27.4.09

Ho letto...

I primi tre capitoli della nuova opera di Letizia, qui.
Mi sembra una partenza simpatica, spigliata e divertente, come lei sa fare. Speriamo di vederlo presto finito e stampato per benino, come il libro precedente.
Che abbiamo dediche da scambiarci ancora, io e lei...
Evvai, Letizia!

25.4.09

Alta velocità

Viviamo tempi bizzarri. Tutto va veloce, anche troppo. Le notizie durano poche ore, le tragedie pochi giorni. Ci si abitua un po' a tutto e alla fine si vive anestetizzati.
Quale sia il problema non saprei esattamente. Si parla di perdita di valori, più che altro. Che poi siano valori cristiani o semplicemente umani non cambia molto.
Qualcuno, per strada, s'è dimenticato di trasmetterli. Forse pensava che toccasse ad altri, così anche gli altri pensavano che toccasse ad altri e ad altri ancora.
Alla fine tocca a noi subirci tutti gli effetti. Non solo i danni che alcuni fanno senza assolutamente pensare di fare qualcosa di strano, ma anche lo scaricabarile delle responsabilità.
Ci si è anche scordati della natura umana, che non è delle migliori. Una mucca è certo meglio di noi. A una mucca non verrebbe in mente di incendiare la coda a un'altra mucca per divertimento. A noi si. Che poi qualcuno abbia ancora l'idea che un bimbo sia una creatura innocente, mentre solo l'adulto è capace di cattiverie innominabili... Vabbè.
Io sono vecchia.
Cioè, non sono più abbastanza giovane per capire. Ai miei tempi tutto era più lento. Non avevo tutto subito. Mamma mi spiegava che non era possibile, che per avere le cose bisognava aspettare il giusto. Meritarle, innanzitutto. Poi, se si trattava di cose da acquistare, bisognava aspettare di avere i soldi. C'era un valore per ogni cosa e ogni cosa si assaporava più per la fatica di averla che per un reale soddisfacimento della necessità.
Oggi sembra che tutto si debba avere subito. Perché gli altri ce l'hanno, perché è urgente, perché ha più valore avere l'oggetto in sè, o la soddisfazione, piuttosto che guadagnarsela. Sembra sia un obbligo soddisfare le necessità immediatamente. Tutto sembra dovuto.
Quando non succede?
Non so se sono io, ma non ho mai fatto grandi tragedie quando non potevo avere qualcosa. Non ho pensato di andare e prendermela con le buone o con le cattive. Non ho pensato di uccidere qualcuno perché morivo di noia. Ho litigato animatamente con persone a cui non ho messo le mani addosso, anche se in certi momenti avrei voluto. Non mi è mai venuto in mente di obbligare qualcuno a fare qualcosa se non ne aveva voglia.
Eppure oggi si sente di tutto e ci si chiede perché. Me lo chiedo anche io e mi preoccupa il fatto che ragazzi e ragazze cerchino lo sballo quando non sono nemmeno alle medie. Che bevano per ubriacarsi, non per bere. Che pensino che sia giusto, bello e normale.
Di cazzate ne ho fatte in quantità, giuro. Eppure mi sono ubriacata una volta sola (e non sono una che non beve mai), mi sono sempre divertita godendomi gli attimi che mi guadagnavo. Con gli amici, coi ragazzi, coi miei soldi, con il lavoro e le soddisfazioni che ne ho ricavato.
Non mi importa se non ho avuto tutto e subito. Non mi importa nemmeno se ho avuto tutto.
Quello che ho, quello che sono, me lo sono ampiamente guadagnato.

22.4.09

Falling into the wild

Ho sentito parlare di Chris McCandless anni fa, dopo aver visto un episodio di Millennium (2x12) dal titolo "destinazione Alaska". Molto prima del film di Sean Penn.
All'epoca non mi interessai tanto alla storia. Sono quelle cose che ascolti, ma che non ti toccano perchè sei presa da altre cose. Storie di giovani lontani. L'episodio mi era piaciuto, ma il tutto si era fermato più o meno lì. A parte il fatto che mi sono stampata le ultime parole che il ragazzo nel telefilm scriveva sul suo diario e ce le ho appese un po' ovunque a casa e al lavoro.
Per ricordarmi cosa vuol dire essere vivi.
Poi ho visto il film, la storia la conoscono un po' tutti. Mi sono persa nelle immagini meravigliose di paesaggi che non vedrò mai, leggendo i testi della bellissima colonna sonora di Eddie Vedder, cercando di non seguire solo i dettagli.
S'è detto di tutto su Chris. Su di lui e sul film, piaciuto o meno.
In qualche modo io mi sento vicina al protagonista. Certo non negli estremi. Trovo sia stato sciocco intraprendere un viaggio in Alaska come il suo senza un minimo di preparazione. Cartine, studio, non solo teoria ma anche pratica.
Quel senso di libertà che però lui prova nell'abbandonare la società così come la conosciamo, nel rinunciare a possessi ed etichette, a limiti che in qualche modo il nostro status ci impone... io quello glielo invidio.
Mi piacerebbe molto avere quella libertà. Non essere costretta a "mantenere" le mie cose. Non dover comprare, avere, curare. Mi piacerebbe essere invisibile, non rintracciabile, senza vincoli come una casa, un posto di lavoro, oggetti, abiti, quelle piccole cose che ci riempiono la vita.
Poi non sono il tipo, ma certe volte questo mondo mi sta stretto.
Le letture di Chris gli hanno fatto capire quali sono le cose importanti, le mie letture mi hanno trasmesso più di tutte le persone che ho conosciuto. Ma da qui ad abbandonare tutto per una visione utopistica, per quanto allettante, della società ideale... Insomma, ci va coraggio.
Ce ne va davvero molto e forse solo un giovane idealista può pensare di poterlo fare.
Purtroppo non sono una idealista. Forse non lo sono mai stata, forse un tempo lo ero e mi sono arresa. Non so nemmeno più se vorrei esserlo.
Avere quella forza che solo un ideale può dare. Perché la vita è tutto fuorché ideale. Alla fine ti schiaccia, se non ti ci abitui, se non ti lasci trasportare, se non abbandoni quella parte di te che vorrebbe controllare il proprio destino.
Io credo nel destino, in qualche modo. Non sono fatalista, ma ho idea che in noi ci sia già scritto "chi siamo" e qualsiasi sforzo facciamo per essere qualcosa di diverso non fa che portarci a sbattere qui e là come macchinine a molla. Finché non ci spacchiamo o non impariamo a vivere.
Credo che Chris fosse realmente in pace quando è morto. Credo che avesse capito.
E nei miei sogni lo imito, fuggo da tutto, mi libero dei miei pesi e corro nei boschi con lui...

15.4.09

Ambulanze e considerazioni

Capita, per le strade dell'interno del continente India, di incrociare questo:


E di domandarsi parecchie cose, anche quando si hanno 10 anni.
Ho già detto del modo indiano di guidare, delle strade complicate, poco sicure. Non illuminate, strette, piene di animali, di carretti, di biciclette. Con le pietre a fare da triangolo per avvertire di un incidente poco avanti. Coi cadaveri lasciati in vista, a volte.
Eppure, nonostante tutto, quando si è lì tutto sembra quasi normale. Naturale.
Certe volte mi piacerebbe avere il carattere giusto per tornare anno dopo anno e rivivere quella sensazione di casa che ho sentito l'ultima volta. Ma questo carattere non ce l'ho.
E la sensazione che ho avuto, chiara, era che avrei dovuto cominciare a sentirmi a casa anche qui, dove di naturale c'è poco. Dove tutto è artefatto, contraffatto, illusorio. Dove conta l'apparenza più dell'essenza delle cose, dove conta più una firma di ciò che è firmato.
Piano, molto piano, ce la sto facendo.
Sto costruendo casa...

10.4.09

La mia rabbia

Ho lottato a lungo, tanto a lungo che mi sembra d'aver vissuto più di una vita soltanto.
Inizialmente era un dolore sordo, il mio. Un dolore o una rabbia, che mi impediva di prendere le cose alla leggera. Tutto è stato, a lungo, troppo pesante da sopportare.
Ora so che spesso si nasce con questa predisposizione e mi rendo conto che qualsiasi situazione, anche la più felice, la più spensierata, avrebbe prodotto lo stesso peso che ho provato vivendo questa vita con questi dolori e queste difficoltà.
Ma tant'è, e la mia vita ha portato con sè un fardello di sensazioni tremende che cercavo di nascondere e vivevo come pulsioni intime e sbagliate. Sentendomi cattiva, sbagliata, inumana. Esattamente il sistema che ho scelto per punirmi.
Mostrandomi carina, educata, gentile, tranquilla. Molti mi hanno vista e conosciuta come una bambina pacifica. Alcuni hanno conosciuto una ragazzina con esposioni di rabbia e di violenza, alcuni hanno visto più di altri il mio abisso. Quelli che avevano un peso simile al mio mi si avvicinavano istintivamente. Gli altri non capivano, generalmente.
Il fatto è che non si può nascondere la rabbia troppo a lungo. Prima o poi si finisce con l'esplodere, col rivolgere tutta quell'energia su di se, o sugli altri. La rabbia fa male. Quando la tieni troppo a lungo ti logora l'anima, ti fa soffrire esageratamente. Il dolore diventa cronico e non basta parlare per liberarsene.
Bisogna urlare. La rabbia va urlata. Va buttata fuori. Va espulsa. Lanciata mille miglia lontano. Prima che uccida. Prima che si finisca col farsi del male o farne troppo agli altri. O tutte e due le cose.
In certi momenti mi sono sentita così stanca che avrei voluto morire. Per riposare, per non sentire più il rombo sordo dei miei nervi tesi. Per non vomitare cattiverie addosso a chiunque avessi intorno, per smettere di ingrassare e ingrassare e ingrassare senza mangiare.
La rabbia mi ha distrutto parte della vita, mi ha impedito di vedere molte cose belle, di godermele e di farne tesoro. Troppo presa da intenti vendicativi. Dalla voglia di distruggere.
Mi ha dato forza, troppa. Energia che mi faceva fare sforzi fisici come se stessi scherzando, che mi faceva stare in piedi anche quando era fisicamente impossibile.
Per rabbia ho camminato per 14 km nella notte senza pensare a quanto rischiavo. Ho aggredito gente più pericolosa di me, ho desiderato di avere un'arma in mano, per uccidere.
Ho smesso di pensare a me, di stare bene, di ricordare; non ho vissuto anni della mia vita.
Per poi capire che bastava rigettarla. Bastava renderla creativa, usarla per concludere qualcosa. Usarla e non più farmi usare.
Amarmi e non più cercare di ferirmi, di punirmi, di zittirmi.
La rabbia che ora provo è più simile alla consapevolezza. Più limpida, non acceca. Mi rende più attenta, forse un po' più cinica di quanto dovrei essere. Più pronta.

9.4.09

Inverno


Nell'aria, tra i capelli,
la musica del vento.
Sottile si affaccia
il freddo sulle guance.
Una lacrima si ghiaccia
senza poter cadere.
E la vita continua.
Avanti, decisa,
con la neve alle ginocchia.
Trascinando il passo,
soffiando forte.
La piccola nube che dice
che qui c'è ancora vita.
L'inverno del dolore che finisce.

3.4.09

Falsa vicinanza

Può darsi che Facebook sia una figata. Io non ci credo molto.
C'è da dire che, comunque, di tutte queste diavolerie che ti permettono di essere in contatto con chiunque in ogni momento alla fine diventi quantomeno un utente.
Ti abitui. Leggi qui e là, commenti. Quasi perdi di vista il telefono. (Che io già non uso abitualmente, preferisco scrivere - non s'era capito?)
Ogni giorno controlli.
Su Faccciabucchio leggi lo "stato" dei tuoi amici. Sai cosa fanno, cosa hanno visto, cosa hanno aggiunto, di quale gruppo fanno parte.
E alla fine ti sembra di essere in contatto con tutti. Ma non è vero.
Quando sai cosa fa una persona non necessariamente sai come sta. Non sai se ha il suo solito sorriso, se quando ha scritto quel commento era seria, incazzata o stanca.
Sai molto, ma ti mancano le informazioni che un contatto umano ti dà all'istante.
E allora riprendi in mano il telefono...

2.4.09

Italia = Sunnydale?

Non so se capita anche a voi, ma ogni tanto ho come l'impressione di vivere sulla bocca dell'inferno...
Devo guardare più telefilm e smetterla coi telegiornali.

Mi sa.

1.4.09

Corsi e ricorsi... storici

Facile ripiombare negli anni d'oro, avendo amiche giovani.
Rivivere il tormento e l'estasi delle storie d'amore, discuterne, raccontarle e riesaminarle con occhi più maturi (vecchi?) e meno coinvolti.
Io poi, che ho una memoria abbastanza sviluppata, già lo faccio senza motivo...
Solo che negli occhioni lucidi di una giovane marmotta rivedi i tuoi. E torni, volente o nolente, a ripensare alle cose che si ripetono. Si ripetono nelle vite altrui e si ripetono nella tua.
Cose che tornano in mente e che sai di avere anche reiterato nel tempo.
Incontri fatali alle giostre, ad esempio. Lo stesso ragazzo a un anno di distanza, problemi diversi, stessa fine. Non tragica, ma pur sempre fine.
O rapporti con psicopatici manipolatori, lo stesso uomo per due anni, poi uno diverso con le stesse maledette caratteristiche. E tu ci sei anche ricascata.
O tradimenti che si svolgono nello stesso modo a distanza di anni. Situazioni che ripeti senza farci caso e che poi scoppiano letteralmente nella tua testa e si sovrappongono.
Il tira e molla di un fidanzato, il gioco della seduzione e quello del trattenere a sè l'uomo sbagliato. Il non voler vedere in tempo i guai che alcune relazioni portano con sè, volerle vivere comunque, ovunque portino.
Io, così, mi ci sono guadagnata un principio di esaurimento, poi una crisi depressiva, poi anni di limbo e di azioni e relazioni completamente sbagliate. D'accordo, non capita a tutti. Per fortuna. Ma certe cose capitano a tutti davvero. Perfino ad Arisa ("lasciarsi ogni due settimane")...
E ti ritrovi a pensare che gli uomini ritornano sempre, un po' come in un libro di Stephen King, specie quelli sbagliati, quelli che ci hanno massacrato e che vorrebbero continuare in nome dei bei vecchi tempi.
Che quelli sbagliati sono sempre quelli che ci restano in mente e che finché non impariamo a lasciare andare le cose come devono siamo condannati a ripeterle o a vederle ripetere. Come in "Ricomincio da capo", con Bill Murray. Che è e resta un film da vedere e rivedere...