29.5.10

10 - chi l'avrebbe mai detto?

Dieci anni fa era mercoledì.
A quest'ora stavo mangiando ai "Quattro Soldi" con mia madre, mio padre, sua moglie, mio fratello, una amica, mio marito e un suo amico. Era il nostro pranzo di matrimonio. Fatto apposta con pochi intimi perché ci andava così. Niente foto, niente riso, niente casino, tagli di cravatte e varie. Niente abito di lusso e auto a noleggio.
Dopo un ottimo pranzo abbiamo spedito tutti a casa e ci siamo riposati. La sera ognuno ha rispettato i propri impegni e via. Il giorno dopo di nuovo al lavoro.
C'è chi pensa che un matrimonio simile non sia il massimo delle partenze. Fatto sta che tra una cosa e l'altra sono passati dieci anni e nessuno dei due ha ucciso l'altro. Ci sono state crisi, liti, incomprensioni. Molti momenti in cui ho pensato di non farcela. Invece no. Alla fine l'equilibrio c'è. Forse anche perché ho trovato il mio, perché siamo cresciuti (oddio non ci siamo sposati di primo pelo, quindi siamo più che altro invecchiati).
E oggi, mentre fuori decide se piovere o meno... si festeggia!

27.5.10

Tea for two, pausa riflessiva.

Ci sono cose che tu non sai di me.
Forse sono cose che non vorresti nemmeno sapere, perchè sono quelle che mi hanno resa ciò che sono: irrimediabilmente diversa da te. Mi hanno ferita, in parte. Mi hanno fiaccata, stancata. Hanno fatto in modo che io mi rifugiassi altrove ogni volta che potevo. Che io sognassi posti, vite diverse dalla mia.
Un tempo, forse, sono stata felice. Sempre un po' troppo seria nell'affrontare le cose, attenta a non sbagliare. Ho pagato le scelte di tutti, le ho pagate con chi ha scelto per me. Per un periodo sono anche stata arrabbiata con la vita. In definitiva non l'ho mai amata veramente.
Ho visto tutto ciò che avevo portato via da altri, giorno dopo giorno. Ho rinunciato a mille cose, non ho mai chiesto più di quanto sapevo che avrei potuto chiedere. Sono stata attenta e buona. E non ho smesso di sognare quelle vite che non avrei mai potuto avere.
Sei fortunato, tu.
Hai avuto tutte le occasioni, la famiglia, i viaggi, qualsiasi cosa ti servisse. Senza sacrifici particolari, senza contare i soldi che ti restavano a ogni pacco che mettevi nel carrello. Senza paura. Senza umiliazioni.
Forse alcune cose me le sono cercate, non lo facciamo tutte? Forse ho fatto qualche errore di valutazione pensando che almeno il rispetto fosse d'obbligo. Non lo è. E mi dispiace che alcune volte a non rispettare sentimenti, desideri e volontà siano state le persone più vicine.
A farmi sentire diversa in quel senso che solo una diversa può capire.
Non sono mai stata dei vostri.
Ho sempre pensato che la libertà fosse più importante di tutto, ma non la mia. Quella di ognuno. Il resto era questione di coscienza. Nessun principio, nessuna morale imposta. Nessun obbligo se non il rispetto, ancora. La libertà degli altri di fare cose che io non farei, perché sapere di poterle fare a volte è abbastanza.
Non sono abituata alle cose comode, forse non mi ci abituerò mai. Anche se adesso, dopo tanta fatica, posso dire che sto molto meglio. Non credo di essere felice. Stare bene è già una gran cosa. Lo so che non mi capisci.
Mi guardo intorno e non vedo il mondo che vorrei vedere. Questo sarebbe più importante della mia felicità. Mi guardo intorno e non vedo il futuro. Vedo sofferenza, tristezza, paura, violenza, fame, avidità. Vedo quello che non voglio per me.
La mia vita mi ha resa ciò che sono. Questo mi piace, ma non auguro il mio percorso ad altri. O forse dovrei.
Mentre tu parli di fiducia io parlo di speranza. O della loro mancanza. Tu parli come se dovessi perdere qualcosa, io parlo come se non potessi dare. Io che non ho più grandi cose che mi appartengono, io che non voglio avere cose che mi leghino a un tipo di vita che non mi piace. Io mi preoccupo di non poter offrire. E tu?
Tu ridi di cose che non conosci senza pensare che hanno ferito altre persone. Ti preoccupi per te stesso senza pensare a chi non è stato mai così fortunato nella vita da poter scegliere qualcosa. A chi ha vissuto di scelte di altri e ne porta sulla pelle le cicatrici. E in qualche modo giudichi, in qualche modo ti ergi sopra di loro e speri di non cadere da lassù.
Mi dispiace così tanto. Mi dispiace così tanto. Mi dispiace così tanto...

Visione lucida, pure troppo...

Tra le altre citazioni ricavate da "L'ombra del vento" di Zafòn, questa spicca, o forse no. Ma ci prende.

"- La gente è cattiva.
- Non cattiva - replicò Fermin. - Idiota.E' ben diverso. La malvagità presuppone un certo spessore morale, forza di volontà e intelligenza. L'idiota invece non si sofferma a ragionare, obbedisce all'istinto, come un animale nella stalla, convinto di agire in nome del bene e di avere sempre ragione. Si sente orgoglioso in quanto può rompere le palle, con licenza parlando, a tutti coloro che considera diversi, per il colore della pelle, perché hanno altre opinioni, perché parlano un'altra lingua, perché non sono nati nel suo paese o, come nel caso di don Federico, perché non approva il loro modo di divertirsi. Nel mondo c'è bisogno di più gente cattiva e di meno rimbambiti."

21.5.10

Bah!

Certe volte va così. Certe volte la gente ancora mi stupisce, ma per lo più mi annoia a morte. Con tutte le paranoie che si trascina dietro, con l'arroganza, la supponenza, l'ignoranza con cui si distingue.
Chiariamo: ho le mie belle paranoie anche io, mi guardo allo specchio e non ci trovo una diciassettenne. E ciò mi preoccupa. Poi mi ricordo che ho 40 anni e che sarà difficile che torni diciassettenne in questa vita. Insomma, se mi concentro un tantino, quanto basta, mi rendo conto della realtà e ne prendo atto. Non pretendo che il mondo giri tutto intorno a me, che le mie puzzette sappiano di violetta o che la gente incontrandomi si inchini.
Sto partecipando a un torneo letterario, sì che non ho un cavolo d'altro (e di meglio) da fare. Fin qui tutto bene. Se non fosse che a un certo punto, mossa da curiosità riguardo all'identità degli altri partecipanti (tutti obbligati all'uso dello pseudonimo onde evitare inciuci), ho cominciato a leggere i vari commenti sul blog relativo e soprattutto sulla pagina facebook dedicata all'evento. Ecco, non dovevo farlo. Andava tutto bene; avevo da leggere e valutare lavori altrui mentre gli altri facevano lo stesso col mio. Poi, con la conclusione della prima parte del torneo tutto è diventato assurdo. Già prima c'erano dichiarazioni di voto inquietanti - che dare 2 a qualcuno mi sembra più un fatto di cattiveria che un giudicare sereno - poi hanno cominciato a sorgere dubbi riguardo all'onestà di chiunque. Dagli organizzatori del torneo ai vari partecipanti, con la pretesa di essere il classico genio incompreso escluso da giudizi di gente ignorante (essendo ognuno giudice e scrittore allo stesso tempo si prospetta l'orrenda visione di scrittori ignoranti...).
Insomma. Da un torneo eccezionale, viste le prime esclusioni, si è giunti a un torneo truccato, insulso, stupido pieno di "altri" che pretendono di saperne più di noi...
E che palle! Possibile che non si riesca a 1) giocare secondo le regole, 2) capacitarsi della propria esclusione 3) accettare i giudizi di un altro con serenità senza cominciare con le teorie del complotto e darsi addosso come delle bertucce?
Il mio criterio di giudizio è stato semplice. Dando per assodato che non si trattava di letteratura alta ho valutato poche cose come la grammatica, l'originalità e l'emozione che uno scritto mi dava. Non ho infierito sui lavori che non avrei mai acquistato e non ho esaltato quelli che mi piacevano, ma che avevano dei limiti.
Sì, alla fine sono stata esclusa anche io, ma non è grave. Affatto. Sapevo che il mio lavoro aveva dei limiti, non ho mai preteso di fare letteratura, a me piace raccontare storie a chi le vuole ascoltare. Altrimenti liberi di non ascoltarle. Ma non mi sogno nemmeno un attimo di fare l'offesa. Non avrebbe senso.
Sarei esattamente quello che non voglio essere.

18.5.10

Pane, burro e zucchero

Tra gli otto e i dieci anni non c’era momento in cui non avessi un libro in mano. Come aprivo gli occhi al mattino, se non ero obbligata ad andare a scuola (cosa che ho sempre detestato) avevo un romanzo in mano. Roba semplice, per iniziare. Poi sempre più complicata.

Capitava spesso che mangiassi con un libro aperto davanti, senza ascoltare una parola di ciò che mi veniva detto e trangugiando la minima quantità di cibo indispensabile per la sopravvivenza. Così, anche quando al mattino mi alzavo, la prima cosa che facevo era aprire un libro e leggere facendo colazione.

La nonna Mity mi portava anche la colazione a letto. Qualche volta mi preparava pane, burro e zucchero. Io mangiavo e leggevo.

Qualche anno dopo, quando la nonna non c’era già più, mi è capitato di riaprire quei libri. Tra le pagine, indelebile, l’odore di pane, burro e zucchero mi ricordava di tutte le volte che la nonna mi ha salvata. Dalla noia, dalla banalità, da una vita senza sogni.

Adesso, ogni tanto, vorrei poter aprire ancora qualche libro con quell’odore. L’odore dei sogni ancora da realizzare, i miei.

Uffa

In questa primavera bizzarra ho perso un'ora di sonno a notte. Da Marzo dormo più o meno 5 ore al giorno. Risultato è che l'umore è particolarmente instabile, sono sempre sull'orlo del pianto, quando non scoppio in lacrime per una cazzata qualsiasi (tipo un libro al profumo di pane, burro e zucchero che non ho più e che vorrei tenere ancora in mano).
Non riesco a concentrarmi sulle cose che devo fare, oltre al lavoro. Beh, a parte qualche piccolo particolare il mio lavoro non necessita di una gran concentrazione. Insomma, la parte manuale sarebbe in grado di farla anche un carciofo con un minimo di delicatezza nelle mani.
Ma non riesco a scrivere e nemmeno a seguire i blog delle persone che prima seguivo giornalmente. Mi metto lì e le idee tardano a scorrere. Di solito è molto più semplice. Apro la pagina e le parole vengono da sole, quasi sempre con una loro musicalità che non necessita grossi rimaneggiamenti. Ora che, intorno alle 60mila parole del romanzo nuovo (fanta-thriller-gothic), anche se ho un'idea precisa di come devo proseguire, alcuni dettagli stentano a prendere forma. Purtroppo sono particolari che non posso evitare di spiegare in questo punto, non posso non inserirli.
Allora leggo, o perdo tempo, o guardo la tv, o faccio solitari e partite a Mahjong, che non è il modo in cui vorrei passare il tempo.
Un torneo letterario cui ho partecipato mi ha vista esclusa dopo un paio di mesi. Non che io me la sia presa, sapevo di aver mandato una serie di racconti con qualche difetto e che i primi due (quelli che venivano giudicati nella prima fase del torneo) erano molto diversi tra loro, quindi non rendevano l'idea dello stile e della linea narrativa dell'intera raccolta. Errore mio, lo so. Ma è stata un'esperienza costruttiva (e lo sarà ancora di più quando saprò i giudizi che riguardano il mio lavoro), soprattuttonperché ho avuto modo di leggere brani di altre 12 persone che amano scrivere come me e di capire cosa c'è in giro.
Vorrei ringiovanire, ma questo non si può fare. Non tanto per motivi estetici (alla fine contiuo a dimostrare una decina d'anni meno di quelli che ho), quanto per come mi sento a volte.
Sono stanca. Non dormire non mi aiuta, lavorare in un sotterraneo nemmeno, soprattutto mi manca una parte dl mio mondo onirico, che mancando il sonno è spiacevolmente ridotto e di nuovo molto pulp. Vedasi il tentato omicidio in doccia da parte di un vecchietto sessualmente eccitato nei confronti della sua giovane e bella amante (che per fortuna non ero io, che avrei vomitato all'idea di un amante vecchio più che all'idea di esserne uccisa), con spargimento di sangue misto acqua per ogni dove... - in caso vi interessasse, qualche post più in là lo trovate, insieme ad altre cose rosse.
Ora, mentre in tv danno un film di fantascienza del 1973 con Yul Brinner, che non ho mai visto, ma i cui ho sentito parlare più e più volte, sto qui a domandarmi a che ora voglio spegnere questo portatilino bianco. Sbadiglio, ma è uan finta. Se andassi a letto adesso non dormirei che mezz'ora.
Sperando che questa insonnia primaverile, che mi tocca ogni anno, finisca al più presto (possibilmente prima dell'arrivo dell'estate, anche se sembra un controsenso), mi dedico a perdere amabilmente il mio tempo...

11.5.10

Augurio al giovane uomo

Che le tue sopracciglia restino folte e naturali; che i tuoi jeans siano calati della giusta misura, mai troppo; che le tue mutande firmate rimangano nella mia immaginazione; che i tuoi capelli non conoscano le meches; che nei lobi delle tue orecchie non si possano infilare ossi di pollo.
E, quando crescerai, che i tuoi giubbotti senza maniche non siano più corti della giacca che indossi, che i pantaloni del tuo completo non siano troppo stretti sulla coscia; che i calzini non siano mai troppo corti e nemmeno bianchi; che non passi il tuo tempo a distrarti dalla vita che fai, ma che tu la possa vivere sognando.
Che tu possa essere uomo e non fantoccio, infine. Che tu sappia rispettare davvero gli altri e amarli, e avere cura di coloro che ti amano.
Questo è il mio augurio più grande.

P.S: da intendersi com preghiera generica rivolta all'umano in via di sviluppo.

10.5.10

Quei posti che ritornano...

Ho già parlato della casa che sogno spesso, delle sue strane stanze e del giardino con la statua su cui arrampicarsi facendo attenzione a seguire le impronte già esistenti.
C'è anche una zona di una città che sogno spesso, sempre con le stesse forme. In apparenza è la mia zona, ma poi non è lei. L'unica piazza con giardino si moltiplica e ogni due isolati uno è composto da giardino, sempre più lontani dalla via principale.
Giardini con una particolare conformazione, vie che si intersecano uguali, palazzi che somigliano a palazzi già visti. Eppure no, non è una delle città in cui ho vissuto, anche se prende parte dei panorami cui sono abituata.
Stanotte ho sognato di nuovo quei giardini, e di andare in banca. Magra e alta, con minigonna e tacchi 12 (quando mai?). Per poi passeggiare con un vecchio che era come fosse mio padre, incrociare una zia che non gli voleva rivolgere la parola e partire con lui su una vecchia Fiat color pomodoro. Forse una 1100, o qualcosa di simile. (Mai avuta)
Poi ancora un posto conosciuto. Una hall enorme, con vetrate altissime. E tende rosse.
E una stanza scura, con un bagno di piastrelle bianche, e un tentato omicidio. Una giovane donna, amante di un professore ancora "vivace", la cui testa veniva sbattuta forte contro le pareti della doccia, schizzando sangue rosso vivo sulle piastrelle quadrate. E la donna che si rialza, sanguinante, e che ancora non vuol capire che il suo uomo non la vuole più. E una fuga inaspettata. E il nulla, quella hall che ti inghiotte nel suo velluto rosso...
Sogni, niente altro. Ma immagini che conosco e che sembrano avere un senso. Che non mi spaventano, ma che vorrei riuscire a collegare tra loro e dare finalmente un volto vero al mio mondo interiore...

Just like you said - Seal

So che non lo faccio mai, ma oggi va così!!!

I,
I am
So unsure
Every minute that waits
Every second that I'm away
From you
And love
Is a way that
Has no rules
Know that I'm loving you
Even if it's
A fool that waits in vain
Waits in vain
Yesterday it hit me
I felt we were slipping away
Say you if you can it's okay
Just like you said way then
Sometimes I fall
And I feel like
I don't know the way
Say if you can it's okay
Just like you said then
Just like you said
Now
Now my days become long
Okay
I know I'll never feel the same again
So please
Don't let
My lows bring you down
Always know that
I need you
Yes I do....oh
Yesterday it hit me
I felt we were slipping away
Say if you can
It's okay
Just like you said way then
Sometimes I fall and I feel like
I don't know the way
Won't you say if you can
It's okay
Just like you said then
Just like you said.... oh
Ohhhhhh .....
My my my my my again
Yesterday it hit me
I felt you were slipping
Away
Say if if you can it's okay
Just like you said way then
Sometimes I fall and I feel
I don't know the way
Won't you say if you can
it's okay
Just like you said then
Just like you said.... oh
Just like you said then
Just like you said.... oh
Just like you said way back then
Just like you said

6.5.10

Sul perché odio il telefono

Avevo quattro anni e vivevo a Milano.
Il nostro telefono, grigio topo e con la rotella trasparente, campeggiava su un tavolino in ingresso. Era pomeriggio e io mi sentivo sola, anche se con me c'era la tata (tata Rosy, il mio incubo). Così decisi di telefonare a mia mamma in ufficio, per sapere quando sarebbe tornata.
Alzai la cornetta e l'appoggiai alla spalla poi, con la manina sinistra appoggiata alla base del telefono per tenerlo fermo, cominciai a comporre il numero. Lo sapevo a memoria, da subito. Le mie manine erano ancora piccole e non sono mai state particolarmente forti. Qualcosa, nel far scorrere la rotella fino a fine corsa e lasciarla tornare al suo posto andò male. Forse un nove o uno zero non mi riuscirono bene. Perché all'altro capo mi rispose qualcuno che non conoscevo e non solo: alla richiesta di parlare con la mia mamma (fatta per bene, con nome e cognome, che sono sempre stata una bimba educata - finché non ho mandato affan***o una nonna settantenne particolarmente molesta) mi fu risposto che non era lì e che avevo sbagliato numero.
Ditemi pure che sono cretina, ma io ho ancora e sempre paura che dall'altra parte del telefono mi risponda una voce sconosciuta e molti dei miei incubi riguardano l'impossibilità di comporre un numero telefonico. O perché i tasti non hanno numeri ma simboli a cui non riesco a collegare una cifra, o perché i numeri sono scambiati tra loro e non riesco mai a telefonare.
Il che la dice lunga sul mio desiderio di comunicare e il sentirmi spesso incapace di farlo, cosa che si traduce anche nel sognare di non riuscire a emettere suono quando dovrei gridare o dire qualcosa di particolare per salvarmi la vita.

Secondo, ma non ultimo motivo...
Detesto i rumori ripetitivi. Il trillo del telefono, il ticchettio dell'orologio, la goccia dal lavandino, la sveglia, addirittura lo scorrere regolare dell'acqua dell'acquario... Ragion per cui non uso il telefono di casa e se devo rispondere lo faccio al massimo al terzo squillo, perché al quarto ho già pronto il bazooka.

3.5.10

Giù in giardino


Dalla vetrata del salone sto osservando mio nonno in giardino. Lui è chino a smuovere terra sotto al mio albero preferito, la mia quercia. Nasconde qualcosa. La nonna cerca di distrarmi e io la seguo. So che mi stanno preparando una sorpresa, me ne accorgo spesso.
Il nonno rientra in casa e io fingo di seguire ancora i discorsi della nonna. Si parla di un tesoro. Un vero tesoro che potrebbe essere nascosto proprio nel nostro giardino. Mi invitano ad andare a vedere. E io scendo, veloce. So benissimo dove cercare, ma lascio che siano loro a indicarmi la via con i loro indovinelli, con piccoli suggerimenti. So che il nonno ha scavato lì perché non c'è tanta erba, la quercia fa troppa ombra e le sue radici spuntano nodose. Alla fine fingo di trovare quella scatolina di plastica trasparente in cui il nonno ha nascosto delle monete.
Questo la dice lunga su come sono fatta, sul mio modo di fingere di non capire, sul mio dare soddisfazioni alle persone che amo anche quando non avrei bisogno di fingere di fare il loro gioco. Sulla mia incapacità di prevalere, di farmi vedere più sveglia del previsto.
Proprio non ce la faccio. Non è da me.