28.11.14

L'analisi illogica del testo 4 - Ciò che pare normale

Riflettevo oggi su quanto a volte le persone più mostruose siano in realtà quelle che appaiono più normali.
Frase fatta, forse, simile a quel "sembrava tanto un bravo ragazzo" che dicono i vicini di casa dei serial killer. A me piacciono le prime impressioni, sono istintiva e ho una specie di sesto senso - il più delle volte - che mi fa fidare o meno delle persone che incontro. Non le parole, non gli abiti. Qualcosa che non so definire.
Mi è capitato di discutere in casa riguardo ad alcuni personaggi della politica che "a pelle" non mi sono mai piaciuti. Non che gli altri mi piacciano di più, ma mi fanno meno paura.
Poi, a proposito di paura, mi è tornato in mente Stephen King e in particolare un suo racconto contenuto in "A volte ritornano" e che in sei pagine di numero mostra quanto spesso le cose non siano come ci appaiono. Prima vi parlo del racconto, poi vi dico la mia.

Il racconto in questione è "L'uomo che amava i fiori" ed è ambientato a New York nel maggio del '63. Un giovane cammina sorridente, lo notano tutti, sembra bello e innamorato. Compra un mazzo di fiori, facendosi consigliare dal fioraio e contagiandolo con una specie di buonumore nostalgico (che cosa sia esattamente il buonumore nostalgico non lo so, ma potete immaginarvelo come vi pare), portando un sorriso a chiunque lo osservi così bello, giovane e innamorato. Innamorato. In effetti lo sembra anche a me che leggo.
Finalmente incontra una ragazza, la sua ragazza - pensiamo - e qualcosa comincia a non tornare. Succede così:
Si mise a camminare più lentamente, guardando l'orologio. Mancava un quarto alle otto e Norma doveva essere ormai...
Poi la scorse, che avanzava verso di lui dal cortile, con indosso calzoni di tela blu e una camicetta alla marinara che gli diede quasi una stretta al cuore. Era sempre una sorpresa vederla per la prima volta, era sempre un dolcissimo choc: sembrava così giovane.
In meno di una pagina quello che sembrava un perfetto innamorato carino, gentile, sorridente, diventa un assassino folle (o un folle assassino, più english) che prende a martellate in faccia la donna appena incontrata senza alcun motivo se non la totale pazzia per poi tornare apparentemente normale in poche righe e dare di nuovo l'impressione di esserlo: normale, innamorato e felice.
Una coppia di coniugi di mezz'età sedeva sui gradini di casa, all'esterno. lo guardarono passare, la testa un po' piegata da un lato, lo sguardo perduto nella distanza, un mezzo sorriso sulle labbra. Dopo che era passato, la donna disse: "Com'è che tu non l'hai più quell'aria lì?"
"Eh?"
"Niente," disse lei, ma rimase a guardare il giovane vestito di grigio sparire nella tenebra della notte ormai fonda e intanto pensava che, se c'era qualcosa di più bello della primavera, era l'amore giovane.
Devo ammettere che al di là del sorriso che King riesce a strappare nelle situazioni più impensabili, questa sensazione di follia travestita da normalità rende l'idea di quello che mi terrorizza.
La gente normale, quella "troppo normale". Quelli troppo gentili, troppo educati, troppo formali, troppo simpatici - ma in modo troppo misurato - nascondono un killer o comunque un che di pericoloso.
A me vengono i brividi solo a pensarci, ai "bravi ragazzi". Mi spaventano più delle macchiette, più degli eccessivi. Niente nomi e cognomi, che non servono. Ma più sembrano normali, più lungo la mia schiena corre un brivido. Non so cosa aspettarmi da uno che porta un mazzo di fiori e un mezzo sorriso, in giacca e camicia mettendo a proprio agio chiunque incontri. Proprio no.
Ora, questo post sarà breve. Il consiglio di leggere questa raccolta di Stephen King è implicito, credo che il Re dia il meglio di sé in queste pagine (meraviglioso il racconto del baubau, e altri che non elenco). Anche se a tradurre non è Tullio Dobner, la lettura è decisamente gradevole. Da brivido.

Puntate precedenti:
1 - Da certe cose non si torna indietro
2 - Il tempo atmosferico del lutto
3 - Eros o Tanathos

16.11.14

L'analisi illogica del testo 3 - Eros o Thanatos

Ed eccoci qui a incasinarci la vita. Sì, perché mica ho scritto Eros e Thanatos - e questo è già un punto fondamentale - e anche perché vado a occuparmi di amore romantico e soprattutto di Twilight.
Sì, lo so, ve lo aspettavate che prima o poi scivolassi da libri seri e profondi a un fenomeno letterario da botteghino. E sapete anche che, pur non esitando a criticare la saga, l'ho letta tutta e del primo episodio sono ancora infatuata.
Infatuata perché è onirico, intenso e romantico. Un libro per ragazzine che ha il pregio di farti tornare adolescente per tutto il tempo della lettura e dimenticare per un attimo che l'amore non è quella roba lì.



Una delle considerazioni più importanti che faccio da tempo  riguardo a Twilight è che offre una visione distorta di cosa è l'amore, per quanto l'amore romantico sia coinvolgente e totale non è mai sano se dura troppo, e che a stupirmi sia il fatto che più che ragazzine - ma anche loro - siano state molte donne adulte a impazzire per quella storia d'amore. Hai voglia a dire che tutte noi ci sentivamo fuori posto a diciassette anni e che il personaggio di Bella è perfettamente normale, per me resta uno dei personaggi meno amabili degli ultimi anni. E meno intelligente, anche. Ma non è dei personaggi che voglio discutere.
Eros e Thanatos.
Amore e Morte, cosa meglio di questo può dare un'idea della storia tra Bella ed Edward? Sia perché uno dei due è morto da un po', sia perché quella viva dei due altro non fa per tutta la saga che desiderare di morire, per poi realizzare il suo desiderio con la solita sfiga di quella che appena fa sesso rimane incinta.
Bello, intenso, romantico. Certo. Come no.
Se tutte le volte che ho amato fossi morta... avrei amato una volta sola, in effetti.
Non solo, questo continuo soffocare l'aspetto fisico del rapporto - impetuoso ma pericoloso, pressante ma proibito - sa molto di "fatto per educare" piuttosto che di realistico. Quindi si ama non potendo amare, non come nel bellissimo "La sfera del buio" di King in cui la dolce Susan dice a Roland uno struggente "Se mi ami, amami...", qui no. Più si ama e meno si può accedere all'amore, perché in qualche modo porterà alla morte.
Già questo fa riflettere. Cosa è l'amore se non amare? Se non congiungersi e donarsi totalmente all'altro? Cos'è amore se non è vita?
Invece no, tra la vita e la morte Bella sceglie la morte, che è negazione di amore.
Un messaggio contorto. Non solo per la questione prettamente sessuale. Nel triangolo che vede la giovane desiderata dal vampiro - morto e freddo - e dal licantropo - vivo e bollente - lei sceglie costantemente la morte. Anche quando si rende conto che a farla stare bene è il secondo, mentre il primo la sta portando comunque alla morte non amandola.
L'unico modo per intendere Amore e Morte come strettamente correlati, secondo me, è nella sensazione di fondersi nell'altro, annullandosi. La morte di un "io" che diventa una sola cosa con l'altro, per quel breve istante. Per il resto, come ho anche avuto modo di ascoltare ieri a una interessante lezione buddista, Eros e Thanatos sono pulsioni contrapposte.
L'Amore è vita, se non c'è amore c'è morte. Sia da un punto di vista strettamente sessuale/riproduttivo, sia da un punto di vista più umano come quello dei sentimenti. Chi è incapace di amare è come morto.
Nella visione dell'amore romantico che ci viene propinata, invece, questo legame è spesso presentato come indice di un amore coinvolgente oltre ogni confine, quasi auspicabile. Disposti a morire per amore, come Bella e il vampiro. Tanto che a volte si sente dire che Tizia si è suicidata per amore e quasi ci sembra giusto il ragionamento, quando piuttosto è un disagio profondo che spinge a un gesto simile e di certo non ha a che fare con l'amore.
Io preferisco dire che d'amore si vive.

9.11.14

L'idea era...

Scrivere un post della serie delle analisi del testo.
Ma no. Non è il momento. Non c'è l'umore giusto, non c'è soddisfazione nel farlo. Non ora.
Il problema di noi umani è che siamo complicati. Facciamo più spesso le cose sbagliate di quelle giuste e la maggior parte delle volte lo facciamo convinti che sia giusto, oppure per paura, o altre sventure irrazionali.
Per essere quelli dotati di un cervello eccezionale tra le creature del pianeta, siamo di certo quelli che lo usano peggio. Perfino una cozza fa meglio di noi.
E ieri riflettevo su quanto questo agire scomposti e senza un vero contatto con noi stessi ci porti via la vita, a quante scelte sbagliate si possono fare e a quanto le cose giudicate meno sane invece a volte ci salvino la vita.
A quanto spesso siamo noi stessi la nostra prigione. Bon (come si dice qui a Torino).
E visto che piove dalle 15 circa e che io vorrei essere altrove... In un posto un po' più simile al paradiso, tipo Kovalam, in Kerala. Ma poi anche no, vorrei esserci se Kovalam fosse qui, sotto casa.

Buona serata a tutti.

6.11.14

Il bello del tubo... ehm, del palo.

Ho sempre avuto una passione per quella cosa che accende l'immaginario erotico di molti uomini e che ora è disciplina sportiva con il nome di pole dance.
Insomma, questa è l'idea che uno ha quando ne sente parlare o quando si immagina già volteggiare in posizioni al limite del contorsionismo. Un bel corpo, modellato e tonico, la leggerezza... (lo so, è una mia fissazione questa della leggerezza)
Ecco che tra le mille mode del momento, da qualche anno è spuntata anche la pole dance, con nomi più soft tipo pole fitness o con un exotic davanti a sottolineare che ci sono i tacchi alti e ci si muove muy sexy.
Tutto ok.
Dopo anni di "vado-non vado" ho finalmente iniziato a frequentare un corso di pole dance. Per signore, come mi ha suggerito l'insegnante notando che non sono una ragazzina e sono un po' fuori forma. Facendolo anche notare a me, che ogni tanto ho l'illusione di avere ancora vent'anni e di pesare 50 kg...
Le cose si sono trasformate da "danza sensuale" a "sport estremo" fin dalla prima lezione, quella di prova. Mio marito ha voluto fotografare i miei lividi e comunicare a tutti i nostri amici che non è stato lui a malmenarmi ma che ho fatto tutto da sola. Io stessa, per monitorare i progressi - i lividi, dicono, con il tempo e l'esercizio non ci saranno più - ho un album di foto riservatissime con ogni singolo segno.
Fatto sta che la prima settimana l'ho passata con un capillare rotto nell'interno del braccio destro e una chiazza viola, più altre cose. Alla seconda lezione ho iniziato con i lividi sugli stinchi. Alla terza sono arrivata a casa con un interno coscia "da urlo", che poi, tornando a casa in bici è stata una sofferenza non da poco.
Non contenta, dalla quarta volta ho deciso che sarei andata due volte a settimana invece di una sola. Perché quando faccio qualcosa, la faccio bene. E sono arrivate le stimmate sul dorso dei piedi.
I risultati si vedono a giorni alterni. Una volta sforzo le braccia, la volta dopo le spaccate sono uno sforzo mostruoso, una volta riesco a salire sulla pertica fino a metà, la volta dopo non mi riescono gli esercizi base. Ci sta tutto, è uno sport. Devo imparare i movimenti, devo plasmare il corpo, devo perdere peso per evitare di sovraccaricare braccia e schiena, devo semplicemente fare lo sforzo normale per uno sport praticato a livello amatoriale. Insomma, chi corre ogni giorno avrà pure i muscoli indolenziti. Poi sono cresciuta tentando di evitare le scarpette da punta di danza classica, che mi scorticavano viva ogni volta, che saranno mai pochi lividi?
Certo, per ora l'estetica ci guadagna solo se resto pressoché vestita. Ché le gambe verde-viola non sono proprio il massimo del trendy. (Ma si sa, io non sono mai stata fashion victim.)
Ogni tanto guardo i filmati su YouTube di chi lo fa per professione e penso che siano dei mostri... Di bravura.
Ovviamente non spero di raggiungere certi livelli, ho una certa età e non posso passare ore ogni giorno ad allenarmi come ha fatto la mia attuale insegnante. In ogni caso non è importante dove si arriva, lo è di più passare il tempo libero facendo qualcosa che piace. Lividi e bolli compresi.
La cosa divertente è il mettersi alla prova, il provare a fare le evoluzioni improbabili che si propongono a lezione, osservare persone del corso prima che hanno gambe lunghissime e perfette. Pensare che sì, si sta facendo la stessa cosa. Non importa se in modo differente. Alla fine con un po' di fatica le cose si imparano. Si torna a casa con qualche livido in più quando si impara qualcosa di nuovo, la volta dopo quella cosa ci riesce meglio e non ci bolliamo.
Ci si diverte, si scherza, si prova e si fatica. Poche per volta, ciascuna con il proprio palo girevole. Si ride molto, quando si sbaglia. Si scuote la testa e si riprova.
Ho letto articoli in cui si prendeva in giro questa disciplina. Io non ci trovo molto da ridere, se lo disdegni è perché non sei capace di metterti davvero alla prova, in mutande e reggiseno, sentendoti un kebab mentre rotei attorno al palo cercando di tirarti su e non riuscendoci. I tacchi te li scordi, non sei lì per fare la modella.
Sei lì per sentirti bene, punto.
E se poi penso che nel mio corso c'è una allieva che ha oltre 25 anni più di me e che anche lei si diverte come una matta, mi chiedo cosa ci sia di così strano nel dire che si va a pole dance, come fosse una cosa brutta...
Tanto più che una volta dato l'input, nonostante i lividi ben in mostra, ci sono delle amiche coraggiose che si iscriverebbero all'istante e che magari appena si riesce a trovare un posto libero a un orario decente lo faranno.
Per passare da così:
A così...

Per me è sicuro, io non smetto. Con o senza lividi, con tutti i dolorini dell'età. Che oltre al corso "per signore" ora vado anche a quello delle "giovani marmotte" e non sfiguro poi così tanto. E mi godo la piccola star quattordicenne della scuola, che pare di gomma e tutto sembra tranne una gnoccolona sexy, perché poi le cose a volte hanno il "mood" che si dà loro e non uno proprio. E vederla roteare in una spaccata perfetta a due metri dal suolo tenendosi con l'ascella mi fa credere ancora di più nell'impossibile.
L'impossibile è solo un limite, dopo c'è la pole.

2.11.14

No-vembre e nebbia

Negli ultimi tempi ho seguito meno il blog, ho quasi smesso di leggere, scrivo poco, non ascolto musica se non alla radio (ma poco convinta), non dipingo e non disegno con soddisfazione.
Sono come congelata in un certo senso. Tanto quanto sono invece "aperta" a quello che sta cambiando. Forse tutte le attività che ho sospeso in qualche modo mi potrebbero sovraccaricare, non so. Mi capita anche più spesso di lasciare che le cose capitino e basta. Come e quando devono. Niente progetti, niente programmi.
Sto imparando a lasciarmi andare. Non è semplice. A volte fa male, tanto fa paura.
A volte è liberatorio al limite di una felicità che non avevo mai provato.
Non so chi sto diventando. Forse semplicemente me stessa.
Oggi sono quattro anni che ho salutato mia mamma. Da allora non sono la stessa persona. Non per una facile e retorica questione di lutto in sospeso. No, quello è andato e sarebbe assurdo dire che soffro per la sua mancanza. Mi mancano le piccole cose quotidiane, ancora, ché è difficile perdere le abitudini. Ma l'equilibrio di oggi allora non c'era. E quello che c'è ora è possibile anche perché non ho più bisogno di preoccuparmi per lei. Smettere di farle da mamma.
Non so perché ho smesso di ascoltare musica, fino a due anni fa avevo sempre le cuffie nelle orecchie e non restavo senza le mie canzoni preferite nemmeno un attimo. Non so perché ho smesso di guardare quasi tutti i telefilm che guardavo. Non so perché ho smesso di leggere, o meglio so che l'esperienza con "Cloud Atlas" è estenuante e che quando sbaglio una lettura e mi obbligo a proseguire finisce che mi blocco.
Non so perché scrivo e dipingo poco. Vorrei fosse solo il tempo che mi manca, invece so che è attesa.
Solo attesa. Non un blocco dello scrittore, perché comunque qui e lì produco. Un articolo, un pezzo di racconto, una correzione... Ma non finisco un romanzo nemmeno a pagare e dire che i lavori che sono lì lì pronti solo per l'ultimo sforzo ci sono eccome. Non solo il fantahorror, ma un altro che pare piacere altrettanto. Credo sia attesa, solo quella. Perché se finissi ora poi non mi piacerebbe, mi sveglierei domani pensando di aver scritto una ciofeca.
Intanto il Premio Marcelli è passato, al Torneo non ci sono e non ci sarò più, ho un racconto che vaga in Feltrinelli, uno da finire di sistemare e devo capire se riuscirò a scrivere anche per la nuova rivista del mio ultimo editore...
Mi piace quello che sto diventando, nonostante la fatica. Mi piace vedermi il sorriso in faccia, e gli occhi luminosi. Mi piace avere voglia di alzarmi al mattino. Mi piace pensare che ce la farò.
Che le soddisfazioni piccole piccole cresceranno e che saprò che sono mie. Esclusivamente mie. Guadagnate una a una. Restando quello che sono minuto per minuto. O quel che sarò.
Per ora sono in una specie di pausa, come un letargo prima di una potente primavera. Mi accoccolo nelle foglie e mi godo la maturazione. Quello che dovevo seminare in parte l'ho seminato, ora vediamo cosa ne viene fuori. Il significato della festa appena passata, forte, mi pulsa tutto attorno.
Chissà se arriva prima il dolcetto o lo scherzetto?