28.12.18

L'ora, la parola, le cose che scivolano via...

Mi è successo qualcosa, dicevo.
Capitato senza una necessità, quasi senza che me ne accorgessi, in profondità. Altrimenti non avrei perso le parole.
Invece sono qui e anche se ho delle cose da dire non ho più la necessità di farlo. Smesso il dolore, finito il bisogno; quasi usassi le parole per respirare e tenere la testa fuori dall'acqua in attesa della calma.
No, la tempesta non è finita. Diciamo che sono nell'attimo di pace dell'occhio del ciclone, che ho ancora tanto da "sistemare"- e che probabilmente mai finirò - che ho un momento di "perfezione assoluta"* in cui mi basta il dove sono.
E non ho bisogno di scrivere. Ringrazieranno quelli che sfottono gli "esordienti" e quelli che non si troveranno le bacheche spammate da libri col mio nome sopra.
Sì, da una parte è vero che la pole sta occupando gran parte del mio tempo libero e che quando arrivo nella mia piccola casetta colorata ho solo voglia di buttarmi sul divano e coccolare cane e gatto guardando le pareti riflettere le luci. Sì, quello per la pole è un sentimento totalizzante: provare per credere. Per qualche motivo è come se bastasse a "curare" i lividi della vita. Sì, beh, ne fa altri, ma solo sulla pelle. Succede, però, che quel tipo di lavoro su se stessi assorba i pensieri negativi e restituisca il sorriso. In effetti sono quattro anni che sorrido, nonostante tutto.





Però, però...
Mi è successo qualcosa.
Non saprei definire da dove sia partita la mia chiusura. Ho mondi che in qualche modo necessitano di uscire e ho un posto in cui farli emergere ma mi manca il desiderio di renderli "noti". Non ho voglia di esprimere ciò che ho dentro e, da questo silenzio anche sul blog, chi passa spesso se ne sarà accorto.
Non mi è mai piaciuta la realtà, motivo per cui ho sempre letto, scritto, visto film e telefilm. Ascoltato musica e ballato, anche. Per andare via, in un posto diverso e non necessariamente migliore. Ogni luogo, o non luogo, in cui ci immergiamo ha sempre noi come soggetto, quindi non c'è possibilità di raggiungere un luogo "perfetto". Non esiste un luogo che lo sia.
Ora però, il nascondermi non è più sufficiente. Trovo il germe del malessere umano in ogni cosa che leggo e vedo, trovo la prevedibilità dei gesti e delle parole, e io detesto la prevedibilità.
Non sopporto più alcune cose, non ho voglia di ascoltare lamentele, non ho voglia di sentirmi sbagliata io perché non riesco ad ambientarmi. Eppure non ho voglia di fuggire.
E il mondo scappa, adesso. Mi sfuggono tante cose, mi sfugge di mano anche ciò che amo.
Non è strano, è così che funziona.
Il controllo è un'illusione e scrivendo non faccio altro che cercare di esercitare un controllo - non che i miei personaggi mi diano grandi opportunità di farlo, ma a creare sono io comunque - quindi, in qualche modo, anche questo aspetto della mia vita mi sta suggerendo di "lasciar andare", perché non potrà che giovarmi.
Poi, poi...
Vedremo.