21.9.12

Sembra

In questo periodo sembra che io non abbia nulla da dire. Invece a volte ne ho fin troppo e non so da dove cominciare, quindi non scrivo e prendo pochi appunti su quello che mi accade, per poi elaborarli e decidere che li posso usare. Ho una grande energia che sta spingendo per uscire e ancora non riesco a canalizzarla. Questo mi preoccupa, come sempre. Perché l'energia è al contempo creativa e distruttiva e quando sono così tendo a esagerare con tutto. Non dormo, sono stanca, nervosa, aggressiva e avrei voglia di mandare a quel paese il mondo intero.
Eppure allo stesso tempo sto dipingendo, scrivo e mi sento meravigliosamente.
Forse avrei bisogno di un bel giro di psicoterapia...

19.9.12

L'uomo con la cicatrice attraversò lo spiazzo senza guardare. I capelli appena scossi dal vento, lo sguardo deciso, i jeans un poco lenti sul fondoschiena e una maglietta rosso fuoco tirata sul torace ampio e stretta sui bicipiti. Stava andando a parlare con quell'uomo seduto al bar da oltre un'ora apparentemente perso nei suoi pensieri, ma attento a ogni movimento dei dintorni. C'era qualcosa di
losco in lui, come una patina d'unto che si portava dietro senza aver mai saltato una doccia.
Senza esitare un istante, l'uomo con la cicatrice si mise a sedere sulla sedia accanto all'altro, chinandosi su di lui per trasmettergli il messaggio che era venuto a portare. Poi riprese una posizione normale, fece spuntare da chissà dove un pacchetto di sigarette e se ne accese una, il tutto prima che il cameriere del bar si accorgesse di lui. Ordinò un caffè, attendendo una risposta dal suo interlocutore.
Niente zucchero, un sorso amaro e potente prima di andarsene. L'uomo venuto dal mare aveva dato la sua risposta. Era un no.

16.9.12

Beat it, no one wants to be defeated...

La ragazza dall'anima nera era soggiogata dalla luce dell'amica. Lei sembrava così forte, selvaggia e libera, così vera, che nulla reggeva il confronto. Era facile abbandonarsi alla risata dell'amica, sentirsi a casa e amata. Vedeva Taffy come una forza della natura, l'amica con cui condividere ogni cosa, quella che l'avrebbe salvata dai suoi demoni.
Era un bel pomeriggio, un caldo e soleggiato giorno di Giugno. Non che avessero il modo di vedere l'esterno, chiuse nel grande teatro della città ad aspettare l'ora del saggio mangiando patatine e schifezze sedute tra le prime file della platea. I capelli già legati e sistemati per lo spettacolo. Dovevano solo aspettare e lo facevano ridendo. Era il saggio di danza Jazz, quello meno impegnativo e più scatenato. Quello in cui avrebbero urlato in scena e finto di essere bad girls.
Aspettarono la chiamata, rientrarono dietro le quinte e si sistemarono al fondo del retropalco dopo essersi truccate pesantemente occhi e bocca. Laggiù, tra ballerine che riscaldavano i muscoli e ragazzi in attesa di entrare in scena, passarono in rassegna i posti liberi e scelsero di andare là dove era più pericoloso e divertente andare: accanto al motociclista che sarebbe entrato in scena con loro insieme alla sua custom rosso fuoco, bassa, lunga e pesante. Lui, un culturista con lunghi capelli neri e mossi, era amico di una compagna di corso. Una decina d'anni più vecchio di loro, non un vero biker se non per la moto che aveva con sé. Mentre aspettavano il loro turno, le due ragazze cominciarono a giocare con lui, flirtando in modo scherzoso e facendo battute più o meno pesanti per provocarlo. Lui sembrava frastornato e divertito.
A un tratto, la rapida e solare Taffy si lanciò incontro all'uomo baciandone le labbra con un gesto rapido, per non farsi fermare. L'uomo sorrise e per risposta si precipitò a baciare la ragazza dall'anima nera, che stava leggermente distante per lasciare spazio all'amica.
Un bacio a labbra chiuse, semplice e veloce. Una risposta al sole verso l'ombra.
Taffy si fece indietro ridendo. Poi ballarono. Gridarono e si azzuffarono in scena per lui. Ma per qualche bizzarro motivo lui aveva scelto l'anima nera che non lo avrebbe amato.
Sotto ai riflettori, i flash del fotografo bloccarono l'istante per sempre. La mente delle ragazze lo fecero diventare il loro "evento", la sera da ricordare per tutta la vita. Senza contare i baci rubati e scambiati dietro alle lunghe tende nere del teatro. Erano belle, giovani e vivaci. Avrebbero fatto del mondo il loro palcoscenico.
Forse...

Lacrime

C'è stato un tempo in cui non piangevo mai.
Mai per la cosa giusta, almeno. Piangevo di rabbia, per capricci da bambina, per un compito non riuscito bene. Quando ancora i compiti li facevo.
Non ho pianto quando è morto mio nonno, anzi, ero contenta per lui. Non ho pianto quando è mancata mia nonna, due mesi dopo. Ed è stata la persona che mi aveva cresciuta mentre mia mamma lavorava.
E mi trovavo a piangere per cose inutili, sapendo che non era per quello che avrei dovuto piangere, sentendomi diversa ancora una volta, perché incapace di dare il giusto peso alle cose.
Non so se fosse una reale incapacità di farlo, sicuramente dentro di me il dolore c'era, e forte.
Ma le lacrime hanno imparato la loro via e a un certo punto della vita ho permesso alle mie emozioni di uscire in qualsiasi momento. Piangere è diventato un aiuto, uno sfogo, un piacere.
Mi spiace per chi non lo sa fare, per chi pensa che sia segno di debolezza. Mi spiace per chi non permette alle proprie emozioni di uscire e blocca la sua stessa vita in un dolore silenzioso. O in una gioia muta.

11.9.12

Narciso, o la causa dell'amore

Mi chiamava Paul, come fossi un maschio. Non avevamo niente in comune, apparentemente.
Ma ha letto le mie poesie, tutte. Ha ascoltato la mia storia e s'è innamorato di me. Follemente, come mai gli era capitato. Un sentimento forte, difficile da comprendere e da dominare.
Una questione di viscere che si contorcono, di budella.
Ma non avevamo in comune abbastanza, o forse troppo.
Lui aveva visto il mio dolore e di quello si era innamorato. Della donna che aveva sofferto, che ispirava tenerezza, affetto. Aveva visto solo quello e l'aveva riconosciuto come se si fosse specchiato.
E siccome io ero una versione migliore di lui di quella sofferenza ha pensato di amarmi. No, mi ha amata. Senza vedere tutto il resto di me, solo avendo riconosciuto in me i suoi stessi dolori.
Non è la prima volta che mi capita di notarlo.
Come se ci innamorassimo di quella parte di noi stessi che vediamo riflessa nell'altro. Colpiti da quel fulmine che già colpisce il nostro cuore da sempre. Il nostro dolore, il nostro modo di sentire, di amare, di desiderare di essere amati. Ecco, e se ci innamorassimo veramente di noi, in fondo, non correremmo il rischio di affogare cercando nell'altro noi stessi?



8.9.12

Perle



Se solo il corpo
non avesse peso
e gli occhi non sentissero il bisogno
di riconoscere beltà
nel riflesso di uno specchio,
saremmo amanti
persi nei sogni
e nelle immagini
che le nostre menti,
all'unisono,
ci donano.
Se potessi dire amore
senza che ciò
significasse materia
non avrei più limiti
e nemmeno paura.
Ma ne ho.
Tutta questa libertà
persa nel solo nero
dei tuoi occhi
pesa più
di una galassia
di perle di mare.


5.9.12

Lost in Pennabilli

Che poi, una s'immagina di venire abbandonata in autogrill, appena uscita dal bagno dopo una interminabile coda - perché si sa che il bagno delle donne ha sempre uno strano affollamento, strano perché è altresì noto che le donne vanno in bagno in coppia... - invece...
Tornando da un breve viaggio e passando dalla Romagna per motivi cultural-personali del nostro maestro finiamo in pellegrinaggio a Pennabilli, paesino arroccato in cima a un cucuzzolo, circondato da colline e rocce di colori caldi e secchi della fine di agosto. Siamo qui per visitare la casa di Orazio della Penna, cappuccino del 1700 che ha svolto buona parte della sua missione in Tibet e che ha redatto il primo dizionario tibetano-latino. Non solo, siamo qui per Tonino Guerra, poeta, amico del nostro maestro fin dalla gioventù e recentemente scomparso.
Pennabilli è un piccolo angolo di paradiso, almeno visivamente parlando. A ogni angolo c'è qualcosa di meraviglioso che spunta, che s'intravede, che si manifesta o che semplicemente immagini essere lì. Perché magari non lo vedi. Stradine in salita lastricate di pietra, fotografie e quadri appesi alle pareti esterne dei palazzi, piante di Bignogna che si arrampicano ovunque. Una visione.
Tanto che non sai quale angolo fotografare e li fotografi tutti come una cretina, per poi dirti... "ma che cavolo mi fotografo le vie?"
E mentre noi cinque vagavamo col naso in aria, tra la casa del frate e il negozietto con i souvenir del poeta, meraviglioso anche lui, il nostro tempo passava. E il disco orario scadeva.
Così ci siamo divisi, i proprietari delle auto a cambiare il disco orario mentre il maestro, la bionda, il cane e io siamo rimasti sulla piazza della chiesa, in un angolo all'ombra accanto alla fontana dalla forma ad anfiteatro, alla proloco e al museo di calcolo matematico. Poi la bionda ha portato via il maestro, in cerca di un bar.
Io resto lì, tipo agente di collegamento della CIA tra le due squadre - ovviamente per ordine del maestro...
Passa il tempo. Scatto fotografie a ogni angolo da ogni prospettiva, mando un paio di sms alle amiche, mi godo il fresco e la visuale. E il tempo passa. Mando un sms all'amica che mi manda abbracci ogni mattina e le manifesto l'impressione di essere stata abbandonata. Passa altro tempo e finalmente un volto noto mi compare davanti.
"Cosa fai qui da sola?" mi chiede.
"Aspetto voi."
"Ah, ma noi siamo al bar!"
"Come, voi siete al bar... Tutti e quattro?"
"Eh, sì..."
"Ah, beh. E dirlo?"
"Eeehh..."





Appunto. Dimenticata. Almeno il posto era bello. Molto bello. Da tornarci.