14.5.20

Noi e loro

Il mondo ci vuole contrapposti.
La nostra mente ci vuole contrapposti.
La nostra paura ci vuole contrapposti.


Ci siamo noi e ci sono loro.
Ci sono io e c'è chi è altro da me. C'è ciò che è mio, c'è cosa riguarda solo me.
Ci sono io, gli altri sono un problema.


Anni di buddismo mi hanno insegnato che nella vita tutto è interconnesso.
Allora qual è il punto?
La paura.
Solo la paura è in grado di governare così bene la sensazione di divisione dal mondo. Io non so spiegare, non ho le parole, non ho conoscenza. Non ho un testo cui appigliarmi. Ma vedo.

Questa paura che hanno usato contro di noi per anni sta facendo effetto. Ci guardiamo tutti con diffidenza, puntiamo il dito, allontaniamo.
Non siamo più disposti a vivere.
Non siamo più capaci di restare da soli eppure mai come ora ho respirato tanta distanza dagli altri che diciamo mancarci.
Non è così che deve funzionare.

Il meccanismo serve a sopravvivere, a far sopravvivere un Io. Ma tanti Io non fanno un Noi da tempo. Tanti Io restano separati e negano il mondo.
Quanto odio, quanta rabbia, quanta paura.
Come siamo finiti quaggiù?

6.5.20

L'analisi illogica del testo 13 - Quarantena

Dal primo giorno di quarantena avevo in mente questo racconto di King (sì, lo so, sempre lui) ma non sapevo ancora perché e forse non lo so nemmeno adesso.
Sono molto affezionata alla serie della Torre Nera, che permea ogni altro lavoro di King come traccia sotterranea non sempre percepibile se non si è letta una quantità sufficiente dei suoi lavori. Questo racconto, "Le piccole sorelle di Eluria" è parte della storia di Roland Deschain anche se può essere letto indipendentemente. Fa parte della raccolta "Tutto è fatidico" (S&K, 2002) ma risale al 1997 ed è collocabile all'inizio del percorso di Roland, prima quindi del primo libro della serie.



Perché mi è venuto in mente? Bella domanda.
Mentre tornavo a casa dopo l'ultimo giorno di lavoro, l'atmosfera intorno a me era molto cambiata. Fino al giorno prima era tutto abbastanza normale ma quella sera, mentre camminavo verso casa, l'ululato continuo delle ambulanze mi aveva dato l'impressione di trovarmi altrove. Il vento, poche macchine, la luce che calava e la gente un po' più curva del solito che rientrava a casa. Non so, sarà stata la desolazione che ho sentito addosso ma il paesaggio western è arrivato subito dopo.
Quel west poco sano, di un mondo che è andato avanti, una dimensione parallela che si regge su energie che noi non comprendiamo. Quell'aria sabbiosa, densa, che soffoca il respiro. E l'abbandono della città di Eluria, fatiscente e densa di morte, in cui attendono cose che un tempo erano uomini; mutanti lenti e dal colorito malsano, né zombie né vivi come erano un tempo... E l'aggressione, e quei morti che cercano di prendersi il vivo. La massa contro il singolo in una lotta impari, la resa dolorosa.

Poi la tenda d'ospedale, la luce che l'avvolge, la sensazione d'essere sospesi. Quelle inquietanti religiose e il loro cibo drogato, e gli insetti che cantano. L'idea che a salvare la vita sia l'uomo Gesù che così poco piace alle Sorelle. E un finto fratello che la menzogna non protegge abbastanza, e il tradimento di uno dei mutanti e quello della prescelta. Il popolo e le istituzioni e in mezzo Roland; ferito, confuso dalla droga, a tratti innamorato di Sorella Jenna, inorridito da ciò che ha intorno. Non salvezza ma morte certa, e una morte sporca e spiacevole del tutto priva di onore. E l'orrore cui è costretto a non poter porre termine, per sé e per gli altri ricoverati. Un'attesa lenta nel dormiveglia e furiosa nella speranza di uscirne presto, e vivo.

Ed ecco, quando tutto sembra perduto l'occasione arriva e pare ci sia un orizzonte sicuro al di là delle colline di Eluria, per lui e per Jenna - che tutto perde del suo mondo e del suo futuro assicurato - e per un randagio sopravvissuto e macilento che per un po' li segue. Ma non può esistere un lieto fine, non con quelle premesse, non per Roland che ancora deve vedere tanto di quel mondo, che ancora deve partire per la sua ricerca e che da tanto tempo non ha tempo per l'amore...

Ecco, forse ho capito che non c'era niente da capire. Forse questo racconto è semplicemente un racconto di quarantena, di desolazione e di sofferenza, di solitudine e di paura per il futuro. Per ognuno ha una sfaccettatura differente, questo momento. Ed è bello sapere che nelle pagine di un anziano e meraviglioso scrittore c'è già tutto il mondo. Il nostro e l'altro.
C'è la vita con tutta la sua meraviglia e l'orrore. C'è quel senso di impotenza di fronte al ka, al destino, al futuro, che ci appartiene. C'è la storia dell'uomo. E non è questione di genere letterario.