28.1.12

Una volta per tutte

Va bene che qui a fianco è ben visibile l'immagine di un mio libro di poesie.
Va bene che sto raccogliendone delle altre per provare l'ebbrezza di pubblicare un e-book.
Va bene che c'é una sezione chiamata "poetry" tra le etichette di questo blog.
Ma vi assicuro che non scrivo poesie, semmai parole che vanno a capo a caso, seguendo il loro suono o l'istinto. Parole che si scrivono da sole, a volte. O che vengono in sogno, che mi tormentano durante il giorno. Lontane anni luce da quella che mi hanno insegnato come poesia. Lontane dalla letteratura.
Sono più immagini che la mente forma e che non hanno altro modo per esprimersi, se non questo di andare a capo per sottolineare ciascuna la sua importanza.
Quindi, anche se tutto vi fa pensare il contrario... Io scrivo romanzi, scrivo storie diverse ogni volta, scrivo di posti che non ci sono più o che non ci sono ancora stati, o che non ci saranno mai. Scrivo d'altrove, perché è d'altrove che vivo. Amo viverci e mi piace raccontare com'è.
Spero che prima o poi avrete occasione di visitarlo e di apprezzarlo. In qualche modo, se volete seguirmi, prima o poi lo farete...

26.1.12

Terra chiama Paola

Stamattina camminavo verso il lavoro, cane al guinzaglio, solita strada.
Un ragazzo spagnolo, portatile alla mano, mi si avvicina chiedendomi una informazione. Sulle prime non capisco, stavo pensando ad altro e di solito se penso ad altro chiunque mi scocci, mi scoccia rischiando grosso. Sento la lingua e sorrido, visto il mio legame perverso con quel paese. Mi mostra il suo pc con il percorso di Google maps bello evidente (anche se io, ancora altrove, fatico non poco a focalizzare l'immagine) verso una sede del Politecnico di cui io non sono a conoscenza. Non solo, mi chiede chiaramente dove si trovi una via e io non so rispondergli.
Io ci vivo, qui. In zona, pure. Eppure non so rispondergli nemmeno guardando la mappa. Cioè, lo so che la via è qui intorno, ma non so dove. A dire il vero non so nemmeno dove sono io. La strada la faccio in automatico e le vie mi scorrono senza che io le conosca, giorno dopo giorno, incrocio dopo incrocio. Mentre sto per dargli una indicazione sbagliata, per sua fortuna arriva un signore di mezza età che non solo sa dov'è il posto, ma lo accompagna e ci parla in qualche modo.
E già qui mi sento aliena. La mia città, da sempre. E non so dare una misera indicazione riguardo a una via nei dintorni di casa mia.
E va bene, mi dico. Insomma, dovrei fare più attenzione.
Poi arrivo al lavoro. Posto dove, per fortificare l'idea di alienazione, non si sentono terremoti, maremoti, incendi, sommosse, ma per effetto di misteriose vie si sente odore di fumo quando non fuma nessuno, ogni volta che qualcuno con un trolley passa sotto ai portici sembra che stia demolendo il palazzo, fa un freddo polare quando ovunque si sta bene e il termometro comunque segna venti gradi (credo sia finto).
Praticamente lavoro in un episodio di Fringe.
Sola tutto il giorno, oggi, mi rifugio nella radio che tanto mi ha aiutata soprattutto quando sola lo ero sempre e mia madre stava morendo in ospedale.
Lo speaker di turno dichiara di essere entrato, a Milano, in una serie di negozi nel quadrilatero della moda (o come diavolo si chiama) non per comprare, ma per dare un'occhiata.
E mi son chiesta: ma perché questo va in un negozio di Armani (dico a caso, non per motivi miei professionali) se non vuole comprare niente? Io che già nei negozi dei cinesi non vado se non voglio comprare qualcosa, figuriamoci se entro in un negozio dove comunque non potrei permettermi nemmeno di uscire con lo scontrino vuoto...
E va beh, mi dico.
Devo tornare sul pianeta, che così non va bene. Non so dove sono e non capisco che la gente va nei negozi di roba firmata (e ho detto roba non a caso) anche solo a guardare, che magari quella roba (e due) gli piace pure e se potesse l'acquisterebbe. E io dovrei capirlo, io che faccio un lavoro diciamo "di lusso".
Invece vivo sul mio pianeta, dove uno va a lavorare staccando la testa dalla realtà e si immerge in una coreografia vista con la mente, o in una storia, o in una poesia, in un testo di canzone appena imparato, in frasi ascoltate e scambiate con altri in altri momenti. Vivo dove uno non entra in un negozio al di sopra delle sue possibilità per guardare, ma entra in un negozio se gli serve qualcosa (a meno che in vetrina non ci sia qualcosa di talmente speciale da apparire come illuminato da un occhio di bue su di un palcoscenico buio).
Che poi ci sto anche bene, sul mio pianeta. Ma rischio di dimenticarmi del qui e ora. E non va bene, visto che qui e ora ci vive tutto il resto di me.
La realtà, accidenti a lei, è fatta di cose che non comprendo più o che non conosco. No, decisamente non va bene.

24.1.12

Rinunce e criceti

Eccomi qui.
Sempre in attesa di cose nuove, medito su alcuni concetti in ordine rigorosamente sparso, chè non saprei fare in altro modo. Venerdì si parlava di rinunce. Si chiedeva a cosa avremmo rinunciato in cambio di un percorso chiaro, una conoscenza certa, un viaggio nell'universo. Per un po' sono stata in difficoltà. Ho sempre pensato che rinunciare fosse il mio stile di vita. Da una parte, quella materiale, la vita stessa mi ha abituata a pensare che ciò che ho può sparire in qualsiasi momento e, sebbene la cosa non scateni il mio entusiasmo, so che si sopravvive ugualmente. Ho sempre pensato di essere una sopravvissuta. Dal punto di vista più intimo, ho sempre rinunciato più che combattere. Forse non trovavo corretto sprecare energie in qualcosa che non arriva naturalmente, forse niente sembrava così importante da spingermi a lottare, forse l'educazione al non pretendere... non so.
Quindi a cosa sarei disposta a rinunciare ora come ora, conoscendomi?
Al dolore. A quell'inquietudine (di vivere la vita senza te - no, la Pausini no!!!) che mi porta a scrivere le mie storie, le poesie, a dipingere, a creare in genere. Perché mi son resa conto che spesso non scrivo se non sono di quell'umore lì, se non sto un po' male, se non soffro per qualcosa - reale o immaginario che sia.
Ho scelto di rinunciare a quello, perché se non riesco a scrivere quando sto bene dovrei solo augurarmi di star male a vita per produrre qualcosa di utile. Io invece voglio produrre anche quando sto bene, perché so che ne sono capace, se voglio. Altrimenti non produco. Punto. Sarà mica necessario al mondo che io scriva? Qualcuno è lì che non vive senza i miei romanzi? No. Quindi... Insomma. Pazienza. Se non riuscirò a farlo, amen. Ma voglio vivere bene, accidenti, non augurarmi di avere quel mood triste triste che mi serve.
Altro giorno altro pensiero.
Dopo un'intervista barbarica ascoltata in tv, mi domando quanto abbia ragione il giovane Terzani. E in linea di principio ne ha eccome. Poi ci sono altre considerazioni. Perché io anche credo che a volte seguire la società non sia salutare, nè naturale. Nè sano. Perché mi sento come un criceto che corre nella sua ruota per mantenere in funzione un ingranaggio con l'illusione di avere qualcosa in cambio, mentre in cambio mi viene sottratta vita. Solo quello. Un po' come i corpi di Matrix usati mentre la loro mente era convinta di vivere.
Per me questa non è vita vera, questa è sopravvivenza. Per mangiare, per far mangiare un altro e perché l'altro faccia mangiare un altro ancora. Ma non vita. Faccio spesso ciò che mi viene richiesto in modo più o meno subliminale, non ho possibilità di scegliere davvero per la mia vita, perché scegliere significherebbe perdere tutto.
E torniamo alle rinunce. E di nuovo ai criceti. E sarà che seguire la corrente a volte è frustrante rispetto alle aspettative che uno si crea, che in fondo abbiamo bisogno di molto meno di ciò che abbiamo, ma continuiamo a volerne di più. Anche quando lo capiamo.
Va bene, l'insonnia sta facendo i suoi danni... Uff...

19.1.12

Idea

Posso solo sfiorarti
in questa continua danza
nelle correnti della vita.
Attendere che
il prossimo alito di vento
ci avvicini ancora,
sempre più.
Niente mi scalda come
il contatto con la tua pelle,
o il pensiero delle tue labbra,
delle tue mani, ancora.
Non sei mai stato lontano,
nemmeno un istante,
ma che fatica lasciarti andare.
Esisti,
mentre l'idea di te acquista potere
io non posso che cedere,
sognare, sperare,
vivere e danzare.
Sulle note del respiro
che ogni notte mi togli
e ogni volta mi dai.

16.1.12

Quella sensazione come di...

No, non dirò assorbimento.
Voglio parlare di attesa. Di nuovo quella sensazione che qualcosa stia per arrivare, come mi accade a volte.
Certe volte è decisamente sgradevole, la sensazione, tanto che divento così impaziente da rasentare l'isteria. E ne ho ben donde. Perché di solito qualcosa accade e se la sensazione è quella di budella attorcigliate e perenne pelo dritto sul collo, di solito appunto, quello che capita non è buono. Ne ho sperimentato l'effetto nefasto nel 2010  (vedi qui, e qui, e qui, e qui, e ancora , ancora)e spererei di non provare questa cosa per un po'. Poi so che è inevitabile - perché come direbbe Forrest Gump: "Shit Happens" - ma intanto spero di respirare qualche anno...
Ora no, la sensazione è di qualcosa di imminente, magari non definitivo (sarà forse il definitivo che non mi piace o non mi ispira immediata fiducia?), ma positivo.
E io aspetto, perché no, sentendomi bene. Stranamente felice, senza apparente motivo (anche se poi motivi ce ne sono sempre sia per essere felici che per essere tristi, ma è meglio la prima), in pazientissima attesa.
Tanto che non ho voglia di fare nulla, ma proprio nulla. Lavorare, cucinare, scrivere. Infatti il romanzo langue in una specie di letargo che mi capita solo quando sto davvero bene.
Perchè se è vero che so scrivere dignitosamente, è anche vero che scrivo benissimo quando sto male, quando non ho altro sfogo, quando stranamente non riesco nemmeno più a ridere della sofferenza che provo.
Sì, perché è anche così da me non prendermi sul serio nemmeno quando voglio morire, figuriamoci quando ho gioia di vivere... Il cazzeggio totale. E nuovi progetti, che finché non ho finito questo non inizierò. Ma tant'è. Sto così. Pazienza. Alla fine un romanzo in più o uno in meno non farà la differenza in questo mondo, e nemmeno per me che tanto le mie storie le conosco a memoria e me le vedo proiettate nel mio megaschermo interiore.
Ho pure il dolby.
Quindi aspetto. Vediamo che cosa arriva (a parte i meravigliosi corsetti nuovi di Strega Delle Rose e qualche pacco da Amazon) e godiamoci l'attesa.

12.1.12

Cose che non mi mancano degli anni '80

I paninari.
Capelli cotonati e spalline ingombranti.
L'eterna lotta Duran / Spandau. Le cretine che volevano sposare Simon Le Bon.
Le medie.
Le compagne delle medie.
Sandy Marton e Sabrina Salerno.
Sanremo. Certi Festivalbar.
L'idea che "you can have it if you want it". Un disastro.
T.J. Hooker.
Parte della me stessa che ero allora.
Mia sorella.
Laura e Miki e tutte le storie di paese.
Vanni e gli usurai sotto casa.
Ho già detto i paninari?

11.1.12

Looking good

and feeling something like this!

Poi niente

Nel vento e nel dolore
si perde il mio lamento,
ma non perdura.
Come le cose mutano d'aspetto,
anche il dolore diventa musica
e ogni nota impossibile
trova il suo posto,
una dimensione.
Così,
se anche non posso amarti,
ti amo.
Con tutto il cuore,
ma altrove.
Dove non esistono le tue mani,
i tuoi occhi e le tue parole.
Nel non essere,
nell'infinto,
nel momento in cui
questo accade.
Poi niente.
Nessuna realtà
può darci più spazio
di questa
in cui non siamo,
non ci sfioriamo,
non emettiamo suono,
ma siamo uno.

9.1.12

Sono stata Patrizia per un'estate

E adesso sono stata in un monastero tibetano per un ritiro di tre giorni e ho scelto definitivamente un maestro speciale.
L'anno è iniziato tra crampi allo stomaco, gambe addormentate per la posizione del loto, amici nuovi e persone a cui già voglio bene sempre e molto vicine. Ah, e il fango. Anche quello.
Ho un nuovo nome, che forse era un po' una speranza per chi me l'ha dato (ché io non mi sento particolarmente adatta al suo significato, ma di solito tendo a sottostimarmi), una bella sciarpina bianca e una borsa per gli appunti. E il ricordo di una settimana passata in modo diverso, inaspettato, piacevole, prima di tornare alla routine - che promette di non essere del tutto routine.
Cose che cambiano, appunto. Decisioni che per chi mi conosce da tempo non erano da me, eppure ora lo sono, sebbene sempre con quella mia tendenza a 1) mandare in vacca e 2) dissacrare qualsiasi cosa. Che è quello che mi salva dal prendermi troppo sul serio e diventare una madama noiosa.
La dieta non ha risentito delle feste, complice questa strana forma di influenza che mi insegue non particolarmente convinta, quindi ho sfoggiato ben due volte il mio corpetto nero destando curiosità, stupore e magari pure interesse. Certo mi sta bene e chissà quelli nuovi che arrivano tra un po' come staranno ancora meglio...
Mi sento soddisfatta di me.
Che può essere sia un aspetto di Patrizia, forse non molto da Laura o da Luisa, mai completamente da Clara. Forse semplicemente questa Paola è cresciuta abbastanza da perdonarsi certe cose e da smettere di farsi male inutilmente.
Mica cotica!