27.11.13

Concatenazioni

Quanto tempo è passato da quando ho cambiato lo sfondo del blog?
Nove giorni.
Esatti. E io sentivo arrivare qualcosa. Un cambiamento.
Niente di eccezionale, finora. Ma in nove giorni ho ricevuto input, risposte e proposte a profusione.

Attestati di stima, prima di ogni altra cosa, che non aspettavo e che certo mi fanno piacere ma che da soli non mi spostano da dove sono.

Sono stata eliminata al torneo, come previsto e tra l'altro come desiderato. Perché se e quando un mio lavoro sarà pubblicato, è meglio che lo sia nella sua forma migliore e quella forma non lo era.
Ho ricevuto giudizi cui mi piacerebbe poter rispondere uno a uno, ma alla fine le mie considerazioni le farò nel momento in cui avrò decifrato esattamente il loro significato. Intanto ho ammorbato le amiche.
"Certo che la critica è talmente soggettiva... - dice una - tutti concordano sul fatto che scrivi correttamente, ma il resto credo che sia molto influenzato dai gusti di ognuno."
"La sintesi mi pare che sia - secondo un'altra - che non è chiaro se vuoi scrivere una storia d'amore o una di fantascienza, quindi chi si aspetta l'una è confuso dalla fantascienza e chi si aspetta l'altra è deluso per una caratterizzazione non precisa."
E certo, visto che tendenzialmente era un romanzo di fantascienza in cui c'era una storia d'amore; visto che l'anno scorso come romanzo di fantascienza non era andato benissimo, ché pare non sia bello che ci si ami nei romanzi di fantascienza; visto che mi sono divertita a etichettarlo come romanzo di "sentimenti" per vedere cosa succedeva... ho capito che 1) sono io che ho confuso i poveri giudici spacciando un romanzo di un genere per un'altra cosa e ben mi sta se mi hanno bocciata - ma quanto possono influire le etichette, mi chiedo, nel modo con cui ci avviciniamo a qualcosa? e 2) il problema in generale con i miei scritti riguarda i contenuti e non troppo la forma - accettata questa cosa come cosa vera e giusta, nonché inevitabile, non mi resta che mantenere i miei contenuti e migliorare la forma. Dite che è un controsenso? Io non credo.

Ho due date precise per le nuove presentazioni del vecchio libro:
12/12 a Torino dalle 18,00 presso Supercibarius (negozio di alimenti e prodotti bio), e
19/1 a Trino Vercellese, orario e luogo da comunicare, ma confermato l'appuntamento.
Tocca preparare una scaletta, delle cose da dire, scegliere l'accompagnamento, assicurarsi di avere i libri in caso qualcuno li volesse, decidere come gestire l'evento.
Credo che non sarà difficile.

E un progetto in più, sempre legato alla scrittura, di cui parlerò se e quando partirà. Un progetto che non riguarda solo me e che mi spaventa a morte, perché mi toccherebbe cambiare sul serio. E sono anni che in mille mi dicono che devo smettere di nascondermi nel mio angolino. E hanno ragione, perché la mia tendenza è quella. Rinunciare a tutto pur di non perdere le mie certezze. Perché io mica ho paura di fallire, no. Io ho più paura di riuscire. E non solo perché non so se voglio davvero fare quel salto, se mi piacerà una volta che il sogno sarà vero (capitava per la danza, capita sempre e comunque), ma sostanzialmente ho paura di vivere. Il che mi porta a mettermi sul ramo di un albero e sognare a più non posso, tipo bradipo, senza muovere un pelo. Anche quando sono infelice. Ora che non sono infelice, forse è ora che mi muova.

Ultimo, ma non da meno, il libro che sto leggendo... "Volevo essere una farfalla" di Michela Marzano. Non per il tema, ma per quanto mi stia dicendo, pagina dopo pagina. Non si riesce a leggerlo tutto di un fiato, non si può. Si deve centellinare, tanti sono i collegamenti con la mia vita - pur essendo io totalmente diversa dall'autrice - e quante piccole sofferenze condividiamo noi donne, noi figlie, noi che ambiamo al controllo o che fatichiamo a lasciarci andare. Noi che abbiamo paura. Ecco, questo libro in questo preciso istante è come un dono. Ora che ho la mia solita paura di fare un passo avanti anche se so che me lo merito tutto e che un metro più in là starò ancora meglio che qui.
Perché lo so. Ora lo so.

Nove giorni. Un nanosecondo, un'eternità. Il modo in cui la Vita si muove in  perfetta armonia, a volte.
immagine di Bitstrips.com

24.11.13

Patè(ma) di fegato d'oca scrittrice

Come dicevo, la mia terza avventura al torneo è finita. Ora mi prendo una pausa. Non di riflessione, solo dal torneo. L'impegno che richiede è tanto e va al di là del semplice consegnare un manoscritto nel formato richiesto.
Bisogna leggere e giudicare le opere altrui.
Nella prima fase sono 20 file da circa trenta pagine ciascuno, gli "incipit". Circa seicento pagine in poco più di un mese da leggere, valutare e su cui scrivere un commento sensato (punti deboli, punti di forza etc). Io sono una lettrice veloce. Se non mi devo fermare per annotarmi gli svarioni grammaticali o simili, seicento pagine le leggo in due giorni. Ma dovendo fare un lavoro tipo "scheda di lettura", il tempo si dilata.
Nella seconda fase, se vi si accede o se si accetta l'invito a partecipare come lettore/giudice senza altro fine, bisogna leggere le opere intere che hanno passato la prima scrematura. Questa edizione erano 300 in tutto. Da fine maggio a inizio novembre sono stati assegnati 15 romanzi completi (numero massimo di pagine intorno alle 300) da leggere per intero e valutare come sopra. Voti per grammatica, originalità e "solidità" della trama e dei personaggi, più il commento.
Posto che buona parte delle mie assegnazioni era di lunghezza media, calcoliamo che avessi circa 2300 pagine da leggere. La sera, dopo il lavoro, dopo le faccende domestiche, magari invece di far due chiacchiere con gli amici o vedere un film, o scrivere, o dipingere etc.
Posto che ci sono in gara personaggi che promuovono delle cose illeggibili e bocciano quelle valide sperando di avere più possibilità, la qualità delle mie assegnazioni era quantomeno mediocre.
O sono io che sono snob. Che può anche essere, visto che ultimamente faccio le pulci anche a romanzi pubblicati e ben recensiti, tra l'altro scelti da me, e trovo difetti un po' ovunque.
La lettura è stata complicata e noiosa. E io non mi annoio a leggere, praticamente mai.
L'anno prossimo, visto che dopo 10 ore fuori casa e le minime attività quotidiane mi restano poche ore di svago e di lavoro creativo, penso che mi dedicherò a usare questo tempo in modo mirato.
Fatta salva qualche perdita di tempo, che ci vuole per distrarsi, so che ho da finire due romanzi e riscriverne un terzo. Magari dare un occhio ancora a "Sette Stanze" che ho terminato questa primavera e che già campeggia nei server di posta di una serie infinita di editori, che sicuramente potrebbe migliorare.
So che se mi ci metto posso produrre una decina di pagine al giorno (da rivedere e correggere, ma le produco) e che di idee non ne mancano mai, anzi ho un affollamento che la testa mi scoppia...
Sì, leggere e confrontarsi con il lavoro altrui è interessante. Ti tiene ancorato alla tua realtà di aspirante scrittore. Ma ho bisogno di una pausa o quantomeno di leggere delle pagine proponibili, leggibili e di mio gusto al posto di quelle obbligate.
Quindi stop al torneo, almeno per un giro. E via alla fantasia.

23.11.13

Nuovi capitoli

Eccomi.
Con il torneo terminato mi riaffaccio e con giubilo affermo: non sono passata.
Ho i miei buoni motivi. Non ero contenta del mio lavoro, anche se era l'unico adatto all'impresa. Poi ho partecipato "per sfregio", il che significa che non avevo intenzione di andare lontano.
E ieri mi sono messa a rileggere la parte che stavo riscrivendo: migliore e scritta meglio.
Quindi...
Non si riparte, si continua.
Con i progetti già avviati, con le nuove presentazioni, con la rielaborazione, con gli invii agli editori.
Serena, senza crucci o rimpianti.

20.11.13

Assenza

I giorni piangono le tue ferite,
mio cuore.
Silenzio, come astro infuocato,
sorge nel nero del cielo
e attende.
Che sia destino, volontà,
che sia solo un sogno.
A lavare il sangue
le mani, la bocca,
solo acqua piovana.
Desolato
muore il Sole,
in assenza di te.

18.11.13

Una nuova me?

Siamo di nuovo a una svolta. Il sottotitolo attuale del blog viene da questa canzone degli A-Ha (robaccia anni '80 come al mio solito). Forse non c'entra con il testo in toto, forse poi alla fine sì.

Help me
I need your love
Don't walk away
The dark scares me so
We're nothing apart
Let's stay friends forever
Forever

Here I stand and face the rain
I know that nothing's gonna be the same again
I fear for what tomorrow brings

Trust me
For who I am
Place all your faith
Into these hands
I got nothing to say
But let's stay friends forever
forever

Here I stand and face the rain
I know that nothing's gonna be the same again
I fear for what tomorrow brings
Here I stand and face the pain
Of knowing nothings gonna be the same again
I fear for what tomorrow brings
Here I stand and face the rain
Knowing nothing's gonna be the same again
...
Here I stand and face the rain
Knowing nothing's gonna be the same
Again

Ho smesso di scappare, mi sono fermata, girata e adesso...
Adesso comincia il bello. Lo sento. Qualsiasi cosa sia. Forse era ora, direte, così la smetto con le pippe e con i dubbi e faccio qualcosa di utile.
L'anno passato è stato importante, difficile, pesante e a tratti meraviglioso. Soffro ancora dei postumi. Non ho più ascoltato un cd per intero, non ho più seguito una serie tv in modo regolare, non sono più entrata in un cinema. Esco poco anche con gli amici di sempre. Ho voglia di silenzio, di un silenzio che non sia necessariamente esterno, ma che non può prescindere da un leggero distacco dal mondo compulsivo in cui vivo. Viviamo.
Silenzio. Per rientrare in me e fare in modo che tutto quello che sono stata e sono diventata mi si chiarisca ancor di più, perché mi sarà utile per gli sviluppi futuri di una parte di me a cui non voglio rinunciare.
Comunicare, farlo meglio, farlo tanto e farlo con un senso. Non più a casaccio.
Quindi ecco, voi che oggi avete aperto questa pagina e non l'avete riconosciuta, sappiate che a volte capita. Io cambio, necessariamente, e con me anche questo blog. E non è detto che sia un male.

13.11.13

Il destino del libro - parte 2

Non c'è niente da fare. Ho sempre amato la magia delle parole.
Il modo in cui quelle giuste suonano, una dietro l'altra, e risuonano in mente. O nell'aria, quando si legge ad alta voce. Magia, quella vera.
Quella che ti fa commuovere, che ti agita lo stomaco o ti fa rizzare i peli sul collo.
Quando leggendo provo qualcosa del genere, sono sicura di avere in mano un buon libro.
Chiamiamolo ancora così, finché esiste, anche quando si tratta di e-book (che tanto è un libro elettronico, ma sempre libro è).
Ci provo e riprovo a prenderlo con leggerezza, ma la natura di questo post non mi concede troppo spazio.
Un buon libro.
O meglio, un buon libro e il mercato.
O meglio, un buon libro, il mercato e lo scrivere.
O meglio, lo scrivere un buon libro e metterlo sul mercato.
Ormai è chiaro a tutti che il motivo per cui leggo è principalmente lo svago. Il motivo per cui scrivo è la necessità di raccontare storie che svaghino gli altri oltre me e che magari lascino qualcosa. Mai preteso di fare letteratura o di saperne scrivere in qualche modo. La riconosco, a volte, quando la incontro.
C'è un certo giro che si frequenta, da aspiranti scrittori, fatto di aspiranti scrittori di ogni tipo. Da quelli che aspirando cercano di imparare a quelli che aspirano pensando di essere capaci.
Per tutti, o quasi, l'incubo peggiore è Fabio Volo. O meglio (non l'avevo ancora scritto, stasera...), i suoi romanzi da decine di migliaia di copie vendute. Se un aspirante scrittore deve fare un esempio in negativo di come funziona l'editoria, state sicuri che ce lo mette in mezzo, Volo, in qualche modo.
Eppure...
Si dice che sia colpa dell'editore che non investe più su autori da long sellers, che sceglie solo di pubblicare i volti noti - perché essendo già noti vendono di più - che pubblica qualsiasi ciofeca capiti tra le sue mani purché di un personaggio televisivo. Si dice che i manoscritti non vengono nemmeno letti se uno non conosce "qualcuno", che nessuno più comprende la vera qualità.
Bene, partiamo pure dal presupposto, peraltro corretto, che un editore badi a fare affari, cioè a vendere. Ecco, mi rendo conto che fare pubblicità a un illustre sconosciuto costa. Costa meno se uno già lo si conosce. Ma non tutti i libri scritti da "personaggi televisivi" vendono allo stesso modo.
Sarebbe comodo per l'editore se esistesse una ricetta, tra i tanti libri di cucina, per vendere a colpo sicuro qualsiasi cosa pubblichi. Ma non c'è. Così l'editore va per tentativi. Ci prova qua e là e se vendi bene, altrimenti...
Ma diciamocelo. Siamo in un paese in cui non si legge granché. Spesso nemmeno bene. La cultura generale ha un livello in clamorosa caduta libera, nonostante ci siano diplomi e lauree.
E lo dico da diplomata e da mezza laureata (mai terminato gli studi, ma so che alcuni dei miei professori all'università - e facevo magistero - avevano pesanti conflitti con la lingua italiana). Uno sfacelo, aiutato da un sistema scolastico non sempre all'altezza e da un rigore che fa ridere i polli.
Qui viene il bello: pochi leggono, tutti vogliono scrivere (molti ci provano) con l'idea di fare un mucchio di soldi e diventare famosi.
E vai di manoscritti che inondano le case editrici.
E vai di centinaia di pagine cestinate al mese. Piene di strafalcioni, noiose, poco originali, mal scritte, senza un senso compiuto, insomma... un delirio.
Lo dico essendo uscita da poco dalle letture del torneo. Per quanto ci fosse già stata una scrematura iniziale, anche in questa fase c'erano errori grammaticali gravi e storie di nessuna presa sul lettore.
Non oso immaginare cosa capiti sulle scrivanie delle decine di migliaia di editori sparse per il paese.
Qualcosa di potabile c'è, qualcuno di valido magari lo si trova. Però...
Se uno scrittore non legge, o non legge molto, che cosa scriverà?
Parlavamo di buon libro. Manca. Spesso manca, e questo è un punto.
Manca anche perché con la cultura spaccata in due o tre sezioni, con una classe di "intellettuali" che leggono e comprendono praticamente tutto, una di "normali" che leggono ma a fatica e hanno bisogno di leggere facile; e l'ultima classe, quella dei "ripetenti", che è già tanto se apre un libro all'anno e lo legge fino in fondo...
con tre classi così distanti tra loro, dico, un editore punta su quella più numerosa. Come con le taglie degli abiti. Mica si producono abiti taglia 38 a camionate, se il mercato è pieno di obesi.
Quindi un libro che vende starà nella media, per quei lettori "normali" che non passano il tempo a citare Dante o Omero.
Un buon libro che vende è buono se chi lo legge può capirlo e amarlo. Altrimenti serve a fermare le porte.
Questo bene o male è quello che mi viene in mente quando penso alla qualità messa insieme al mercato.
Ora, torniamo volando a Volo.
Magari non è proprio un grande autore. Parlo per sentito dire, non avendo ancora letto un suo lavoro. Magari racconta storie banali e sempre uguali, come anche altri prima e dopo di lui. Ma vende e tant'è. Vien da dire beato lui.
Da aspirante scrittrice mi interrogo spesso sui motivi del successo, casomai ne azzeccassi una in tutta la vita. Uno dei motivi è senza dubbio questa devastazione culturale in cui viviamo e per cui, almeno io, non vedo soluzione. Ho aggiunto i link onde evitare di ripetere parola per parola cose già dette da altri.
Forse solo non comprando libri che non riteniamo di qualità potremmo venirne fuori, ma può valere per me che già lo faccio e può valere per chi (non me ne voglia il buon Volo, che mi è pure simpatico ma pare sia il più odiato dagli - aspiranti - italiani), invece, ritiene che i suoi libri siano di qualità e che autori meno semplici siano semplicemente noiosi. Insomma, siam tutti liberi. Ben venga pure lui.
Il problema, temo, non è tanto lui quanto tutto il resto.
E che il mercato si adegui (o, come vogliono i complottisti delle migliori tradizioni, faccia di tutto per mantenerci "bovini") mi sembra normale. Come i suoi lettori.
Me compresa, spesso e volentieri, che con a mia passione per i vampiri vado a leggere sì volumi meravigliosi come "Lasciami entrare" di Lindqvist o il classico "Dracula" di Stoker, ma anche boiate assurde di ogni genere (dalla serie di "Twilight" a quella della "confraternita del pugnale nero", passando per una migliore Laurell K. Hamilton, una Harris e una Rice - autrici di tutto rispetto che trattano argomenti leggeri).
Il destino del buon libro, finché esiste, dipende da noi.
Comprarne e leggerne alcuni ogni anno potrebbe farci bene, anche se poi riusciamo a leggerne due pagine a sera e non di più.
Al momento mi sto concentrando sullo scrivere un buon libro e metterlo sul mercato, cosa che finora non mi è riuscita e che temo vi toccherà leggere in un prossimo sequel di questa terribile e noiosa serie "seria" qui sul blog...
Buona notte, e non dimenticate di leggere un po', prima di dormire.

12.11.13

Poi

Poi c'era quella giovane coppia, in montagna.
Senza figli, carini, gentili. Entrambi trentenni, o giù di lì.
Sono stati accolti come fossero mascotte, dolce e tenera coppia. Lei aveva i capelli mossi, grano bruciato. Grandi occhi espressivi, ma labbra sottili. Mani nervose, abiti aderenti e vaporosi allo stesso tempo.
Lui era alto, con i capelli neri.
Gli piaceva giocare con noi, con i bambini del condominio. E a noi piaceva lui. Come fosse uno di noi. Si faceva la guerra all'altro condominio, si passeggiava; a turno poi ci faceva guidare l'auto seduti sulle sue gambe. E a noi piaceva.
Oh, come ridevamo. E battevamo le mani, ridendo e cantando.
Poi non c'erano più.
E una sera, a casa di lei, le lacrime silenziose e il bisbigliare, e qualcosa nell'aria.
Ce li siamo scordati, o abbiamo finto.
Ma qualcosa è successo e a chiudere gli occhi lo abbiam perso per sempre.
E ora non c'è più.
O c'è più di prima, per contrappasso.
Quel che non appare scivola sotto alla superficie.
Non so.
Ma ricordo di aver tolto le mani dal volante.

10.11.13

Case passate

Un tempo vivevo qui. Secondo piano, dalla pianta all'angolo e poco più in là. Non a lungo, prima di trasferirci a Milano. Era l'alloggio dei nonni, con bisnonna inclusa. Mamma e io dormivamo nella stireria, un letto singolo con altro singolo estraibile. Senza cose nostre. La finestra tra i due balconi.
Non è stato un brutto periodo, tutto sommato. Escluso l'asilo, s'intende. Ma è durato poco.
Periodo di tante cose da imparare, di Caroselli guardati prima di andare a nanna, di colori a olio e pennelli, e tele.
Periodo di pastiglie di zucchero colorate e di tavolette di cioccolata con l'orso, di carbone di zucchero a carnevale, di costumi da Minnie e adesivi dei formaggini Mio.
Poi Milano, anche lì non siamo rimaste tanto, per fortuna. E nemmeno una foto.

8.11.13

Nino

Nino era arrivato in macchina dalla Spagna, senza fermarsi, per vederla ancora una volta. Sentendo l'auto che si fermava davanti al cancello metallico dipinto di verde, mi ero avvicinata e l'avevo aperto. Non ero così sorpresa di vederlo, nonostante fossero passati almeno otto anni dall'ultima volta. Avevo, anzi, pensato a lui giusto qualche giorno prima, domandandomi che fine avesse fatto. Lui e suo figlio. Lui e i nostri progetti.
Nino era sceso dall'auto, scalzo. Indossava pantaloni con i tasconi color sabbia, e una casacca verde militare; la barba da fare sul suo viso a sessant'anni suonati. Aveva ancora il fascino di un tempo, un po' stropicciato e caldo. Come solo un artista può essere.
Era venuto per lei e lei era uscita, quando le ho detto chi c'era. Ma non l'aveva invitato a entrare e anche lui non aveva insistito. Era stanco.
Triste e umiliato, ancora.
A sedici anni, coi miei 50 kg, con gli usurai alle porte e i debiti non miei sulle spalle, non ho chiesto. Non chiedevo mai, all'epoca. Ma avrei dovuto.
Cos'era successo? Che era stato del loro amore? Perché mia madre non è rimasta con lui? Perché non mi ha portata via?
Nino era stato il suo primo amore, ma non era bastato tutto quello che avevano lottato insieme a farli diventare "uno".
Nino era stato importante anche per me. E ho continuato a chiedermi, tardi, perché?
Per ritrovare il sapore di queste parole provate a leggere "La stanza", uno dei racconti gratuiti nella pagina qui accanto...

6.11.13

Il destino del libro - parte 1

Ho sempre amato le storie.
Attraverso fatti e personaggi ho imparato buona parte di ciò che so, mi ha aperto la mente; non solo per immedesimazione, anzi, attraverso la conoscenza di personaggi diversi da me ho imparato a comprendere che le cose hanno sempre più punti di vista, non solo il mio. Anzi, forse il mio era il meno importante, il meno complesso, meno interessante.
Che si trattasse di letteratura o semplice narrativa, ogni storia mi ha raccontato qualcosa e sono pochi i casi in cui, chiuso un libro, io non avessi qualche nuova riflessione con cui arrovellarmi. Certo poi sono stata conquistata da fantascienza e orrore, quindi la mia prospettiva si è fatta molto più disancorata dalla realtà. Questo, secondo me, non è mai stato un problema. La realtà non mi è mai piaciuta.
Il mio rapporto con le storie, quello è importante. Non so se mi deriva dalle mattinate passate con mia nonna a mettere per iscritto i miei sogni, trasformandoli con un tocco di qua e una piccola aggiunta di là, in bizzarre e incredibili altre storie.
E oggi pensavo. Pensavo a qualche scena di film vista negli anni. Come nel terzo episodio della serie di Mad Max, quando i bambini si tramandavano a voce la storia del loro arrivo nel deserto, aiutati da graffiti. Oppure ne "Il regno del fuoco" (non stiamo a sindacare sulla qualità dei film che vedo, dipende sempre da come si usa il cervello), dove i giovani adulti mettevano in scena una specie di Guerre Stellari per tenere tranquilli i bambini e raccontare loro un mito. E, ancora, l'importanza del libro che Denzel Washington porta con sé in "Codice Genesi", in un mondo dove i libri non ci sono più. Soprattutto quelli importanti.
E pensavo che un tempo, nemmeno troppo lontano e comunque un tempo che ancora esiste per alcune e nascoste comunità, le storie si raccontavano a voce. Tutte le storie si raccontavano a voce, anche quando qualcuno sapeva leggere e scrivere. Si tramandava una conoscenza profonda attraverso la parola detta, che veniva memorizzata volta dopo volta, come ancora fanno i monaci buddisti che imparano gli scritti, libri lunghissimi e complessi, come cantilene. Affascinanti sequenze di suoni per noi incomprensibile, ma pieni di significato. Migliaia di vocaboli. Una biblioteca intera.
Poi pensavo che la diffusione della "civiltà della scrittura" ha cambiato in qualche centinaio di anni il modo in cui ci si rapporta con le storie, con i miti, con la conoscenza. Fissa, ferma in volumi scritti, sembra essere a disposizione di chi la voglia apprendere. Eppure, in questi anni, stiamo assistendo a una graduale ma inesorabile crescita di un analfabetismo di ritorno (o di rimanenza, perché in fondo, io conosco persone che non hanno fatto le scuole medie - non era obbligatorio quando erano piccole e ancora oggi non sanno scrivere o parlare correttamente pur non superando i settant'anni). Mi rendo conto che mio nonno, nato i primi anni del '900, aveva una laurea mentre alcune mie colleghe - ora pensionate - avevano a malapena la quinta elementare. Quindi pensavo, anche, che non esiste a oggi un paese in cui la cultura sia uguale per tutti. Non cultura di serie A o B, semplicemente una questione di opportunità, almeno per alcuni.
Poi pensavo che non è stata la scuola a spingermi alla lettura. Non sono stati i professori, non le materie, non i compiti, non le lezioni. Solo la curiosità per le storie. Qualsiasi storia riuscisse a sfiorarmi.
E questo continua a succedere. Scrivo perché mi piacciono le storie e i personaggi che le raccontano. Scrivo perché amo le storie. Non per fare Letteratura.
Poi mi guardo attorno. Oggi le storie vengono raccontate in modi differenti. Non c'è solo più la scrittura, ci sono anche le immagini. E se, mi chiedo, venisse un tempo in cui non ci fosse più spazio per la civiltà della scrittura e le storie, la cultura in genere, venissero trasmesse in altro modo? Non so dire quale e non è questo il mio intento. Ma chi può assicurarmi che le cose resteranno come sono? (e spero anche di no, in certi casi)
Chi mi può assicurare che la cultura non passerà attraverso una connessione neurale guidata da impianti computerizzati? Lo so, fantascienza. Ma quanti pensavano, nel medioevo, che sarebbero arrivati gli e-reader?
Comincio a pensare che non sia affatto scontata la persistenza della "civiltà" così come la conosciamo. In meno di un secolo ci sono stati tanti e tali cambiamenti, scoperte, innovazioni, che non possiamo immaginare cosa accadrà tra altri cento anni. Vero è che con l'avvento degli mp3 non sono scomparsi i vinili (ma vai a trovare un piatto da collegare all'impianto hi-fi...), però è anche vero che gli adolescenti di oggi non subiscono il fascino della nostalgia per un oggetto che è effettivamente scomodo, ingombrante e imperfetto.
Il libro in quanto oggetto, che futuro ha?
Posto che per una questione ecologica un e-reader carico di migliaia di e-book salva una foresta amazzonica, posto che gli sprechi in fatto di carta utilizzata per copie che poi andranno al macero (giornali, libri, fumetti, riviste resi dai negozianti - magari nemmeno riciclabili) sono insostenibili. Lasciamo poi perdere il fatto che questo tipo di sprechi si trova in ogni campo. Si produce in surplus per invogliare all'acquisto, forse, o solo per poter soddisfare tutti - proprio tutti, anche quelli che non lo richiedono - i potenziali clienti. non lo so, e non è forse fondamentale saperlo.
Ecco, se in un futuro si evitasse di sprecare risorse per poi buttare via il prodotto io non sarei scontenta.
Ma l'oggetto libro, quel meraviglioso cartaceo che sa di stampa, con la copertina da carezzare e le pagine da far frusciare. Quell'oggetto lì, che futuro ha?
Senza demonizzare il moderno e tecnologico, senza dimenticare il valore dell'oggetto.
L'importante sarebbe il contenuto, in fondo. Il contenuto. Non la carta.
Le storie, i mondi, la conoscenza. Il sapere.
Se ci fosse un modo per trasmettere questi contenuti in altra forma, siamo sicuri che non lo accetteremmo?
Un modo magari più immediato e a portata di più persone. Un modo intuitivo, come alcuni programmi informatici. Perché ci sono bambini che non sanno leggere e sanno invece usare un cellulare per giocare o vedere un filmato?
Stiamo crescendo dei figli diversi dai bambini che eravamo. Imparano in modo diverso da come abbiamo imparato noi (a volte non imparano, più semplicemente, ma ogni sistema ha le sue falle), ragionano in modo diverso. Siamo sicuri che ai loro figli importerà ancora di sfogliare un libro di carta, se quello che c'è dentro sarà più facilmente raggiungibile in altro modo?
Concludo questo ragionamento, pur avendo mille domande in più a riguardo, cui non so e non mi importa di rispondere.
Concludo non giustificando il mondo e la realtà così come sono e la direzione che prendono le cose. So che agli occhi dei miei nonni già la mia generazione risultava incomprensibile e irrimediabilmente rovinata. Funziona così. Ma non si stava meglio allora e ora non si sta peggio che in altri momenti. Si vive, si va avanti, forse per certe cose si regredisce anche.
Forse per alcune cose non vale la pena prendersela, per altre si può tentare di rimediare.
Ma la civiltà, se così la vogliamo chiamare, va avanti. Dopo la "civiltà della scrittura"... che tipo di civiltà ci attende?

P.S: Sono stata prolissa e confusa. Ma la questione è lunga e secondo me interessante. Non coinvolge solo l'oggetto, ma tutto il mondo che ruota intorno a esso. Un mondo che sta cambiando e che non si capisce da che parte va.

3.11.13

Il torneo visto tramite Bitstrips...

L'avventura, che ritengo conclusa, normalmente inizia così:
 Anche se io di solito non faccio troppa fatica a scegliere cosa mandare e, soprattutto, di solito mando cose finite in meno di un mese. 
Dopodiché, comincia la prima fase. Quella in cui si valutano le prime 20-30 pagine dei lavori di altri concorrenti. Circa 20 file, tutti diversi, da leggere e giudicare entro gli inizi di Maggio. Il lavoro spesso è estenuante...
... e certe volte ci si preoccupa a causa della mole di lavoro che necessita questa fase.
Ma alla fine si riesce a terminare in tempo e ci si rilassa quel tanto che basta. Insomma, fino al Salone del Libro non c'è molto da fare se non chiacchierare tra torneisti, senza dire i titoli giudicati - pena la squalifica - ma lamentandosi di ogni errore di sintassi e di grammatica rilevato.

(qui sopra sono giunta, con la n, a proposito di errori...)
Dopodiché ci si reca alla fiera, al mitico evento organizzato da Gems. O si fa come me, che gli giro attorno come uno squalo e attendo che l'evento sia finito per andare a leggere i titoli dei 300 selezionati per la seconda fase.



Ma questa volta, mentre ridevo pensando che ho mandato lo stesso romanzo dell'anno scorso cambiandogli titolo e genere e senza correggere una virgola, il mio romanzucolo pop è passato. Sono incredula.


Subito dopo, però, mi ricordo che essendo passata mi tocca leggere ben 15 romanzi interi e giudicarli entro i primi di novembre. E la voglia di ballare mi passa, perché ho letto gli incipit da poco (anche se non mi capiterà di avere in assegnazione un romanzo di cui ho già valutato l'inizio) e so che cosa vuol dire. Quindi mi preparo, spiritualmente e fisicamente, all'impresa.


Sì, che uno spera in una botta di c..o, ma siccome gli scritti sono selezionati in base ai gusti del giudice (onde evitare che non frequentando romanzi storici confonda il periodo vittoriano con il paleozoico) la questione è solo numerica...


Visto che uno s'è preso l'impegno e, soprattutto, che se non si svolgono i compiti a casa (che non facevo nemmeno alle medie, figuriamoci quanto mi piace) si viene esclusi dalla gara... tocca darsi da fare. Nello sconforto di certi momenti in cui...


Attimi in cui c'è bisogno di prendere respiro e di staccarsi un poco dalla realtà, magari leggendo (...) qualcosa di meglio, o di diverso. Poi bisogna mettere giù i commenti e i voti, senza fare favori a nessuno, perché nessuno ne farà a me...

Fino all'ultimo respiro.
Quindici schede per quindici romanzi (...) e via. Il compito è finito.
Grande sollievo e la sensazione di essermi tolta un peso enorme. Senza pensare che poi, invece, ci sarà una nuova fase in cui non sarò coinvolta. E via...


La tensione che se ne va per un poco. Poi si comincia a pensare...
Che risultato (orribile) otterrà il mio lavoro? Sarò tra i 10 che potranno pubblicare in e-book? Il contratto sarà umano? Il gioco vale la candela? E tutto questo durerà...


E chi lo sa?
 



Un compito ingrato...

...terminato!
Le valutazioni richieste da Gems per il torneo sono complete. Ora tocca vedere che cosa sarà di me e del mio romanzo non corretto.
Il primo anno, alla prima fase, mi hanno paragonata a Liala (e ancora non so perché).
Il secondo anno, stessa fase con altro lavoro, ricordavo Asimov (ma contemporaneamente ero illeggibile e troppo poco inserita nel genere scelto).
Terzo anno, questo e con lo stesso lavoro dell'anno scorso, per fortuna sono me. Con pregi e difetti.
Ma, appunto, resta da vedere cosa ne pensano gli sventurati che hanno avuto l'opera intera da leggere.
Come già sapete benissimo, per me il romanzo è da riscrivere (e avevo già iniziato, ma bla bla bla) e temo fortemente che anche se rientrassi tra i 10 che verranno pubblicati in e-book non firmerei.
Vignetta creata con Bitstrips.com

Quindi...
Ora mi tocca affrontare seriamente il bellissimo lavoro appena iniziato.
Una storia d'amore senza tempo. Vite che si rincorrono e dolori che riaffiorano e che non sempre si vincono. Personaggi complessi e tempi dilatati. Uno studio profondo da fare. Ma la storia c'è ed è già scritta. Devo solo dare il giusto corpo alle persone di cui racconto. Mi piace, mi commuove e mi esalta.
Mi tiene sveglia la notte, che poi è l'unico momento in cui posso scrivere.
Per tutti voi, miei cari amici e dolci ricordi...
che sia una buona notte!