15.7.14

Noi non siamo

La settimana scorsa mi è successo di intervistare Fulvio Abbate per un articolo su Gazzetta Torino. Dopo la telefonata mi è rimasta incollata in mente l'immagine di questo eroe fuori tempo che arrancava in salita, parlandomi al cellulare col fiatone mentre io, damigella di nobili origini che lotta - si fa per dire - solo a parole, me ne stavo comodamente seduta al bar con la mia birra sul tavolino e il mio taccuino con gli appunti.
Immagine in un certo senso poetica. L'artista che combatte l'ipocrisia del mondo, solo e in salita e la "giornalista" che dovrebbe tentare di combattere che invece se ne sta asciutta e comoda a pacioccare con le parole.
In questi giorni sono stata inondata di immagini sgradevoli. Commenti sgradevoli, considerazioni piene di astio e insensibilità. Sarà che ci piace starcene comodi a giudicare le situazioni altrui, dall'alto della nostra saggezza infinita, sarà che tutte queste informazioni contengono sempre e solo parte della realtà e che spesso noi scegliamo solo di credere a ciò che ci pare più comodo. Non voglio entrare nella discussione sui recenti scontri tra Israele e Palestina. Ne so, non ne so abbastanza e in fondo non è quello che penso che conta. Niente di quello che tutti noi pensiamo conta davvero. Sono altri a decidere, sempre.
Conta che come in mille altre faccende noi siamo comodi al bar a giudicare gente che si fa la salita, a torto o a ragione. Non abbiamo nessun rispetto per quello che provano e sbattiamo corpi di bimbi - ma anche animali, adulti, piante, oceani - in bacheca come a dire "io sì che ho a cuore questo bambino". La verità è che nessuno di noi è quel bambino, nessuno di noi ha perso quel bambino e di certo se fosse figlio nostro noi lo proteggeremmo di più dal mondo - no, non dalla morte, dal mondo che lo sfrutterà per smuovere coscienze addormentate. Dalla morte non possiamo proteggere nessuno, ma la dignità di chi muore anche inutilmente andrebbe rispettata. La verità è che non ce ne frega niente e che domani quel bambino sarà un elefante da salvare o una balena, o un barbone malmenato in città. Ma se poi davvero incontriamo il barbone a noi fa schifo. Perché puzza, è sporco e non vive decentemente come noi.
Ma non è solo questo.
Leggo di tutto, ultimamente. Tanti che si lamentano, tanti che sono arrabbiati, che non si fidano. E sono stufa. Mi infastidisce (e ora ci casco anche io) tutto questo fastidio.
Penso forse che sarebbe meglio essere positivi. Evitare le "sgradevolezze" e provare a sorridere. E, fuori da internet, provare a considerare il prossimo come umano anche quando puzza. Provare a restituirgli una dignità nonostante tutto.
Se è vero che il compito dell'artista è mostrare al mondo un punto di vista differente, credo sia anche vero che il compito dell'essere umano sia di mostrarla questa umanità, non di far finta di indignarsi per tutto e poi parcheggiare il suv in doppia fila per mollare dei pupi firmati da capo a piedi a scuola - quando non si è anche chiesto il contributo per la mensa.
Perché poi sentiamo gente che pensa che il problema siano gli immigrati e i soldi che ci costa mantenerli (a prendere pulci in centri sovraffollati, per lo più) e sono di nuovo persone che non hanno mai fatto la fame, non hanno mai rischiato la vita e non hanno mai pagato uno strozzino per fare un viaggio in un posto dove, forse, stare meglio. Sono quelli che gridano "prima gli italiani", come se gli altri non fossero umani. Come se le decine di falsi invalidi o di baby pensionati, o alcuni dirigenti non ci avessero letteralmente fottuto (perdonate il francesismo) più soldi di quanti questi immigrati ci costeranno mai. Quante tasse che paghiamo che se ne vanno sprecati in appalti, rimborsi etc. Ma certo, se uno si compra le mutande con i soldi dei cittadini al massimo lo si considera un burlone. Dai da mangiare a uno straniero (a meno che lo straniero non sia pelato dai proprietari un ristorante in qualche centro città, allora va bene) e stai sprecando soldi.
E davvero, come prima, non è la questione di chi ha ragione e chi torto, di chi merita o meno.
Siamo noi che non meritiamo. Siamo noi che non siamo capaci di alzarci e farci sentire. Siamo noi che aspettiamo il Messia da un'eternità, così pensa a tutto Lui che sa. Siamo noi che abbocchiamo a qualsiasi promessa o parola che ci faccia comodo. Non è questione di informazione obiettiva o falsata da ideologie o convenienze. Non si salva nessuno.
Noi che finiremo per combattere una guerra tra poveri, perché poveri lo siamo - dentro.
Noi che non alzeremo mai la testa abbastanza da vedere in faccia chi ci sta bastonando. Non c'è soluzione. Noi siamo finiti.
L'unica cosa che potrebbe salvare questo mondo è una rivoluzione, ma senza una rivoluzione culturale che precede quella fisica non si andrà lontano. E mi fa paura, perché davvero noi non meritiamo.
Nessuno di noi.

5.7.14

Sono educata e sono stanca


Sono cresciuta seguendo mia madre un po'ovunque, disdegnando spesso la compagnia dei miei coetanei e osservando privilegiata il mondo degli adulti. Privilegiata perché, essendo molto educata, passavo quasi inosservata e alla lunga finivo per essere una "piccola adulta". E ascoltavo di tutto, proprio di tutto, come fossi una bimba invisibile.
Mi piace pensare di esserlo stata anche se entrambe le cose - essere "piccola adulta" o "bimba invisibile" - possono avere un lato negativo. Crescere troppo in fretta, ascoltare discorsi inappropriati (quali poi non saprei), non essere calcolata come bambina può essere frustrante. Eppure mi è piaciuto evitare la delusione della crescita partendo "già cresciuta".
L'unico difetto enorme che mi è rimasto è l'educazione. Quel timore di disturbare che a oggi mi impedisce a volte di impormi quando dovrei. Come se un grosso "NON DISTURBARE" fosse appeso alla maniglia del mondo. Ho imparato a non interrompere, a non chiedere con insistenza, a non fare rumore o domande inopportune, a stare ferma e buona mentre gli altri parlano. L'ho imparato talmente bene che ora, prima di fare qualsiasi cosa mi chiedo se sto disturbando.
Non telefono se non so che stanno aspettando una chiamata, non chiedo aiuto quando ne ho bisogno, non mi faccio quasi mai pubblicità, non chiedo mai apertamente una cosa - anche se ci tengo - non metto nemmeno i tag nelle cose che pubblico su facebook (a meno che non siano "cazzeggi" che so di poter condividere) per non dare fastidio a chi mi legge o a chi si potrebbe trovare inserito tra persone che non gradisce.
E questa mia discrezione ha anche i suoi lati positivi, lo ammetto. Facile che le persone che mi conoscono si fidino di me tanto da raccontarmi cose che non direbbero ad anima viva. Facile mantenere i rapporti anche se io difficilmente trattengo le persone accanto a me. A volte lascio scorrere più del dovuto, lo ammetto. Se anche tengo a una persona ma la sento allontanare è difficile che la rincorra per non perderla. Credo che, in ogni caso, le persone con cui entriamo in contatto ci restino dentro. Per sempre. Non importa se fisicamente non ci sono.
L'altro aspetto della faccenda, però, è che sono anche stufa di tutta questa mia morbidezza. Perché non è del tutto autentica. Non che io finga, ma mi viene spontaneo questo non disturbare anche quando poi mi fa rabbia l'essere invisibile. Per esempio, se voglio andare in un posto particolare è difficile che io dica "voglio andare là"; mi viene spontaneo dire "si potrebbe andare là", invece. Così io non disturbo e l'altra persona non si sente in obbligo. Però io magari voglio proprio andare là... E non mi impongo, anzi, nemmeno lo faccio capire.
Ecco, questo aspetto di me, una sorta di rigidità comportamentale che mi impedisce di chiedere quello che vorrei per me, mi scoccia terribilmente. Perché non è facile che gli altri siano disposti a interpretare i miei ghirigori esistenziali e io spesso pretendo invece di essere capita. Perché quanto pretendo da me, spesso lo desidero dagli altri. Così se io prometto di "non disturbare" è quasi sicuro che non lo farò correndo il rischio di perdere occasioni e fiducia. Parlando con una mia cuginetta, un paio di settimane fa, ho capito che a volte seppure goffamente sarebbe meglio provare a chiedere. O almeno specificare che la mancanza di una richiesta chiara e specifica da parte mia non implica una mancanza di interesse o di desiderio.
Ché, spesso, diamo per scontato che gli altri capiscano al volo le nostre necessità o i desideri. Invece...
Le relazioni con gli altri sono sempre complicate e si finisce per sembrare superficiali per troppa discrezione. O per non avere le attenzioni che si vorrebbero, o per far allontanare chi vorremmo vicino.
Quindi sono stanca, soprattutto, di reagire istintivamente con questa mia "educazione" e di non saper pretendere quel che merito, o che desidero, o che voglio disperatamente...