28.3.12

Me la tiro da scrittrice, per 5 minuti

C'è di buono che il mio lavoro di scrittura mi sembra passabile, mentre una volta mi vergognavo molto di quello che facevo. Non che scrivessi cose orribili, ma rispetto a ciò che leggo di solito mi sembravano molto, molto ingenue. Prove di scrittura destinate a un pubblico che non legge.
Me ne sono resa conto mentre aggiustavo il "tascabile" per il torneo e dovendo tagliare di qua e di là non avevo grossi problemi di ristrutturazione dell'opera. Se avessi tentato un'operazione del genere su quello che per gli amici è "J&J", il fantahorror, sarei impazzita nel tentativo di rimettere a posto dettagli sparsi qua e là, piccole cose che alla fine fanno il romanzo. E la struttura stessa del lavoro non è così semplice.
Allo stesso tempo mi sono reinnamorata del tascabile, anche se non nella versione che ho dovuto "striminzire" per rientrare nei limiti. Il lavoro che avevo iniziato per riscriverlo è decisamente buono e non andrà perduto. Se solo avessi tempo...
Perché il fantahorror necessita della fine e non solo, ma il resto del lavoro preme. Preme tantissimo, tanto che se solo riuscissi a scrivere 3 o 4 romanzi in contemporanea come faccio quando leggo libri, nel giro di un anno avrei tanto da stampare per gli editori e invece, dovendo restare su un lavoro per volta mi sento rallentare, distratta dalle voci di altri personaggi che cercano di attirare la mia attenzione. Mi servirebbe una serie di cloni.
Anche solo un'altra me che lavorasse al mio posto quelle ore che mi servono per mangiare.
Il mio io creativo necessita di spazio.  Vado e glielo do...

23.3.12

Puzzle

Non sono stati i poteri a spaventarmi.
Piuttosto era il piacere che mi davano a farmi paura. Ogni volta che qualcuno moriva o si feriva a causa di un mio pensiero mi sentivo bene. Non un mostro, come forse tutti si aspettavano. No. Io mi sentivo forte, speciale.
Diversa.
Per questo ho chiesto che mi venissero tolti. Non volevo trovarmi un giorno a non capire mentre gli altri mi guardavano con disgusto o con paura, o con odio. Perché li avrei odiati anche io e di certo li avrei uccisi senza pensarci. Mi bastava così poco...
Ho fatto in modo di rinunciare a tutto. Anche alle visioni, che ora sono immagini incomprensibili e ombre di qualcosa che mi resta inafferrabile e indefinito nella mente. La sensazione di un sogno che rimane dopo il risveglio, ma solo in piccole parti, tanto che non sarei in grado di ricostruire un tutto esauriente.
Non vedo il futuro, ne vedo solo frammenti che tento di ricomporre in un puzzle troppo grande.
Come una porta chiusa mi appare il cuore dei miei simili. Non voglio sentire più il loro dolore. Nemmeno sentirli gioire. Voglio che mi raccontino gioie e dolori con parole loro, non rubarle ai loro pensieri.
Non avevo chiesto i poteri. Ma mi piaceva troppo averli. Per questo ho rinunciato.

21.3.12

Nebbia

Le porte dello spazio-tempo si aprono come sbuffi di geyser. Tre volte al giorno, sempre. Da quando sono nata so che è così. L'apertura dura pochi istanti e attraverso una sottile nebbia arcobaleno si intravede l'altro mondo. Non a tutti noi è dato di vederlo. Io sono una delle poche fortunate, destinata sacerdotessa da alcuni segni prenatali. E' attraverso la nebbia che ho incontrato i tuoi occhi, quando ancora eravamo bambini, e ogni giorno ho preso a cercarti. A volte con affanno, altre volte piena di curiosità. Avrei voluto sapere cosa facevi ogni giorno in ogni momento, ma mi erano concessi solo quei pochi momenti quando, nella cerimonia del Tempo, mi avvicinavo abbastanza da sfiorare col naso la mia porta.
Allora comparivi e mi guardavi con gli stessi miei occhi e con lo stesso dispiacere vedevi le porte dissolversi davanti a te. Anni a incontrarci in questo modo, istruiti su come trasmettere da un mondo all'altro le parole giuste, senza poter dire qualcosa in più. Anni fino a oggi.
"Io muoio" mi hai detto. Come ho capito che non era il messaggio che aspettavano al tempio non lo so. So che l'hai detto a me e che non ho potuto che risponderti "Anche io."
Poi ho inventato, trovato qualche parola che fosse plausibile mentre la mente tornava a quelle due parole.
E ho solo aspettato di vederti ancora, dall'altra parte della nebbia che ci divide da sempre e che comunque ci tiene legati.
Adesso aspetto che la porta si apra. Allungherò una mano verso di te e se la prenderai tenterò il salto. Noi due, che siamo uno, non possiamo più vivere così.
Cosa accadrà dopo non lo posso sapere, devo solo trovare l'attimo e saltare...

19.3.12

Ed ecco che...

... la vita riprende dopo la breve sospensione durante la preparazione per il torneo.
Ok, la fase 1 del suddetto è iniziata venerdì. Qualcuno starà leggendo le prime pagine del "tascabile" come io sto leggendo pian pianino i testi che mi sono stati assegnati. Mi sento svuotata da una parte e dall'altra avrei voglia di fare duemila cose oltre a quelle che faccio.
Devo scrivere, ma sono ancora presa dal remake del tascabile e non mi concentro su altro. C'è da dire che non dormo molto come ogni primavera, quindi aspetto di tornare in vita e scriverò come un fulmine allora.
Bene, sì, sto bene comunque.
Ho solo sonno...

15.3.12

Sul perché non amo gli eroi e leggo di vampiri da adulta, forse...

Ieri un editore ha proposto un quesito su Facebook riguardo alla facilità dei ragazzi a leggere storie di vampiri invece che storie di eroi classici.
Trovavo interessante la domanda, anche se la prima risposta che ho letto affibbiava al cinema un ruolo che non ha mai avuto. Insomma, si scrive di vampiri dall'800 e il fatto che siano diventati una moda anche grazie ai film non spiega assolutamente il motivo per cui sia più facile leggere di loro invece che buttarsi sul libro Cuore. In ogni caso anche il fenomeno di Twilight arriva da un libro ben scritto per giovani adulte, quindi lascerei perdere il discorso cinema (che comunque di film sui vampiri ce n'è stati tanti, ma tanti, in ogni decennio e ogni adolescente che si rispetti ne ha visti almeno un paio in vita sua) come causa principale.
Quando ero piccola mi piaceva l'epica. Iliade, Odissea, miti greci e antichi che racchiudono i germi della nostra civiltà e da cui ancora abbiamo molto da imparare. Bello vedere uomini che combattono per un ideale, che muoiono per giusta causa (posto che il rapimento di una regina sia una buona causa per morire, specie se la regina non è nostra moglie), con onore, con coraggio. Bello conoscere attraverso di loro certe qualità umane come la lealtà, l'abnegazione. Bello apprendere l'esistenza di un destino, di una qualche forza superiore che guida le scelte degli uomini. Bello dare a ogni passione il volto di un Dio e allontanarla da noi seppure potendocisi rispecchiare.
Bello, non c'è dubbio. Ma la realtà ci mostra un mondo diverso. Un mondo in cui non ci sono che miliardi di sfumature di grigio che ci impediscono di essere eroi (tranne che in certi casi, in certi momenti, solo alcuni di noi). Anzi. Ci troviamo in un mondo in cui nessuno di noi si rispecchia più in un eroe. Non c'è vita abbastanza per poterlo fare. Non c'è mito, motivo, ideale che tenga. Non siamo più quegli uomini.
Da quando ho aperto gli occhi e ho visto il mondo che ho attorno, non riesco più ad apprezzare gli eroi. Forse gli antieroi mi sono più simpatici, forse solo chi mostra tutti i suoi aspetti, belli e brutti mi affascina davvero. Non personaggi tutti d'un pezzo, ma normalissimi vigliacchi che qualche volta fanno la cosa giusta. Non donne caste e virtuose, ma donne che amano e che non si preoccupano. Non personaggi patinati cui sperare di somigliare. Personaggi da studiare, conoscere, amare anche per le loro debolezze e per i guai che combinano.
In questo trovo che Lost sia stato illuminante. Io sono una assatanata di serie tv, chi mi segue lo sa. In Lost non c'è un personaggio di cui si possa dire "accidenti, vorrei essere lui/lei". Sono tutti delle persone normali, complicate, deboli, insensate, avide, insicure, cattive e chi più ne ha più ne metta. Ma sono tutti molto veri, più veri di un Achille o un Ettore.
Non so se sia un problema di stili di vita, di epoca o che ne so. So che in parte comprendo che i giovani abbiano un maggiore interesse per storie diverse da quelle di eroi classici o moderni. Tralsacerei anche il fatto che buona parte della letteratura attuale riguardo ai vampiri non è certo letteratura horror quale dovrebbe essere, ma più orientata verso l'urban fantasy e l'idea romantica dell'amore tra vampiro e umano. In fondo non è così difficile comprendere il fascino che certe creature hanno. Immortali, potenti e quasi sempre bellissimi - altro che Dracula di Stoker o i vampiri di Le Notti di Salem - promettono quello cui oggi si sembra desiderare sopra a tutto. Gioventù eterna, poteri soprannaturali, successo, fascino.
E veniamo a ciò che amo io dei vampiri, io che li amo da ben prima di Twilight e che ho rabbrividito leggendo Carmilla, piuttosto che i romanzi di Anne Rice o di King, o di McCammon.
Per prima cosa sono irreali. Per me che non amo il mondo in cui mi tocca vivere poter leggere storie di qualcosa che non esiste e non è nemmeno verosimile o prossimamente possibile è altamente liberatorio. Tutta finzione, come il fantasy vero e proprio di Tolkien o di Martin. Mi diverte. Mi porta altrove.
Poi mettono alla prova il mio lato fifone. Da sempre mi lancio in test, con la mia spiccata fantasia vedo muoversi mostri nell'ombra - ma poi esco col cane all'una di notte - e mi piace l'idea di averne paura.
Mi piace il paradosso del vampiro morto ma eternamente vivo, in cerca di un nutrimento che può ottenere solo da chi è davvero in vita. Mi guardo attorno e non mi sembra difficile vedere gente non particolarmente viva  che succhia energia a chiunque ne abbia. Certe volte mi sento talmente morta dentro che mi ci posso immedesimare in un vampiro. In cerca di emozioni più grandi, di qualcosa che mi salvi "da tutta questa morte" per citare la Mina di Stoker nel film di Coppola.
Poi ci sono libri e libri. Romanzi più horror, romanzi più politici ( e se andiamo a vedere anche tutta la filmografia di Romero e i suoi zombie ha valenza politica mica male), romanzi più ironici e romanzi romantici.
Che a ben vedere bisogna anche essere malati di mente per desiderare di diventare un vampiro per amore di uno che è morto da mò e che se non beve sangue si secca o mummifica, polverizza. Insomma, va bene che un po' mummie lo si diventa con l'età, ma la vita normale ha dei limiti a certe sventure...
Come mai poi si paragoni un vampiro a un eroe lo lascio in sospeso. Capisco che qualcuno si stupisca del successo dei nostri amati non morti (ora più che successo è moda, ma va bene), però il mettere sullo stesso piano una letteratura epica o che comunque parli di eroi e delle figure di fantasia come i vampiri lo trovo una forzatura non indifferente. Ai posteri...

La triste invadenza della realtà

Ho avuto grandi sogni, un tempo.
Mi è sempre piaciuto pensare che sia più il mio mondo quello onirico, tanto che anche ora confondo spesso i due piani e mi rifugio in mondi alternativi che mi creo apposta. E sognavo anche nel senso di progettare un futuro a mia immagine. Futuro che non è mai diventato quello che volevo a causa della realtà.
Quando a vent'anni ho pensato che avrei dovuto lavorare per non pesare più su mia madre mentre tentavo la mia carriera di ballerina/showgirl e insegnavo danza per poche lire al mese non mi sono resa subito conto che il lavoro contrastava fortemente con la mia carriera. Dovevo stare lì nove ore al giorno e stando lì non avevo possibilità di andare ad audizioni, a fare stages che non fossero nel weekend, a lavorare fuori città, a fare spettacoli pomeridiani e anche lezioni pomeridiane.
Poi le cose sono andate come sono andate, ma non avrei potuto continuare a lungo. O si fa una cosa o se ne fa un'altra. Per la prima volta realizzavo che sogni e realtà sono incongruenti.
Credo di aver smesso di sognare in quel senso. Fare progetti per il futuro mi sembra, oggi, assurdo. Lascio che le cose scorrano da sole e se quello che vedo non mi piace, allora mi lancio in creazioni di mondi diversi, come quelli di cui poi scrivo.
Così posso vivermi delle avventure impossibili e raccontarle ad altri. E a tal proposito sono qui che studio come procedere con i progetti di scrittura. Il tascabile è al torneo, credo che lo sistemerò comunque ancora prima di proporlo ad altri perché non sono del tutto soddisfatta del risultato (ma dovendo rientrare in certi limiti imposti non ho potuto fare di meglio). Il romanzo orrorifico (ma fico) è vicino al termine (certo, poi tocca rileggere, controllare, limare, aggiustare etc), altre storie premono per venire messe su carta, alcune più personali, altre un po' meno. Ma premono.
Bisogna che io mi metta lì e ci lavori, invece che sognare di farlo. Decisamente meno gradevole, ma necessario.
Come la realtà.

12.3.12

Stelle

Cosa sia stata per te
non ho il dono di saperlo.
So che per me sei stato aria,
carne e vita.
Un sogno che torna
ad addolcire le mie notti insonni,
una paura mai avuta;
nè legarti, nè perderti.
T'ho chiamato poesia,
sei stato l'universo intero,
speranza, gioia,
batticuore.
Ma non ho mai temuto
che altri lo leggessero
nei miei occhi o nei tuoi,
perché era vero.
Non avrei potuto negare,
rifiutare, dimenticare;
non l'ho fatto e ogni volta
sei presente.
Anche quando nel cielo
l'enorme buco nero
della tua assenza
inghiotte le stelle.

8.3.12

Ho perso qualcosa...

In questo periodo mi capita di osservare le mie foto di bambina e non riconoscerle come mie. Non è tanto una questione di aspetto, quello non mente e non è mai cambiato così tanto da non ritrovarmici. Quello che non mi torna è una incongruenza di vissuto, come se la bambina delle foto fosse una me stessa di un'altra dimensione. Io non mi ricordo di me come di una bimba felice. Ho una buona memoria delle cose della mia vita e so che nella mia infanzia non ci sono turbamenti tali da rendermela tanto orribile. A meno che io non abbia rimosso.

Ho giocato, ho riso, certe volte sono anche stata una ragazzina simpatica (insomma, certe amiche non me le sarei portate avanti fino ad ora senza un minimo di qualità), ho fatto la scema, ho cantato, ballato il rock acrobatico in salotto e fatto cose che voi umani...
Ma sono anche stata una bimba solitaria, arrabbiata, triste, a volte violenta. Mi son posta domande e data risposte su temi insoliti per la mia età. Non ho mai pensato che vivere fosse bello. Anzi.
A dieci anni ho detto a mia nonna che l'appena defunto nonno stava certo meglio di noi e che era fortunato. E lo pensavo, pur non avendo ascoltato discorsi sulla morte da parte di adulti fino a quel momento. A dodici ero convinta che non avrei mai avuto figli (e non ho cambiato idea), a venti pensavo che dare la vita fosse uno scherzo di cattivo gusto. A trenta ho cominciato a pensare che la vita fosse troppo lunga.
Non che io voglia morire, ma nemmeno vivere in eterno.
Quello che mi turba, comunque, è che nonostante io sia stata amata e non abbia vissuto tragedie nella mia infanzia, ogni qualvolta si parla di quell'epoca ho un rifiuto che mi impedisce di pensare in modo libero.
Quando mi si parla di infanzia come di un periodo magico, di un momento in cui tutto è stupefacente; quando mi si chiede di tornare là con la mente, di trovare qualcosa che ho dimenticato... mi si chiude tutto, mi arrabbio e mi viene su un vaffa che non dico per educazione e perché almeno quando il limite è mio me ne accorgo ancora. Comincio a pensare di aver davvero rimosso qualcosa.
Qualcosa che oggi mi pesa. Perché non so cosa sia e ho voglia di andare avanti, di fare un passo più in là.
Se non fosse che ho dei bei dubbi riguardo all'inosi regressiva...

5.3.12

Ancora una settimana...

Poi prometto che mi ripresento in forma e piena di cose da dire. Per ora tascabilizzo il tascabile e tento di sopravvivere all'insonnia fetente. Ce la posso fare.
E leggo, e vedo film e telefilm.
E quando riesco a dormire sogno anche, ma son cose che già sapete...