31.1.08

New Delhi a 10 anni

Al mio risveglio, dopo il brutto colpo con la mummia fuori dall'albergo, ho fame.
"Three teas, three toasts", in bocca a Gianni diventa "Tritì, tritost, tut tritè", mentre ordina la colazione ad un indiano perplesso. Io rido e mamma è in bagno che si lava i denti con l'acqua minerale. Mi guardo intorno, rido ancora e realizzo: "Cavolo, sono in India!"
Come se il viaggio, l'arrivo e l'avventura fuori dall'albergo fossero sogni o ricordi di un'altra vita. Stavolta, dopo colazione, usciamo sul serio.
Dentro di me so che non mi sconvolgerò dinuovo. Infatti, niente di quel che vedo sembra darmi il minimo turbamento. La mia flemma british, quella che tanto fa innervosire la mia entusiasta mamma, ricompare. Osservo, annoto, imparo. Ma non mi lascio più scuotere.
I lebbrosi per strada, le bancarelle col cibo buttate sui marciapiedi, gli sputi rossi delle foglie di betel e i denti dello stesso colore degli sputatori.
Ho dieci anni e sono su questa via di Delhi e non faccio più una piega.
Osservo bancarelle di vestiti, di gioielli, di oggettini di qualsiasi genere. I colori, le fantasie, l'imperfezione della lavorazione artigianale che in certi casi è evidente anche per me. In fondo sono sempre con mia mamma nel suo magazzino, gli oggetti sono diversi, ma le piccole sbavature sono le stesse ovunque.
Mi piace guardare i volti delle persone. E a loro piace guardare me, perchè sono piccola, biondissima e molto bianca. Dal loro punto di vista perfetta.
Sono una bambina, ma non mi è difficile notare la differenza tra il nostro albergo e le brandine sfondate in cui le persone dormono nei loro negozietti. Che poi sono come dei box per auto pieni di scaffali.
Gli odori sono dolci e persistenti, ti inseguono ovunque tu vada. Quasi come i miei coetanei, che chiedono l'elemosina con un'insistenza snervante. Ti corrono dietro, ti toccano le braccia, ti chiamano. E tu non puoi dare niente.
Mamma mi ha raccontato di quando, la prima volta in India, aveva dato una moneta ad un ragazzino. Era subito stato aggredito dagli altri ragazzi, perchè quella moneta era una moneta che non si era guadagnato e ne aveva diritto quanto tutti i suoi compagni.
Onde evitare nuovi pestaggi, mamma ci aveva detto di non dare monete a nessuno, con una sola eccezione: se il bambino ci portava un pacco dal negozio all'albergo.
Il caos, fuori dall'albergo, era costante. Vecchie auto, guida inglese, colori improponibili tipo il verde oliva o il bianco latte. Biciclette, carretti, pedoni, mucche. Tutto buttato in strada, tutti insieme appassionatamente, tutto assordante.
I posti per turisti sono immersi nel lusso. Giardini tenuti con precisione maniacale in cui puoi fare la foto col pitone al collo (proibito, avendo accanto mia madre) o puoi goderti il fresco con una Limca con cannuccia, assaporarne l'improbabile gusto di limone un po' troppo zuccherato. Tutti sono carini, sorridenti. Tutti cercano di renderti felice.
Ma un sottile filo di tristezza ti tiene ancorato alla realtà che aspetta fuori, anche alla mia età. Anche quando la foto col pitone è più importante del pranzo.
I tappeti dell'albergo sono consumati e bucati. I camerieri del piano ci dormono sopra, vestiti, per esser lì se hai bisogno. Senza un cuscino, senza una coperta. Col loro turbante stropicciato e storto. Si alzano di scatto quando ti sentono arrivare e si inchinano per salutarti e tu ti chiedi perchè lo devono fare...
La città è bella. A me non interessa, perchè sono più attratta dalle magliette con la stampa di Guerre Stellari e dalla bellezza delle donne in sari. Sono attratta dal colore che mi investe in ogni luogo che vedo, dalla luce strana che emana. Sono attratta dalle mani veloci dell'uomo che cerca di venderci un attrezzo per ricamare. Attrezzo che lui usa in modo naturale e che in mano a me perde ogni proprietà.
Mi piace l'odore che sento, mi piacciono le voci e gli sguardi. La musica e le danze. Lo spettacolo della vita in quel mondo così difficile.
Mi incuriosisce questa gente, i cui taxisti dormono sul sedile posteriore delle loro auto in sosta. La forza che mostrano anche se sono pelle e ossa. La capacità di lavorare in posti ricavati dal nulla, di cucire un paio di pantaloni in dieci minuti. Il modo di stare accucciati sui loro polpacci senza cadere, le strane gonne degli uomini, l'apparente calma con cui fanno tutto.
La flemma con cui affrontano la giornata, il rituale della contrattazione. I cibi pronti sul ciglio della strada, un viavai formicolante.
I palazzi dei ricchi non hanno fascino per me, anche se ne posso comprendere la bellezza. Restano una cosa astratta rispetto alla massa di vita che si muove in città.
Restano negli occhi, ma non nel cuore...

26.1.08

Si, viaggiare...

A costo di sembrare una fissata, caro alieno, torno a parlare di mezzi pubblici...
La scorsa settimana, dopo averglielo promesso da una vita, sono andata a trovare la mia amica russa in Liguria. Approfittando di internet ho vagliato ogni possibilità concessa dalle ferrovie, non essendo dotata di altro mezzo che i miei piedini numero 36.
Ammetto che la mia amica è andata a vivere in un posto non proprio comodo da raggiungere, ma per amor suo ho deciso di affrontare un viaggio di almeno 4 ore (il diretto) su un nuovo mezzo, ovviamente per te, visitatore.
Io ero abituata, da ragazza, ai viaggi in treno. Ci passavo abitualmente un paio d'ore al giorno. Non che mi dispiaccia nemmeno ora, solo che a lungo andare e invecchiando, trovo meno poesia in quello che vedo intorno a me.
Per raggiungere Porta Nuova, la mia stazione di partenza, ho usato la nuova metro. Non che sia una appassionata del viaggio sotterraneo, di solito preferisco avere cose da guardare mentre mi sposto, però era comoda e a portata di mano...
Il divario tra le nuove stazioni della metro e la vecchia Porta Nuova mi sembrava enorme. Io la amavo quella stazione! Mi piaceva arrivarci, aspettare che il treno partisse, mi piaceva adirittura il sottopassaggio buio e sporco, pieno di personaggi inquietanti e di venditori ambulanti.
Ho deciso, per la prima volta in vita mia, di viaggiare in prima classe. Un po' una stranezza per me che sono abituata a cercare il risparmio anche quando non serve.
Ora, il vagone con la prima classe era datato come il resto del treno. All'esterno la scritta era evidente, un solo piccolo scompartimento in un treno regionale, di sabato mattina.
Entrando ho subito notato che la scritta "prima classe" era fatta a pennarello rosso (indelebile, ovvio) sulla porta. Rotta. Ad ogni frenata o accelerata, la porta si apriva di qua o di là, accompagnando il viaggio con un ondeggiare costante.
I sedili erano comodosi, sporchi a sufficienza come i vetri e i pavimenti. L'aria riscaldata puzzava di polvere antica e scottava i piedi. Dopo aver assicurato il sacchetto col limoncello fatto con le mie manine per la mia amica, ho cercato di sistemarmi per il viaggio.
Tutto bene. La signora davanti a me mi puntava le ginocchia nelle ginocchia, ma io sono paziente. Poi si è addormentata e ho assistito al suo sonno con tanto di filo di bavetta per tutto il tragitto.
Fortuna che esistono i lettori di mp3, così mi son goduta il viaggio tra la neve del cuneese, i dirupi del Tenda e la vista del mare da Ventimiglia in poi. Gallerie permettendo.
Colta da urgente necessità, tipica femminile, mi son dovuta recare in bagno.
Capisco il motivo per cui in treno i bagni si chiamano "ritirata", visto che solo a guardarli da fuori ti viene da scappare, ma la necessità... ahimè...
Rimboccati i pantaloni (che la moda vuole lunghi ma che poco si addicono al pantano), facendo attenzione a non toccare nulla con la borsa, con le mani, con le gambe, con il pensiero... faccio la pipì tentando di non peggiorare la situazione nel locale. E ce la faccio. Ma guarda, mi dico, basta fare attenzione...
Et voilà, il treno arriva a destinazione con un'insolita puntualità, cui ovviamente il fato rimedia col ritardo del marito della mia amica.
Relax (...insomma...) familiare con 2 bimbi bellissimi e finalmente la mia amica, notte veloce e dopo pranzo, la domenica...
Viaggio di ritorno, sempre prima classe, bellissima, semipulita, vuota o quasi (quindi impossibile mollare il bagaglio e scappare alla ritirata) silenzio assurdo, controlli frequenti, mezz'ora di ritardo... E io che avevo un appuntamento e speravo in una doccia rilassante, rigenerante, tonificante...
Approfittando del giorno che passava ho letto più o meno 200 pagine in tutta calma. Ho guardato il paesaggio che cambiava, ho messaggiato col cellulare con altre persone vicine e lontane, ascoltato vecchi album anni 80 perdendomi nei ricordi. Un po' di tempo per me.
Per poi rituffarmi nel caos cittadino e riprendere la corsa.
Insomma, caro alieno, ne ho dedotto che almeno al 50% hai la probabilità di viaggiare bene anche se in ritardo. Continuo ad apprezzare più i mezzi pubblici che quelli privati, nonostante le varie scomodità e la perdita della visione poetica di alcuni aspetti del mondo.
Certo, ci sono orari, i soliti problemi legati allo spostare più persone nello stesso tempo, persone con esigenze diverse, con abitudini e modi differenti tra loro.
Il vantaggio è poter disporre del tempo in cui si è obbligati a far niente. Cosa che mi sembra sempre più un lusso.
Quasi quasi lo rifaccio!

22.1.08

Hoy

Sono ancora capace di perdermi nei tuoi occhi.
Anche se tu pensi che tutto sia cambiato, che io non provi più le stesse cose. Ti sbagli.
Sento ancora l’odore della tua pelle e la dolcezza dei tuoi sguardi colpisce sempre nel segno. Nella mia mente non c’è tempo o spazio che possa dividerci, ormai.
Sono cambiate le mie parole, le cose che dico per te non sono più come le ricordavi. Ma le parole sono solo parole e alla fine non importa molto quante e quali si perdono e non si ripetono più. Le sensazioni, quelle non cambiano, l’idea che il destino ci abbia fatto incontrare ancora una volta, che in qualche modo non avessimo scelta.
Riesco a toccarti senza che il cuore impazzisca, ma non significa che si sia spento quello che un tempo lo faceva battere.
Mi ricordi un tempo passato, uno mai venuto. La dimensione in cui hai vissuto.
La dimensione in cui vivo io.
Non sono lontana, non lo sono mai stata. Continuo a vivere sotto alla tua pelle e non smetterò di respirare al tuo stesso ritmo nemmeno quando saremo fisicamente distanti. Non è quella distanza che conta, non per me.
Io vivo di distanze sfalsate, di vite sovrapposte e di emozioni che in qualche modo mi appartengono anche senza essere mie. Vivo in un mondo che non comprendi appieno anche se ne senti la poesia.
Vivo nella luce che brilla nei tuoi occhi…

8.1.08

Here is the house

La penombra ci avvolge, tiepida, a casa tua.
Un incontro fugace, il nostro. Un momento che desideriamo e che rubiamo ad altri, come sempre. La nostra storia è costellata da incontri come questo. Anche se stavolta è diverso.
Con lei è diverso, per te.
La mia pelle è casa tua, le tue braccia ed i tuoi baci sono la mia. Non importa se con lei dividi questa casa che abbiamo intorno. Non importa se ci sono tracce di lei ovunque.
Andrò fino in fondo e lascerò che tutto accada. Come deve essere, come succede sempre, come è stato finora e come sarà ancora se lo vorremo...
Sei così morbido sotto le mie mani, che mi sembra ogni volta di scoprire la tua pelle mai toccata prima. I tuoi baci che sanno del tuo amore, che sanno di cose che non ci diremo mai.
Quei baci che sembrano dati con la disperazione dell'ultimo incontro, che sembrano giungere da un bisogno che entrambi abbiamo di sentirci uniti.
Siamo nudi, abbracciati. Il letto è quello in cui dormi con lei. Non riesco a non pensarci e non so dire che sensazione mi dà. Potere assoluto o umiliazione. Vittoria o atto di vigliaccheria.
Non possiamo fermarci, non abbiamo mai potuto scegliere. Siamo selvaggi. Abbiamo bisogno di questa lotta all'ultimo sangue tra quello che vorremmo e quello che abbiamo. Tra il desiderio di vivere un sogno e la paura di staccarci dalla realtà.
Meglio che il nostro resti un sogno.
Rotoliamo insieme nel nostro amore, nella nostra unione totale. Il tiepido si fa caldo e il lento si fa più rapido.
La pelle sfiora la pelle, le bocche si uniscono e lei ci guarda dalle foto. Devo fare l'amore con te sotto ai suoi occhi. Ancora una volta con te e con la presenza di un'altra donna.
Certo, c'è un altro uomo. Ma non sono mai così reali. Non ci sono mai davvero nella mia vita.
Tu mi costringi a questo confronto e io voglio talmente tanto il tuo contatto che sono pronta a qualsiasi cosa. Fare l'amore senza guardare altro che i tuoi occhi, per paura di incontrare i suoi. Per credere ancora una volta che siamo soli. Di essere l'unica di cui ti importa.
L'unica di cui ha bisogno come dell'aria. In fondo è stato così per tanto tempo...
I movimenti sono i nostri, non c'è cosa che non risulti armonica tra noi. Ti muovi dentro di me come in un posto che conosci alla perfezione, sai dove toccare la mia pelle e quante volte devi baciarmi per sapere cosa sento.
Oh, diavolo, lo sai.
Eppure c'è qualcosa che mi impedisce di essere completamente con te, ed è lei che appare in ogni angolo, in ogni piega di queste lenzuola, nell'odore dell'aria. So che lei è sulla tua pelle anche se hai fatto la doccia. So che ci resterà anche dopo che avremo finito e ti sarai fatto una nuova doccia.
Lei è la realtà, io sono solo la tua anima. Sono quella che per te c'è sempre, le braccia semplici in cui ti rifugi, il corpo in cui riposi, su cui dormi sonni tranquilli. Sono quella che ti ama nonostante tutto, anche quando vede le tue contraddizioni, quella che resta nella penombra mentre tu vivi la tua vita sempre con qualcun'altra al fianco.
Altre che non sono come me, che ti chiedono di più e che sanno come infilarsi nella tua vita.
Io no, non ne sono capace. Aspetto che tu mi prenda con te, fisicamente, perchè il resto è tuo da anni.
Facciamo l'amore. Un'ora e mezza per noi due, per la nostra sete di vita che sappiamo di trovare solo nelle nostre braccia unite. Quando siamo vicini diventiamo altro. Pelle, carne e anima di un unico essere che nasce e muore in noi.
Tutta la tenerezza di cui sei capace, tutto l'amore che so darti, tutto in questa casa, in questa stanza. Poi basta.

4.1.08

Why?

Tu che ne sai?
Non hai idea di che cosa sia stata la mia vita. Eppure mi guardi e mi parli come se mi conoscessi.
Il sale che si è asciugato sul mio viso, il buio che ha coccolato i miei sogni di sangue. Le cose che sapevo e che ho ignorato. Quanto ho amato chi ha deciso di morire e quanto non ho saputo amare chi amavo nel modo e nel momento giusto. La mia paura, la mia voglia di fuggire.
Sono cose che non so dire e che sento nuotare nel mio sangue ogni giorno, sempre presenti nel mio cuore. I miei parassiti sono le cose che mi mancano, quelle che non ho saputo guadagnarmi, meritarmi, concedermi.
I giudizi che io stessa mi sono data, senza darmi tregua. Mentre cercavo di sopravvivere.
Ho visto sparire il mondo intorno a me, mille volte. Non mi spaventa sapere che non esiste.
Sono una pazza, credo nella vita e nella vita soltanto anche dopo i suoi regali.
Quanto ho desiderato fare cose che non ho fatto, quante cose sono stata costretta a fare senza volerle. Quanta violenza nelle persone che ho avuto accanto nel cercare di distruggermi.
Tutti questi anni a guardarmi e non sai chi sono. Ed io che cambio, che mi ricostruisco, che sogno ancora nonostante tutto. Che lotto senza forze per fare che una piccola parte di me venga fuori.
Le volte che ho accarezzato la nera morte con offerte che non ha accettato, senza mai davvero lasciare che si spegnesse la scintilla che mi teneva in vita.
La speranza che prima o poi qualcuno avrebbe saputo leggermi dentro e non morire. Che qualcuno avrebbe scoperto chi sono e riso con me della stupidità delle aspettative umane.
Invece, pieni di parole, tutti si sono immaginati me.
La carne non è mia. Una prigione.
Quante e quali parole hanno usato per schiacciarmi, umiliarmi, distruggermi. Ed io che ho lasciato che uccidessero ogni volta una parte di me. Fino a restare una briciola di quello che ero, una parte infinitesimale e insulsa.
Non sai chi mi ha ferita e quanto, non sai che chi non voleva farlo l'ha spesso fatto più di chi si è accanito, non sai che il bianco della pelle è un'unica cicatrice che mi ricopre.
Che ricopre quel che resta di me e che non mostra quel che sono.