28.5.07

Solo

Tienimi tra le tue braccia.
Voglio restare così,
senza bisogno di parlare.
Voglio sentire il tocco delicato
delle tue mani sulla schiena,
il calore del tuo corpo contro il mio.
Voglio tremare al tuo respiro sul collo,
chiudere gli occhi ed assaporare il momento.
Voglio sentire il tuo cuore
per una volta così vicino al mio...
Ancora una volta, ancora vicino.
Lasciami restare, fammi entrare.
Dentro ai tuoi pensieri,
nelle tue emozioni,
in tutto quello che tieni nascosto.
Vorrei solo poterti amare,
sapere chi sei davvero,
quando non devi difenderti,
quando non devi dimostrare
per forza qualcosa.
Vorrei essere con te,
nient'altro.

25.5.07

23.5.07

La prima volta che abbiamo fatto l'amore

Era la prima volta che venivo a casa tua. Avevo sfilato imbarazzata davanti a tuo padre, che guardava la tv nella penombra del vostro living. Lui non mi aveva nemmeno guardata, non sul serio. Aveva girato la testa ed aveva risposto al saluto, ma non mi aveva vista, aveva guardato oltre, come fossi invisibile.
Hai chiuso la porta dietro di noi e mi hai fatta accomodare sul tuo letto singolo, nella tua cameretta da ragazzino anche se ragazzino non lo eri più. Hai messo su un disco, la colonna sonora di "9 1/2 weeks" ed io ho sorriso pensando a Kim Basinger che giocava con le veneziane.
Abbiamo parlato, tu in piedi accanto alla finestra ed io seduta sul tuo letto col tuo pupazzo di Woodstock. Il copriletto aveva tonalità arancio, non riuscivo ad alzare gli occhi.
Prima di sederti accanto a me hai detto: "rischio la galera". Ed io ho riso perchè non l'avrebbe mai saputo nessuno. Hai aspettato che ti baciassi io, vicino a me con gli occhi chiusi. Ed io non sapevo che fare, perchè nessuno mi aveva mai aspettata, nessuno aveva lasciato a me l'iniziativa.
Il tuo respiro sapeva di buono, le tue labbra erano ancora più morbide di quanto mi aspettassi. E ti ho baciato. Prima timidamente, poi ho solo seguito te. Ti avrei seguito ovunque.
Non c'è voluto molto prima che io assaggiassi la tua pelle, che la toccassi, liscia e morbida com'era. Non c'è voluto molto ed eravamo nudi entrambi. E tu eri in me.
Non eri il primo, ma in quel momento era come se lo fossi. Niente, oltre alla tua pelle ed al tuo sapore, sembrava avere un senso. Non c'era il tempo, lo spazio, non c'era nemmeno la musica. Solo il tuo abbraccio caldo, la tua dolcezza, i tuoi baci.
C'eravamo noi, insieme. Non avevo paura di niente, tra le tue braccia. Sapevo che non sarebbe durata, ma la sensazione era così forte che non potevo non crederci. Non potevo non cedere e non potevo non amarti. Da quel momento in poi non mi hai lasciata mai, nemmeno un attimo. Che tu ci fossi o no, alla fine, non era più così importante.
La cosa importante era la forza che quel momento mi aveva dato. E non smetterò mai di ringraziarti per questo.

22.5.07

Il giudizio è comodo

Non sono quello che vorresti. Sono, forse e quando ci riesco, quello che voglio essere. Con tutto ciò che comporta. Sono convinta che non sia facile essere me. Ma giudicarmi non è corretto e non è amicizia.
Il giudizio è comodo. Mi etichetta, mi mette a posto, mi dà un valore fisso su un mercato variabile. Mi rende numero tra i numeri, una figurina da collezione. Sfruttabile, inferiore, distante. E io non sono così. Per quanto io sia generosa e aperta, per quanto io sia disposta a tutto per le persone che amo, non sono qui per sentirmi dire quanto valgo. Non mi interessa, io so già chi sono ed ogni giorno convivo con me stessa, pregi e difetti. Non devo dimostrare a nessuno cosa posso fare. Faccio quello che decido di fare, non più quello che gli altri si aspettano da me.
Il giudizio è comodo. Ti fa sentire potente, migliore. Ma io non ci gioco. Pensa quello che ti pare, non sono a scuola. Non è cambiato molto, in fondo.
Semplicemente non ci vediamo più.
Il nostro rapporto mi mancava ancora prima che smettessimo di vederci. Mi mancava tutto quello che una volta ci aveva avvicinate. La complicità, il capirsi con uno sguardo, lo stesso modo di scherzare e di guardare il mondo. Lentamente, senza grossi sbalzi, quella persona se n'è andata. La tua ossessione ha preso il tuo tempo, i tuoi pensieri. Ad un certo punto c'eri solo più tu, non più noi. C'eri tu, superiore, profonda, potente. C'eri tu e quello che sentivi. C'eri tu e il resto era lontano, molto più in basso. C'eri tu che giudicavi.
Amica mia, anche per questo non ci sei più...

Pausa


20.5.07

Tortura

Ti prego, fà che non finisca mai. Questa tortura è divina, non riesco a farne a meno. Mi sento così viva quando ci penso...
La sensazione di avere ancora un corpo ed un cuore che batte. Bizzarro. Nella tortura c'è una vita inaspettata. C'è la fame, la paura, la gioia. C'è il sentirsi consumare.
C'è la voglia di andare incontro al precipizio, nonostante tutto e tutti. Lanciarsi nel vuoto e godere quell'attimo senza pensieri.

Volare. Null'altro importa.
Ripercorrere ogni gesto, ogni parola, ogni piccolo indizio. Temere ogni difetto di questo momento che sta arrivando. Un momento che nell'ideale è perfetto, ma che nella materia avrà un altro volto.

Nella materia tutto si decompone.
Sento scorrere il mio sangue più forte quando sei nella mia mente, sono pazza, rido, scuoto la testa e torno ai miei pensieri normali. Sono ubriaca e ferita. Sono insolitamente lucida. E fragile.
Non mi posso muovere, tutto mi spaventa, ma la mia mente è proiettata verso te. Voglio sapere. Devo sapere. Ma voglio soffrire ancora nell'attesa, voglio non mangiare, non dormire.
Aspetto, e aspetto, ancora aspetto il momento in cui potrò rubarti uno sguardo ed un sorriso. Il momento in cui mi stupirai con un gesto nuovo, una nuova parola, una nuova carezza.Non dovrei, lo so.

Ma alla tua dolcezza non resisto.

Distante

Con tutto quello che avrei da chiedere,
da dire, recriminare,
sai cosa mi preme di sapere?
Era il mio nome
quello scritto sulla scrivania
col pennarello blu?
Era proprio il mio o era di un’altra?
Sono stata cieca?
Non ho voluto vedere?
Non ti ho guardato dentro in profondità?
In una sera qualunque
hai pensato proprio a me?
Hai sentito dentro lo stesso vuoto
che anche io sentivo?
Hai desiderato avermi accanto?
Sono sciocca, lo so.
Non è più tempo per le domande,
né per aspettare le risposte,
né per rimpiangere il coraggio che è mancato.
Solo,
in queste sere che vanno verso il freddo,
queste domande mi scaldano
e mi fanno sentire meglio di come sto.
Mi sento sola,
lontana, distante, vuota,
non desiderata.
E quando accade penso a te,
a noi, e al nostro domani inesistente.

Gaia




19.5.07

Il mio dolore

Quando pensavi a me, pensavi al mio dolore, lo sentivi. Pensavi alla mia vita, alle cose che mi hanno accompagnata. Ma io non ero solo dolore, non lo sono. Certo mi ha tenuto molta compagnia nella mia vita, ma non ha vinto lui.
Sono sopravvissuta. E sono forte.
Forse il dolore è il modo che ho assunto per farmi sentire, ma è una parte talmente piccola della mia vita... Forse il mio desiderio di essere fuori da ogni schema mi ha spinta a spiegare il dolore meglio di quanto io spieghi la felicità. E mi dispiace che tu abbia sentito solo quello, o che con il dolore tu identificassi me.
Sono stata la tua principessa da salvare, sono stata il tuo specchio, ma non sono il dolore.
Io sono milioni di altre cose, di sfumature, di colori accesi, di emozioni, di serenità, di sensazioni. Vedere solo quell'aspetto di me era riduttivo. Io sono meglio di quello che racconto. Probabilmente non mi so spiegare, trovo superficiali le persone che vivono con l'aria costantemente felice, sempre se credono davvero in quello che mostrano.
Io provo grandi emozioni che spesso gridano dentro di me perchè vorrebbero uscire ed io le tengo strette, perchè sono mie, perchè sono belle, perchè mi fanno sentire viva.
Il mio dolore lo butto fuori, lo racconto, lo rendo altro da me. Lo guardo e ne trovo i limiti, anche se ammetto che ha la bellezza di ogni altra emozione. Magari osservandolo così a lungo ho imparato a conoscerlo, a raccontarne i dettagli con tutta l'enfasi del momento in cui l'ho provato. Ma io amo altrettanto intensamente e chiunque non se ne accorga si perde molto di me. Io rido anche, e mi sento euforica come se avessi ancora 15 anni. Ce li avrò sempre.
Sono più di quel che sembro.
Per questo avrei voluto che tu non vedessi il mio dolore, avrei voluto che mi amassi per la mia dolcezza, per la generosità, per l'energia, per la curiosità, per la mia intelligenza e perchè tutte queste cose mi rappresentano tanto quanto il mio dolore. Non volevo essere amata perchè ho sofferto. Non volevo che tu soffrissi tanto, e mi dispiace che sia successo.
Certe volte penso che se solo ti avessi mostrato solo il resto di me, tutto sarebbe stato differente. Forse non mi avresti nemmeno amata, perchè guardandomi non ti saresti riconosciuto. Ma almeno non avresti conosciuto il mio dolore.
(Hey Man, ovunque tu sia, Paul ti marca stretto)

17.5.07

Utero e dintorni

Ovviamente non mi ricordo molto di quel periodo.
So che eravamo a New York, so che mia madre mangiava limoni e pizza e che non sopportava la vista della carne. So che con mio padre non andava per niente bene, so che non era felice e forse non lo ero nemmeno io.
So che scalciavo ogni volta che mia madre saliva in auto, che lei ha sempre saputo che ero una femmina, che per qualche tempo ha pensato che il mio arrivo avrebbe cambiato le cose. Ma non è riuscita ad amare mio padre abbastanza per riuscire a vivere con lui. Era certamente difficile farlo.
Ho le sue foto: una donna bellissima con lo sguardo perso nei sogni che non ha potuto vedere realizzati. Ha riversato su di me tutto l’amore che poteva avere, alle volte fin troppo, e ancora lo fa.
Il parto è stato lungo e difficile, mi hanno detto. Mamma ha cominciato a stare male la sera prima ed è andata in clinica, ma non c’era il medico, quindi è rimasta lì in compagnia di sua suocera.
Io mi sono decisa ad uscire alle sei del mattino. Credo, più che altro, che mi abbiano convinta o costretta a farlo, perchè mi ero puntellata per bene e avevo anche minacciato di suicidarmi col cordone ombelicale, ma mi hanno salvata... accidenti a loro. Sono uscita grigia e rassegnata. Il mio faccino, immortalato per l’occasione, sembra più mostrare un’espressione da cartone animato... una di quelle facce di chi non ha ben capito lo scherzo che gli han fatto, ma si rassegna a vedere gli altri ridere.
Non ricordo nemmeno i primi anni, quelli in cui vivevo con entrambi i miei genitori in collina, nel loro alloggio a Revigliasco. Ho delle foto. Ogni volta che le guardo inorridisco al pensiero di aver indossato vestiti con quei colori e con quel taglio così tipicamente anni ’60.
Ero biondissima, da piccola, quasi bianca. Un facciotto pieno inizialmente solo perplesso, poi sempre più smunto e più deluso che altro.
C’è una foto in cui ho un foulard in testa e i capelli biondi che escono da sotto. Col mio facciotto pieno sembro una contadina russa, mi trovo buffa e allo stesso tempo meravigliosa.
Ma quasi mai sorridente. Come se fosse una cosa che ancora non avevo imparato. Sono stata una bambina seria, in quei tempi...

Poi, per fortuna, sono cresciuta.

15.5.07

Clara e la danza intellettuale

Durante il quarto corso Clara cominciò a formulare una sua teoria riguardo ai vari tipi di danza. Aveva provato un po' di tutto ed aveva scelto le materie che le erano più congeniali. Quello che aveva notato nei vari tipi di danza riguardava soprattutto l'atteggiamento del corpo rispetto al suolo.
Nella danza afro, così come nel flamenco e nelle danze orientali, il corpo lavorava molto verso il suolo. Le gambe piegate, il battere dei piedi sul pavimento, il curvare la schiena erano tutti movimenti che legavano al terreno, alle radici, alla propria cultura.
Al contrario, nella danza classica e spesso nel jazz e nella moderna, il corpo tendeva ad allungarsi, a cercare di elevarsi e staccarsi il più possibile dal suolo. L'esempio più lampante era una ballerina sulle punte. Tutto questo sforzo per distaccarsi dal mondo era quello che Clara adorava della danza. Rendere il corpo qualcosa di volatile, impalpabile, etereo. Non in contatto con la materia e la terra, con il proprio territorio e con la sua storia. Questo faceva della danza classica, jazz e moderna una sorta di danza intellettuale, in opposizione a quella sanguigna e secolare che veniva dalla tradizione. Senza contare che la danza classica era veramente una invenzione della mente più che della cultura, un linguaggio creato apposta, una creazione elitaria.
Clara distinse da allora la danza "intellettuale" da quella "culturale". Con questo non che non apprezzasse il lavoro che tutti i ballerini delle varie specialità svolgevano, anzi. Solo che lei scelse di imparare a danzare solo cose che la portassero a staccarsi dal suolo, non ne volle più sapere nè della danza afro, nè del flamenco, pur restando estasiata nel vederli ballare.
Nella sua ricerca della leggerezza, almeno dal punto di vista teorico, Clara aveva fatto un passo avanti. Non solo per la sua leggerezza, ma anche nella sua crescita personale, Clara sentiva di essere migliorata.
Secondo lei era il fatto di scegliere a rendere una persona più adulta, perchè ogni scelta porta in se una piccola o grande consapevolezza e la responsabilità di accettare le conseguenze che essa produce.

Da ascoltare: "Giudizi universali" di Samuele Bersani

12.5.07

Vie Parisienne


Allora

Il sogno di volare via
continua a tornare.
Non volare scappando, ma
volare verso la vita,
verso una vita che non ho
ancora scelto.
Una vita che in certi momenti
non sembra nemmeno mia.
Vorrei il mio mondo,
vorrei i miei sogni.
In questo momento
mi sento ferma, ma so
che un giorno
comincerò a muovermi,

e allora…

8.5.07

Clara e i suoi travestimenti

Fatta eccezione per il periodo di carnevale, in cui non sapeva mai scegliere un costume adeguato, Clara ha sempre provato un particolare gusto nel travestirsi. Quando era ancora nella casa dei nonni si cambiava mille volte d'abito e cercava modi sempre nuovi di truccarsi.
Non per sembrare più bella, quello l'avrebbe imparato con Clizia, ma per il gusto di guardarsi allo specchio e non riconoscersi. Da qui già si poteva intuire quanto si piacesse...
Col passare del tempo, però, la sua mania di essere personaggio la portò a diverse esagerazioni. Fino ai 15 anni il massimo che tentava uscendo era un trucco molto pesante, come quelli che vedeva nelle foto sulle riviste. Colori accesi come pennarelli brillavano su occhi, labbra ed unghie.
Dal momento in cui cominciò a frequentare Gabriella, le cose si complicarono ulteriormente, visto che insieme ne combinavano di tutti i colori. Pur di vestirsi come le pareva, Clara (poi seguita da Anita) era disposta a cambiarsi d'abito davanti al guardaroba in discoteca, per poi recuperare un aspetto normale quando la mamma fosse tornata a prenderla.
Fuseaux leopardati, corpetti zebrati, magliette fatte con i collant, abiti argentati, look totally dark nelle discoteche dei paninari, cappelli stravaganti. Indossava qualsiasi cosa, a seconda dell'umore. Condiva il tutto con il trucco giusto ed ecco che nemmeno gli altri la riconoscevano, ogni tanto.
Nell'inverno tra il 1985 ed il 1986, Clara aveva un cappello tipo cowboy nero, ma con una sciarpa per tenerlo al posto dei lacci. Lo indossava con una tuta molto aderente grigia scura ed una cintura con borchie ed anelli, oltre ad un paio di stivali neri.
L'anno dopo usava jeans di velluto rossi, dolcevita nero con sopra la casacca a righe di un pigiama di Gianni (bianco e rosso di raso, splendido), mantella nera con cappuccio lunga fino ai piedi e guanti viola lunghi e senza dita (prestati da Gabriella).
Ancora più tardi aveva jeans stracciati con dei calzettoni a righe di ogni colore portati sopra ai pantaloni, con le Superga bianche bucate da sua sorella.
Usava i costumi dei saggi per andare in giro o in discoteca, abbinava qualsiasi cosa pur di non passare inosservata. Cuciva, trasformava, tagliava, sfilacciava, bucava, smagliava.
Che si vestisse da dark o da vampira, da metallara o da aliena, l'importante era non essere se stessa...

Da vedere: "Omicidio a luci rosse" di Brian De Palma

2.5.07

Suggestioni

Da vedere: "Lucia y el sexo" di Julio Medem

Perché? Soprattutto perché è un film ipnotico, uno di quelli che ti lasciano un velo di ricordi a vagare nel cervello. Immagini non tue, strane, magari non del tutto comprese.
Perchè parla di amore, perché il posto in cui si svolge invita alla rifessione.