29.9.10

Le cose non vanno mai come credi (settembre invece di marzo)

Certe volte mi chiedo perché continuo a fare progetti, quando tutto va come deve andare senza che io possa fare granché.
Anche ora, scrivo e cancello, riscrivo e ricancello. Le parole non escono. Vorrei dire troppe cose e dare a tutte la giusta importanza, ma non trovo il modo. Non ora. Non ce la faccio.

24.9.10

Rabbia

" Cercò di riprendere il filo delle sue riflessioni, ma oggi non voleva riuscirgli. anche qui alla friggitrice l'inerzia che da giorni gli addolciva le notti e accorciava le mattine, che gli aveva restituito la sensazione dimenticata del benessere corporeo, lo teneva abbracciato; ma questa era un'inerzia più subdola, che voleva addormentarlo nel lavoro macchinale - rassegnarsi all'odore e agli schizzi d'olio, non pensare se non pensieri elementari, lo stretto indispensabile, sollevare e svuotare il cestello, tornare a riempirlo, aggiungere olio, non far bruciare le sottili striscioline di patata, farle soltanto dorate e croccanti, non c'era bisogno d'altro per sopravvivere, e vivere non era altro che sopravvivere, questo gli suggeriva il parlottio della friggitrice...
Esercitato così, era anche un lavoro senza fatica e senza stanchezza, la cui stessa monotonia non ne faceva avvertire sazietà. E l'avrebbe accettato anche lui come tanti, come quasi tutti, non fosse stato per la sua insofferenza verso ogni attività ripetitiva, verso il dormiveglia indolore che lo trasportava fino alla notte e al sonno. Quel cosiddetto lavoro, bestiale in se e nel suo scopo, la masticazione e la digestione, tutti i lavori che aveva fatti dalla fine della scuola in poi, quasi vent'anni ormai, tutti a loro modo bestiali nell'impedirgli di pensare, e contro tutti sentiva da dentro montare, viscerale, violenta, la ribellione."

La vocazione, Cesare De Marchi,  pag 137

22.9.10

Proprio no

Se qualcuno di voi è passato di qua negli ultimi mesi saprà che avevo la sensazione che questo fosse un anno infausto in qualche modo che ancora non sapevo.
Certi ritardi mi avevano innervosita, il dover sopprimere Gar (pastore tedesco di mammà) era già stato brutto. Il viaggio in India non è stato leggero, emotivamente parlando (ma come potrebbe esserlo?). Ora va ancora peggio.
Mamma non proprio in salute e il piccolo Fox, l'ultimo gattino di casa, malato grave. Non so. Se dico che non vedo l'ora che quest'anno finisca qualcuno mi dà ragione?

16.9.10

F-f-f-fffatto!

Non un granchè, a dire il vero.
Ma aggiustato il formato di word del mio romanzo per adattarlo a tutte le richieste bizzarre delle case editrici, molte una diversa dall'altra, salvato su chiavetta e domani se non succede niente me li faccio stampare. Poi tocca imbustare, indirizzare, spedire e cominciare a sperare.
Non ci so fare con la realtà, sempre preferito vivere nei miei mondi.
Parlare con i miei personaggi mentre cerco di addormentarmi aspettando le risposte, osservandoli mentre agiscono di nascosto sulla tastiera e mi fanno dire cose che non pensavo di dire.
Scrivere di cose vere senza metterci dentro un po' della mia magia non mi viene bene. E sì che ci provo. Il romanzo piace molto alle donne, poco agli uomini, a metà alla mia libraia di fiducia (che di letteratura e di lettura ne sa e che non esita a riprendermi se sbaglio o a lasciarsi trasportare dove non vorrebbe quando qualcosa la colpisce).
Forse è troppo reale, pur non essendolo del tutto. Troppo legato al vero per farti sognare.
Non lo so. So che qualche editore magari lo leggerà, forse qualcuno lo apprezzerà anche. Non so chi lo vorrà vedere nella classica forma di libro. Io ci spero, per fare altro con più serenità mentre ora serena non sono, non lo sono affatto...

13.9.10

I've got the world on a string

Sono quei momenti, proprio quelli, che poi tornano alla mente per la sensazione che lasciano dentro. Quelli che ti fanno vedere più bello il mondo.
Primi di Luglio del 1983, età approssimativa 13 anni e 11 mesi.
La scuola era finita e gli esami con lei. Portavo i capelli biondi sulle spalle, sciolti quasi sempre se non ero a scuola. Avevo un paio di pantaloni di marca uguali a quelli delle mie migliori amiche, una canottierina verde e una maglia che si incrociava sul davanti, dello stesso colore dei pantaloni. Un paio di sandali da schiava da cui facevo fatica a separarmi.
Ero a cena con mio padre sul terrazzo della pizzeria a fianco al Castello di Moncalieri, in cima al centro storico. La nostra cena settimanale, che questa volta era stata rimandata un poco. Noi due, soli, parlavamo del più e del meno, mentre una leggera brezza estiva mi scompigliava i capelli. Stavo bene. Mi sentivo sicura, decisa e forte. Solo quella sera o quella sera in particolare.
Avevo appena deciso di diventare una ballerina. Nessuno lo sapeva, ma io sì. Nel mio cuore c'era solo quel sogno, niente altro era importante.
La mia pelle era appena dorata dai tanti pomeriggi passati all'aria aperta nel mio giardino, a correre, a sfrecciare sulla mia bici da cross e a salire sugli alberi, più in alto possibile. Con mio padre parlavo di musica, di film appena visti, di una breve vacanza fatta con la mia amica e sua sorella. Una settimana in cui, come sempre, mi ero sentita a posto nonostante tutto.
Nemmeno dieci giorni dopo mi sarei innamorata perdutamente di un paio di piedi e del loro proprietario senza avere o ritagliarmi uno straccio di possibilità, sarei scappata per la disperazione di non riuscire a passare con lui più di qualche minuto in giorni e giorni, sarei tornata a casa dove era appena morto il mio cane e avrei passato successivamente il mio primo anno buio, fatto di pomeriggi chiusa in camera, a letto, con la musica a tutto volume e la camera completamente oscurata in cui l'unica cosa visibile era l'ora rossa della radio sveglia.
Ma in quel momento, in pizzeria, con il vento tra i capelli e il profumo della collina nel naso... no.
In quel momento avevo speranze, sogni, certezze. Avevo voglia di vivere e di affrontare le mie paure. Io, timidissima e rotonda, volevo andare nella fossa dei leoni e mettermi al fianco di persone che fino ad allora avevo visto su un palco ai saggi e agli spettacoli, persone che per me stavano comunque su di un piedistallo e che non avrei forse mai raggiunto. Ma volevo far parte di quello e non di altro. Ero pronta a qualsiasi sacrificio. Ero anche sicura di farcela. Sicura che il mondo si sarebbe adeguato alla mia volontà.
Momenti, quelli, che vengono una volta o due nella vita e che restano incisi tra le pieghe del cuore per sempre. Per far sì che continui a battere.

11.9.10

Perché scrivere?

Ho compilato un questionario, l'altro giorno. Riguardava letture e scritture.
Che poi basta poco a farmi pensare a mille cose.
Mi chiedevano se avrei voluto una maggiore frequentazione con altri scrittori e io ho cliccato no. Non per snobismo, chi mi conosce lo sa. Partecipando al torneo ho "incontrato" altri appassionati di scrittura. Ho letto le loro riflessioni, i suggerimenti, le critiche. Ho anche letto tante cose che avrei preferito non leggere.
Poi, in un discorso più ampio sull'editoria e soprattutto su quella a pagamento è scattata la riflessione.
No, non mi va di pagare per pubblicare qualcosa. Non per altro, ma se non ci crede nemmeno l'editore tantovale che mi tenga i miei scritti per me. Se mi hai selezionata è perché ti piaccio, altrimenti mi mollavi lì come tanti altri. Allora perché mi chiedi soldi? Posso andare in tipografia come han fatto tanti prima di me e magari stamparmi le copie che voglio, magari comprando anche un codice isbn. Editing, revisione, copertina e impaginazione restano a me (che magari faccio come mi piace e non come vuole un altro) e le copie che stampo le vendo, le regalo, ci tappezzo la città... Fatti miei. Ma se sei un editore e mi scegli, fai l'editore e non mi chiedi un euro.
Certo, poi c'è da considerare che se uno ti pubblica gratis magari gli cedi i diritti (o ne ricavi una piccola parte, a seconda del contratto) e paghi le tue copie (ma di solito non al prezzo di copertina) e spesso ti devi organizzare tu per farti pubblicità, per distribuire in alcuni negozi il libro, per la presentazione ufficiale, per le copie ai giornali o a programmi radio e tv. Insomma, se l'editore è piccolo e ti pubblica gratis hai fatto solo una piccola parte del lavoro.
Quelli grandi spesso nemmeno ti considerano. Logiche di mercato. Va bene.
Non ci si guadagna quasi mai abbastanza da viverci, salvo rari casi, ci si sbatte tanto per un risultato piccolo piccolo.
Allora perchè scrivere? Perché ne ho bisogno. Perché mi piace e perchè l'ho sempre fatto anche senza pensare a pubblicare qualcosa. Certo mi piace l'idea di dire "sono una scrittrice", mi piacerebbe fare solo quello e dedicare tutto il tempo a questa passione (o dividerlo con la pittura e, perché no, la scultura), ci sono volte in cui mi maledico per non aver finito tante di quelle storie cominciate...
Eppure non mi interessa se devo cedere i diritti e ricavare una misera percentuale dal mio lavoro. Non mi interessa pubblicare ad ogni costo. Mi piace scrivere e mi piace essere letta. Mi piace raccontare storie e sapere che qualcuno le ascolta. Mi piace l'idea che qualcuno del mestiere mi dica: "Sì, mi piace il tuo lavoro e lo voglio pubblicare". Mi piace sapere che qualcuno del mestiere ha già letto le mie cose e non mi ha tolto il saluto.
Mi piace quando capita come oggi, che una persona mi dica che le mie parole le hanno fatto venire la pelle d'oca. Chissenefrega dei soldi!

6.9.10

Whishes

Caro Babbo Natale, lo so che è presto, ma fammi diventare così:



Ne ho proprio bisogno!

3.9.10

Piccole delusioni di lettrice

Mi spiace constatare che nella maggior parte dei casi le persone non sono così mature da accettare una qualsivoglia critica sul loro lavoro senza accusare chi la muove di invidia, incompetenza, presunzione e chissà che altro.
Possibile che la nostra mediocrità ci stia portando a doverci uniformare giorno dopo giorno su un modello che già funziona e che non ci sia più spazio per il nuovo, per qualcosa di non sperimentato? Possibile che se a qualcuno, come a me, continua a interessare tutto ciò che non è banale, già visto, già letto, già sentito, sia io quella che non capisce niente?
Perché alla fine lo so che la disadattata sono io. Perché se faccio una critica, peraltro condivisa da altre persone, a sbagliare siamo noi. Siamo noi che riteniamo Dan Brown uno scrittore mediocre che abbiamo torto. Noi che magari leggiamo più di 20 libri l'anno che non capiamo che cosa sia un buon libro. Noi che leggiamo con amore e passione che non sappiamo leggere.
Certo, noi siamo autori/autrici incompresi. Non possiamo trovare belli dei lavori che hanno superato il nostro in una classifica.
Come a dire, solo perché "Il codice Da Vinci" ha venduto milioni di copie si può dire che sia un libro migliore de "L'angelo delle ossa"? Solo perché un libro ha successo si può dire che sia un capolavoro? Vogliamo dire: "La solitudine dei numeri primi" dovrebbe essere meglio di "Oleandro Bianco"?
A me sembra di essere sempre obbiettiva nel giudicare un lavoro altrui, come mi piacerebbe gli altri facessero con i miei. Possibile che non sia così?

2.9.10

Da piccina

Avere la febbre, quando ero piccola, era un avvenimento speciale. Un motivo in più per farmi coccolare e restarmene finalmente a casa, cioè esattamente dove volevo restare.
Quello che mi manca, ora, è l'album di figurine Panini di allora. Un album per ciascuna influenza e tanti, ma tanti paccheti di figurine autoadesive. Perché se non lo riempivo tutto nel tempo di una influenza poco ci mancava. Ho riempito quello di Guerre Stellari, oltre ad altri. Tante belle immagini del mio film preferito. E Luke Skywalker, il mio principe azzurro.
Ora avrei qualche difficoltà a richiedere un album in particolare. Non so più cosa c'è a disposizione, non mi piacciono i nuovi cartoni animati, non ho mai seguito i calciatori. Forse ci fosse l'album di Harry Potter potrei cercare le figurine di Piton e Voldemort (oltre ovviamente al mio amato Sirius Black), ma non so se avrei voglia di completarlo. Un album di vampiri, forse.
O forse sono solo troppo grande per le figurine.
Probabilmente un album a caso mi sarebbe andato bene, allora. Oggi no.

1.9.10

Cose indiane

"Guarda là" , gli dico, "scatta una foto a quella lingua che pende dall'albero..."
Lui lo fa. Poi gliene indico un'altra, più grossa e scura. Mi chiede: "Perché?"
"Sono alveari."Il ramo da cui pendono è almeno a dieci metri da noi, o forse di più, e già sembrano enormi. Lui non ci crede, pensa sia un fungo o qualcosa del genere. Ma io, che di questi alveari ne ho già visti un tempo (in una casetta di caccia aspettando la tigre,
ed erano più grossi), insisto. Gli faccio controllare le foto appena scattate con lo zoom, api (o vespe) ben visibili. Tante e grosse come solo qui ne ho viste (e l'anno scorso a Follonica, o lì vicino, passando in autostrada). Una cosa incredibile. La natura sorprende con i suoi mille modi di presentarsi, diversi ogni volta e in ogni posto.


Incredibile come certe cose restino impresse.


E, oserei dire, quanto facciano impressione!


Rabbrividisco al pensiero che questi, in confronto a quelli visti nella foresta, sono piccoli piccoli!