ma una certezza.
Ecco cosa stavo aspettando dall'inizio dell'anno. Cosa mi tormentava lo stomaco, mi turbava il sonno senza darmi dettagli importanti.
Eccolo il dettaglio. Sta male. Non solo. Sta morendo.
Non c'è molto altro da dire. Veloce, come il pensiero, questa cosa sta succedendo adesso. Senza tregua, senza respiro. Come la sua vita, come la mia.
Naturale. Doloroso. Inevitabile. Lascio spazio a un cielo sereno.

16.10.10

Senza titolo

La guardo con tenerezza, come a volte l'ho guardata con odio, altre con estrema ammirazione, altre con disappunto, con amore, con rabbia. Mi sembra più facile coccolarla, assecondarla, lasciarla fare. Non con senso del dovere, non senza un peso specifico che mi trascino dietro da un po'.
La vita mi sembra pesante, leggera e piena, e vuota, e insulsa e meravigliosa - ma mai così spesso. Naturale come solo la vita può essere. Per questo da una parte mi spaventa, inevitabile, mentre dall'altra proprio perché è inevitabile mi risulta rassicurante.
Ma non mi fa male, non in quel modo. Non in quella quantità. Solo tristezza.

6.10.10

La verità...

La verità è che ho paura.
Delle cose che implicano una scelta, di quelle che non ti danno via d'uscita, di quelle che lasciano aperta ogni prospettiva, di quelle che non ti obbligano. Ho paura dei sogni e delle delusioni, delle novità e delle sorprese. Delle intenzioni delle persone, della loro vicinanza. Di essere incapace di gestire una situazione, di non essere abbastanza brava. Ho paura delle cose che non conosco e di quelle che si ripetono sempre uguali e prevedibili. Di me stessa, della mia rabbia, della mia incapacità a dire no. Del mio amore. Di quello che provo accanto ad alcune persone, di quello che non provo quando dovrei provarlo. Dei parenti. Del futuro. Della perdita dell'indipendenza, del non riuscire a esprimermi in tempo. Di quello che mi dice il mio sesto senso, di quello che sento arrivare. Di addormentarmi, di perdere il controllo, di scoprirmi diversa. Di sperimentare. Di vivere di abitudini.
Dei ragni, di essere felice, di perdere tempo, di non riuscire a scrivere. Di non essere capita. Di smettere di imparare, di diventare cieca e sorda, di non avere scelta. Di quello che mi dicono quando sono confusa, di quello che dimentico e di quello che scelgo di dimenticare. Di non poter ascoltare o leggere nuove storie, di ritrovarmi in vecchie situazioni. Di perdermi.
Di...

29.9.10

Le cose non vanno mai come credi (settembre invece di marzo)

Certe volte mi chiedo perché continuo a fare progetti, quando tutto va come deve andare senza che io possa fare granché.
Anche ora, scrivo e cancello, riscrivo e ricancello. Le parole non escono. Vorrei dire troppe cose e dare a tutte la giusta importanza, ma non trovo il modo. Non ora. Non ce la faccio.

24.9.10

Rabbia

" Cercò di riprendere il filo delle sue riflessioni, ma oggi non voleva riuscirgli. anche qui alla friggitrice l'inerzia che da giorni gli addolciva le notti e accorciava le mattine, che gli aveva restituito la sensazione dimenticata del benessere corporeo, lo teneva abbracciato; ma questa era un'inerzia più subdola, che voleva addormentarlo nel lavoro macchinale - rassegnarsi all'odore e agli schizzi d'olio, non pensare se non pensieri elementari, lo stretto indispensabile, sollevare e svuotare il cestello, tornare a riempirlo, aggiungere olio, non far bruciare le sottili striscioline di patata, farle soltanto dorate e croccanti, non c'era bisogno d'altro per sopravvivere, e vivere non era altro che sopravvivere, questo gli suggeriva il parlottio della friggitrice...
Esercitato così, era anche un lavoro senza fatica e senza stanchezza, la cui stessa monotonia non ne faceva avvertire sazietà. E l'avrebbe accettato anche lui come tanti, come quasi tutti, non fosse stato per la sua insofferenza verso ogni attività ripetitiva, verso il dormiveglia indolore che lo trasportava fino alla notte e al sonno. Quel cosiddetto lavoro, bestiale in se e nel suo scopo, la masticazione e la digestione, tutti i lavori che aveva fatti dalla fine della scuola in poi, quasi vent'anni ormai, tutti a loro modo bestiali nell'impedirgli di pensare, e contro tutti sentiva da dentro montare, viscerale, violenta, la ribellione."

La vocazione, Cesare De Marchi,  pag 137

22.9.10

Proprio no

Se qualcuno di voi è passato di qua negli ultimi mesi saprà che avevo la sensazione che questo fosse un anno infausto in qualche modo che ancora non sapevo.
Certi ritardi mi avevano innervosita, il dover sopprimere Gar (pastore tedesco di mammà) era già stato brutto. Il viaggio in India non è stato leggero, emotivamente parlando (ma come potrebbe esserlo?). Ora va ancora peggio.
Mamma non proprio in salute e il piccolo Fox, l'ultimo gattino di casa, malato grave. Non so. Se dico che non vedo l'ora che quest'anno finisca qualcuno mi dà ragione?

16.9.10

F-f-f-fffatto!

Non un granchè, a dire il vero.
Ma aggiustato il formato di word del mio romanzo per adattarlo a tutte le richieste bizzarre delle case editrici, molte una diversa dall'altra, salvato su chiavetta e domani se non succede niente me li faccio stampare. Poi tocca imbustare, indirizzare, spedire e cominciare a sperare.
Non ci so fare con la realtà, sempre preferito vivere nei miei mondi.
Parlare con i miei personaggi mentre cerco di addormentarmi aspettando le risposte, osservandoli mentre agiscono di nascosto sulla tastiera e mi fanno dire cose che non pensavo di dire.
Scrivere di cose vere senza metterci dentro un po' della mia magia non mi viene bene. E sì che ci provo. Il romanzo piace molto alle donne, poco agli uomini, a metà alla mia libraia di fiducia (che di letteratura e di lettura ne sa e che non esita a riprendermi se sbaglio o a lasciarsi trasportare dove non vorrebbe quando qualcosa la colpisce).
Forse è troppo reale, pur non essendolo del tutto. Troppo legato al vero per farti sognare.
Non lo so. So che qualche editore magari lo leggerà, forse qualcuno lo apprezzerà anche. Non so chi lo vorrà vedere nella classica forma di libro. Io ci spero, per fare altro con più serenità mentre ora serena non sono, non lo sono affatto...

13.9.10

I've got the world on a string

Sono quei momenti, proprio quelli, che poi tornano alla mente per la sensazione che lasciano dentro. Quelli che ti fanno vedere più bello il mondo.
Primi di Luglio del 1983, età approssimativa 13 anni e 11 mesi.
La scuola era finita e gli esami con lei. Portavo i capelli biondi sulle spalle, sciolti quasi sempre se non ero a scuola. Avevo un paio di pantaloni di marca uguali a quelli delle mie migliori amiche, una canottierina verde e una maglia che si incrociava sul davanti, dello stesso colore dei pantaloni. Un paio di sandali da schiava da cui facevo fatica a separarmi.
Ero a cena con mio padre sul terrazzo della pizzeria a fianco al Castello di Moncalieri, in cima al centro storico. La nostra cena settimanale, che questa volta era stata rimandata un poco. Noi due, soli, parlavamo del più e del meno, mentre una leggera brezza estiva mi scompigliava i capelli. Stavo bene. Mi sentivo sicura, decisa e forte. Solo quella sera o quella sera in particolare.
Avevo appena deciso di diventare una ballerina. Nessuno lo sapeva, ma io sì. Nel mio cuore c'era solo quel sogno, niente altro era importante.
La mia pelle era appena dorata dai tanti pomeriggi passati all'aria aperta nel mio giardino, a correre, a sfrecciare sulla mia bici da cross e a salire sugli alberi, più in alto possibile. Con mio padre parlavo di musica, di film appena visti, di una breve vacanza fatta con la mia amica e sua sorella. Una settimana in cui, come sempre, mi ero sentita a posto nonostante tutto.
Nemmeno dieci giorni dopo mi sarei innamorata perdutamente di un paio di piedi e del loro proprietario senza avere o ritagliarmi uno straccio di possibilità, sarei scappata per la disperazione di non riuscire a passare con lui più di qualche minuto in giorni e giorni, sarei tornata a casa dove era appena morto il mio cane e avrei passato successivamente il mio primo anno buio, fatto di pomeriggi chiusa in camera, a letto, con la musica a tutto volume e la camera completamente oscurata in cui l'unica cosa visibile era l'ora rossa della radio sveglia.
Ma in quel momento, in pizzeria, con il vento tra i capelli e il profumo della collina nel naso... no.
In quel momento avevo speranze, sogni, certezze. Avevo voglia di vivere e di affrontare le mie paure. Io, timidissima e rotonda, volevo andare nella fossa dei leoni e mettermi al fianco di persone che fino ad allora avevo visto su un palco ai saggi e agli spettacoli, persone che per me stavano comunque su di un piedistallo e che non avrei forse mai raggiunto. Ma volevo far parte di quello e non di altro. Ero pronta a qualsiasi sacrificio. Ero anche sicura di farcela. Sicura che il mondo si sarebbe adeguato alla mia volontà.
Momenti, quelli, che vengono una volta o due nella vita e che restano incisi tra le pieghe del cuore per sempre. Per far sì che continui a battere.

11.9.10

Perché scrivere?

Ho compilato un questionario, l'altro giorno. Riguardava letture e scritture.
Che poi basta poco a farmi pensare a mille cose.
Mi chiedevano se avrei voluto una maggiore frequentazione con altri scrittori e io ho cliccato no. Non per snobismo, chi mi conosce lo sa. Partecipando al torneo ho "incontrato" altri appassionati di scrittura. Ho letto le loro riflessioni, i suggerimenti, le critiche. Ho anche letto tante cose che avrei preferito non leggere.
Poi, in un discorso più ampio sull'editoria e soprattutto su quella a pagamento è scattata la riflessione.
No, non mi va di pagare per pubblicare qualcosa. Non per altro, ma se non ci crede nemmeno l'editore tantovale che mi tenga i miei scritti per me. Se mi hai selezionata è perché ti piaccio, altrimenti mi mollavi lì come tanti altri. Allora perché mi chiedi soldi? Posso andare in tipografia come han fatto tanti prima di me e magari stamparmi le copie che voglio, magari comprando anche un codice isbn. Editing, revisione, copertina e impaginazione restano a me (che magari faccio come mi piace e non come vuole un altro) e le copie che stampo le vendo, le regalo, ci tappezzo la città... Fatti miei. Ma se sei un editore e mi scegli, fai l'editore e non mi chiedi un euro.
Certo, poi c'è da considerare che se uno ti pubblica gratis magari gli cedi i diritti (o ne ricavi una piccola parte, a seconda del contratto) e paghi le tue copie (ma di solito non al prezzo di copertina) e spesso ti devi organizzare tu per farti pubblicità, per distribuire in alcuni negozi il libro, per la presentazione ufficiale, per le copie ai giornali o a programmi radio e tv. Insomma, se l'editore è piccolo e ti pubblica gratis hai fatto solo una piccola parte del lavoro.
Quelli grandi spesso nemmeno ti considerano. Logiche di mercato. Va bene.
Non ci si guadagna quasi mai abbastanza da viverci, salvo rari casi, ci si sbatte tanto per un risultato piccolo piccolo.
Allora perchè scrivere? Perché ne ho bisogno. Perché mi piace e perchè l'ho sempre fatto anche senza pensare a pubblicare qualcosa. Certo mi piace l'idea di dire "sono una scrittrice", mi piacerebbe fare solo quello e dedicare tutto il tempo a questa passione (o dividerlo con la pittura e, perché no, la scultura), ci sono volte in cui mi maledico per non aver finito tante di quelle storie cominciate...
Eppure non mi interessa se devo cedere i diritti e ricavare una misera percentuale dal mio lavoro. Non mi interessa pubblicare ad ogni costo. Mi piace scrivere e mi piace essere letta. Mi piace raccontare storie e sapere che qualcuno le ascolta. Mi piace l'idea che qualcuno del mestiere mi dica: "Sì, mi piace il tuo lavoro e lo voglio pubblicare". Mi piace sapere che qualcuno del mestiere ha già letto le mie cose e non mi ha tolto il saluto.
Mi piace quando capita come oggi, che una persona mi dica che le mie parole le hanno fatto venire la pelle d'oca. Chissenefrega dei soldi!

6.9.10

Whishes

Caro Babbo Natale, lo so che è presto, ma fammi diventare così:



Ne ho proprio bisogno!

3.9.10

Piccole delusioni di lettrice

Mi spiace constatare che nella maggior parte dei casi le persone non sono così mature da accettare una qualsivoglia critica sul loro lavoro senza accusare chi la muove di invidia, incompetenza, presunzione e chissà che altro.
Possibile che la nostra mediocrità ci stia portando a doverci uniformare giorno dopo giorno su un modello che già funziona e che non ci sia più spazio per il nuovo, per qualcosa di non sperimentato? Possibile che se a qualcuno, come a me, continua a interessare tutto ciò che non è banale, già visto, già letto, già sentito, sia io quella che non capisce niente?
Perché alla fine lo so che la disadattata sono io. Perché se faccio una critica, peraltro condivisa da altre persone, a sbagliare siamo noi. Siamo noi che riteniamo Dan Brown uno scrittore mediocre che abbiamo torto. Noi che magari leggiamo più di 20 libri l'anno che non capiamo che cosa sia un buon libro. Noi che leggiamo con amore e passione che non sappiamo leggere.
Certo, noi siamo autori/autrici incompresi. Non possiamo trovare belli dei lavori che hanno superato il nostro in una classifica.
Come a dire, solo perché "Il codice Da Vinci" ha venduto milioni di copie si può dire che sia un libro migliore de "L'angelo delle ossa"? Solo perché un libro ha successo si può dire che sia un capolavoro? Vogliamo dire: "La solitudine dei numeri primi" dovrebbe essere meglio di "Oleandro Bianco"?
A me sembra di essere sempre obbiettiva nel giudicare un lavoro altrui, come mi piacerebbe gli altri facessero con i miei. Possibile che non sia così?

2.9.10

Da piccina

Avere la febbre, quando ero piccola, era un avvenimento speciale. Un motivo in più per farmi coccolare e restarmene finalmente a casa, cioè esattamente dove volevo restare.
Quello che mi manca, ora, è l'album di figurine Panini di allora. Un album per ciascuna influenza e tanti, ma tanti paccheti di figurine autoadesive. Perché se non lo riempivo tutto nel tempo di una influenza poco ci mancava. Ho riempito quello di Guerre Stellari, oltre ad altri. Tante belle immagini del mio film preferito. E Luke Skywalker, il mio principe azzurro.
Ora avrei qualche difficoltà a richiedere un album in particolare. Non so più cosa c'è a disposizione, non mi piacciono i nuovi cartoni animati, non ho mai seguito i calciatori. Forse ci fosse l'album di Harry Potter potrei cercare le figurine di Piton e Voldemort (oltre ovviamente al mio amato Sirius Black), ma non so se avrei voglia di completarlo. Un album di vampiri, forse.
O forse sono solo troppo grande per le figurine.
Probabilmente un album a caso mi sarebbe andato bene, allora. Oggi no.

1.9.10

Cose indiane

"Guarda là" , gli dico, "scatta una foto a quella lingua che pende dall'albero..."
Lui lo fa. Poi gliene indico un'altra, più grossa e scura. Mi chiede: "Perché?"
"Sono alveari."Il ramo da cui pendono è almeno a dieci metri da noi, o forse di più, e già sembrano enormi. Lui non ci crede, pensa sia un fungo o qualcosa del genere. Ma io, che di questi alveari ne ho già visti un tempo (in una casetta di caccia aspettando la tigre,
ed erano più grossi), insisto. Gli faccio controllare le foto appena scattate con lo zoom, api (o vespe) ben visibili. Tante e grosse come solo qui ne ho viste (e l'anno scorso a Follonica, o lì vicino, passando in autostrada). Una cosa incredibile. La natura sorprende con i suoi mille modi di presentarsi, diversi ogni volta e in ogni posto.


Incredibile come certe cose restino impresse.


E, oserei dire, quanto facciano impressione!


Rabbrividisco al pensiero che questi, in confronto a quelli visti nella foresta, sono piccoli piccoli!

31.8.10

Ritorno

Non è semplice. Non lo è mai.
Ritornare, come molte delle cose che cominciano con ri. Altra cosa è forse tornare con un sentire nuovo. Cosa che speravo, in fondo. Che l'immergermi in un mondo così diverso come l'India mi facesse bene. Oh, sì. lo sapevo a cosa andavo incontro.
Tutte le bellezze e tutte le brutture si ammirano insieme. Sofferenza, fede, fatica, sorrisi, morte e vita intensa, tutto insieme. Non come da noi che le cose davvero brutte facciamo finta che non ci siano. Non come da noi, che non abbiamo senso della vita ma solo terrore della morte.
Laggiù la morte si vede. Si vede la sofferenza, la malattia. La dura faccia della Vita che si mostra in tutte le sue sfaccettature. Meravigliosa e allo stesso tempo orribile.
No, non sento qualcosa di nuovo. Non sono ispirata, non sono ri-caricata. Se non di una tristezza di sottofondo che mi accompagna e che non mi molla. Nonostante tutto sia andato bene, meglio del previsto. Anche il clima è stato mite con noi.
Ritornare no. La stessa vita, quelle cose da cui cercavo di liberarmi, mi aspettano. Non mi lasciano andare. Non che io non abbia trovato una soluzione, solo che ora non è applicabile, oa non si può, ora che ne avrei bisogno prima di sprofondare ancora e di nuovo, ri.
A parte qualcosa e qualcuno che erano qui ad aspettare, questo ritorno non mi promette niente di buono...
- Sarà la febbre, sarà che proprio di lavorare non ne ho voglia, sarà che ho voglia di intontirmi di Supernatural e non ho ancora acceso la tv, sarà che sono preocupata per 2 persone, sarà che la consapevolezza di non poter fare niente per cambiare alcune cose e il destino di alcune persone... -

26.8.10

Nel cuore

Sedendosi al tavolo lo vide: lui era accucciato a terra e lavava il pavimento del ristorante immergendo le mani in un secchio il cui contenuto aveva un colore discutibile. Lo straccio che teneva in mano era consumato dall’uso continuo e prolungato che la pulizia in quel luogo richiedeva.
Aveva piovuto da poco e, sebbene in strada il terreno fosse già asciutto, la terra portata all’interno del minuscolo ristorante dai clienti in cerca di un buon pasto a poco prezzo era molta. Sotto ai quattro tavoli le piastrelle un tempo verdi avevano perso il colore per lo strascicare quotidiano di sedie e piedi coperti da scarpe fangose. Lungo il restante corridoio che portava dalla cassa alla cucina brillavano quasi. Il ventilatore non bastava a rinfrescare l’ambiente, così il ragazzo aveva la camicia bagnata di sudore. Un cerotto copriva il pollice destro e il suo colore quasi spariva nell’acqua del secchio. Il colore del tè al latte.
Anche se non l’aveva vista arrivare, il ragazzo sapeva che c’era. Seduta proprio dietro di lui, alla sua destra. Non era la prima volta che si vedevano. Erano due giorni che lei andava a fare colazione (sebbene fosse più l’ora di pranzo) nel posto dove lui lavorava. Lei lo aveva già notato. Il ragazzo con i pantaloni grigi e impataccati, strappati dietro a entrambi i talloni per il continuo strascicare a terra tra il pavimento e le ciabatte di pelle scura. Lui voltò la testa. I suoi capelli lisci e castani erano puliti e la testa sovrastava di poco l’altezza del tavolo. Accucciato così e curvo sul pavimento, il ragazzo le sorrise. Un sorriso dolce, “cerbiattesco”, con i denti bianchi che spiccavano sul volto color cioccolata. Cioccolato al latte, non fondente. Lo stesso colore dei capelli e degli occhi. Lei ricambiò il sorriso. Probabilmente non avrebbe dovuto farlo, viste le normali convenzioni del luogo. Una donna non poteva fissare lo sguardo in quello di un uomo senza passare per una facile. Ma lei non riusciva a non guardarlo. Lui forse lo sapeva.
Continuava a passare lo straccio sul pavimento, anche se ormai il più era fatto. Dopo il primo sorriso da parte di lei si voltò a lavorare per qualche momento, poi girò di nuovo la testa e le sorrise ancora. Si spostò indietro e finì di lavare il pavimento. A vederlo così le si stringeva il cuore.
Lui poteva avere dai diciassette ai vent’anni, il viso ancora abbastanza liscio e morbido, non rovinato da rasature costanti. Era alto, per essere della zona. E magro. I fianchi stretti e le spalle più ampie, ma proporzionate, mani lunghe con dita dritte e unghie corte. La bellezza del suo viso era sicuramente dovuta anche alla dolcezza dei suoi occhi. Gli zigomi alti, le guance scavate e le labbra ben disegnate, piene al punto giusto. Il suo naso aveva un che di aquilino, ma era dritto e le narici non si allargavano di molto. La frangia un po’ più lunga del resto dei capelli era leggermente più chiara. Colpa dell’ossigeno o di una colorazione religiosa per la festa di Shiva.
Finito di lavare il locale, il ragazzo andò a svuotare il secchio in strada e ripassò da lì, andando in cucina. Non si girò più. Ma lei ebbe l’impressione che da dietro la tenda della cucina, che tutti i ragazzi del personale usavano per asciugarsi le mani, ancora la osservasse. Come poco dopo, quando lui si sistemò a parlare con un collega sedendosi al tavolo di fronte a lei.
Quando si alzò per andare via, lui era sparito. L’immagine di quei sorrisi, però, le era rimasta nel cuore.

25.8.10

Dettagli

Alla fine quello che torna alla mente sono i piccoli dettagli di ogni storia. Come le strette di mano che durano qualche istante in più, come gli sguardi rubati attraverso uno specchietto retrovisore o quei piccoli momenti di complicità che si presentano nelle conversazioni. Quei momenti che sembrano dilatarsi a dismisura e assorbono tutta l’attenzione. Poi ci sono i baci, le mani che si sfiorano e le parole sussurrate. Ci sono le cose che ci si racconta, quelle che non ci si può dire e quelle che davvero si vorrebbero dire ma che non è possibile …

Ci sono milioni di parole dette, ascoltate. Cose che restano incise nelle memoria e che alla fine tornano sempre, una dopo l’altra, alla mente. E non se ne vanno. Non più. Anzi tornano. Ogni volta che qualcosa va storto, ogni volta che ci si ferma a pensare, ogni volta che ci si guarda. Anche dopo che tutto è finito, se può finire davvero.

Come cominciano le storie d’amore? Tutto parte dai dettagli. Se non ce ne sono non c’è una storia d’amore, questo è poco ma sicuro. I dettagli che ci tornano in mente sono la storia d’amore. Anche solo poche immagini nella mente, questo basta. E non se ne va, non se ne va.

Non se ne va...

21.8.10

“Del resto tutto in lei lottava con le distrazioni: non solo l’amore coniugale e materno, che sentiva saltuariamente, ma gli obblighi famigliari, che non sentiva affatto, e forse perfino la sofferenza fisica avevano su di lei meno forza delle distrazioni, la più potente delle quali era la sua stessa bellezza.”

“Questi però erano un mezzo, avevano uno scopo che i detestati rituali di lui bambino non avevano avuto, non per lei comunque; e di colpo Luigi, con una di quelle terribili intuizioni che chiudono per sempre l’infanzia, aveva capito, questa bellezza di cui sua madre era così accanitamente in caccia, che cos’era. La felicità, o meglio la via d’accesso alla felicità, non poteva essere altro: vi si riversavano pensieri, cure, energie egoistiche, senza sosta. Essere al centro dell’attenzione, oggetto di invidia e ammirazione … li aveva visti, lui, gli sguardi degli uomini addosso a sua madre, anche al funerale, non si poteva dimenticarli: e in quegli sguardi l’aveva bene afferrato, il senso della bellezza.”

Cesare De Marchi, La vocazione, pag 60/64

11.8.10

La verità

è che non ho molto da dire in questi giorni, ma penso un sacco, oltre a essermi data alla lettura trash.
Mi sento leggermente diversa, da qualche tempo a questa parte e per ora mi godo la novità, intanto studio come proseguire le mie storie bellissime e ancora da scrivere.
Dura la vita di chi vorrebbe solo raccontare favole a chi ha voglia di ascoltarle...
Però, la verità è anche che
STO DANNATAMENTE BENE!

4.8.10

Memorie, buoni propositi e milioni di idee

In questi giorni, i primi di vacanza, la mia mente è stata occupata da una serie di pensieri che mi hanno trasportata lontano da dove avrei voluto andare, come al solito.
Volevo approfittare di questa settimana per finire di scrivere la storia di Jack&Jane, ma ho deciso di cambiare il progetto originale e ora il tempo non basterebbe comunque. La struttura prevedeva un finale con spazio aperto per una eventuale seconda parte. Ma ho pensato che invece avrei potuto fare una cosa unica e più corposa (va bene, gli esperti del settore mi diranno che bisogna essere brevi, ma la storia c'è senza troppi fronzoli quindi...), allora ho cominciato a mettere insieme delle idee per proseguire nella direzione giusta. Direzione che tanto i miei personaggi troveranno il modo di deviare mettendomi nei casini, ma non importa. Io mi adatto anche alle loro personalità, se vogliono una cosa così tanto da farmela scrivere ci sarà un motivo, no?
Volevo anche finire di leggere un libro iniziato al lavoro, per fare una recensione delle mie e dedicarmi alla lettura dei romanzi del torneo (5, da leggere entro i primi di settembre) con i relativi giudizi e appunti da fare.
Il momento perfetto del post precedente ha fatto riaffiorare in me alcuni ricordi e il pensiero di perdere tutto quello che hanno significato alcune cose per me ha cominciato a produrre una serie di alternative. Io già pensavo di utilizzare le mie mille vite passate per approfondire alcuni personaggi di storie che ho in mente, solo che allo stesso tempo mi è venuta in mente l'idea balzana di usarli per un personaggio unico (che poi sarebbe come romanzare un'autobiografia che già sembra un romanzo da sola) e son qui che penso a vantaggi e svantaggi dell'usare me stessa come protagonista di qualcosa. Lasciamo poi stare il fatto che c'è sempre molto di noi in quello che si scrive, è che tutto insieme è un po' come fare un giro nudi in sede di maturità...
E ancora idee su nuove storie che con me non c'entrano niente, o il minimo indispensabile per scriverne, su come proseguire una cosa, su come modificarne un'altra e...
il tempo.
Manca il tempo. Anche in vacanza, come durante tutto il resto dell'anno. Ci sono posti e amici da vedere, ci sono momenti da passare in famiglia, pulizie, commissioni, gatte, cene, piaceri che vanno gustati comunque per sopravvivere al tempo. E i dubbi su come proseguire il cammino, i dubbi su come trovare il tempo prima che di tempo non ce ne sia più.

3.8.10

Momento perfetto (momento delicato)

Viaggiare di notte è per me l'unico modo di viaggiare bene. Adoro le luci artificiali, i loro colori che brillano nel nero del mondo. Mi piace la luce della luna quasi quanto detesto quella del sole, a meno che io non stia decisamente al riparo dai raggi venefici. Sì, perchè in fondo vedere il cielo azzurro non mi dispiace, ma non in auto. In auto io voglio la notte.
Così, mentre torniamo da casa di mia madre lungo lo sterrato e la stradina di campagna con la luna piena alle spalle e la collina di fronte, mi trovo davanti uno spettacolo di luci che danzano.
La collina torinese io la adoro. Il faro, la basilica, le mille lucine che la ricoprono...
In auto la musica è alta quanto basta. Mi emoziono. Non per la musica o per la vista. Mi vengono in mente mille cose di cui nessuna è importante.
In questo momento tutto è perfetto. Non c'è una virgola che cambierei in quello che sento e l'unica cosa che mi viene in mente davvero è: "sarà difficile rinunciare a tutto questo?"
Solo che non parlo di me, il pensiero è rivolto a quel che vedo e quel che ascolto. Le cose che mi rendono viva. La bellezza e la musica.
Le domande su quello che sarà delle mie emozioni sono tante. Vorrei poterle condividere, tutte. Tutto quello che ho provato in vita mia, la mia storia. Vorrei che non si perdesse nulla per strada. Che qualcuno sentisse davvero quello che cerco di raccontare. Lo sentisse nello stomaco, nell'aria. Che niente andasse perso. Ma non credo sia possibile. Ed è l'unica cosa che mi dispiace.
Un momento perfetto che mi emoziona a tal punto da pormi quella domanda, io che son sempre stata certa delle mie idee. Tutta quella bellezza e così pochi che la notano...

2.8.10

Nella notte (ma non a fari spenti)

Lui lanciò la sua Lancia Delta integrale nel buio. Era a metà strada tra il ragazzo e l'uomo, i capelli corti e scuri, gli occhi socchiusi in un sorriso che le labbra accompagnavano, ma che non era un sorriso di bocca. Tutt'altro. Quei sorrisi che partono dagli occhi, quelli di goduria pura.
Sul sedile del passeggero, la ragazza bionda non parlava. Sapendo già a cosa andava incontro si teneva appesa alla maniglia come fosse l'unica cosa solida in quell'auto. Non aveva mai amato la velocità, pur avendone subito il fascino qualche volta nella giovane vita.
Dietro, gli amici di lui ridevano sguaiati. Anche loro sapevano benissimo cosa li aspettava. Uno dei due cominciò a dare direttive come fosse un navigatore di rally. "Destra" seguito da una numero, "destra" un altro numero... "sinistra", altro numero.
Lui, alla guida, seguiva senza dubbi le direttive dell'amico. Li stava riaccompagnando a casa attraverso la collina, dopo una serata insieme. Per qualche oscuro motivo si era portato dietro anche la ragazza, che però non era stata con loro tutto il tempo. Anzi, era passato a prenderla giusto mentre li portava a casa.
Ora sfrecciavano tra una curva e l'altra in una strada non illuminata, a una velocità che forse solo a lei sembrava folle. I tre ragazzi sembravano divertirsi un mondo. Che ci faceva lì?
Smise di guardare la strada, non voleva spaventarsi di più. Voltò la testa verso il pilota e si mise a fissarlo. Non che ci fosse da imparare qualcosa di quel viso: lei lo sapeva a memoria. Solo che vederlo illuminato solo dal riverbero dei fari e dalla fievole luce del cruscotto gli conferiva un fascino nuovo. E guardarlo sorridere la rendeva felice.
Dopo la prima dozzina di curve il pilota azzardò una domanda: "Come mai non parli?", cui la ragazza appesa alla maniglia rispose con un "tento di trattenere la cena" appena sussurrato. Lui rise, inondandole gli occhi di luce.
I ragazzi dietro continuavano da soli, come se facessero parte di un film diverso. Solo il pilota li ascoltava, spostando il volante di qua o di là a seconda delle istruzioni, cambiando marcia al momento opportuno o toccando appena il freno se serviva. L'auto, bellissima, scorreva sulla strada come volasse, senza sfiorare i rami che ogni tanto sbucavano dal nulla, senza sgarrare di un millimetro il suo percorso.
"Perché mi guardi?", di nuovo il pilota alla ragazza. "Voglio ricordarmi la tua faccia, per la prossima vita... " questa volta sorridendo. Non aveva paura di morire, lei. Non quella sera e non quando c'era lui vicino.
Di colpo il bosco si trasformò in una cittadina. Erano sbucati da chissà dove praticamente a destinazione. L'incubo era quasi finito e con esso anche il sogno.
Lasciarono i ragazzi a casa loro e il viaggio di ritorno fu meno movimentato. Ma questa è un'altra storia.