28.12.17

Ciò che resta di un anno difficile

Stavo scrivendo l'ennesimo romanzo, poco fa. Manca un capitolo e un pezzo, poi sarò a quota tre romanzi inediti pronti nel cassetto - o nel cassetto virtuale, meglio - che non ho voglia di pubblicare.
Il romanzo mi piace, come entrambi i precedenti. Non mi è costato un grandissimo sforzo, questo no, anzi forse è il romanzo con cui mi sono divertita di più. Ho già i prossimi in pista, comunque. Per questo sto dedicando buona parte del tempo libero a finirlo. Credo sia il suo tempo.


Non è stato un anno facile, questo. Non è successo niente di drammatico ma tante cose da cambiare hanno iniziato a premere e tante cose che mancano a farsi sentire più forte. Un anno in cui scrivere è stato estremamente difficile, quindi ben venga il progetto di cui sopra che almeno mi ha allietato i momenti peggiori.
La pole ha avuto i suoi alti e bassi. Come ogni attività, soprattutto essendo legata a fisico e umore. So di non essere stata sempre al massimo e di aver anche migliorato di parecchio le mie capacità. A volte, però, non è stato sufficiente a far andare tutto per il verso giusto. C'è da dire che dopo novembre ho avuto parecchi problemi con il polso destro - quello che mi regge di più - e che rinunciare all'ultima gara dell'anno non è stata una pessima idea. Inutile farsi male ulteriormente. Quindi sono pronta a ripartire, anche se non mi sono ancora fermata, con le migliori intenzioni. So che ci sono mille cose da migliorare perché il mio metodo di fare solo le cose che mi sono più facili ed evitare sforzi eccessivi più per pigrizia che per prudenza mi pare non possa produrre più di quello che ho adesso. E non mi basta.

Sì, forse è una cosa che dovrei applicare alla vita in generale, anche se spesso "improvvisare" mi riesce meglio che fare cose provate e riprovate fino alla nausea. Perché poi quel "non mi basta" si applica ovunque. Lavoro, casa, scrittura, pole... Tutto così difficile e pesante, quest'anno.

E forse dovrei proprio lasciare la mia "comfort zone" per cominciare a vivere davvero.
Ecco che poi mi ripiombano addosso i vecchi post, aiutata dalla memoria inesorabile di Facebook, in cui riflessioni si aggiungono ad altre riflessioni e io...
Niente, io mi sto chiudendo in un piccolo bozzolo pronta a rinascere presto con tutte le rotelle a posto. Forse.

2.12.17

L'immagine e io

Il fotografo è il top.
Lo shooting organizzato dalla scuola è un vero e proprio evento. Il pacchetto comprende cinque scatti elaborati con photoshop, ma ovviamente le foto scattate sono almeno dieci volte tanto. Lui scatta, fa una prima selezione e manda i provini da cui scegliere le foto che ti piacciono di più.
Il suo suggerimento è di guardare il viso, l'espressione, la posizione e di non badare a cellulite, rotolini e inestetismi perché a quelli ci lavora lui.
Ore passate a spulciare immagini ingrandite per scegliere quelle in cui magari sorrido, quelle in cui la posizione del piede mi piace di più, in cui la luce fa un effetto particolare. Non una cosa semplice, se si è ipercritici... e io lo sono. Poi scelgo.
Poi le riguardo. In una ho un'espressione adorabile. Allora gli scrivo.
"Senti, - gli dico - anche se la posizione non mi piace, vorrei anche questa foto. Puoi lavorarci su?"
"Non posso cambiarti la posa, ma posso cambiarti il corpo." Mi risponde.
E io...
"Grazie, ma non ho bisogno di sembrare tanto diversa da quello che sono."

Una pazza, probabilmente.

Poi volevo aggiungere che alla mia età posso gestire il fatto di non essere perfetta e amarmi lo stesso così come sono, ma ho taciuto. Adoro anche solo i suoi provini, in bassa risoluzione e col watermark bello presente. Saranno foto ritoccate, le altre. Quelle da guardare nei momenti di scarsa autostima.

E ricordo che un tempo, fotografata con un make up professionale, ho odiato quelle immagini con tutta me stessa perché non mi ci riconoscevo. E mi sento bene, oggi, con il mio corpo non perfetto, con la mia cellulite e qualche rotolino in più.
Poi, a dirla tutta, la foto a cui tenevo di più in assoluto (oltre a quelle di Carmen, il cane poler più dolce del mondo) è quella con le mie amiche, fatta di straforo, e di cui ringrazio immensamente Yuri Bote perché siamo proprio noi, quelle lì.

C'è poco che mi renda più felice di essere me...





17.11.17

Sono qui

L'anno scorso, stessa storia ma con un piccolo particolare diverso.
L'anno scorso ero qui per lei, credo la più brava e meritevole di noi per mille motivi diversi che forse stanno solo in quanto le voglio bene.
Che comunque ha vinto e, anche se l'avventura era iniziata con motivazioni diverse - perché volevo partecipare anche io ma non mi hanno selezionata - sono stata felicissima di essere tra il pubblico in quel momento. Valentina è una ragazza speciale e io, che questa volta sono in gara, spero di fare del mio meglio perché sia fiera di me pure lei (che comunque ha visto fino all'ultima prova - e mi ha dato del granchietto - e che so che mi sarà vicino domani). Ecco.


Non è stato facile arrivare fin qui. Un anno complicato, questo, sotto mille punti di vista. Un anno che comunque mi ha dato delle soddisfazioni e che prelude a un cambiamento ulteriore che aspetto da tempo. Averne la forza.
Quindi sono qui. A Modena. Oggi prove e domani...
C'è da dire che già a partire dal viaggio, sola, in treno, il mio umore era alle stelle. Lettore mp3 alle orecchie, canzoni cantate sottovoce (quasi come un tempo) e voglia irresistibile di ballare - sì, in treno, in una prima classe non affollata ma accanto a un giornalista del tg3 diretto chissà dove tra Torino e Lecce - con un'emozione da sedicenne addosso.
Mi mancava, mi mancavo io. Che invece sono arrivata in anticipo alla stazione, che non ho svaligiato Tezenis per scrupolo, che invece ho fatto una spesa alimentare dopo l'arrivo per non mangiare "dimmerda" e in giro da sola, che poi ho finito per acquistare articoli di cartoleria che mi dureranno dodici anni, e che sto facendo pian pianino tutto quel che devo per arrivare alla gara di domani. Compreso pensare al cibo per le belve che mi aspettano a casa e per cui ho fatto un ordine in corsa.
Ora, ecco... Oggi si prova. Domani si fa.
Poi ci sono mille altre cose che vorrei dire, che vorrei elaborare meglio. Perché anche ora non smetto di farlo, nonostante tutto. Nonostante me. 

18.10.17

Energia

Non ho mai avuto il physique du role.
Quando mi sono iscritta al corso di danza professionale ero già troppo grande, in ogni senso. L'età ovviamente, avrei dovuto iniziare con la sbarra a cinque o sei anni e non a undici, la corporatura e le doti necessarie. Tutto over size.
Gli insegnanti mi vedevano arrivare e mi guardavano come per dirmi che avrei fatto meglio a fare un altro sport, certo non danza classica.
Certo non la ballerina professionista.


Le mie amiche e compagne erano quasi tutte più magre, con collo lungo e spaccate perfette. Io arrancavo, certo, ma dopo qualche anno a farmi il c**o seguendo un doppio corso invece di uno singolo, ero una delle poche a ricordarmi a memoria le coreografie di più di una parte per volta, o a distanza di mesi, o anni. Non sarei mai diventata una star, ma una buona professionista sì.
Solo che invece di pensare ai miei punti di forza, e ne avevo, mi sono sempre concentrata sulle mie mancanze.

Qualche anno fa parlavo con un amico che mi ha conosciuta all'epoca e mi sono resa conto che l'immagine che avevo di me non era esattamente quella che vedevano gli altri.
Delusa per il fatto di non poter mai colmare quel divario - "troppo grassa, troppo seno, poco elastica" - ho sempre pensato a me come a una mascotte che quelle brave si portavano dietro e non mi sono nemmeno accorta dei miei cambiamenti. Né dell'energia che avevo.
Ero convinta, per esempio, di trarre energia dal rapporto con la mia amica Raffaella - energia che in parte buttavo nella lotta estenuante col mondo per convincerlo della mia esistenza - mentre quell'energia era la mia.

Ci è voluto un amico a farmelo capire. Eppure allora al mattino lavoravo in negozio con mia madre, il pomeriggio mi sparavo tre lezioni da un'ora e mezza di danza e la sera, tre o quattro volte a settimana, riuscivo ancora ad andare a ballare in discoteca (o a insegnare, il poco che ho avuto modo di fare; o a esibirmi dove potevo), o cantare, o inventare coreografie nella mia stanza. E pensavo di essere una "mollacciona"...

Poi ho iniziato a fare pole.
Ovviamente non ho il physique du role. Sono massiccia, ho molto seno (e da quando ho smesso con la danza è pure aumentato), non sono flessibile e soprattutto non ho l'età. Insomma, se cercate immagini di pole dancers di sicuro non sono come me. Per dirla tutta sono perfino alta (anche se ci sono alcune atlete più alte di me, sicuramente), tanto che nelle foto a fine workshop con la maggiorparte delle insegnanti con cui ho lavorato, io sembro sempre il doppio di loro.
E me le immagino, quando mi vedono arrivare - quasi cinquantenne, sovrappeso e leggermente fuori luogo - e non sapendo niente di me danno per scontate un sacco di cose. Sì, perché io poi non li dimostro i miei anni e di certo loro non immaginano quanta fatica io faccia, a volte. Loro vedono una trentacinquenne cicciotta che nemmeno fa le spaccate o si inarca in un ponte e che fa uno sforzo immane per seguire le altre ragazze.

Stavolta, però, ho imparato a non guardare - entro un certo limite - quello che mi manca e a concentrarmi su quello che sono. Ci sono alcune figure che probabilmente non farò mai (non ho voglia di farmi male tentando contorsionismi che non sarei riuscita a fare nemmeno a sedici anni) e figure che per le mie caratteristiche sono più congeniali. Probabilmente non  eseguirò mai un "Rainbow Marchenko" e sarò felice ugualmente, perché posso fare mille altre cose che mi vengono meglio. Così posso esibirmi ugualmente, ballare, senza disperarmi per quello che non ho.
Le ragazze con cui studio spesso mi dicono di ammirarmi. Per passione, costanza, sforzo, miglioramenti, per quello che so fare. Quest'anno mi è capitato di ricevere i complimenti di due ottimi atleti della pole con cui ho avuto il piacere di imparare. Non me lo aspettavo, perché non capita spesso e di certo non pensavo di sentirmi dire che sono una brava ballerina alla mia età - e semi distrutta su tacco 17, dopo una gara e dopo un workshop - tanto che ci ho messo un po', entrambe le volte, a metabolizzare.

E poi mi accorgo di quanta energia ci metto, di quanta ne vedono gli altri e mi domando cosa avrei potuto fare a sedici, venti anni, con l'energia di allora, se non mi fossi preoccupata di non avere l'immagine giusta, di non avere doti eccezionali e se mi fossi semplicemente concentrata su quello che potevo dare. Quanto tempo sprechiamo a cercare di essere "vincenti" secondo i canoni altrui? Non sarebbe più vincente essere ciò che siamo, ma esserlo al 100%?

5.10.17

Frammenti

Cammino, il sole autunnale batte tiepido sulle mie spalle.
"Non ci sarà 2018" mi dico, non so perché.

Le mie premonizioni funzionano così.
All'improvviso mi ritrovo più leggera, come sospesa, i passi non pesano sulla strada, mi sembra che il tempo si fermi anche se lo so che sta andando avanti come sempre. Solo una sensazione, peraltro piacevole, di assenza dal mondo.
Penso a mia madre, l'anno in cui è mancata era successa una cosa simile - con largo anticipo -mentre andavo a lavorare. Sapevo che stava cambiando qualcosa, che era definitivo, ma non sapevo cosa. E in effetti, a febbraio non potevo nemmeno immaginare di perderla il 2 novembre. Quella sensazione di "catastrofe" mi ha appesantito tutto l'anno. Io sì, sento le cose... ma non le vedo, non so riconoscerle. La mia emotività mi porta sempre a pensare che la premonizione riguardi qualcosa di cui mi preoccupo in quel momento; non ho la lucidità sufficiente per avere un "messaggio" completo. (Qui, da cazzeggiatrice immensa, mi viene in mente Ralph Supermaxieroe con il suo costume privo di manuale di istruzioni)
Quindi mi agito, quindi non so, mi aspetto un disastro dopo l'altro in ogni direzione possibile tranne quella giusta.



"Non ci sarà 2018"
Ok, stavolta è diverso. Non ho quel senso di angoscia. Mi sento leggera.
Posso pensare che sia un messaggio favorevole, che la sensazione della fine imminente (ma fine di cosa?) sia in realtà la soluzione di qualcosa invece di un nuovo dramma. Posso pensare che, al momento, il mio stato mentale è talmente in modalità di resa che qualsiasi messaggio arrivi non mi possa spaventare. Posso pensare, una volta tanto, di essere abbastanza consapevole da non preoccuparmi delle premonizioni. Il "pre" implica attesa e devo solo attendere.

Inoltre ci sono milioni di cose su cui non ho e non avrò mai il controllo. Trovo davvero inutile sprecare il tempo per controllare la mia vita. Sono alla deriva sotto molti punti di vista. So cosa sento, so quanto valgo, so cosa non voglio ma non ho alcun controllo sulla direzione. Tutto mi sembra possibile e al contempo impossibile. Inutile dire che non ho mai creduto negli "obbiettivi" da perseguire con ogni energia; piuttosto sono da "flusso" - non ondivaga - e in cerca di un talento vero. Non voglio costruirmi a immagine di un modello non mio. Non devo dimostrare molto a chicchessia, semmai a me stessa. Quindi ecco. Non ho intenzione di crucciarmi per questa sensazione, che ancora dura. Non voglio cercare i segni del destino, voglio arrivare semplicemente fino lì e vedere cosa capita.

Mi scoccia di aver comprato un'agendina, però. L'ho fatto senza motivo, un'agenda del 2018 presa a inizio settembre. Se ora il 2018 non ci sarà ho sprecato i soldi inutilmente.

Poi, ecco, in questi momenti di trance, mi vengono in mente frammenti di mille discorsi e frasi d'amore senza destinatari. E il bisogno di scrivere. Che non soddisfo perché sono arrabbiata. Quanta energia si spreca nei progetti... Se poi almeno interessassero a qualcuno, oltre che a me.
Sì, l'ho detto: è un periodo di resa.
Sono qui stremata che attendo la fine del mondo. Se anche potessi, non muoverei un dito per far andare le cose come voglio. Basta con i deliri di onnipotenza. Non salverò il mondo, già tanto se in qualche modo salvo me stessa, finalmente leggera...

29.9.17

Rieccomi

Staccare per un po' mi ha aiutata.
A dire il vero sono ancora staccata ma da qui a fine anno ho molto da fare e pian piano sto riprendendo gli spazi che ho lasciato vuoti. In realtà, mentre meditavo sulla mia vita e sul mio corpo, (e sull'inutilità dei pulsanti per prenotare l'attraversamento stradale, anche) ho trasformato i racconti che avevo scritto qui e quelli che ho pubblicato nelle antologie, più qualcosa che avevo pronto in un libro che si chiama "Presenze", disponibile sia in cartaceo che in ebook a prezzi minimi, perché mi spiaceva avere lavori sparsi in giro quando la maggior parte dei racconti era nata, appunto, per essere una raccolta. Per le sinossi dei racconti c'è la pagina apposta qui sul blog.


Probabilmente, come accade spesso negli ultimi tempi, saranno in due a leggerli. Pazienza. Chi mi conosce sa che non faccio praticamente nulla per promuovermi e quel che faccio lo faccio male. Quindi ben mi sta.


Per il resto sto cercando di distrarmi con un progetto parallelo (e mi direte "parallelo a che?", e avete ragione ma io ho sempre un progetto parallelo a un progetto parallelo) che non mi porterà da nessuna parte e di ricostruire pezzi di me, cosa che immagino invece mi porterà a una vita migliore - la prossima.
E continuo con la mia dieta, anzi, ho appena ricominciato e al contempo deciso che dopo il prossimo giro smetto. Perché sto bene. Cioè, ho ancora quei chiletti in più che vorrei perdere ma non voglio che diventi un'ossessione o che mi privi di gioie troppo a lungo. Alla fine mangio sano, faccio sport e mi mantengo bene. Poi, appena avrò riordinato le idee, avrò altro da dire anche sul corpo, ulteriori riflessioni.
Diciamo che da marzo a questa parte mi sono resa conto di tante piccole cose che voglio cambiare e che sto lavorando per essere una versione di me stessa che non mi faccia troppo schifo.

Sì, lo so, esagero.
Però a volte, per paura, comodità o abitudine, ci si lascia avvolgere in uno strato di bambagia che protegge dagli scossoni della vita ma allo stesso tempo la appiattisce  ogni giorno di più. Quindi: o mi lasciavo morire così oppure mi davo una mossa. Ok, buona la seconda.

Non si trova un lavoro manco a pagare (ma se non hai un lavoro, con che paghi il lavoro che cerchi?), se hai un requisito non hai gli altri dodici, se ne hai dodici ti manca quello fondamentale. Visto che per me è possibile dimostrare dieci anni di meno ma sulla carta ho una certa età, visto che ho un diploma e non ho una laurea, visto che ho fatto mille esperienze - tranne quelle giuste, evidentemente - e il più delle volte le ho fatte in nero (o comunque non dimostrabili), visto che ho un lavoro part time... Non vado bene quasi per niente tranne forse fare le pulizie. O forse mi chiederebbero la laurea anche lì, chissà.

La pole va bene, quella sì. Ho due gare in programma e zero voglia di gareggiare, ma mi verrà. Alla fine mi diverte incontrare gli amici che seguo costantemente su Facebook e farci due risate tra un glitter e un tacco 20. Quindi mi alleno, come sempre, e medito cosa fare alle prossime (perché ad aprile e giugno del 2018 sono di nuovo lì) e, ancora, sull'utilità del premere il tasto di prenotazione ai semafori...
Chiamale, se vuoi, ossessioni.

16.8.17

La verità

La verità è che non sono una bella persona.
No, lo so che non lo pensate - buona parte di chi mi conosce non sa chi sono - ma è così. Io lo penso, lo penso continuamente, perché mi conosco. Son 48 anni che mi sopporto. Lo saprò, no?


Poi c'è da capire chi di noi è davvero, nel profondo, una bella persona. Ma è un termine facile, "bella persona" per descrivere qualcuno senza dirne niente. Cosa ci rende belle persone?
Perché io sono, di sicuro, educata e gentile, disponibile e cortese - soprattutto con estranei e conoscenti - ma anche piena di difetti. Non sono gentile con tutti, no. So che lo sembra, ma non è così. Sono profondamente stronza.

Stronza, sì.
Una stronza arrabbiata con il mondo.

Perché la rabbia che ho sempre avuto dentro non se ne è andata mai del tutto, a volte esplode. No, beh. Nel mio caso la rabbia implode, mi devasta dentro, mi priva del sonno e mi spinge a ingrassare a dismisura anche quando cerco di stare a dieta. Mi toglie vita, comunque. E sono stanca.

Tanto stanca che non reagisco più, che non cerco un secondo lavoro, che non ho voglia di scrivere, che non mi faccio pubblicità, che non mi preoccupo delle gare, che non mi frega niente di film, libri e musica; che vorrei solo un limbo in cui galleggiare in silenzio*. Nemmeno la gravità da combattere.

E le persone che ho intorno, spesso, nemmeno lo sanno o non se ne accorgono. E mi fa arrabbiare, perché a me sembra di essere trasparente, mi sembra che i segni delle lacrime siano visibili, che gli occhi gonfi non lascino dubbi. Mi sembra che i sorrisi di cortesia siano visibilmente fasulli, mi sembra che il mio inferno sia solo mio, ed è così. Solo mio. Inutile prendersela col mondo, lo so.
Anche se sono arrabbiata le cose non cambiano, no? Alla fine sono solo io che non vivo bene.
Verissimo.

Ci sono mille cose che non vanno, ma sono talmente stanca di questa continua "corrosione" che non mi serve nemmeno più stancarmi fisicamente per venirne fuori.
E sì, ci sono anche mille cose che vanno e mille motivi di gratitudine.
Ma c'è la rabbia. E quella viene fuori e rovina tutto solo perché sono così pigra e così spaventata all'idea di muovermi e cambiare che aspetto solo di scivolare tanto giù da non avere più appigli.
Di sprofondare nelle sabbie mobili e non riemergere più.

Questa rabbia mi ha già rubato anni.
Questa pigrizia mi ha già bloccata troppo a lungo.
Questa paura di cambiare mi ha già tolto tante occasioni.
Questo senso di colpa mi ha già impedito di scegliere.
Questo lasciar scivolare le cose mi ha già scavato la pelle.
Questa inerzia ha già occupato il mio tempo.
Questa incapacità di reagire mi ha già uccisa. 

E dire che io, alle tempeste, ho sempre retto bene. Ma ora no. Ora sono la rana di Chomsky, troppo stanca per saltare fuori dall'acqua bollente. Troppo per dare un giro alla mia vita e ricominciare.
Se è vero che il mese del compleanno porta riflessioni, e mi pare che lo faccia, è anche vero che di riflessioni non si vive e che dovrei darmi una mossa.
O è finita.

*E qui galleggiano tutti... (citazione imprescindibile da It, Stephen King - immenso)

7.8.17

Non è così

Da ragazzina odiavo l'ipocrisia.
Le maschere, le menzogne. Quel modo di scivolare sopra alle cose che vedevo negli adulti, raccontarsi e raccontare una versione abbellita di sé, della propria vita. Una galera.


Mi rendo conto che con il passare del tempo, in realtà, la vita ti piega e se per caso non vuoi piegarti ti spezza in malo modo. Allora, un colpo alla volta, cominci a scivolare anche tu sopra alle cose.
Tu, che ti riempivi il fegato di odio verso di loro, diventi ipocrita quanto lo erano gli altri. Se non peggio.
E tutte le questioni di principio per cui ti sei immolata, tutte le volte che non hai accettato un piccolo compromesso, non hai fatto che complicarti la vita. No, non parlo di niente di eclatante. Non è sposare il vecchio miliardario pur di fare la bella vita; sono le cose semplici, quelle che ti sembrano "normali", quelle che ti fottono. Tipo amare.
O non amare, convinta di farlo. Perché è tutto talmente complicato, in questa vita, che a volte ti rendi conto di aver fatto un errore con un ritardo inspiegabile. Perché da come ti senti, lo sai che non ami - che non può essere così terribile, amare - ma ne eri così convinta che...

Non è così che volevi vivere, non in un continuo rumore sordo che suona come un allarme lontano. Non riconoscibile se non ti metti a cercare proprio la sirena. Diventa un rumore di fondo, ti lascia quel particolare mal di testa, quel malessere che ti sfianca e ti uccide, ma vai avanti.
Dal lavoro ai rapporti interpersonali, il non distinguere più il campanello d'allarme fa commettere troppi errori, piccoli e grandi, che finiscono per essere come movimenti nelle sabbie mobili.
Così ti scopri ipocrita e fasulla a cercare di nascondere il fallimento della tua vita e a darti scuse perché non sai come uscirne.
Tanto che vorresti morire piuttosto che affrontare la realtà.
Tanto che ti domandi se non sarebbe più semplice.
Perché non è così che vuoi vivere. E lentamente muori dentro.


Basterebbe un singolo appiglio. Ma tutto quello che resiste intorno a te rischia di essere altrettanto fasullo.

2.7.17

Discorso sul corpo e sul piacersi

Da qualche tempo sembro sparita ma non è così.
Sono a dieta, felicemente. Niente sacrifici insopportabili, il programma giusto, il supporto degli integratori giusti e un po' di movimento - cosa che già facevo.


Il fatto di prendermi cura del mio corpo, però, ha stimolato una serie di riflessioni. Perché, bombardati come siamo da immagini e modelli cui adattarci, finiamo per non piacerci mai visto che non siamo perfetti. Così ho iniziato, su Facebook, a riflettere sul mio rapporto con il mio corpo. Post che riporto qui per chi non mi frequenta lì.



Riflessione numero 1:


Ho sempre avuto problemi con il mio corpo. Non è mai stata una questione di peso, che fossero 48 o 84 kg non è mai stato fondamentale. Era proprio la dimensione fisica, quell'occupare spazio, quel sentire la fatica di muovere anche solo un dito, quel dover rientrare in canoni (prima o poi tocca a tutti sentirsi troppo grasso, troppo magro, troppo basso, troppo morbida o troppo poco). Era una lotta continua tra il desiderio di essere solo spirito e la fatica di convivere con la carne. Non sono mai stata vittima di disturbi alimentari, non nel senso canonico, ma comunque ho sempre avuto quella "fame nervosa" che compensa i malumori e quel circolo vizioso che porta a punire il corpo per supposti errori dell'anima. Difficile guardarmi allo specchio, che fossi magra o grassa. Non mi sarei mai piaciuta.
Invece no. Ho scoperto che posso essere diversa. L'ho scoperto a 45 anni - tardi, direte, ma non è mai troppo tardi finché batte il cuore - e la pole dance è stata parte integrante di questo ricominciare a vivere. Mi ha costretta a vedermi. Vedermi davvero. A convivere con le mie debolezze in attesa di cambiarle in qualcosa di diverso e a osservare il mio corpo, a sentirlo, come non facevo da secoli.
Sono entrata al Turin Pole Dance Studio da 45enne molliccia e imbacuccata in un abbigliamento inadatto (ne parlavo ieri con le partners in crime) e nessuno avrebbe mai pensato che avrei resistito. Ho avuto mille difficoltà, ne ho e ne avrò ancora, ma ho imparato. Grazie al sostegno di Natalya Ryzhikh e di tutte le ragazze che in questi anni ho incontrato. Ho fatto la mia prima gara (da cui arriva questa foto), poi la seconda, poi la terza e la quarta. Sono già iscritta alla quinta e sto preparandomi per la sesta, in contemporanea.
Il mio corpo? Lo guardo con amore, lo vedo più armonioso, più forte, più sensuale, più bello e soprattutto più leggero. Ginnastica, dieta e un minimo di happyness inside. Sono quasi tre anni e posso dire "I'm feeling good."
Riflessione numero 2:


A diciotto anni ero così. Sei-sette ore di allenamento al giorno, alimentazione sballata e minima; 48 kg e l'idea di non essere magra abbastanza.
Dopo è successo di tutto e mi sono trovata a 35 anni a pesare quasi 86 kg, causa principale la depressione e il fatto di essere una ex sportiva. Non c'era modo di perdere peso. Non che volessi tornare come nelle vecchie foto, ma avere il giusto equilibrio tra ciò che ho dentro e ciò che mi porto addosso.
Allora da poco ho deciso che voglio diventare ciò che sono anche a partire dal corpo.
Sportiva di ritorno, ho bisogno di un corpo adatto a ciò che amo fare. Forte, armonioso e che rispecchi la persona che sono dentro. Perché sono stufa di dover essere quello che altri hanno deciso per me (come decidono di che colore devo vestirmi e quanto devono essere alti i miei tacchi), voglio essere semplicemente me stessa.
Ora vi chiederete, se avete letto fin qui, perché insisto sul corpo. Sembra superficiale ma non lo è. Un corpo sano funziona meglio, rende bene e aiuta a invecchiare senza troppi casini. Un corpo bello aiuta e basta (inutile negarlo, aiuta l'autostima e facilita la socializzazione; sbagliato ma vero). Il corpo è quello che ci serve per rapportarci col mondo. Perfino il mio maestro afferma che per cambiare la mente occorre cambiare il corpo - e iniziare ad ascoltarlo, ad amarlo e non a usarlo in modo improprio. Quindi...
Ho scelto me. Voglio stare bene e sto facendo ogni giorno un passo per rendermi più felice.

P.s: tra un mese e qualche giorno sono 48 (anni), sarà questa l'urgenza, e per fortuna non sono 86 kg da un po' (benedetti momenti felici)
 Da qui in poi il percorso è nelle mie mani. 
Credo che piacersi sia un lavoro complicato per alcuni di noi... 

2.6.17

Sono qui

Non sono sparita.
Avrei voluto scrivere prima, perché di cose ne sto vivendo a iosa ma non ce l'ho fatta.
Non è questione di tempo, non solo.
Mi sento "non viva" la maggior parte del tempo. Forse perché mi sono sepolta talmente bene nella mia "comfort zone" che pian piano mi sono lasciata soffocare da metri e metri di terra e ora...
Ora non lo so. Sono impantanata in queste sabbie mobili e non riesco a reagire. Non a fare una sola cosa che mi possa fare bene, perché ho paura di muovermi.
Mi sto suicidando dentro e uno dei primi effetti è una difficoltà enorme a scrivere. Qualsiasi cosa scriva ha tinte talmente cupe che perfino io mi stupisco. Quindi molti dei miei progetti sono sospesi.

Ho due romanzi pronti - uno già revisionato e uno in revisione - che non mando a nessuno e una serie di progetti che sono lì, sospesi. L'unica cosa che ho voluto fare è stato pubblicare, stavolta tutto da sola, la mia seconda raccolta di poesie. "L'universo è amore e sangue" è di nuovo un  brevissimo insieme di pensieri che aspettava da tempo la sua occasione. Disponibile in digitale e in cartaceo, l'ho pubblicato quasi senza rendermene conto.

La copertina, come quella di "Addio a Bodhgaya", è mia. Un dettaglio di un quadro che ho dipinto anni fa.
Come mi succede quando sto soffocando, anche stavolta ho provato con la prima azione che mi è venuta in mente. Pubblicare poesie è quasi sicuramente una follia.
Però in qualche modo so che ne vale la pena, quindi...

Per il resto ho regalato un mio racconto per una nuova antologia a cura di una mia amica autrice. Vedremo.

Insomma, io ci provo.
Non è sufficiente, lo so. Per respirare dovrei uscire dalla "comfort zone", farlo sul serio, anche se potrei essere inghiottita dalle sabbie mobili.
Tutta la vita a scavare, dopotutto, non poteva che portarmi qui.
La regina del nascondiglio.
Invece di provare a vivere, di decidere. Il fatto è che porto con me chiunque abbia vicino, con questo non scegliere e affondare; questo mi infastidisce più ancora di non vivere ma per ora, a parte qualche bizza creativa, non riesco a fare altro.

E pole, dove ho ricominciato a nutrire la mia collezione di lividi, studiando nuove cose per le prossime due gare, a novembre e dicembre. Da sempre, quando sono in un brutto periodo, fare sport mi aiuta. L'unico sollievo che ho.

Ora, consegnato il racconto e pubblicate le poesie, proverò a fare qualche altro passo, perché vivere così non ha un gran senso, dovrei essere felice. Dovremmo esserlo tutti.

6.5.17

Fantasmi

Pensavo.
Volevo aspettare il termine delle due gare di aprile per gioire, per fare bilanci, per ringraziare le persone che mi sono state accanto e che mi hanno sostenuta nel percorso. Forse anche quelle che, alzando un sopracciglio, mi hanno lasciato intendere un "ma 'ndo vai?"; che ho un'età e un peso - quello poi, che fosse fisico o mentale, ha sempre fatto la differenza nella mia vita.

Che in un modo o nell'altro, dal punto di vista fisico, mi son sentita sempre una balena spiaggiata, anche quando ero magra e da quello mentale ho sempre percepito tutti i limiti dell'avere un corpo, fin da piccola. Il che farebbe di me un'anoressica, almeno mentalmente, salvata dalla passione per la Nutella e la pizza.

Perché, dicevo, pensavo di terminare gli impegni sportivi per fare un sunto. Invece mi sono trovata sempre più svuotata e priva di forze, non tanto dal punto di vista fisico, quanto da un peso improvviso che mi sta togliendo vita. Non che i sintomi non siano presenti da tempo, ma come sempre io lascio scivolare le cose - o le ignoro anche quando so che ci sono, come la febbre - finché non è tardi. Ed è tardi.

Sono felice dei risultati di pole, forse non si è visto sui social come non si è visto qui. Ma da terzultima a Modena nel livello più basso, quest'anno sono trentunesima su trentanove del livello intermedio, il che è già un bel passo in avanti, tutto considerato. Sono felice della mia idea, della mia coreografia e del fatto di aver finalmente "danzato" di nuovo. E sono felice del mio settimo posto nella categoria amatori ottenuta a Exotic Moon - grazie alla coreografia di Natalya e a non so quale stella - di cui ancora sono poco consapevole. Sono felice delle persone che condividono con me queste cose ogni giorno. Sono felice perché sto crescendo, anche grazie a loro. Ho paura di perderle, anche se so che la vita poi funziona così e che non c'è niente che rimanga per sempre.
Ho paura di perdere i miei momenti magici.

Il lavoro part-time mi ha spiazzata. Non ho il tempo libero che volevo, non ho più scuse in realtà, ma quel tempo che speravo di avere sembra sfuggire dalle mie mani ogni giorno. Non scrivo, non leggo, non faccio quasi niente più di prima. Non guardo nemmeno la tv, ho solo voglia di silenzio e solitudine, tanto che mi sento soffocare.

Mi chiedo cosa devo cambiare, perché qualcosa devo fare per uscirne. Come fossi il fantasma di me stessa in attesa di reincarnarmi in qualcuno di diverso. In me stessa, probabilmente. Un'altra me.
Quella che dovevo essere, o che non immaginavo di trovare. Che ancora non conosco abbastanza.
Forse è per questo che sto temporeggiando. Ho paura. Non sono la stessa persona di prima. Non voglio nemmeno esserlo.
Solo che in questo momento mi sembra tutto talmente lontano da essere impossibile.

E mentre il mondo non fa che ricordarmi che il tempo che abbiamo è sempre poco, che dovrei fare di tutto per viverlo felice adesso e non dopodomani; mentre mi ricorda che non siamo eterni, che quando si sa ciò che si desidera bisognerebbe muoversi, che le occasioni di felicità non sono lì ad aspettare... Io resto immobile, qui, abbarbicata al presente grigio e soffocante che non so abbandonare.
Con i miei fantasmi.

14.4.17

Here we go again...

La mia prima volta è stata un pesce d'aprile fa. L'italian Pole Dance Contest di Modena è stato un piccolo grande passo nella mia avventura di "sportiva tardiva" o "sportiva di ritorno", come preferite. La mia prima gara, un battesimo del fuoco che mi ha lasciato una gran voglia di fare. Di fare meglio - ovviamente - di fare di più, andare avanti nonostante i lividi e la fatica.


Se la prima volta è stata complessa per motivi fisici soprattutto, questa mia seconda prova capita in un momento difficile - parecchio - in cui tutto sembra crollarmi attorno e vedo pochi spiragli di luce ancora lontani. Non va, tutto tranne la pole - che comunque mi affatica parecchio.




Ora il viaggio è iniziato in treno, il tempo di alzare la testa dopo aver preso il tablet (volevo scrivere, ma tra una chiacchiera e un messaggio WhatsApp o Messenger il tempo dedicato alla scrittura è stato poco) e mi è apparso davanti il solito vecchio paesaggio confuso dalla nebbia... Treno, nebbia, campagna e mi sono trovata ancora a pensare ai tempi in cui "pendolavo" tra Torino e Pinerolo e a mille cose annesse. Tra cui il desiderio di ballare, di ballare di più.





Poi le amiche, diverse e meravigliose, con cui condivido l'avventura dall'inizio. Tra dubbi, prove, crisi e lacrime. Con la paura di non farcela e di aver fatto un passo più lungo della gamba. Poi la nostra Natalya che ha sempre dimostrato fiducia nelle nostre capacità. Tanta. Tanto che siamo qui senza di lei e che siamo abbastanza tranquille. Poi la nostra Stella - che l'anno scorso era nel nostro gruppo - che è arrivata stasera a fare le prove con le sue allieve ed è stato bellissimo riabbracciarla dopo un po' di tempo che non ci si vedeva. E domani sarà di nuovo lì a fare il tifo per noi e per le sue giovani promesse.


Poi nuove conoscenze da ogni dove, persone che sono lì a provare come noi e con gli stessi dubbi. Insomma, siamo quasi pronte. E domani, almeno per noi tre, l'avventura avrà luogo in diretta streaming. Da Modena, in teoria per tutto il weekend lungo, per noi finirà domani sera. Ma dalle nostre faccine si vede già che è un successo fin d'ora.

3.4.17

Il mondo scivola

Non è mai stato un posto sicuro. Non è mai stato pagato bene. Ora è un lavoro part time, come è stato altre volte dal 1989. Non è una novità, una azienda piccola è sballottata dai capricci del mondo, anche e soprattutto perché di beni di lusso si tratta.



Non è mai stato importante. Io lavoro per vivere e non il contrario. Ora ho più tempo più o meno libero, cosa che mi mancava. Eppure, anche se il tempo ci sarebbe, ancora non mi sono abituata. Sarà che prima, almeno, il pochissimo tempo che avevo lo dedicavo al massimo a una cosa per volta e ora, invece, le butto caoticamente tutte insieme facendo un gran casino.

Ho fatto una serie di cose. Chiuso un contratto sfortunato, ripreso in mano un progetto e ampliato quasi a dismisura - ma ci vorrà del tempo - fatto qualche progresso con le correzioni dell'ultimo lavoro (ma non ho voglia, ne ho un altro lì in attesa di editore e se non trova posto lui...), iniziato l'ennesimo viaggio - credo sia in definitiva un paranormal romance come quello che sto correggendo ma non ci sono vampiri, angeli o demoni di sorta - e come al solito non vengo a capo di niente in modo rapido.

Ho perso molto. Come quello che si stringe in pugno e scivola tra le dita. Tempo, soprattutto. Sabbia. La mia clessidra scorre in modo strano. Da una parte vorrei che il mio tempo avesse un "valore" diverso. Come se non riuscissi a viverlo appieno. Eppure di cose ne faccio, tante, nemmeno male. Perché attestati di stima arrivano spesso e non sempre da amici e parenti. Anzi, sempre più spesso da estranei o conoscenti. 

Poi ci sono le cose che vanno come devono andare e per quelle non c'è molto da fare. Ho sempre pensato che seguire "i segni dell'universo" fosse più intelligente che impuntarsi su qualcosa per non realizzarlo mai, eppure a volte lasciar andare è difficile. Amici, persone, cose, occasioni, sogni. Tutto prima o poi finisce. Ed ecco che in questo periodo di attese - che tutto cambi, come deve - anche troppo lunghe, sento il mondo che mi scivola via. Una sensazione strana che in qualche modo mi spiazza più di una delle tempeste cui sono stata abituata fin qui.
Perché prima tutto avveniva in un botto: tuoni, lampi, inondazioni, tornado. Mi trovavo di colpo aggrappata a un relitto nel mare in tempesta e non potevo fare altro che resistere - che palestra, la Vita - e ricominciare sull'ultima spiaggia. Ora no, ora è come un mandala soffiato via dal vento. Piccoli granelli colorati che da un disegno nitido sembrano "sciogliersi"in miriadi di sfumature indefinite e indefinibili che ancora non formano né un disegno, né un colore distinto. Cambiano in continuazione, come l'umore nei giorni dei primi caldi. Non riesco a distinguere niente di ciò che sarà e un po' mi spaventa.

Sì, il cambiamento spaventa tutti. Sì, prima di costruire bisogna scavare. Sì, va tutto bene. 
Sto bene, a tratti felice. Poi, appena mi abituo un istante al nuovo sentire, ecco che capita qualcosa e tutto sfuma di nuovo. Senza tregua. 
Fortuna che c'è il palo, dove comunque tutto cambia ma almeno so cosa aspettarmi.  Gare, costumi, prove, coreografie, workshop. Fatica, lividi, dolori ovunque, tante risate, qualche lacrima; insomma, pur essendo girevole resta un punto fisso. L'unico colore che non sfuma. 

Sono abituata alla perdita, lo ero alla rinuncia. Oggi ho sicuramente più facilità a lasciar andare le cose, per cui il mondo che scivola non è che mi faccia paura: mi confonde. Troppo lento per i miei gusti e troppo "astratto" per capire a colpo d'occhio se mi piace o meno. Quello che sto diventando, quello che sono, quello che sarò. Il mio futuro.
P.



20.3.17

Due pali e un'anima

Stamattina facevo colazione e chiacchieravo con Massimo, il mio barista quotidiano (che poi ne ho altri del weekend e delle occasioni speciali), che mi ha vista stanca pur essendo lunedì.
Gli ho spiegato che sto preparando un paio di gare di pole, come l'anno scorso, e che mi sto allenando parecchio - più dell'anno scorso, in effetti - per questo motivo. Ecco che nel suo sguardo è apparsa subito una serie di interrogativi. Mi conosce da tempo, sa che non sono una ragazzina, che scrivo, che lavoro eppure non comprende questa cosa della pole, semplicemente perché non sa cos'è.

Ai più viene facile collegarlo con la lap dance e con lo strip tease. Che poi non c'è niente di male ma non sono esattamente discipline sportive, sebbene abbiano comunque un minimo di "arte" anche queste attività.
Diciamo che lui non mi ci vede, a fare strip tease. E l'immagine della signora di mezza età un po' rotondetta che fa gare di pole dance lo lascia perplesso.

Non è facile spiegare, in effetti. Perché poi a un profano che assiste a un'esibizione di exotic certo non viene in mente uno sport (o meglio, è possibile che gliene venga in mente un altro), eppure noialtre non ci vediamo niente di strano.
Perché poi mica gli puoi dire che non è sensuale, questa cosa. Non puoi dire che è solo uno sport come la ginnastica artistica, anche se la fatica e l'allenamento ci si avvicinano molto. E non è un fattore di costumi o tacchi.
Allora io ci provo a modo mio, a spiegare.
A spiegare perché è necessario fare una prova del palco, per esempio. Perché non va bene fare le prove solo sul tuo solito palo. Perché c'è differenza tra quelli che abbiamo a scuola e quelli della gara - o delle gare - perché esiste un palco, perché le dimensioni del palco sono importanti.
E che quelli che compongono la giuria non sono cuochi e personaggi televisivi, ma campioni più o meno noti nell'ambito della pole, professionisti in grado di fare cose che noi umani...

Insomma, non è esattamente "ballando con le stelle". Sono gare sportive in cui contano mille dettagli, perché non è solo la qualità della figura eseguita ma anche l'originalità della combinazione di movimenti, il costume, la presenza in scena. Conta la fluidità del movimento, la grazia con cui si eseguono passaggi faticosissimi. Conta ogni piccola cosa.
E non è che a partecipare siano le ragazze dei peggiori bar di Caracas, ma tra noi insospettabili si aggirano laureate, diplomati, insegnanti, commesse, avvocati e medici. E ci sono bambine e bambini, e ci sono i double. E, sì, ci sono uomini.

Non è facile, perché poi a chi arriva "da fuori" non sembra così faticoso, a volte. Non sono in grado di giudicare l'esecuzione più o meno come io non saprei avere occhio per un "fuori gioco" pur sapendo che cos'è. Insomma, si vede una bella ragazza appesa a testa in giù e non si pensa a quanta fatica stia facendo a tenersi con il collo del piede e un'ascella mentre esegue una spaccata.
L'incognita del "grip" - la presa della pelle sul palo, che consente di eseguire le figure senza spiaccicarsi al suolo - che varia a seconda del clima, della stagione, del locale, del materiale del palo, del proprio sudore, della propria alimentazione. L'incognita dello "spin", ovvero di quanta energia occorre a seconda del palo per avere una rotazione costante ed eseguire la propria combinazione.
Insomma, uno da fuori vede lo spettacolo - che in parte è ciò che conta - ma non sempre coglie il resto.
A volte mi rendo conto che parlerei per ore di questo.

Non c'è niente da fare, è che mi piace. Come ogni volta che qualcosa ci appassiona, finiamo per riempire la testa agli altri, magari senza dirgli le cose essenziali, tutte tese a fare distinzione tra quello che si pratica nei night (che poi volendo si potrebbe anche fare pole dance seriamente nei night ma a chi interesserebbe?) perché si teme di fare una brutta impressione con gli amici. Perché di pregiudizi ce ne sono tanti, pure troppi, soprattutto se si pratica uno sport e si è donne.
Che poi che male c'è a essere sensuali non lo so. Ma si vede che non siamo ancora pronti. E non si vede solo da questo.
  

11.3.17

Occorre ingannare la mente

A volte la paura mi paralizza.

Non che io non riesca a muovermi, ma sapendo a cosa vado incontro a volte non ho voglia di farlo. Diciamolo: chi ha voglia di insistere nel fare una cosa fino ad avere lividi e calli, e vesciche? Una pazza, o una ballerina. O una pole dancer.
Per questo, quando devo mettermi lì a provare una nuova posizione - cosa per cui è quasi assicurato almeno un livido - è probabile che io debba ingannare la mente e il corpo. Perché sapere che mi farò male mi impedisce di provarci seriamente.
Ma non è di pole che voglio parlare.

A volte la paura mi paralizza.

Perché mi aspetto qualcosa e quel qualcosa potrebbe non arrivare, non essere come immaginavo, deludermi, ferirmi. Perché per quanto io tenti di essere consapevole la mia tendenza è immaginare di non poter arrivare dove voglio, anche. Per cui inutile tentare, meglio lasciare che tutto si perda in niente pur di non subire la cocente sconfitta. Meglio inventare una scusa qualsiasi, meglio restare qui ferma in un angolo a soffocare.
Come per pole, quando imparo la teoria ma non la metto in pratica. Studio e ripasso ogni cosa, so quali sono i punti d'appoggio e le leve, so quale movimento devo fare, quale sforzo comporta. La so spiegare alle mie compagne, tecnica e precisa, ma non eseguo la figura e vivo a metà.

A volte la paura mi paralizza.

Non oso. Non esco dalle mie certezze e incolpo gli altri della mia sfortuna, del mio essere infelice e incompresa. Mi lagno, cerco conforto e resto dove sono: infelice, con il mio dolore, con le mie paure che non cambiano mai.

E ora che me ne rendo conto, non è il caso che mi muova? Non è il caso che cominci a pensare a me in modo differente? A ingannare la parte di me che mi vuole piegata e impaurita, dipendente dalle conferme del mondo, sempre bloccata nel mio angolino? Non è il caso che cominci a pensare a me come meritevole di felicità e come a una persona completa? Non è il momento di fare tre passi veloci e lanciare la gamba, sicura che la mano agganciata al palo mi sorreggerà?
C’è un momento in cui è necessario saltare, come una piccola Indiana Jones che salta nel vuoto e trova una passerella invisibile verso il Graal. Convincersi che si può fare, si può amare, si può dare, si può volare anche senza la conferma del mondo.

Che poi al mondo che gli importa se tu te ne resti nell'angolo o se spicchi il volo in un azzurro accecante? Niente. Importa solo a te, a me. A chi si lascia bloccare da quella parte demoniaca che non vuole essere felice. Ci vuole poco, in realtà basta crederci. Illudersi che tutto sia possibile finché non lo diventa.
Finché non si diventa quello che si vuole essere davvero.
Finché non vediamo ciò che sembra invisibile...

18.2.17

Ora

So che Easy (il mio migliore lettore e commentatore, che spero di poter chiamare amico) si aspettava una maggiore assiduità. Forse in qualche modo anche io...
Io che mi lamentavo del tempo che manca, io che faccio sempre più cose di quante potrei umanamente reggere e che comunque reggo; io che ho sempre amato questo posto come fosse il mio rifugio...
Sono stata assente, ho fatto altro: finito di correggere un mega-romanzo, finito di scriverne un altro un po' più smilzo, iniziato a correggerlo, iniziato ad ampliare un altro progetto, iniziato il secondo spin off de "Gli attimi in cui Dio è musica" - che sarà disponibile su Wattpad - e... tutto questo oltre al lavoro, alla casa e alla pole. Agli amici, alle cene, alle passeggiate...
Ora, probabilmente, avrò più tempo. Ma non sono sicura di riuscire a definirlo "tempo libero".
Ché nella vita succedono cose e non sempre sono negative come sembrano.

Quindi non so se sarò più assidua, ci proverò. Intanto vivo, e sono felice. E ho un mondo di possibilità tra cui voglio scegliere al momento giusto, per il mio bene, senza paura.


Come quando affronto la vita a testa in giù...

Alla fine è tutta questione di conoscere i propri limiti, di sfidarli un pochettino quando si è sicuri della propria "tenuta", di chiedersi spesso se è davvero quello che si vuole e osare cambiare quando si è sicuri di cosa si desidera davvero.

Perché continuo a pensare che il tempo sia poco, sempre troppo poco per perderlo sopravvivendo. Dopo aver scoperto chi sono e cosa voglio, non mi resta che andare...


Osare.

Cambiare prospettiva...
Vivere.

Ora.

28.1.17

Prospettive

Le giornate passano, le notti volano via.
Ho ricominciato a scrivere, a correggere e a progettare.
Faccio mille cose insieme, come sempre. Scrivo nella pausa pranzo, correggo dopo cena, progetto nel frattempo. E, siccome mi sono iscritta a una gara di pole, insieme a lavoro, casa e scrittura, sto anche pensando alla coreografia - al costume, al trucco, alla musica, ai capelli, ad allenarmi, a non farmi male, a dosare ogni cosa - e a ciò che farò nella gara successiva. Perché non riesco a stare ferma.
La mia testa, il mio corpo. Il mio cuore.
Sento, finalmente, l'energia che mi mancava. E sorrido. E ho voglia di andare incontro a questa cosa. Perché l'aspetto da tanto.

Ed è successo di colpo, come se all'improvviso mi si fosse ribaltato tutto. Se prima non vedevo che ombre, come appesantita dalla fatica di questi anni - fatica di cui sono, anche, felice - e impossibilitata a vedere oltre, ora vedo solo oltre. Non c'è qui e ora che tenga, senza la visione di ciò che sono oltre.
Perché non è un "oltre-futuro", è un oltre e basta. Con la consapevolezza del presente ma con la visione chiara di me. Di ciò che sono e voglio essere, di ciò che aspetto, di quello che voglio costruire, di ciò che non desidero.
Una prospettiva diversa, che non avrei valutato o immaginato, in cui io, finalmente, sorrido.
E sorrido tanto, e mi diverto e creo.
Invento, oppure sistemo cose già pronte. Osservo il mondo che mi circonda, le piccole cose che incontro, e rielaboro.
Ho voglia di andare avanti. Mi piace chi sono e mi piace chi sarò.


In questo periodo ho pensato molto, anche al passato. Non per assurde nostalgie (che peraltro non esistono) o con rimorsi e rimpianti. Ho capito che ho scelto molti dei miei errori, ho capito perché, ho capito cosa mi ha lasciato ogni incontro. Ho capito che alcune cose non fanno più presa su di me. Che non sono più disponibile e gentile, educata. Che semplicemente so quanto valgo, e non mi importa se per gli altri valgo più o meno di ciò che penso. Che non permetterò a niente e nessuno di abbattere questa mia nuova prospettiva. Obliqua, forse. Ma ora passo molto tempo a testa in giù e la vista è differente. Più nitida, più dolorosa a volte, più reale.

P.S: se vi state domandando se mi sono accorta che la foto è storta... sì, lo so. Non è meraviglioso? 

9.1.17

How I met the pole...

Lo ammetto: nella mia mente perversa c'è sempre stato un posticino in cui sensualità e provocazione la facevano da padrone. In quel posticino, anche quando ancora non sapevo che cosa fosse, "il palo" ha spesso visitato la mia fantasia. Qui era ancora collegato alla lap dance: un semplice simbolo fallico cui delle pseudo ballerine dedicavano le attenzioni portando dei maschi a immaginare chissà quali performances. Un attrezzo che poco aveva a che fare con sport e arte, insomma.
E ancora qualche anno fa, anche se la pole dance stava iniziando a prendere piede, il collegamento veniva facile.


Quindi, appena ho scoperto che c'era la possibilità di imparare questa disciplina, mi sono detta che non avrei potuto fare un corso di pole. Alla mia età? Nella mia scarsa forma fisica? Ho sparso la voce tra le amiche un po' più giovani e abituate alla palestra e mi sono rassegnata. Per un po'.
Poi, due anni e mezzo fa, su Facebook ho letto che la Turin Pole Dance Studio faceva delle prove gratuite e ho deciso che non era importante se ero "vecchia", se ero "grassa" e non facevo sport da tempo: almeno la prova l'avrei fatta. Non ho più smesso.
Ah, non che non ci abbia pensato.
Ho passato i primi mesi a non riuscire a fare che la metà delle cose che mi venivano mostrate e quello che facevo non era esattamente aggraziato o sensuale. Avevo cercato dei video su Youtube e il primo che ho visto, oltre a farmi innamorare ancora di più, mi faceva sentire decisamente inadeguata.


Quarantacinque anni, sovrappeso, non credevo di avere una sola possibilità. Nemmeno di riuscire a salire semplicemente sul palo. Anche Natalya, la mia insegnante, pensava che avrei mollato. Invece, oltre a raddoppiare la frequenza, ho anche abbandonato la classe delle "over" e mi sono mischiata con le ragazze. Se da una parte era stimolante, dall'altra ho avuto qualche difficoltà iniziale ad accettare il fatto che imparavo più lentamente e che ad alcune cose sarei arrivata forse nella prossima vita.
Però ho continuato. E continuo.
A settembre facevo la mia prova, a gennaio la prima vera salita fino in cima. Lenta, goffa e affaticata.
Poi il resto. Un po' per volta, iniziando anche a capire come eseguire le posizioni anche quando non ci riuscivo (ora sono un mostro, in teoria; per la pratica continuo con i miei tempi), osservando e aiutando chi riusciva prima di me.
Ho fatto molti anni di danza, so che posso contare sulla forza delle gambe. So che le braccia sono ancora deboli e che la mia schiena fatica molto a piegarsi: che la cervicale - mia compagna da quando ho avuto un incidente in macchina, nel 1989 - non mi permette alcuni sforzi, che sono ancora troppo pesante. Ma posso migliorare.

Ho deciso che ho tempo per diventare molto brava. Posso gareggiare finché mi reggo in piedi e ci sono delle meravigliose signore over 60 che fanno la loro figura alle competizioni internazionali.
Quindi, perché no?
Intanto continuo ad allenarmi, tra pole ed exotic, almeno tre volte a settimana. E questo, anche, mi rende felice. Anche quando non mi sento brava per niente.